Si era a Parigi nell’anno 1305. Dal convento dei Frati Francescani esce un giovane religioso e in grande raccoglimento si dirige verso la più celebre scuola di quel tempo, l’università della Sorbona. Pensa all’Immacolata e La invoca con sommesse giaculatorie affinché lo aiuti nel difendere il suo privilegio, a Lei tanto caro, di Immacolata Concezione.
Proprio in quel giorno, infatti, per ordine del Papa e di fronte ai suoi legati, si deve svolgere una disputa generale tra i fautori di questo privilegio e i suoi avversari.
E la disputa è stata provocata proprio da lui…
Da poco tempo egli si è insediato sulla cattedra universitaria, lasciata libera da Guglielmo Ware, ritiratosi a causa dell’età avanzata. Per ordine del P. Generale ha abbandonato la cattedra universitaria di Oxford, dove aveva parlato pubblicamente e con vero entusiasmo della « Concepita senza peccato ». E gli studenti erano accorsi da ogni parte, fino a raggiungere il numero di 30.000. Ora è giunto a Parigi.
Nemmeno qui perde l’occasione di difendere apertamente l’Immacolata Concezione. È solo dal 18 novembre del 1304 che egli si è insediato a Parigi, dopo aver lasciato Oxford, tuttavia al Papa Clemente V, ad Avignone, giungono già lagnanze nei suoi confronti, per il fatto che egli sostiene pubblicamente il privilegio dell’Immacolata Concezione, quasi che egli insegnasse una dottrina contraria alla fede, per una esagerata devozione verso la santissima Vergine. E proprio oggi egli deve giustificarsi a tutti i professori e perfino alla presenza dei legati del Papa.
Potrebbe fare diversamente? Lui, francescano, figlio spirituale del santo Patriarca d’Assisi? …
Il Padre s. Francesco… Egli, in effetti, mandando i primi frati alla conquista delle anime, insegnava loro una preghiera alla Madonna: « Ti saluto, Signora… eletta dal santissimo Padre del cielo, che ti consacrò con il santissimo e dilettissimo Figlio e con lo Spirito Santo Paraclito. In Te vi è e vi fu tutta la pienezza di grazia e ogni bene ».
Era stato ancora lui, a Rovigo, nell’Italia settentrionale, a celebrare l’Immacolata Concezione di Maria alla presenza di una gran folla di ascoltatori e nella stessa località proprio lui in persona aveva raccolto offerte e costruito una chiesa dedicata alla Madonna, erigendo pure in essa un altare alla Concezione della ss. Vergine. S. Antonio, poi, uno dei primi figli del Padre s. Francesco, non chiamava forse Maria nelle sue prediche con il dolce nome di « Vergine Immacolata »? Solo 40 anni più tardi, nel capitolo generale di Pisa (1263) il settimo ministro generale dei Frati Francescani, s. Bonaventura, aveva ordinato a tutti i figli del Padre s. Francesco, a tutti i conventi e a tutte le Province, di celebrare la festa dell’Immacolata Concezione.
Sì, egli ha il diritto, ha il dovere, come francescano, di lottare in difesa di un privilegio tanto sublime della Genitrice di Dio.
I professori di Parigi asseriscono che si tratta di una dottrina nuova. è vero che la denominazione può sembrare nuova, ma la medesima realtà non era professata, forse, dai fedeli fin dalle origini della Chiesa? Non viene professata, forse, dappertutto, quando si proclama che Ella è piena di grazia, che è purissima, santissima? Ebbene, la macchia del peccato originale e proprio una negazione della pienezza di grazia e di santità.
Una dottrina nuova? …I Padri della Chiesa non proclamano, forse, abbastanza chiaramente la loro fede e quella dei loro secoli nell’Immacolata Concezione di Maria, quando affermano che Ella è purissima sotto ogni aspetto e totalmente senza macchia, purissima, sempre pura, che in Lei il peccato non ha mai dominato, che Ella è più che santa, più che innocente, santa sotto ogni aspetto, pura senza macchia, più santa dei santi, più pura degli spiriti celesti, la sola santa, la sola innocente, la sola senza macchia, la senza macchia oltre ogni misura, la sola beata oltre ogni misura?…
La verità è che non tutti quei signori conoscono con esattezza gli scritti dei Padri della Chiesa, soprattutto di quelli orientali; leggano, quindi, anche quelle pergamene.
