Lo tsunami del coronavirus ha sconvolto la vita vaticana e l’agenda del papa. Ma ha anche svelato seri sbandamenti nella catena di comando e nella comunicazione, con decisioni prima annunciate e poi ritirate il giorno seguente.
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Un primo grave incidente ha avuto a che fare con la riforma della curia, che è in corso per volere di papa Francesco da ben sette anni.
Venerdì 6 marzo – mentre la curia era semivuota, con tutti i suoi dirigenti in ritiro spirituale sui Castelli Romani e Francesco in semiritiro a Santa Marta per via di una “lieve indisposizione” – nel bollettino quotidiano che fa da “Gazzetta ufficiale” dei provvedimenti del papa è stata data notizia dell’istituzione di un nuovo importante ufficio:
“Accogliendo la proposta del Consiglio dei Cardinali e del Consiglio per l’Economia, Sua Santità Francesco ha disposto l’istituzione della ‘Direzione Generale del Personale’ presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato”.
Il comunicato proseguiva descrivendo dettagliatamente che la nuova direzione del personale avrebbe esercitato i suoi poteri non solo sui dicasteri e gli enti vaticani propriamente detti ma anche su tutti gli enti a vario titolo collegati, tra cui l’Istituto per le Opere di Religione, e così concludeva:
“Si tratta di un passo di grande rilevanza nel cammino di riforma avviato dal Santo Padre”.
Nelle ore seguenti, i media specializzati hanno rilanciato e commentato con enfasi questa notizia.
Senonché, il giorno seguente la sala stampa della Santa Sede ha ritrattato tutto, emettendo questo stupefacente comunicato:
“In riferimento all’annuncio dato ieri, circa l’istituzione della Direzione Generale del Personale, si precisa che allo stato attuale si tratta di una proposta avanzata al Santo Padre dal Cardinale Reinhard Marx, Coordinatore del Consiglio per l’Economia, e dal Cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, S.D.B., Coordinatore del Consiglio dei Cardinali, perché istituisca tale struttura. Il Santo Padre studierà la proposta e, se lo riterrà opportuno, a tempo debito istituirà la struttura nelle modalità da lui decise con un apposito Motu Proprio”.
Tutto cancellato nell’arco di 24 ore.
Sul portale americano “Crux” il suo direttore John L. Allen, vaticanista di chiara fama, ha ironizzato non poco su questo “epic flip-flop”, spiegando quanto sia disastrata, in Vaticano, la gestione del personale – per numero eccessivo di addetti, per sovrapposizioni di ruoli e di uffici, per arbitrarietà di promozioni e spostamenti, per assenza di formazioni professionali specifiche – e quindi quanto debba essere impegnativa e temuta una sua riforma, fatta balenare dal rullo di tamburi del primo dei due comunicati.
Sta di fatto che il nuovo ufficio del personale è morto ancor prima di nascere, aggravando ancor di più la confusione.
Supposto, infatti, che la sala stampa vaticana non abbia inventato nulla, è solo dalla segreteria di Stato e in definitiva dal papa che può essere venuto l’ordine di emettere il comunicato del 6 marzo. Così come l’ordine di ritrattare, il giorno seguente.
Un giorno infausto, quel venerdì 6 marzo. Francesco aveva in programma, quello stesso giorno, una visita a sorpresa a Portacomaro, il villaggio piemontese da cui i suoi nonni e il padre emigrarono in Argentina e dove tuttora abitano alcuni suoi parenti.
Ma all’ultimo il viaggio è stato cancellato. In questo caso, però, per un incolpevole raffreddore del papa.
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Un secondo clamoroso incidente ha avuto a che fare direttamente con la pandemia del coronavirus.
L’8 marzo, seconda domenica di Quaresima, la conferenza episcopale italiana sospende in tutto il paese le celebrazioni delle messe con presenti i fedeli, lasciando però aperte le chiese.
