Ha lasciato un diffuso mugugno, in modo non dissimile da quel che si ebbe alla pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae da parte di San Paolo VI, l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco, Querida Amazonia, per aver chiusa ancora una volta la Chiesa di rito latino alle istanze di coloro che avrebbero voluto permettere ai sacerdoti di sposarsi e sbarrata la via al sacerdozio femminile.

Dovrebbe già indurre qualche sospetto il fatto che Lutero così come eretici e scismatici tra le prime cose che hanno messe in atto contro la fede cattolica fatto è stato la laicizzazione del presbiterio e dissacrazione dell’altare concedendo il matrimonio a sacerdoti e consacrati.   
E si sa che è poi emerso quanto fosse invece vera e profetica l’incompresa, combattuta e da non pochi rifiutata enciclica Humanae Vitae di San Paolo VI (1968). 
Le donne cattoliche tedesche scrivono che “La lettera del Papa è un duro colpo per tutte le donne per tutte le donne che avevano sperato un’indicazione mirante all’attribuzione di pari diritti (per l’uomo e per la donna) nella Chiesa Cattolica”. 
La Chiesa non è un’associazione, per cui valgono le indicazioni della sociologia umana. La Chiesa è Sposa e Corpo Mistico di Cristo e la sua femminilità si esprima già così, la donna già viene elevata nell’esprimere la nuzialità della Chiesa con l’uomo-Cristo Dio.
Nella Chiesa il primato lo ha l’amore, mistero che è Cristo stesso unito alla “sua” Chiesa. Sua perché sposa di Lui. Non si può parlare di diritti dove la realtà è l’amore e l’amore è dedizione e servizio. 
Queste donne fanno dell’auctoritas non un ministero ma l’esercizio di un potere, prestigio esteriore, non un carisma di guida e di amore, di fedeltà e manifestazione del mistero della Chiesa. 
“I re delle nazioni dominano su di esse e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Non così voi. Il maggiore tra voi sia come il più piccolo e chi conduce come chi serve. E infatti chi è maggiore chi siede a mensa o colui che serve? Colui che siede. Eppure io sono tra voi come colui che serve” (Lc 22,25-27).
Gesù è “mite e umile di cuore” (Mt 11,28) e non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita per tutti (cfr Mc 10,45).
Nella Chiesa non c’è posto per il nostro orgoglio, icona della Chiesa è “l’umile e alta più che creatura” Madre di Dio (Dante. Par. XXXIII, 2), la sola capace tra tutte le creature di spalancarsi all’invasione dello Spirito di Dio per legarsi con Lui con legame assolutamente sponsale: “Eccomi, sono la schiava del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38).   
Usare la Chiesa per il proprio apparire e non invece dell’apparire del Verbo di Dio è tradire Dio e la Chiesa. Perseguire in essa un prestigio umano non permette di avere gli occhi limpidi dei poveri e puri dei fanciulli dei quali Gesù dice essere il Regno dei Cieli e permette di entrare nei misteri di Dio.
In questo peccato dello spirito sta l’origine di tutti i mali e scismi e divisioni ne sono la conseguenza tanto nella Chiesa come nella società.     
Il Papa non avrebbe avuto il coraggio? E invece ha avuto il coraggio di….essere Papa ! Si ricordi il Santo Padre Paolo VI quando pubblicò l’Humanae Vitae? Tutti aspettavano… la propaganda creò attese, il Papa stesso sembrava propendere verso una “apertura”. Poi invece…fu uno “scandalo” perché Gesù fa scandalo, Gesù è scandalo… Il Papa pensava, il Papa pensa …Ma lo Spirito Santo non pensa ma è. E “obbliga” Montini o Jorge Mario Bergoglio a dare la voce a Lui per “confessare” cattolicamente ciò Egli è, ciò Egli vuole e non può non volere.