Essi sostengono che l’affermazione secondo cui la ss. Vergine fu immune dalla macchia del peccato originale, è un oltraggio alla dignità di Cristo Signore, il quale ha redento tutti senza alcuna eccezione ed è morto per tutti. Ma non è proprio per questo, per i meriti della sua futura morte, che Egli non ha permesso neppure che Ella fosse macchiata da qualsiasi colpa? Non è proprio per questo che Egli L’ha redenta nel modo più perfetto? Colui che porta via un sasso dalla strada, affinché un altro non inciampi e cada, non usa, forse, una cortesia maggiore di colui che solleva chi è già caduto?…
Ho ascoltato tante e tante obiezioni di tipo diverso, ma nessuna può resistere alla critica.
Sì, Dio aveva la possibilità di preservare la propria Madre anche dalla macchia del peccato originale. Senza dubbio l’ha voluto fare; infatti, perché non avrebbe potuto voler fare questa cosa per Colei che doveva divenire la degna Madre di un Dio infinitamente puro e santo; e quindi… non lo ha forse fatto?…
Sì, indubbiamente lo ha fatto.
Scoto sollevò lo sguardo; stava appunto passando accanto ad un palazzo: dal vano di una nicchia di esso l’Immacolata, scolpita in una statua di marmo, lo guardava con benevolenza.
Il suo cuore palpitò di gioia. Gli vennero alla mente gli anni della sua adolescenza, allorché si era presentato alla porta del convento dei Frati Francescani di Oxford; allorché, dopo essere stato accettato, incontrava grosse difficoltà nello studio per mancanza di capacità e, avendo pregato la Vergine Immacolata, sede della sapienza, aveva ricevuto tale grazia in grande abbondanza e aveva promesso all’Immacolata di consacrare alla sua gloria tutto il proprio genio e tutta la propria scienza.
Per Lei, appunto, stava andando in quel momento a combattere. Si tolse il cappello e pregò interiormente con fervore: ,« Fammi degno di lodarti, Vergine santissima. E dammi forza contro i tuoi nemici ». E si accorse che l’Immacolata, con un inchino del capo, gli prometteva l’aiuto. (La statua dell’Immacolata col capo inchinato rimase esposta fino al 1789, anno in cui i massoni la distrussero durante la Rivoluzione).
Continuò il cammino pieno di riconoscenza, immerso nella propria indegnità, infiammato d’ amore verso la sua Immacolata Signora.
Nell’ampia aula dell’università i numerosi oppositori avevano occupato i posti su ambedue i lati. Anche il modesto Scoto si recò al proprio posto e attese umilmente che gli venisse concessa la parola. Fecero il loro ingresso pure i tre inviati del Papa e si posero al centro dell’aula nei posti loro assegnati, per ascoltare la disputa e presiederla.
Si fecero avanti per primi gli avversari. Con molteplici argomentazioni, che i contemporanei enumerarono fino a 200, essi confutarono le affermazioni del povero francescano.
Finalmente, esaurite le obiezioni, si fece silenzio. Il legato del Papa accordò la parola a Scoto. Questi, con la più grande meraviglia dei numerosi presenti, enumerò tutte le obiezioni nell’ordine in cui erano state presentate, le confutò con molta decisione e continuò giustificando con chiare dimostrazioni, la dottrina dell’Immacolata Concezione della ss. Vergine. Le sue argomentazioni furono tanto convincenti che i professori e i dotti presenti gli attribuirono, secondo l’usanza del tempo, l’appellativo di « sottile », a motivo della sua abilità.