L’ordinanza della CEI non riguarda la Città del Vaticano. Due giorni dopo, però, martedì 10 marzo, la sala stampa della Santa Sede comunica che “dalla giornata odierna la Piazza e la Basilica di San Pietro restano chiuse alle visite guidate e ai turisti”.
Il divieto sembra ancora consentire ai semplici fedeli l’accesso alla piazza e alla basilica. Ma di fatto ciò non accade, perché ai varchi d’ingresso nella piazza la polizia italiana sbarra la strada a tutti, salvo che per comprovate necessità di lavoro.
Il 13 marzo, però, il cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica di San Pietro, dichiara a Vatican News, il portale on line della Santa Sede:
“Tengo a precisare che la basilica di San Pietro è stata sempre aperta in questi giorni, mai chiusa, dalle 7 del mattino fino alle 18 della sera. Chiaramente la gente ha difficoltà a venire, ma i pochi che vengono pregano”.
Si può immaginare che questi rari fedeli arrivino non dalla piazza, che è sbarrata, ma dall’interno della Città del Vaticano.
Ma perché il cardinale Comastri ha sentito così forte l’urgenza di dichiarare che la basilica di San Pietro “è stata sempre aperta in questi giorni, mai chiusa”?
Perché quello stesso venerdì 13 marzo e il precedente giovedì 12 sono stati a Roma e in Vaticano due giorni di fuoco.
A mezzogiorno del 12 marzo il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Angelo De Donatis, aveva emesso un decreto che non solo confermava la sospensione delle messe ma ordinava la completa chiusura di tutte le chiese della diocesi di cui è vescovo il papa, e di conseguenza anche di quelle situate entro i confini vaticani, fino al 3 aprile.
Senonché la mattina dopo, venerdì 13 marzo, all’inizio della messa da lui celebrata in solitudine a Santa Marta e trasmessa in streaming – come ogni mattina in questi tempi di calamità –, papa Francesco ha praticamente sconfessato quell’ordinanza. Con queste parole testuali:
“Le misure drastiche non sempre sono buone. Per questo preghiamo: perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio”.
Non solo. Nella stessa mattina si fa vivo il cardinale Konrad Krajewski, “elemosiniere” del papa e suo fidatissimo braccio operativo, che dichiara a Vatican News, dall’ingresso della chiesa di Santa Maria Immacolata di cui è rettore, nel quartiere romano dell’Esquilino: “È mio diritto assicurare ai poveri una chiesa aperta e quindi stamattina alle 8 sono venuto qui e ho spalancato il portone”. E come non bastasse ha aggiunto, interpellato da “Crux”: “È un atto di disobbedienza, sì. È un atto che deve infondere coraggio agli altri preti”.
Messo al tappeto da questa doppia micidiale bordata – con in più la dichiarazione del cardinale Comastri sulla basilica di San Pietro “mai chiusa” –, al cardinale vicario non restava che ritrattare. E infatti, attorno a mezzogiorno dello stesso venerdì 13 marzo, De Donatis ha emesso un controdecreto che riapriva, se non tutte le chiese di Roma, almeno quelle parrocchiali ed equiparate.
Naturalmente sui media, non solo italiani, è esplosa con grande fracasso la notizia che papa Francesco aveva sconfessato il suo vicario, costringendolo a riaprire le chiese di Roma.
Ma purtroppo, salvo rare eccezioni, la quasi totalità dei media aveva mancato di sottoporre a verifica ciò che andava strillando ai quattro venti.
Il cardinale vicario De Donatis, infatti, aveva accompagnato il suo controdecreto con una lettera ai fedeli della diocesi di Roma, nella quale forniva una notizia in più di importanza capitale, che obbligava a riscrivere l’intero racconto.
La notizia in più era nelle primissime righe della lettera:
“Con una decisione senza precedenti, consultato il nostro vescovo papa Francesco, abbiamo pubblicato ieri, 12 marzo, il decreto che fissa la chiusura per tre settimane delle nostre chiese”.
