Rilancio l’intervista che mons. Luigi Negri ha concesso a Stefano Filippi de La Verità.
L’intervista è stata ripresa da Dagospia, sito che utilizzo come fonte.
Monsignor Luigi Negri è una delle voci più forti e ascoltate dell’ episcopato italiano. Allievo di don Luigi Giussani, è stato vescovo di San Marino e arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Ha insegnato all’ università Cattolica, ha scritto numerosi libri, ha presieduto la Fondazione internazionale Giovanni Paolo II. Ora, a 79 anni, da «pensionato» è tornato nella sua Milano dove non smette di scrivere e insegnare anche attraverso il sito Luiginegri.it.
Nel recente discorso alla Curia romana papa Francesco ha ripetuto che «quella attuale non è un’ epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’ epoca».
«Non è il solo ad aver detto questa frase».
Che ne pensa?
«Mi sembra che il problema in questo momento non sia quello di cesellare meglio le espressioni. Il problema è molto più radicale».
Cioè?
«Sono venuti meno, più o meno improvvisamente, alcuni riferimenti di fondo su cui l’uomo fino a un certo periodo ha posto la sua fiducia, e in forza di questa fiducia ha affrontato la vita. Oggi l’uomo su che cosa poggia? Ecco la tragedia: su niente. E nessuno se ne accorge, meno che mai l’uomo stesso».
Che si dovrebbe fare?
«Bisogna che qualcuno dica all’uomo di oggi che deve recuperare il senso della sua esistenza, il “mestier duro d’esser uomo”, come diceva Cesare Pavese. Il mestiere di affrontare l’esistenza cercando di assecondare le grandi domande che porta nel cuore: il senso del vero, del bene, del bello, del giusto. Queste cose non sono finite, non c’è cambiamento d’epoca che tenga».
Che cosa intende?
«Cambiamento d’epoca non vuol dire che sono sparite le grandi domande, ma eventualmente che è cambiato l’uomo, il quale può anche non porsi più tali domande. Il problema è l’uomo, che cosa vuole, che cosa desidera».
Chi può rispondere a questi interrogativi?
«Bisogna che l’uomo si rimetta in gioco e capisca da che parte andare. Se affrontare la sfida del mistero, di ciò che non conosce se non approssimativamente ma che pure innegabilmente domina comunque la sua vita, oppure se stare quieto nelle proprie quattro cose sistemando e risistemando le quali pensa di trovare una qualche consolazione all’esistenza, come ha più volte sottolineato da par suo il grande Benedetto XVI».
Sintetizzi.
«La questione è questa: che cosa vuole l’uomo per sé. È questa la grande rivoluzione iniziata con la venuta del Signore Gesù Cristo, che ha chiamato l’uomo di ogni tempo a prendere coscienza della sua vita per affrontare dignitosamente gli aspetti della sua esistenza».
Il Papa dice che compito della Chiesa è «lasciarsi interrogare dalle sfide». Le sembra sufficiente?
«Mi pare pochino. Le sfide non sono acqua che, come mi ricordava spesso don Giussani, piove sul marmo lasciando tutto come prima: esse sono provocazioni perché l’ uomo si rimetta in moto e vada cercando nelle vicende piccole della vita la grande questione del senso. “E io che sono?”, si chiedeva il pastore errante di Leopardi».
Lei dice: cambiano le epoche, ma non cambia la questione umana. È così?
«Ecco. L’uomo senza Dio perde la sua consistenza, non sa più chi è. Questo è quello che mi ha insegnato Benedetto XVI con una profondità e un rigore di cui gli sarò sempre grato».
La Chiesa quali sfide deve affrontare in un mondo che non riconosce più Dio?
«La Chiesa, come io stesso e come chiunque, deve affrontare la sfida della propria identità. Qual è la sfida che ci portiamo addosso per il fatto di essere vivi? Che dobbiamo sapere chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, che senso ha il vivere di ogni giorno, il lavorare, il sentire, il morire. La questione umana risorge continuamente nel variare delle circostanze, per cui fare grandi analisi sulle circostanze serve molto poco».
Don Giussani rilanciò una domanda del poeta Thomas Eliot: «È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che abbandonato la Chiesa?». Lei che risposta dà?
«Quella che umilmente ho sempre dato: entrambe. La Chiesa abbandona l’uomo nella misura in cui non vive la responsabilità di proporgli il senso ultimo della sua vita. Di contro, l’uomo può dimenticare sé stesso se insegue i problemi personali, affettivi, sociali, culturali, etici, pensando di trovare una soluzione adeguata secondo quello che il mondo suggerisce».