Ecco come viene descritta la scena da Pelbart di Temesvar, quasi contemporaneo di Scoto: « A costoro (quelli che negavano l’Immacolata Concezione) si oppose il valente oratore. Erano state presentate solide argomentazioni contro di lui, in numero di 200. Le ascoltò tutte una dopo l’altra con serenità e con disinvoltura, ma con attenzione, e con una memoria sorprendente le ripeté nello stesso ordine, sciogliendo le intricate difficoltà e dimostrazioni con grande facilità, come Sansone aveva fatto con i legami di Dalila [cf. Gdc 16, 9-14]. Inoltre Scoto aggiunse altre numerose e assai valide argomentazioni per dimostrare che la santissima Vergine è stata concepita senza macchia di peccato. La sua dissertazione impressionò talmente gli studiosi dell’università parigina, che in segno di approvazione Scoto fu insignito del titolo onorifico di “Dottore Sottile” ».
Da allora i Francescani, sparsi per le varie località dell’Europa, con franchezza sempre maggiore proclamarono ovunque ai fedeli l’Immacolata Concezione della Vergine purissima.
Allorché il giorno 8 novembre 1308 il coraggioso difensore del privilegio dell’Immacolata Concezione lasciava questo esilio terreno, a Colonia, nella cui università aveva insegnato negli ultimi anni, la fede nell’Immacolata Concezione di Maria aveva posto ormai radici così profonde che giustamente il celebre teologo spagnolo Vasquez poteva scrivere nel secolo XVI: « Dai tempi di Scoto (la fede nell’Immacolata Concezione) è cresciuta tanto non solo tra i teologi scolastici, ma anche in mezzo al popolo, che nessuno ormai è più in grado di farla scomparire ».
170 anni dopo la disputa di Parigi ebbe luogo un’altra disputa, che durò parecchi giorni, in Vaticano, alla presenza del Papa Sisto IV, anche egli francescano. P. Francesco Nanni, 39° ministro generale dei Frati Francescani, in quella occasione sciolse in modo così brillante le difficoltà mosse dagli avversari, che il Papa, incantato, esclamò: « Tu sei davvero un Sansone fortissimo ». Poco tempo dopo lo stesso Pontefice emanava, in data 27 febbraio 1477, una celebre costituzione, nella quale confermava l’ufficio e la Messa dell’Immacolata Concezione, composti da Leonardo de Nogarolis e concedeva indulgenze a tutti coloro che avrebbero recitato tale ufficio o celebrato la s. Messa nel giorno della festa o nell’ottava dell’Immacolata Concezione.
La fede nell’Immacolata Concezione della Madonna si faceva sempre più e più viva. Ciò che in passato era implicito nella fede nell’espressione: « pienezza di grazia », vale a dire la santità e la purezza senza macchia della Madonna, ora lo si manifestava espressamente, si venerava in tutta la sua ampiezza e si chiamava con un nome proprio, fino al giorno in cui, nei decreti divini, giunse a maturazione il momento in cui il Papa Pio IX, 256° successore di s. Pietro, circondato da 53 cardinali, 42 arcivescovi, 92 vescovi e da una folla incalcolabile di fedeli, nella sua veste di supremo Pastore di tutta la Chiesa, dichiarava solennemente che la dottrina — la quale affermava che la ss. Vergine Maria nel primo istante della sua concezione è stata preservata immune da ogni macchia del peccato originale, per una grazia particolare e per un privilegio dell’onnipotente Iddio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano — era stata rivelata da Dio.
In tale occasione, poi, il Papa incoronava un quadro dell’Immacolata Concezione, che era stato collocato ancora dal Papa Sisto IV, francescano, sopra l’altare della cappella dedicata a questo privilegio mariano.
Quattro anni più tardi l’Immacolata stessa, quasi per confermare il dogma definito, dichiarava a Lourdes: « Io sono l’Immacolata Concezione ».
San Massimiliano Kolbe O.F.M.
[« A proposito del culto all’Immacolata Concezione », articolo del 1925, in Gli scritti di M. Kolbe, Città di Vita, Firenze 1978, vol. III, pp. 1.70-1761.
Anche Schumann nel fascino della “Tutta Bella”
Nel 1852 Robert Schumann scrisse la “Messa in Do minore”, nella quale dedicò un “Offertorium” all’Immacolata musicandone il “Tota Pulchra”. Un sublime monumento musicale a lode di quella Donna sublime di cui anch’egli, benché luterano, aveva subito il fascino soprannaturale.
