L’ho sentito dire a Radio Maria, stasera, anche ad un vescovo stimabile e credente: è importante capire che “il Padre non punisce””. E non ne posso più: che nostalgia dei tempi in cui i parroci mettevano in guardia contro l’ira di Dio! Che l’avevamo sfidato, stancato! Almeno risvegliavano qualche coscienza. E onoravano Dio e la sua bontà di questi che – come fosse la cosa più urgente nell’epidemia – si affrettano a dire che Lui “Non punisce”. Ovviamente trascurando il fatto che il Dio che”non punisce” è anche il Dio cui è inutile chiedere perdono, implorarlo che allontani la pestis. E’ un Dio del tutto superfluo. Nemmeno da pregare. Non a caso questi ci hanno chiuso le Messe per tenerci in salute – e perché c’è il rischio che nelle Messe, tanto è l’affollamento delle chiese d’oggi, ci infettiamo.
Questa urgenza a negare che Dio punisca, rivela concezioni rozze e puerili, fatte per bambini da non impressionare – che non hanno alcun riscontro nei Vangeli.
Come più matura e feconda la concezione buddhista del Karma. Che avverte: ogni tua azione ha conseguenze, e questa è legge oggettiva e impersonale, “giustizia immanente che non è altro che l’equilibrio dell’universo”. Con la nascita umana, sei inserito in un ordine preciso e vastissismo – nazionale, sociale, familiare, un dato momento della storia, l’universo, siderale persino, che è il risultato di innumerevoli azioni (karma) avvenute e che stanno avvenendo, e provocano conseguenze. E si uniscono alle conseguenze delle tue azioni, e a quelle di tutti coloro che, da vicino come da lontano, agiscono con le loro azioni e conseguenze su di te..
L’importante è accettare che questo ordine è un sistema in equilibrio oggettivo – non morale, ma una bilancia cosmica che “dà quello che spetta”, oggettivamente perfetta in questo. Un esempio banale forse troppo: ho dimenticato di rabboccare l’olio, e dopo qualche chilometro la mai auto si ferma, motore grippato. Ho bisogno di affrettarmi a smentire che è stato Dio a punirmi? No. Tuttavia è utile riconosce che sono stato un cretino. In altre parole, “è stata colpa mia”. Non “colpa” in senso morale (anche se…) ma meccanico e impersonale.
Così, se se fumo 80 sigarette al giorno, non mi devo scandalizzare se poi mi viene il K polmonare.
Nel Vangelo, il buonismo pretesco ama citare la parabola del figliol prodigo: il Padre lo vede da lontano, gli corre incontro, lo riveste, ammazza il vitello grasso – lo aspettava da sempre, e non lo condanna; vedete, il Padre non punisce.
Ma il punto è che il figlio, consumando la sua parte con le prostitute, è finito a fare il guardiano di porci e desiderare le carrube dei maiali. Per il suo comportamento (karma) ha subito una conseguenza oggettivamente sgradevole, umiliante e disperata. La fame. L’essenziale è che lui, ora, riconosce che questo che subisce è giustizia immanente.
E si riconosce indegno di essere di nuovo chiamato figlio. Non pretende più “la sua parte”, come quando partì. Trattami come uno dei tuoi servi, Padre.
E’ solo così, con quello che noi cristiani chiamiamo preliminare “pentimento” – che si rompe la ruota del Samsara, la catena del Karma, e si entra nella casa del Padre. Casa che sta fuori e sopra l’ordine immanente del cosmo, della natura. Dove tutto è possibile, anche ottenere che la pestilenza scompaia.
Nell’atto di abbandono di don Dolindo, c’è un passo molto profondo che esprime la legge del karma in termini teologici: “Io spargo tesori di grazie quando voi siete nella piena povertà! Se avete vostre risorse, anche in poco, o se le cercate, siete nel campo naturale, e seguite quindi il percorso naturale delle cose, che è spesso intralciato da satana”.
Il campo naturale è la catena del Karma, la concatenazione di azioni e conseguenze delle azioni, delle inarrestabili infinite circostanze concrete (potere, ricchezza, salute ,malevolenza, giudici ingiusti, “i trucchi della politica”) che condizionano e intralciano.