Nel marasma dei conflitti e crisi generale della fede nel 1967 San Paolo VI indisse l’Anno della Fede nel decimonono centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, fondatori della Santa Chiesa Romana, di sua iniziativa  “confessò” pubblicamente a nome di tutta la Chiesa il Credo del Popolo di Dio. Come di sua personale iniziativa alla chiusura del Concilio Vaticano II aveva “confessata” Maria Madre del Signore “Madre della Chiesa tanto dei fedeli che dei pastori”.
Fu così che la Vergine chiese cortesemente a una sua confidente, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina: “Ringrazia Pietro per me”.
Perché Dio, che pur essendo Maestro e Signore ringrazia, in Paradiso si ringrazia. Non come noi che ci teniamo arroccati in noi stessi e dimentichiamo sovente chi ci ha fatto del bene.
Dio non è il dispotico misterioso Allah, o il Fato antico, la Norma dell’antica Cina ma ha rispetto di noi sue creature. Egli chiede e offre, non impone.
Ci dice che se ci rechiamo all’altare per deporvi la nostra offerta, non l’accetta se non ci siamo riconciliati prima col nostro fratello che abbiamo offeso (cfr Mt 5,23-24).
Per questa la ragione nella Santa Messa, prima della Comunione, ci si scambia vicendevolmente il segno della pace. Non sia un inutile gesto di cortesia, ma serio gesto di riconciliazione. E’ infatti un gesto inserito nella liturgia che rende presente a noi il sacrificio di Cristo sulla croce. Non ci si può accostare quindi alla Santa Comunione, unirci a quel Sacrificio con  della ruggine nel cuore, se non ci siamo riconciliati tra noi con una convinzione che ha suo fondamento nell’amore di Cristo immolato per noi. Non è quel saluto di semplice convenienza, come purtroppo si fa, ma è una conversione di riconciliazione nel Sangue di Cristo.
Il Signore non usa il diritto che gli competerebbe in quanto è nostro creatore e ci conserva nell’essere per sostituirsi a noi offesi e dare Lui il perdono. Essendo Santo ha rispetto della persona umana che ha fatta a sua immagine. Chiunque questa persona l’abbia offesa deve chiedere perdono prima ad essa e solo poi può chiederlo a Dio.
Così pure, la salvezza eterna il Signore la propone, magari insistendo pure. Ma sempre sollecitando con delicatezza la nostra coscienza e con amorevoli ispirazioni e mozioni interiori al bene. Non prende per la collottola e ci obbliga a salvarci. E dire che siamo costati dolore, sofferenze e sangue a Lui e al suo Figlio. Al suo unico Figlio ed è per quelle sofferenze che accogliendo il Figlio in noi diventiamo in Lui figli di Dio.
L’amore non s’impone, ma si dona. E’ il merito della libertà 
“Haec est fides catholica. Petrus per Leonem (Magno) locutus est”, acclamarono i Padri al Concilio di Efeso del 451 dopo Cristo appena letta la Lettera dogmatica di San Leone Magno nella quale il Papa esponeva la fede della Chiesa Romana e imponeva ai Padri di firmarla senza discuterla. Tanto era stato fortemente deluso delle litigiose discussioni precedenti (Latrociunium Ephesinum).
E: “Roma ha parlato, la causa è finita”, disse Sant’Agostino.
E lo stesso San Leone Magno: “Ogni giorno Pietro confessa nella Chiesa: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E ancora: “Io sono l’erede di Pietro. Un indegno erede, ma erede”.
La Tradizione nella Chiesa non va confusa con gli usi e le abitudini che via via si formano nel tempo ma è la coscienza che ha la Chiesa del mistero che è Cristo, è il Deposito della Fede. Ai discepoli scandalizzati dopo l’annuncio della Ss.ma Eucarestia nella sinagoga di Cafarnao e pertanto lo abbandonarono perché sembravano discorsi assurdi Gesù disse ai restanti: “Ve ne volete andare anche voi?” Ma Pietro rispose: “Da chi andremo, Signore? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68-70). “Chi ama suo padre, sua madre e se stesso più di me non è degno di me” (Mt 10, 24-37). 
di Giuliano Di Renzo