«Tota pulchra es, Maria» è il grido della Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria; un grido che sale verso la Tutta bella, nella quale risplende il fulgore della gloria di Dio.
Sono parole di antica origine francescana, che si trovano anche oggi nelle antifone cantate, oppure lette, preposte ai salmi nei secondi Vespri di questa solennità. Esse ricalcano il Cantico dei Cantici e il Libro di Giuditta: nella bella sulamita del poemetto attribuito al re Salomone ravvisano la Vergine benedetta, tutta bella, pura, santa e immacolata; nella bella Giuditta, che troncò la testa a Oloferne, nemico del popolo di Dio, ravvisano la figura di Maria, che schiacciò dal primo istante la testa del serpente, nemico del genere umano.
Tota pulchra es, Maria,
et macula originalis
non est in Te.
Tu gloria Ierusalem,
Tu laetitia Israel,
Tu honorificentia populi nostri.
et macula originalis
non est in Te.
Tu gloria Ierusalem,
Tu laetitia Israel,
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria! O Maria!
Virgo prudentissima,
Mater clementissima,
ora pro nobis,
intercede pro nobis
ad Dominum Iesum Christum.
O Maria! O Maria!
Virgo prudentissima,
Mater clementissima,
ora pro nobis,
intercede pro nobis
ad Dominum Iesum Christum.
* * *
Tutta bella sei, Maria,
e il peccato originale
non è in te (cf. Ct 4,7).
Tu sei la gloria di Gerusalemme,
tu letizia d’Israele,
tu onore del nostro popolo (cf. Gdt 15,10).
Tu avvocata dei peccatori.
O Maria! O Maria!
Vergine prudentissima,
Madre clementissima,
prega per noi,
intercedi per noi
presso il Signore Gesù Cristo.
Così canta la liturgia e tante opere d’arte − della pittura, della scultura, della letteratura, della musica − hanno provato a descriverlo.
Tra i vari compositori che hanno musicato questo testo spicca il tedesco Robert Schumann (1810-1856), il grande romantico, che l’ha inserito come Offertorium nella Messa in Do minore, per soli, coro e orchestra op. 147. Sarà che fin dal 1836, quando viveva nel Collegio Rosso dell’Università di Lipsia, era affezionato all’incisione di una Madonna di Raffaello posta sulla sua scrivania. Sarà che nei primi anni ’40 dell’Ottocento considerava il soggetto della Vergine Maria come un «testo eccellente» per un oratorio. Sarà poi che questa composizione era forse destinata a una festa mariana. Fatto sta che qui siamo di fronte una pagina di una leggerezza soprannaturale, degna dei toni intimisti dell’ultimo Schumann, composta da un luterano − che aveva progettato un oratorio sull’eresiarca tedesco − in onore della Beata Vergine Maria.
Forse qualcuno obietterà: dovere, non entusiasmo. A Düsseldorf − dove si era trasferito nel 1846 in condizioni di salute peggiorate, specialmente riguardo alle facoltà mentali − il Nostro era Direttore generale della musica, titolo per cui doveva organizzare e dirigere un’orchestra professionale e un coro di dilettanti, nonché eseguire due o tre volte l’anno musica per la Liturgia cattolica. Ma se di Schumann, che nel 1830 si definì «un religioso senza religione», si considera l’entusiasmo con cui accettò l’incarico, come pure il crescente interesse verso la musica sacra − cattolica − verso la fine della sua carriera, si vede qualcosa di più.
In una lettera del 13 gennaio 1851 ad August Strackerjan, un suo ammiratore di Oldenburg, Schumann scrive: «Impegnare le proprie forze per la musica sacra rimane l’obiettivo più alto dell’artista. Ma in gioventù siamo tutti ancora troppo radicati nella terra, con le sue gioie e i suoi dolori; con l’avanzare dell’età, anche i rami tendono ad elevarsi. E, come spero, questa età non sarà più troppo lontana per quel che aspiro a fare» (W. J. Wasielewski, Life of Robert Schumann, W. Reeves, London 1878, pp. 169-170).
La Messa op. 147 e il Requiem op. 148 sono gli ultimi due lavori nel catalogo del grande compositore tedesco: furono composti per Düsseldorf di seguito, rispettivamente tra il febbraio-marzo e l’aprile-maggio del 1852, e furono davvero il suo «canto del cigno».