Bello ciò che aggiunge Don Dolindo: “Nessun ragionatore o ponderatore ha fatto miracoli, neppure fra i Santi. Opera divinamente [ossia fa miracoli] chi si abbandona a Dio”.
La colpa è della globalizzazione: quindi anche mia.
Il figlio prodigo è un caso semplice, perché mostra la sanzione (imparziale, impersonale) al comportamento individuale. La pestilenza, come la guerra e la fame, tutto ciò che è collettivo, implica colpa collettiva.
Non è affatto strano. Ormai anche i commentatori televisivi e persino i politici da talk show riconoscono che il coronavirus è una conseguenza, genericamente, della globalizzazione. Possono vedere che le difficoltà di curarla che incontriamo sono conseguenze delle de-localizzazioni dei processi produttivi più assurde, per cui il capitalismo per malvagia sete di profitto ha spostato in Cina anche la fabbricazione dei principi attivi dei medicinali, che non sappiamo più fare, e persino le maschere chirurgiche. Non si fatica ad ammettere che anche la miseria che ci attende è l’effetto della globalizzazione ultracapitalista che ci ha precarizzato, ridotto i salari, indebitato per compensare l’abbassamento dei salari e mantenere i consumi spesso superflui, voluttuari e viziosi (droga, discoteca, porno…).
C’è qui una immensa colpa collettiva, il mantenimento di un sistema non-sostenibile e iniquo, che salta agli occhi. Il che significa: quel che avviene, è “esattamente ciò che spetta”, che l’umanità di questi decenni, di questo periodo storico, “si è meritata”.
E già qui i commentatori tv e i politici da talk show non sono più d’accordo: “voi” l’avete meritato con le vostre scelte, “noi no”. Lasciamoli avvoltolarsi nelle loro polemiche, “il campo naturale delle cose”, il gomitolo arruffato e inestricabile del samsara.
Quello che devo chiedermi, personalmente, è: fino a che punto sono partecipe, io, della colpa collettiva? Sì, ho “lottato” contro il Sistema, ideologicamente. Ma ho goduto delle sue “libertà” e opportunità, per esempio sessuali. Ho avuto più auto del necessario. Più vacanze di chi non se le poteva permettere. Sono stato parzialmente tra i favoriti del sistema, il che significa che ho sottratto qualcosa agli sfavoriti. Ho preso stipendi non guadagnati? Ossia – in fondo- ho sottratto a chi meritava di più? Magari al contadino siciliano a cui le arance sono state pagate una miseria dalla grande distribuzione? Nella società del denaro (che “comanda lavoro”) la questione del lavoro e del salario, è una delle più decisive nell’ordine cosmico e metafisico. Siccome “ogni lavoro viene compensato” (se non di qua, di là) io ora che prendo una pensione buona, cerco di guadagnarmela lavorando in questo blog. Per questo il reddito di cittadinanza senza obbligo di lavoro o di studio, è una rovina per chi lo riceve, perché ha conseguenze. Di qua e di là.
Ho votato contro il divorzio e l’aborto: ma è stato abbastanza? No, perché sono (come tutti) contribuente del sistema sanitario che fa gli aborti, sono dunque acquiescente e complice. Quale sarà la conseguenza che colpirà me personalmente, non so. Ma so che la nube nera della colpa collettiva che ha prodotto il coronavirus e un governo che ha fatto collassare l’Italia, me la sono procurata per la mia parte.
Così come la Comunione chiusa, cosa mai avvenuta nella storia, proprio davanti alla pestilenza, segno apocalittico davanti al quale i preti dicono che “Dio non punisce”, so che l’ho meritata, con le mie Comunioni distratte e senza onore, qualche volta sacrileghe.
Non è punizione. Ma è risultato oggettivo di azioni e comportamenti (karma) di concittadini e stranieri, di Stati ed enti sovrannazionali – in cui c’è anche una mia parte. E adesso soffriamo tutti , più o meno, le conseguenze pestilenziali: poveri e ricchi. Sono la giustizia immanente. La bilancia cosmica che “dà quello che spetta”, adesso ci priva della salute e delle paghe, e delle sicurezze e dei piaceri delle “libertà” e del “benessere” senza Dio.