Quindi il cardinale vicario non aveva deciso la chiusura di testa sua, ma aveva semplicemente fatto ciò che il suo ruolo gli impone: quello di dare esecuzione alle decisioni del vescovo di Roma di nome Francesco.
Che poi Francesco volesse ritornare sui suoi passi – viste le molte reazioni di cui Krajewski è stato lo scomposto primattore – era nella logica delle cose, come infatti confermava il cardinale vicario, un poco più avanti nella stessa lettera ai fedeli:
“Un’ulteriore confronto con papa Francesco, questa mattina, ci ha spinto però a prendere in considerazione un’altra esigenza. Di qui il nuovo decreto che vi viene inviato con questa lettera”.
Ma c’è modo e modo. Francesco poteva risparmiare al suo cardinale vicario d’essere da lui trattato pubblicamente come incapace, senza discernimento, insensibile ai poveri e al "santo popolo fedele di Dio". E invece proprio questo è accaduto.
Questo incidente, come il precedente, non ha messo a nudo solo i guasti del sistema di comunicazione vaticano – lunedì 16 marzo il prefetto del dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini è stato ricevuto in udienza dal papa – ma ancor più quelli della catena di comando.
A partire dal suo primo anello, Francesco.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 19 mar
Mentre l’Italia è in ginocchio Bergoglio, per un comico, fa il pastrocchio…
Sarebbe bastato citare Giobbe.. ma Bergoglio ha preferito citare Fazio. (Paolo Gulisano, medico)
Pur con tutti i nostri difetti e limiti, ma anche con tutta la sincerità del cuore, abbiamo tentato di tirare le redini, in questa Quaresima particolare e dolorosa, ai nostri editoriali e cronache, tentando con tutte le nostre forze a non rincorrere i vari notiziari su Papa Francesco, provando a non accogliere critiche e quant’altro egli stesso è però capace di attrarre su se stesso… Nessun merito, per carità, è solo buon senso – e dovere – davanti ad una Nazione messa in ginocchio, davanti a persone che stanno morendo, che stanno perdendo il lavoro, cattolici privati del proprio luogo Sacro, della Messa, dei Sacramenti, davanti ad una situazione iniziata – non casualmente – il Mercoledì delle Ceneri così prezioso per noi Cattolici, ma anche per la salvezza di ogni Uomo..
La stessa onestà di alcuni cardinali e vescovi hanno affermato che trattasi, parlando di questa pandemia, di un AVVERTIMENTO DI DIO…. e negli ultimi editoriali-cronache lo abbiamo esplicitato al meglio…. cercando di evitare polemiche ma, al tempo stesso, indirizzare la mente e il cuore ai fatti, elencandoli con la dovuta ragionevolezza.
A tal proposito non possiamo non condividere – dopo il video del professore Roberto de Mattei qui – anche molte riflessioni dal Blog di Aldo Maria Valli qui…. Vi confidiamo che riceviamo ogni giorno, qui nel sito, molte visite dalla “Città del Vaticano” e sempre ci auguriamo che gli Angeli Custodi portino al Pontefice (o chi per lui), la voce di chi non ha voce… gli appelli, i moniti, le angosce, ma anche le speranze che nulla è perduto… come ha per altro ben descritto un articolo del domenicano Padre Riccardo Barile qui: “Andràtuttobene” solo se, nella calamità, ci convertiremo…. dal quale riportiamo fedelmente questo passaggio:
- Il lamento di Dio nel profeta Amos: “Eppure non siete tornati a me!” (Am 4,6-12)
Qui attraverso un poemetto si affacciano uno dopo l’altro dei flagelli chiaramente provocati da Dio, anche se inseriti in calamità normali per il mondo antico, e ogni flagello si conclude con il lamento di Dio: vi ho lasciato con mancanza di pane, «ma non siete ritornati a me»; vi ho rifiutato la pioggia e provocato la siccità, «ma non siete ritornati a me»; ho colpito i raccolti con ruggine e carbonchio e con le cavallette, «ma non siete ritornati a me»; ho mandato contro di voi la peste, «ma non siete ritornati a me»; vi ho travolti come un tizzone, «ma non siete ritornati a me».