La Messa, che Schumann non poté mai udire per intero durante la sua vita, si avvale di un organico sinfonico-corale ampio: l’orchestra include legni e fiati divisi a due, tre tromboni e l’organo; il coro è scritto a quattro parti e spesso in omofonia (stile in cui una voce principale, generalmente il soprano, canta la melodia supportata dall’armonia delle altre), con passaggi polifonici fino a culminare nelle due fughe del Sanctus. L’atmosfera generale, a cominciare dalla tonalità d’impianto scelta di Do minore − comune solo alla Messa in Do minore per soli, coro e orchestra, K 427 di Mozart −, è intima e raccolta; e ciò trova conferma nella prevalenza dei tempi lenti anche in quei numeri che sono tradizionalmente più mossi, come il Gloria e il Credo; tre voci soliste, invece delle solite quattro (soprano, tenore e basso soli senza contralto), con interventi brevi.
L’Offertorium, che essendo una parte variabile generalmente non trova posto nell’Ordinario della Messa, è l’unico momento davvero solistico, con il soprano che canta accompagnato dall’organo e dal violoncello obbligato (ma possono essere sostituiti da un quartetto d’archi con sordina). Non è un Lied, una delle duecentocinquanta canzoni tedesche che Schumann ha composto, ma una preghiera assorta, nella sentita venerazione per quella Donna, esente dal peccato di Adamo, alla quale si può dire «et macula non est in te», per ottenerne la materna intercessione.
Se ci rattristano le enormità contrarie alla fede e all’onore della Immacolata (il lettore ricorderà la «mariolatria», contro cui Congar e soci si scagliano fin dai tempi del Concilio, timorosi che il sole possa essere oscurato dalla luna), ci consola il Tota pulchra di Robert Schumann.
di Massimo Scapin
Storia delle Piccole sorelle discepole dell’Agnello. Perché non ci sono anime disabili
Madre Line racconta così la nascita delle Petites sœurs disciples de l’Agneau, le Piccole sorelle discepole dell’Agnello, il primo e finora unico istituto religioso con una regola di vita adattata espressamente alle persone con la sindrome di Down.
Situata a Bourges, nella Francia centrale, la comunità è stata fondata da Madre Line nel 1985. Fu appunto l’incontro tra Line e Véronique, una ragazza animata da un sincero desiderio di diventare suora, a far nascere la scintilla.
La comunità ha ottenuto lo status di istituto religioso di vita contemplativa nel 1999, dall’allora arcivescovo di Bourges, monsignor Pierre Plateau, e in seguito gli statuti sono stati definitivamente approvati dal successore, l’arcivescovo Armand Maillard, nel 2011.
L’obiettivo di Madre Line è stato fin dall’inizio di consentire a donne con disabilità mentali di seguire Cristo attraverso la vita consacrata, con l’accompagnamento di donne non disabili che condividono con loro la vita comunitaria.
Nell’istituto, che trae ispirazione spirituale specialmente da san Benedetto e da santa Teresa di Lisieux, tutte le consacrate, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno la sindrome di Down, svolgono le stesse attività quotidiane, secondo le capacità di ciascuna: lavori nell’orto e nel giardino di erbe medicinali, tessitura con telai di legno, laboratorio di ceramica, oltre naturalmente alla preghiera e all’adorazione.
“Lo stile di vita all’interno della comunità – spiega Madre Line – garantisce alle suore con sindrome di Down un’autonomia che in altri contesti sociali non potrebbero avere. Il tipo di vita che si conduce qui, scandito da ritmi regolari, si adatta bene alla loro personalità. Le persone con la sindrome di Down non amano i cambiamenti”.
Al momento le Petites sœurs sono dieci, otto delle quali hanno la sindrome di Down. “Abbiamo davvero bisogno di nuove vocazioni – dice Madre Line – perché ci mancano giovani donne senza disabilità che potrebbero essere consacrate e fornire supporto a quelle diversamente abili”.