La cosa che dovrebbero dire i vescovi, quelli che ancora ci credono, non è “il Padre non punisce”. Dovrebbe essere invece: pestilenza e miseria non finiranno, l’Eucarestia vi sarà negata, fino a quando non vi riconoscerete, come il figliol prodigo, non più degni di esser chiamati figli. Quanto più tardate a mettervi in cammino verso Casa, tanto più durerà il guaio collettivo. Prima vi riconoscete colpevoli per la vostra parte del flagello, tanto prima cesserà il flagello. Solo il Padre può salvarvi da quel che avete – che abbiamo – meritato.
QUALCOSA NON QUADRA
Immaginate uno Stato, l’Italia. Immaginate di entrare in un reparto di pneumologia in cui vi sono ricoverati malati terminali di tumore ai polmoni o di BPCO. Ogni reparto di un qualsiasi ospedale ne ha decine, e la tragica rotazione dei posti avviene con cadenza settimanale. Spesso capita che per questi stessi pazienti non si trovino letti nel reparto specialistico e vengano ricoverati in medicina o altro reparto non attinente, magari in un camerone con altri 5 malati non gravi. Per i primi giorni tutto sembra scorrere normalmente, ma poi d’improvviso le condizioni del paziente allo stato terminale iniziano a declinare. Un bel giorno non ce la fa più a scendere dal letto e il suo respiro diventa sempre più affannoso. Il medico lo visita dissimulando allegrezza ma poi ti chiama da parte e ti dice che è questione di ore e da ordine agli infermieri di portare dei separé per nascondere quello strazio ai compagni di stanza.
Tu, incredulo perché fino al giorno prima ci avevi riso e scherzato insieme, sbalordisci e non ci vuoi credere, ma purtroppo il vaticinio si rivela corretto. L’esperienza dei dottori è talmente vasta che potrebbero persino calcolare l’ora della dipartita, in certi casi. Difatti da lì a poco il respiro si fa più affannoso e inizia il rantolo. In quei momenti il pensiero dei familiari del moribondo, ironia della sorte, va anche agli altri compagni di camerata, costretti a subire quella tortura in mezzo ai lamenti dei parenti. Sono scene ordinarie e agghiaccianti che quotidianamente vanno in onda in quasi tutti gli ospedali d’Italia. Lo strazio, fortunatamente, dura solo qualche lunghissima ora poi tutto, finalmente, si sopisce e il malato se ne va da questo mondo.
Ora immaginate questo stesso Stato far finta di niente di fronte alle migliaia di situazioni simili causate esclusivamente dal fumo di tabacco. Fa finta di niente poiché continua a consentire la vendita di sigari e sigarette. Anzi, questo affare rappresenta una cospicua fonte di entrata per le casse dell’erario. Uno Stato, dunque, spietato.
Immaginate ancora di avere un amico che era un po’ più stravagante e temerario di voi, da ragazzo. Immaginate questo stesso amico prendere strade “brutte” magari a 14 anni fino a arrivare a “farsi”. All’inizio questo lo diverte e, individuato il branco coi suoi simili, inizia a praticare quello stile di vita. D’altronde è più semplice, in questo Stato, procurarsi la droga piuttosto che comprare un pacchetto di sigarette visto che dal tabaccaio almeno ti chiedono l’età.
Anche nelle discoteche, poi, la droga gira a fiumi e gli spacciatori sono liberi di distribuirla a tutti. Succede che dopo qualche anno l’uso oramai quotidiano di quelle sostanze porta alla caduta delle difese immunitarie, alla trascuratezza della propria persona e alla perdita della dignità.
Cadono i denti, non si è più lucidi di testa e si perde l’interesse per tutto. Poi il dramma personale comincia a insinuarsi all’interno della propria famiglia che prende coscienza del problema troppo tardi. Iniziano le peregrinazioni dagli psichiatri, per le comunità e il contesto familiare viene sconvolto da questa tragedia.