I cristiani devono restare fuori dal mondo?
«Mi ha colpito molto, qualche anno fa, quanto mi diceva un esegeta al termine di un convegno. Mi chiese se sapessi qual era l’ espressione che statisticamente ricorre più spesso nei testi di San Paolo».
Qual era?
«Questa: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo”. Paolo ha insegnato della prudenza, della carità, della castità, dei costumi, ha insegnato tutto il quadro della morale cattolica. Ma la questione fondamentale è che l’uomo dia un senso adeguato al proprio vivere».
E quali sono le responsabilità della Chiesa nell’abbandono dell’ umanità?
«Le possiamo concentrare in un punto unico: se la Chiesa vive la sua identità come presenza nel mondo del mondo nuovo di Dio, oppure se evita questa fatica e rincorre problemi importantissimi ma particolari non illuminati dalla domanda sul senso della vita umana».
Intende temi come, per esempio, i cambiamenti climatici o i flussi migratori?
«Dev’essere chiara la gerarchia. A un figlio di 3 anni, un padre non può spiegare un trattato di trigonometria, ma prende il pane e il latte e dice: mangia. Bisogna ricuperare questa fondamentale sanità».
La Chiesa è in pericolo?
«Sì. Si è messa in pericolo, perché nessuno può mettere in pericolo la Chiesa se non sé stessa. La Chiesa non è in pericolo perché ci sono problemi, sono cambiate le epoche o la assediano forze eversive: non c’è periodo della storia in cui la Chiesa non fosse presa d’assalto. Ma la Chiesa di oggi ha pensato che il problema della sua esistenza sia tentare di risolvere i problemi del mondo anziché vivere lo spettacolo sempre nuovo della sua identità».
C’è un rischio di scisma?
«In ogni momento della Chiesa è possibile uno scisma. Ritengo che ci siano spazi, nella Chiesa cattolica, in cui si vive già in una situazione di scisma, non so quanto consapevolmente».
A che cosa si riferisce?
«Io ho dovuto costringere dei preti della diocesi in cui ero vescovo a riprendere a dire durante la messa il Credo, minacciando di togliere loro la facoltà di celebrare».
La messa di precetto senza Credo non è invalida?
«Non è legittima, cioè non è detta secondo il canone».
Insomma, dilaga l’ arbitrio.
«Come no».
Tra i preti?
«Non solo, non facciamoli più cattivi di quello che sono. Dilaga l’arbitrio perché l’ unica cosa che l’ uomo ha a disposizione in questo momento è di fare quello che gli pare e piace».
Non si parla più di valori non negoziabili. È un passo avanti o indietro?
«Non è un caso che i valori non negoziabili di cui ha parlato Benedetto XVI siano scomparsi con lui. Forse la sua estromissione dipende anche dal fatto che tali valori fossero proposti in termini tassativi».
C’è bisogno di un nuovo Ruini?
«Abbiamo bisogno di ecclesiastici che siano uomini di fede. Ruini ha dato questa grande testimonianza: ha camminato nel mondo con la sola preoccupazione che la fede del popolo italiano non si esaurisse perché altrimenti si sarebbe esaurita la civiltà e la cultura italiana. Ruini, Biffi e altri come loro sono stati grandi uomini che hanno segnato il punto».
Cioè?
«Che la Chiesa non può mai rinunciare a mettere al primo posto la fede. Anche se ci fossero 850 milioni di migranti, la Chiesa non potrà mai dire che allora il suo problema sono i migranti, ma che il suo problema è la fede e da ciò tirare fuori la soluzione ai problemi, compreso quello dei migranti. Essere costretti a ripetere queste cose dice l’abbandono di quella che il povero e grande San Tommaso chiamava la grandezza del pensare cristiano. Il pensare cristiano è grande non perché pensa Dio, ma perché imposta il problema della totalità dell’esistenza dell’ uomo».
Lei è stato pensionato in modo repentino.
«Sono stato pensionato velocemente, ma verso il Papa attuale, del quale pure non condivido tutto, nutro rispetto e gratitudine: è un uomo libero che lascia libera la sua gente. Non ho ricevuto mai, né per iscritto, né a voce, né surrettiziamente, una sottolineatura negativa a quello che ero e che facevo. Di uomini che lasciano liberi gli altri io sono lieto, perché Dio si comporta così».
Come svolge oggi il suo ministero?