Purtroppo dobbiamo constatare con sano realismo che la situazione appare sempre più disperata… e non certo per il Coronavirus, poiché trattasi di un microbo senza intelletto, mentre qui parliamo di una ragione afflitta, piegata, umiliata… sbeffeggiata da un Papa che in tutto questo clima di dolore non trova di meglio da fare che imporre al mondo un comico quale nuovo “padre della chiesa“….
Stiamo parlando dell’ennesima intervista a Repubblica di Scalfari…. o meglio non con lui direttamente questa volta, ma a Paolo Rodari … e lo confessiamo: abbiamo sperato fino all’ultimo di trovare almeno una risposta che avesse potuto darci la speranza… una risposta CATTOLICA da parte di colui che dovrebbe guidare la Chiesa, ma anche l’umanità afflitta, VERSO IL PORTO SICURO che è Gesù Cristo ed anzi, come lo vide in sogno san Giovanni Bosco, verso le due Colonne che salvano: l’Eucaristia e il Cuore Immacolato di Maria. Invece no! Bergoglio è un gesuita modernista, d’accordo, non dovevamo sperare in nulla nonostante, domenica scorsa, abbia tentato di ripulire la sua immagine esteriore andando a visitare la Salus Populi Romani e il Crocefisso che salvò Roma dalla peste…. Forse tutto ciò dovrebbe ricordarci che l’unica cosa che davvero conta è quel GRIDO DI DIO CHE HA SETE DELLE ANIME: Ritornate a Me, ed io ritornerò a voi…. «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5)
Vi lasciamo ora meditare su quanto segue….. che sottoscriviamo pienamente affidando ognuno di noi, il Papa stesso e l’Italia a San Giuseppe, Patrono della Chiesa…
Un’intervista del papa
Cari amici di Duc in altum, Paolo Gulisano, medico e scrittore, mi ha inviato questo articolo che vi propongo.
Siamo arrivati al terzo mese di epidemia da Covid-19, anzi di pandemia, come ha formalmente dichiarato l’Organizzazione mondiale della sanità. E forse proprio in virtù di questa dichiarazione negli ultimi giorni il vescovo di Roma ha dedicato maggiore attenzione all’emergenza.
Nei primi due mesi gli interventi del pontefice sull’argomento sono stati pochissimi; il suo interesse è restato focalizzato sui temi canonici: accoglienza dei migranti, misericordia, mali del populismo. Ma ormai è diventato impossibile ignorare l’esistenza del problema, sia per le crescenti restrizioni alle libertà individuali, sia per il fatto che prima le diocesi del Nord hanno deciso di sospendere la celebrazione delle Sante Messe e poi la stessa Conferenza episcopale italiana – che peraltro ha con il vescovo di Roma un legame molto importante, evidentemente – ha decretato la sospensione di ogni celebrazione liturgica in pubblico.
Così Jorge Mario Bergoglio ha incominciato a dedicare all’epidemia alcuni brevi interventi, e negli scorsi giorni si è anche recato in pellegrinaggio presso Santa Maria Maggiore e la chiesa di san Marcello al Corso.
Ma l’intervento magisteriale più importante è quello che ha fatto oggi, affidando il suo pensiero al giornale del cuore, ovvero Repubblica. Questa volta l’interlocutore non è stato il confidente di sempre, Eugenio Scalfari, ma il vaticanista Paolo Rodari.
E quali sono le considerazioni del papa? Esaminiamole punto per punto. La prima domanda dell’intervistatore verte su che cosa abbia domandato quando è andato a pregare nelle due chiese romane.
- Risposta: “Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”.
Una risposta laconica, che esprime in modo generico il sentimento e la speranza che ogni individuo nutre in questo momento. Nessuna invocazione speciale, nessuna consacrazione, nessun atto di affidamento.