Il tossico inizia a pretendere soldi diventando violento e bisogna nascondergli persino gli oggetti di un qualche valore, per evitare il furto e la rivendita per comprare una dose. L’ira man mano s’impossessa di lui e non di rado una mamma si ritrova massacrata dal proprio figlio. Questa situazione può protrarsi per anni, fino a quando, un bel giorno, nella camera dell’ossesso tutto tace e di solito è la madre a fare la macabra scoperta: un cadavere già irrigidito e bianco come il marmo che finalmente riposa in pace liberando l’intera famiglia da quell’annoso tormento, ma segnandola per tutta la vita irrimediabilmente.
Il tabacco l’alcol e la droga sono soltanto tre delle innumerevoli piaghe sociali che ogni anno mietono centinaia di migliaia di vite, dietro l’indifferenza e, anzi, la compiacenza e complicità dello Stato. Compiacenza perché da quelle tragedie esso estorce danaro, come nel caso del gioco d’azzardo, per esempio, altra vera e propria piaga sociale sponsorizzata proprio dallo Stato e che ha disseminato tragedie e rovinato armonie familiari.
Ora, invece, improvvisamente, esso ci vuole bene. C’è un’epidemia che si e no, se fosse lasciata indisturbata di agire causerebbe neppure un centesimo dei morti che ogni anno si verificano a causa della droga, del fumo, del gioco d’azzardo, dei tumori causati dall’ingestione di animali ingrassati a antibiotici, dei cancri al cervello causati dalle onde elettromagnetiche etc. e lo Stato improvvisamente si ricorda di noi.
Mette in quarantena 60 milioni di abitanti sospendendo la democrazia, gettando sul lastrico imprenditori e commercianti e istituendo il coprifuoco perché vuole salvare la vita di qualche centinaio o migliaio di anziani. Permettete che qualcosa non quadri? Uno Stato cinico e spietato che introduce quotidianamente istituti di morte e che, improvvisamente, si ricorda della vita non è credibile. Nella maniera più assoluta.
Giorgio Morganti
Chiose e postille di padre Giocondo / 9
“Bussate e vi sarà aperto”
Caro dottor Valli, alla fine la sospensione totale delle Messe ha raggiunto anche la nostra piccola comunità religiosa. Le racconto velocemente come siamo combinati.
Nella nostra chiesa conventuale non abbiamo responsabilità dirette di carattere parrocchiale. Abbiamo però varie Messe di orario, tanto feriali come festive: e queste continuano a essere officiate regolarmente, con puntualità certosina, anche se il più delle volte celebriamo – per così dire – soltanto per i banchi.
Sul portone principale della chiesa, che rimane socchiuso praticamente tutto il giorno, io stesso ho appeso un cartello plastificato, con la scritta: «Dice il Signore: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto!” (Mt 7,7)». Così i fedeli capiscono che non tutto è perduto, ma che rimaniamo comunque a loro disposizione, salva naturalmente la dovuta prudenza e la necessaria riservatezza.
Di più, in questa sede, non posso dire…
La meditazione di padre Furio
Rimanendo in tema, vorrei invece dire qualcosa sul ritiro mensile interno che la nostra comunità religiosa ha fatto qualche giorno fa. In genere, questi momenti di riflessione e di preghiera li guidiamo a turno: questa volta è toccato a padre Furio. [1]
Con il suo solito ardore profetico, egli ha affrontato il tema del momento: il virus che sta paralizzando la nostra Italia e tante altre nazioni.
Diversamente da altri commentatori, egli non si è soffermato più di tanto a criticare i nostri vescovi che hanno obbedito supinamente alle disposizioni del governo, fino a serrare le chiese e sospendere le Messe con il popolo. Ha invece insistito moltissimo nel dire che ciò che sta avvenendo per mezzo di un microscopico virus cento volte più piccolo di un globulo rosso – e forse anche per responsabilità colpose o addirittura dolose di qualcuno – non è una semplice fatalità, ma una esplicita permissione del Signore, per mezzo della quale Egli ci offre molteplici insegnamenti.
