LA SERIE TV
Il bergoglismo sbuca dal Papa nascosto di Sorrentino
Appena 30 minuti in scena, ma Papa Francesco II, protagonista del I episodio di The New Pope di Sorrentino, emerge per pauperismo, migrazionismo, modi spicci fatti di purghe e per una mediatizzazione ostentata dove la povertà diventa obbligo e «lussuria». Troppi indizi per non identificarvi una caricatura del bergoglismo come narrazione. Curioso che nessuno se ne sia accorto.
Nessuno se n’è accorto, chissà perché. Eppure, la nuova serie di Paolo Sorrentino The New Pope che venerdì è andata in onda con i primi due episodi per Sky Atlantic, qualche cosa di vicino alla realtà lo rappresenta. Non sono i due papi che nelle prossime puntate giganteggeranno sulla scena (Jude Law e John Malkovic) e che in questo esordio sono appena accennati, il primo, ancora in coma, come una presenza quasi taumaturgica e il secondo in abiti ancora borghesi pronto a diventare il successore di Pietro.
Ma è un Papa di passaggio che dura appena mezz’ora, troppo poco perché i recensori ne diano conto, ma abbastanza per scorgervi nella seconda mezz’ora della prima puntata, i tratti non tanto di un pontefice in carne ed ossa, quanto semmai, la narrazione e lo stile di un pontificato che conosciamo molto bene: l’attuale.
Sorrentino ovviamente nelle interviste ha negato che l’elezione di Francesco II sia ispirata alla figura di Papa Bergoglio, ma se si mettono in fila le mosse del già cardinale confessore di curia Tommaso Viglietti (interpretato da Marcello Romolo), inaspettatamente eletto Papa, a nessuno sfuggirà che vengono presentati in forma di caricatura, portata al parossismo e quasi alla macchietta, tanti aspetti di questo pontificato che hanno fatto scrivere pagine e pagine di giornali e libri in questi sette anni.
A cominciare dal giorno dell'elezione e dalla scelta del nome: Francesco II che saluta dalla loggia delle benedizioni con fare informale, imbarazzato e quasi inadeguato con un abbozzato buongiorno che non può non richiamare il celebre buonasera con cui il Papa “dalla fine del mondo” si presentò per la prima volta in Piazza San Pietro.
Poi, non appena capisce di avere il potere, smette di farsi telecomandare dal Segretario di Stato, il cardinale Voiello (uno straordinario e monumentale Silvio Orlando) e inizia ad agire. Come? Presentando, anzi ostentando un cristianesimo pauperista grossolano. Viglietti/Francesco II si concentra unicamente sui migranti, sui rifugiati e dice che «d’ora in avanti le porte del Vaticano saranno aperte solo per loro».
Il popolo applaude, ma è un popolo distante che sembra seguire a macchinetta la narrazione. Inizia così, tra lo sconcerto di tutti i cardinali, un inaspettato pontificato che li mette in discussione e li manda in crisi. «Cos’altro possiamo fare? Possiamo dare la nostra ricchezza ai poveri», insiste. E i cardinali sono costretti a consegnare anello e croce pettorale per ricevere in cambio da un’equipe di francescani in saio, una croce di legno, anonima quanto … povera.
Francesco II si presenta come Papa che «attua il vero programma di San Francesco» (questa l'abbiamo già sentita), e mentre centinaia di migranti si mettono in marcia per il Vaticano e iniziano a mangiare nelle mense di solito adibite ai cardinali, si mostra capriccioso (vuole a tutti i costi ordinare una colomba pasquale fuori stagione) e stizzoso («altrimenti mi adombro» suole ripetere).
I francescani diventano così la sua guardia di pretoriani, che di notte “hackera” i conti correnti dei cardinali per sostituire le password e impossessarsi del caveau (da teatro dell’assurdo la scena in cui annunciano di aver compiuto la missione al papa che dorme per terra e gongola pensando a come «piangeranno» domani).
Il tutto per un programma di pontificato dove Cristo e la fede sono completamente assenti, fatto di purghe e spoil system impietosi, cinismo e che diventa «una lussuriosa manifestazione di povertà». Imposta con la forza.
E di mediatizzazione. I poveri e i migranti? «E’ stata una mossa brillante, un trionfo mediatico per la stampa di Sinistra. Il tempo dei privilegi è terminato», dice lui a un povero Voiello al quale annuncia l’immediata sostituzione e decadenza dal rango cardinalizio e che gli fa notare che la stampa di Sinistra ormai ha perso appeal anche nelle case di riposo.
«Io sono il Papa e non ho bisogno di collaboratori, mi servono esecutori per mettere uno iato tra me e la curia», minaccia facendo intendere di conoscere i segreti di tutti, avendo esercitato la “professione” di confessore della curia. Si fa fotografare mentre balla con un migrante, mentre abbraccia un’africana ospitata nei giardini vaticani. Insomma: ostenta con ossessione il mantra del poverismo e del migrazionismo. Prima di uscire di scena in modo imprevisto.
Ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale, si dice in questi casi. Ma l’impressione è che con queste pennellate davvero efficaci (la scena della preghiera personale dei cardinali sul «Papa che vorrei» è un capolavoro di introspezione e fa comprendere anche l’umanità, l’umiltà e le piccole miserie degli uomini chiamati a reggere la Chiesa di Cristo), Sorrentino abbia voluto rappresentare in forma macchiettistica e – ribadiamo – sotto forma di storture e licenze poetiche, tante forzature mediatiche del cosiddetto “bergoglismo” che rischia di essere un’idea di pontificato, tutta ostaggio di media e narrazioni ad hoc, dove la povertà e l’immigrazionismo sono diventati il punto centrale dell’azione. Curioso che nessuno tra i recensori l’abbia notato, impegnato com'era a fustigare le scene - improprie e un po' blasfeme - delle suore che ballano con i tacchi a spillo.
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/il-bergoglismo-sbuca-dal-papa-nascosto-di-sorrentino
GERARCHIA SUCCUBE
Argentina, l’aborto si fa strada. E la Chiesa tace?
Il governo Fernandez accelera per legalizzare l’aborto nel 2020, chiamando “diritto” l’uccisione dei nascituri. Dalla gerarchia cattolica, fin qui, solo parole deboli per non rompere i rapporti con chi ha il potere e sostegno quasi nullo ai gruppi pro vita. Salvo qualche eccezione coraggiosa, come monsignor Aguer.
Il 17 dicembre abbiamo pubblicato l'articolo nel quale sostenevamo che il governo argentino, salito al potere il 10 dicembre, non fosse un governo peronista, bensì socialdemocratico. Un governo presso il quale non mancava il progetto di promozione della pena di morte per i bambini non ancora nati, eufemisticamente chiamato “legalizzazione dell'aborto”, presentato in campagna elettorale come un tema non prioritario, ma che dal trionfo elettorale di Alberto Fernandez del 27 ottobre è divenuto il prioritario ordine del giorno per il neoeletto presidente.
Allora dicevamo che questa "accelerazione abortista" era costata al presidente eletto il richiamo pubblico dell’arcivescovo di La Plata, monsignor Victor Fernandez (l'alter ego di Francesco), che gli rimproverava non tanto il fatto della legalizzazione in sé, bensì il cambio di ritmo sull’argomento, anticipando i tempi delle trattative all’inizio della gestione governativa.
Questa urgenza abortista sarà forse stata imposta su pressione del Fondo Monetario Internazionale, per poter giungere a un accordo in merito al cospicuo debito impagabile che il Paese ha verso questo inquietante organismo internazionale? In quello stesso articolo commentavamo anche la reazione dell’ex ambasciatore argentino presso la Santa Sede e frequentatore della Casa di Santa Marta, secondo il quale “l’aborto in Argentina diventerà legge”, “Francesco non è d’accordo, ma non si opporrà" perché “sa che il mondo va in questa direzione”.
Appena salito al potere, il presidente argentino aveva ricevuto la visita dei gerarchi della Conferenza episcopale argentina, monsignor Oscar Vicente Ojea, il cardinal Mario Alberto Poli, monsignor Marcelo Daniel Colombo e monsignor Carlos Humberto Malfa, "in un clima di cordialità e di buona sintonia", così come riportato, tra gli altri, dai quotidiani Página12 e Infobae.
In questo incontro, i vescovi avevano espresso la loro “sorpresa, disperazione e preoccupazione” per le iniziative governative sul tema dell’aborto, sentendosi rispondere dal presidente argentino che “possono ribadire la posizione storica dottrinale sull’aborto, ma a lui preoccupano le vite delle donne che muoiono perché abortiscono in condizioni non sicure”, ignorando le centomila vite di bambini assassinati prima del parto. In questo senso, fa specie che Fernandez, avvocato di professione, pensi che uccidere il figlio prima che nasca sia un diritto e che tolga identità e personalità umane a creature non ancora nate, nel miglior stile delle dittature militari che "in nero", ossia illegalmente, sequestrarono e assassinarono, tra gli altri, dirigenti politici, sociali e sindacali, annientando il loro essere persone.
Nel suo messaggio di Natale, la Conferenza episcopale argentina ha affermato che con le iniziative pro aborto del governo argentino si mina la gerarchia normativa e giuridica della vita argentina, con l'imposizione da parte di un funzionario governativo “di un protocollo amministrativo in aperta contraddizione con la Costituzione nazionale, i trattati internazionali sottoscritti dall’Argentina e il Codice Civile e Commerciale della Nazione e altre leggi che tutelano la vita dal concepimento”.