Da quando la loro storia è stata diffusa tramite il web le Piccole sorelle dell’Agnello hanno ricevuto innumerevoli messaggi di sostegno e richieste di visitare la comunità, in particolare dagli Stati Uniti. “I cattolici americani – spiega la superiora – si sono dimostrati finora i più sensibili alla nostra missione e alla comunità, perché la vedono come un messaggio per il mondo. Siamo molto grate a tutti coloro che ci aiutano a far conoscere la nostra testimonianza. Speriamo che incoraggerà più persone a consacrarsi al Signore attraverso il servizio alle Piccole sorelle con sindrome di Down”.
Line e Véronique diedero il via alla comunità in un piccolo appartamento. Più tardi, un’altra ragazza con sindrome di Down si unì a loro. Nel 1990 chiesero al futuro cardinale e arcivescovo di Tours, Jean Honoré (1920-2013), di riconoscerle come associazione pubblica di fedeli laici. Fu proprio il sostegno del cardinale Honoré, che appoggiò il loro caso a Roma, a permettere a questa piccola comunità di essere riconosciuta.
Nel 1995 il numero crescente di sorelle associate richiese un trasferimento. Si stabilirono a Le Blanc, nella diocesi di Bourges, il cui arcivescovo le accolse e le aiutò a ottenere lo status istituto religioso contemplativo.
“L’arcivescovo fu davvero un padre per la nostra comunità” dice Madre Line. “Era molto vicino alle persone con sindrome di Down”. Gradualmente fu costruito il convento con la cappella, e poi arrivò il riconoscimento definitivo da parte della autorità della Chiesa, grazie al nuovo arcivescovo Armand Maillard, che vide nelle Piccole sorelle una fonte di vita spirituale e di gioia per l’intera diocesi.
Suor Véronique racconta che, dopo essere stata respinta da altre comunità religiose, provò la sua gioia più grande gioia il 20 giugno 2009, quando emise i voti perpetui tra le Piccole sorelle dell’Agnello e divenne così sposa di Gesù.
Dice Madre Line: “In un momento in cui la società non ha punti di riferimento, non trova più significato nella vita o non le dà valore, la nostra comunità vuole riaffermare il carattere sacro della vita e della persona umana attraverso la semplice testimonianza della nostra consacrazione a Dio”.
Le Piccole sorelle rivolgono un invito a tutte le giovani donne che, sentendosi coinvolte dallo spirito di povertà e di condivisione, avvertono il desiderio di offrire la propria vita al servizio di Gesù, della Chiesa e delle persone diversamente abili: “Venite da noi per fare un periodo di discernimento!”.
Lo stesso vale per le giovani donne con la sindrome di Down e per le loro famiglie. Dice Madre Line: “Come per tutte le vocazioni, è il Signore che chiama. E le persone con la sindrome di Down sono perfettamente in grado di capirlo. Ho scoperto in loro una grande forza spirituale. Conoscono la Bibbia e la vita dei santi, sono favolose. Sono anime di preghiera, molto spirituali, molto vicine a Gesù. Nella loro semplicità vedo un segno per il nostro tempo. Le loro anime non sono disabili! Al contrario, sono più vicine al Signore, comunicano con lui più facilmente. Le altre sorelle della comunità ammirano la loro capacità di perdonare e di incoraggiare trovando la giusta frase dalla Bibbia che aiuta a dare un senso alla giornata”.
Nel 2013 la comunità venne scossa dalla morte prematura di suor Rose-Claire, di soli ventisei anni. Le sue sorelle la descrivono come una giovane simile a santa Teresa di Lisieux, che Rose-Claire amava moltissimo. “Le nostre sorelle con la sindrome di Down – racconta Madre Line – affrontarono la morte della consorella con serenità, ponendo tutto sotto lo sguardo di Dio. Quando mi recai da loro la mattina dopo, una mi disse: Rose-Claire aveva desiderio del paradiso. E un’altra: dobbiamo essere forti, abbiamo fede”.
L’esperienza di questa comunità può sembrare strana. Per altri può essere una sorta di sfida alla società dell’efficienza e della produttività. Secondo Madre Line, tuttavia, è semplicemente una comunità religiosa che porta amore nel mondo, “e sappiamo quanto il mondo ne abbia bisogno”.
A.M.V.
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