E questi insegnamenti padre Furio li ha distribuiti su due livelli distinti e complementari: uno più marcatamente sociale; l’altro più propriamente religioso.
Il Signore, infatti: 1) da una parte, umilia i potenti di questo mondo, mandando in crisi dalla sera alla mattina gli equilibri politici ed economici di interi continenti; e ammonisce la gente comune, ricordando loro ancora una volta l’estrema caducità della condizione umana; 2) e, dall’altra, riduce quasi per completo – sia per i ministri sacri sia per i semplici fedeli – l’ordinario svolgimento della vita ecclesiale, fatta soprattutto di incontri comunitari, celebrazioni sacramentali, catechesi e iniziative di carità.
Su questo secondo livello padre Furio si è soffermato con passione; e ha detto: «Domanda: perché ciò sta accadendo? Risposta: perché il Signore è stanco delle nostre celebrazioni eucaristiche; è stanco e nauseato delle prediche di molti preti; è stanco, nauseato e inorridito delle comunioni di molti preti e di molti fedeli…».
Queste parole padre Furio le ha scandite, quasi sillabate, con voce forte e accorata. Poi, d’improvviso, si è come acquietato, si è guardato attorno quasi sospettoso, si è portato le due mani alla bocca come per bisbigliare qualcosa all’orecchio di noi ascoltatori, e ha aggiunto con un filo di voce: «…il Signore è stanco, nauseato e inorridito del corso che la Chiesa cattolica ha preso da sette anni a questa parte! Per questo ha permesso la chiusura delle nostre chiese, compresa la basilica di San Pietro!».
È seguita una pausa di silenzio lunga e quasi imbarazzante, nella quale sembrava che il bravo predicatore aspettasse dall’alto un’ispirazione che però tardava a venire. E poi, con voce chiara e ormai rinfrancata, e agitando in alto il solito dito indice, ha concluso la sua riflessione tuonando: «Presto il grano sarà separato dalla pula: il grano verrà riposto nei granai e la pula sarà bruciata con fuoco inestinguibile!».
E qui apro una parantesi. Io non saprei se, sull’argomento, è il padre Furio che ha consultato il professor Roberto de Mattei o è il professor Roberto de Mattei che ha consultato il padre Furio: entrambi infatti dicono le stesse cose. Chiusa la parentesi.
Caro Valli, le confesso che mentre venivano sviluppati questi ragionamenti il mio pensiero è volato in alto, e da lassù ho visto la vita sociale e soprattutto ecclesiale di intere nazioni paralizzata per completo, come nei peggiori momenti della nostra storia europea. E ho condiviso la tesi del confratello: tutto ciò non avviene soltanto per caso o per colpa di qualcuno, ma è un’esplicita permissione del Signore che ci sta scuotendo con forza, in vista di un’opera di purificazione e di trasformazione dai risvolti imprevedibili.
Si tratta evidentemente di una interpretazione teologica dei fatti, che – in fin dei conti – è quella che più dovrebbe interessare un credente o un ministro della Chiesa; e che una volta si esprimeva con il classico “non si muove foglia, che Dio non voglia”.
In tal senso, mi domando: che cosa ci riserverà ancora quella mano divina e onnipotente, giusta e misericordiosa, che scrive dritto sulle righe storte e che umilia la potenza per mezzo della debolezza? È questa la fine del suo intervento, o soltanto il principio?
Concludo con un breve riferimento ai messaggi di Anguera, che si commenta da solo:
«Cari figli, un ordine sarà dato e le porte saranno chiuse. Ai consacrati sarà impedito di compiere le proprie funzioni e gli uomini fedeli avranno di che piangere e lamentarsi» (messaggio n. 2990, del 30 aprile 2008).
O Vergine santa, corredentrice e mediatrice di grazia, in queste ore di passione per la Chiesa intera, e in quelle peggiori che potrebbero arrivare, rimani accanto a noi, così come – forte e materna – sei rimasta ai piedi della croce del tuo Figlio divino. Amen.
Padre Giocondo da Mirabilandia
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[1] Padre Furio da Bastardo (PG), di cui ho già parlato in un post precedente.
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