Ma al di là di queste scaramucce virtuali attraverso i media, il tema è sparito dall’agenda pubblica. Tant’è che il 29 dicembre il Perfil, sul suo sito Internet, titolava: “Chiesa e Governo aprono un ‘ombrello’ per l'aborto". E aggiungeva che “le due parti riconoscono e accettano le differenti opinioni sulla questione, ma fanno sì che queste opinioni contrastanti, su un tema tanto delicato, non danneggino gli altri aspetti del loro rapporto. L’informazione è stata confermata su entrambi i fronti, da fonti laiche ed ecclesiastiche”. Il modello, prosegue il Perfil, è molto simile a quello adottato da Regno Unito e Argentina nei loro rapporti bilaterali in seguito alla disputa relativa alla sovranità sulle isole Falkland. In entrambi i casi, ognuna delle parti mantiene il riserbo circa la sua posizione sul tema che le contrappone, senza che esso ostacoli il lavoro su altri fronti.
La cosa grave è che l’avanzata governativa, volta a promuovere la pratica dell’aborto mediante una risoluzione amministrativa del Ministero della Sanità, è arrivata senza che ci fosse alcuna reazione della gerarchia cattolica per ribadire la sua posizione dottrinale. Anzi, è accaduto esattamente il contrario: martedì 31 dicembre il presidente Fernandez ha ribadito la sua volontà di promuovere al più presto il dibattito parlamentare sulla legalizzazione dell’aborto, da raggiungere nel 2020, definendo l’applicazione della pena di morte contro i nascituri “un problema di salute pubblica”, visto che “la donna che vuole abortire ha il diritto di farlo e deve farlo in condizioni di sicurezza”.
Sul tema dell’aborto il presidente Fernandez si ritiene progressista, ma in realtà è portavoce dell’imperialismo internazionale dell’aborto, visto che ripete alla lettera i dogmi abortisti e genocidi di John Davison Rockefeller III, esplicitati nel suo rapporto del 1972 al presidente Richard Nixon, intitolato Population Growth and the American Future (“Incremento demografico e il futuro degli Stati Uniti”), un manuale sul controllo della natalità, elaborato su richiesta dell’allora presidente degli Stati Uniti.
Al capitolo 11 di questo testo si dice chiaramente che “si devono fare i maggiori sforzi possibili per estendere e migliorare l’opportunità, da parte degli individui, di controllare la propria fertilità, puntando sullo sviluppo di un principio etico di base, secondo cui bisogna far nascere soltanto i figli desiderati”; che “le donne devono essere libere di determinare la propria fertilità, che la questione dell’aborto deve essere lasciata alla coscienza dell’individuo in questione, previa consultazione con il suo medico, e che gli Stati vanno incoraggiati a promuovere statuti legali affermativi che creino un ambiente chiaro e positivo mediante la pratica dell’aborto su richiesta”; e che “l’aborto non deve essere considerato un sostituto del controllo della natalità, ma piuttosto come parte di un sistema generale di attenzione alla salute materna e infantile”.
In questo senso, il presidente Alberto Fernandez e il vicepresidente Cristina Fernandez de Kirchner agiscono in qualità di vicari delegati dell’imperialismo finanziario internazionale che promuove il genocidio prenatale come diritto della donna a uccidere il proprio figlio.
Come si può ben capire, il periodo di stasi vissuto dall’Argentina in questi mesi non impedisce agli attuali governatori di continuare con la loro strategia di legalizzare l’aborto. In particolare, la gerarchia cattolica è rimasta in gran parte muta, il che fa nascere a molti il sospetto che esista un patto di “non creare problemi” e rassegnarsi alla legalizzazione dell’aborto, in quanto i più alti prelati non hanno invitato a parlare i gruppi pro vita, che lavorano incessantemente nel Paese per difendere la vita più innocente e indifesa di tutte. E nemmeno hanno mai pensato di chiedere che siano celebrate delle Messe e che si preghi per i bambini che devono nascere e affinché la mano di Dio aiuti a fermare questo progetto diabolico.
Mentre i paladini del genocidio prenatale iniziavano la loro offensiva, i “pastori cattolici”, salvo qualche onorevole eccezione, tra cui l’arcivescovo emerito di La Plata, Hector Ruben Aguer, pare abbiano deciso di “lavarsene le mani” e non perturbare il governo-burattino al servizio del clan Rockefeller e del suo diabolico progetto. In questo senso, l’episcopato argentino pare la versione da XXI secolo d.C. della tiepida e codarda Chiesa di Laodicea (Ap 3, 14-22).
Ma se gran parte della gerarchia cattolica mette la testa sotto la sabbia, la stragrande maggioranza del popolo argentino si alzerà in piedi e darà battaglia a questi nuovi squadroni della morte sovvenzionati dal capitalismo finanziario internazionale e dai suoi governi burattini: nella certezza che non sono né i numeri, né il denaro a far vincere, bensì la Grazia che viene dall’alto. Come sempre nella storia, Dio aiuterà il popolo argentino, se questo si farà aiutare da Lui, lasciando da parte vanità e meschinità.
Josè Arturo Quarracino
https://lanuovabq.it/it/argentina-laborto-si-fa-strada-e-la-chiesa-tace
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