«È un impegno abbastanza intenso. Mi chiamano spesso a parlare della famiglia, gravemente in crisi e abbandonata dalla considerazione normale della Chiesa, dove si parla di tutto fuorché di questo: famiglia, matrimonio, educazione. Tengo delle catechesi in cui cerco di evocare un cammino di comprensione ed espressione della fede. Il cristiano di oggi rischia di avere un grande tesoro, che è la sua fede, ma siccome non l’ hanno educato a capirne tutta la potenza, essa rimane nel sottofondo. La fede giace in una sorta di semi abbandono che rimane la grande occasione perduta per la maggior parte dei cristiani».
Di Sabino Paciolla
Secondo Sarah, troppi sacerdoti cattolici “sono diventati specialisti nel campo dell’attività sociale, politica o economica”, provvedendo alle esigenze materiali piuttosto che a quelle spirituali dei loro incarichi. “Mi vergogno ad ammetterlo – scrive – ma i protestanti evangelici sono a volte più fedeli a Cristo di noi”.
Un articolo di Matthew Schmitz, pubblicato su First Thing, che riflette sul libro di prossima pubblicazione sul celibato sacerdotale scritto da Benedetto XVI ed il card. Robert Sarah. Eccolo nella mia traduzione.
Appena è stato annunciato che Benedetto XVI e il cardinale Robert Sarah avevano pubblicato un libro in difesa del celibato sacerdotale, sono stati accusati di aver attaccato papa Francesco. A prima vista, è stata una strana accusa. Papa Francesco stesso ha difeso la norma del celibato, mentre si chiedeva se fossero possibili eccezioni allargate. E lungi dal criticare Francesco, Benedetto e Sarah scrivono “in uno spirito di obbedienza filiale, a papa Francesco”.
Ma nella Chiesa di oggi, ogni chiara affermazione dell’ortodossia è interpretata come una sfida all’autorità di Papa Francesco. Si tratta di un fatto sobrio, di cui Benedetto e Sara sono ben consapevoli. “Vogliamo rimanere lontani da tutto ciò che può nuocere all’unità della Chiesa”, scrivono nell’introduzione a ‘Dal profondo dei nostri cuori: Il sacerdozio, il celibato e la crisi della Chiesa cattolica’. “Le liti personali, le manovre politiche, i giochi di potere, le manipolazioni ideologiche e le critiche piene di acredine giocano il gioco del diavolo, il divisore, il padre della menzogna”.
Anche se segnalano la loro obbedienza, sia Benedetto che Sarah suggeriscono che questo straordinario momento richiede una risposta straordinaria da parte dei laici. Sarah nota con approvazione l’esempio di Santa Caterina da Siena. “Prima la parola era più libera di oggi”, scrive. “È bene ricordare, a titolo di esempio, l’ammonizione inviata da Caterina da Siena a Gregorio XI. … Quale vescovo, quale Papa si lascerebbe sfidare oggi con tanta veemenza? Oggi, voci desiderose di polemiche descriverebbero subito Caterina da Siena come nemica del Papa o come leader dei suoi avversari”.
Benedetto e Sarah considerano loro “sacro dovere ricordare la verità sul sacerdozio cattolico”. Perché attraverso di essa, tutta la bellezza della Chiesa viene messa in discussione”. Questo dovere solenne si estende a tutti i cristiani. “È urgente e necessario che tutti – vescovi, sacerdoti e laici – smettano di lasciarsi intimidire dalle suppliche sbagliate, dagli spettacoli teatrali, dalle diaboliche menzogne e dagli errori della moda che cercano di abbattere il celibato sacerdotale”, scrivono. “Parliamo con coraggio per professare la fede senza paura di essere caritatevoli”.
Questo non è altro che un richiamo alle armi: non per prendere le armi del mondo, né per rompere l’unità dei cristiani con parole amare, ma per impugnare la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. Il libro è quindi dedicato a una serie di riflessioni teologiche e pastorali, divise in quattro parti: una lettera di Benedetto, una lettera di Sarah, e un’introduzione e una conclusione scritte a quattro mani.