Alla seconda domanda, che entra nel vivo della situazione di incertezza, ansia e paura vissuta da milioni di persone, il successore di Pietro risponde che “dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino…”. Insomma: qualche parola buona, qualche carezza, qualche abbraccio. Peccato che baci, abbracci e carezze siano proibiti dalle leggi draconiane in atto.
Il papa continua dicendo che spesso nelle nostre case c’è freddezza e non c’è comunicazione, perché ognuno si fa i fatti suoi e le persone “sembrano tanti monaci isolati l’uno dall’altro”. Notiamo che, come sempre, quando c’è da esprimere un concetto negativo, Begoglio ricorre alle metafore religiose. Non si capisce proprio perché le persone chine sui propri cellulari dovrebbero richiamare l’immagine di monaci “isolati l’uno dall’altro”. Ma si sa: il monachesimo, l’orazione e il silenzio non sono cose molto amate dalle parti di Santa Marta.
L’intervistatore passa quindi a toccare un argomento assai importante: il problema del lutto di chi ha perso qualcuno dei propri cari, il mistero del dolore, da sempre oggetto dell’attenzione della teologia e della spiritualità cristiana. A questo proposito però Bergoglio evita di entrare nel merito e porta il discorso sul tema della consolazione. Oh bene, dice dentro di sé il lettore di buona volontà: finalmente si potrà leggere qualche richiamo a Dio e alla fede. Invece, nulla di tutto ciò.
Dio e la fede non compaiono. Bergoglio torna piuttosto sul tema del comportamento con gli altri, e fa esplicitamente riferimento a un articolo (pubblicato sempre da Repubblica, naturalmente) di Fabio Fazio. Il bianco vescovo dunque non si attarda a citare il Vangelo, sant’Agostino o qualche Padre della Chiesa, ma punta tutto sul noto conduttore televisivo. E che cosa ha scritto Fazio da aver tanto colpito il santo padre? Ha scritto che “i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri”. E bravo Fazio, che l’ha brillantemente colto!
Ma c’è un’ulteriore riflessione faziana che ha molto colpito il papa, il quale la rilancia alla grande: “È evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato, ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua”. Un’affermazione che Bergoglio sottoscrive in pieno.
A questo punto dell’intervista lo sconforto è al massimo, specialmente se il lettore, come nel caso del sottoscritto, è un medico. Come sarebbe bello se il papa riuscisse a comprendere che l’evasione fiscale – che per lui è uno dei pochissimi peccati rimasti – non c’entra nulla con la mancanza di respiratori. Come sarebbe bello se riuscisse a capire che questa situazione di emergenza è stata determinata da scelte politiche fatte negli anni scorsi, che hanno tagliato miliardi di euro di risorse per la Sanità: posti letto, medici, infermieri. Scelte politiche sciagurate: questa la causa dei problemi. Non l’evasione fiscale di qualche commerciante che non fa lo scontrino.
Sarebbe bello se Bergoglio potesse o volesse capire tutto questo, così come il fatto che il diffondersi dell’epidemia dalla sua amata Cina al resto del mondo è anche conseguenza delle mancanze di controlli verso chi viaggia, in nome della globalizzazione e dell’ideologia dello spostamento illimitato e incontrollato. Ma dubitiamo che capisca, anche perché l’intervista si chiude senza alcun giudizio su ciò che sta accadendo, senza nessuna lettura del dolore o della morte in una visione di fede, senza dare alcun significato al male che un piccolissimo virus ha scatenato, mettendo in crisi il mondo e la sua presunzione ipertecnologica.
Sarebbe bastato citare Giobbe. Ha preferito citare Fazio.
L’intervista si chiude con un generico appello all’amore universale. Pertanto, mi chiedo, perché intervistare il papa? Sarebbe bastato il Gran Mogol delle Giovani Marmotte.
Paolo Gulisano
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