Benedetto, nella sua lettera, fa risalire l’attacco al celibato al disprezzo per l’idea stessa di sacerdozio, inseparabile da un rifiuto di Marcione dell’Antico Testamento. Nella sua inimitabile prosa lucida, egli descrive come le consuetudini che circondano l’astinenza sessuale nel sacerdozio di Aaronne prefigurino la comprensione della Chiesa stessa del celibato sacerdotale:
Questa prefigurazione dell’Antico Testamento si realizza nei sacerdoti della Chiesa in un modo nuovo e più profondo: essi devono vivere solo per Dio e per lui. San Paolo spiega chiaramente cosa questo implica concretamente. L’apostolo vive di ciò che gli uomini gli danno, perché egli stesso dà loro la Parola di Dio che è il nostro pane autentico e la nostra vera vita. Nell’Antico Testamento i leviti rinunciano al possesso della terra. Nel Nuovo Testamento, questa privazione si trasforma e si rinnova: i sacerdoti, perché radicalmente consacrati a Dio, rinunciano al matrimonio e alla famiglia.
Anche Benedetto ricorda in modo commovente quando ricevette la tonsura. In quel momento cessò di essere laico e diventò un chierico. Come parte del rito, recitò le parole Dominus pars hereditatis meae et calicis mei, a ricordare che Dio – non la terra, non la famiglia – è la porzione e il calice del sacerdote.
Il cardinale Sarah, attingendo alla propria esperienza di ministero in villaggi remoti che erano stati privati dei sacerdoti sotto la persecuzione di Sékou Touré, conclude che “ordinare uomini sposati sarebbe stata una catastrofe pastorale, avrebbe portato alla confusione ecclesiologica e oscurato la nostra comprensione del sacerdozio”. Egli ritiene che fornire ai villaggi poveri sacerdoti ordinando uomini sposati sarebbe un atto di condiscendenza, privandoli della testimonianza radicale di un uomo interamente dedicato a Dio.
“Immagino come sarebbe stata l’evangelizzazione del mio villaggio se avessero ordinato sacerdote un uomo sposato”, scrive. “Non sarei certamente un sacerdote oggi, perché è il carattere radicale della vita dei missionari che mi ha attratto”.
Secondo Sarah, troppi sacerdoti cattolici “sono diventati specialisti nel campo dell’attività sociale, politica o economica”, provvedendo alle esigenze materiali piuttosto che a quelle spirituali dei loro incarichi. “Mi vergogno ad ammetterlo – scrive – ma i protestanti evangelici sono a volte più fedeli a Cristo di noi”.
Sarah fa notare che nel suo Paese, come in Giappone dopo il martirio o l’espulsione dei missionari, i catechisti laici hanno preservato la fede. E un elemento della fede che hanno preservato è stato il sacerdozio celibe. Ai cristiani giapponesi è stato insegnato a cercare tre segni attraverso i quali avrebbero riconosciuto i loro sacerdoti: “Saranno celibi, avranno una statua di Maria, obbediranno al Papa di Roma”. Quest’ultimo punto non è irreperibile in Sarah, che non solo mostra rispetto per Francesco ma (posso dirlo per esperienza) spinge coloro che si rivolgono a lui con dubbi e preoccupazioni a fare lo stesso.
Il celibato è sotto attacco. Coloro che cercano di abolire la disciplina del celibato clericale citano precedenti eccezioni alla regola come precedenti per le loro richieste, ma in realtà sperano di andare molto più lontano. Secondo il loro schema, l’ordinazione di uomini sposati non sarebbe l’eccezione ma la norma. Le riflessioni di Benedetto dimostrano che questa mossa manca di un mandato teologico. Le riflessioni di Sarah dimostrano che manca una giustificazione pastorale. Che cosa, allora, può motivare il cambiamento proposto?
Viviamo non tanto in un mondo non cristiano quanto in un mondo post-cristiano, pieno di uomini che si risentono della Chiesa perché ricorda loro delle verità che hanno abbandonato. Moltissimi uomini di Chiesa sono imbarazzati da questa situazione e cercano occasioni per segnalare il loro desiderio che la Chiesa abbandoni il suo insegnamento sulla sessualità, la sua disciplina sul celibato e tutto ciò che offende. Gli oppositori della disciplina del celibato non rispondono tanto a un bisogno pastorale quanto a un desiderio clericale di pace con il mondo, alle condizioni del mondo. Poiché il mondo vuole che noi obbediamo ai suoi principati e alle sue potenze, esso odia il celibato, segno di obbedienza radicale a Dio.
In modi diversi, Benedetto e Sarah riconoscono entrambi che il celibato clericale non è una disciplina arbitraria. È un segno che la Chiesa rifiuta di seguire la logica di questo mondo e segue invece la logica di un mondo in cui gli uomini non si sposano. Finché i cristiani saranno tentati di idolatrare le potenze terrene – il partito, la nazione e il mercato – non possiamo fare a meno di questo segno di fedeltà alla città celeste.
Di Sabino Paciolla
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