Se c’è un aspetto positivo dell’attuale frangente di emergenza pandemica è che i vescovi italiani hanno avuto modo di riscoprire una verità cattolica: la S. Messa, per la sua validità, non richiede la partecipazione del popolo.
In quest’emergenza, i vescovi, loro malgrado, hanno invitato i sacerdoti a celebrare le messe sine populo. Ad es., una nota della Conferenza episcopale pugliese, diramata il 9 marzo, ha affermato: «I presbiteri celebrino l’Eucaristia in privato ed invitino i fedeli a pregare personalmente o in famiglia, meditando la Parola di Dio» (v. qui).
Analogo contenuto hanno avuto le note delle conferenze episcopali regionali italiane.
Misura simile è stata adottata anche dalla Conferenza episcopale spagnola: «Las celebraciones habituales de la Eucaristía pueden mantenerse con la sola presencia del sacerdote y un posible pequeño grupo convocado por el celebrante» (v. qui).
Prima di questa emergenza, molti ritenevano che le messe c.d. private, o “senza popolo”, fossero, se non invalide, almeno illegittime come sostenevano alcuni teologi del Movimento liturgico. Era un pensiero diffusosi, come ricordato a partire dal Concilio Vaticano II. Eppure, tanto Pio XII nella Mediator Dei quanto Paolo VI nella Mysterium fidei ne avevano ammesso la validità e la piena legittimità. Tutto nasceva dall’equivoco circa la natura della messa quale preghiera pubblica della Chiesa e si sosteneva che “pubblica” significasse partecipata dal popolo. Per cui, messe private o senza popolo, non erano più ritenute ammissibili. Spiegava, tuttavia, papa Montini: «ogni Messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, la quale nel sacrificio che offre, ha imparato ad offrire sé medesima come sacrificio universale, applicando per la salute del mondo intero l'unica e infinita virtù redentrice del sacrificio della Croce» (Mysterium fidei, § 33).
Non sarà un caso, ma contro questa celebrazione delle messe private si è levato Andrea Grillo, che è corso subito a precisare che, dal Concilio, «la messa è anzitutto col popolo, perché è “del popolo con il suo Signore”, e solo in seconda istanza, e secondariamente, può essere “senza popolo”» (v. qui).
La riammissione a pieno titolo delle messe senza popolo non può che essere salutata positivamente.
Certo, si pongono delle incongruenze come evidenzia il nostro Franco Parresio …. Incongruenze che dovrebbero essere chiarificate.
La riammissione a pieno titolo delle messe senza popolo non può che essere salutata positivamente.
Certo, si pongono delle incongruenze come evidenzia il nostro Franco Parresio …. Incongruenze che dovrebbero essere chiarificate.
Pio XII celebra sine populo nella sua cappella privata a Castelgandolfo |
La Messa ai tempi del coronavirus
di Franco Parresio
Ieri mattina ho ricevuto, su whatsapp, questo messaggio di un amico, al quale ho prontamente risposto:
Volevo condividere con te una mia riflessione.
Lo so, non è il momento della polemica sterile in questo delicato momento che stiamo vivendo. Tuttavia mi chiedo: che significato ha il celebrare le messe (ovviamente parlo delle messe in novus ordo) “coram populo” quando il popolo non c'è? Non avrebbe più senso, in questo contesto, celebrare “coram Deo”?
Da qui io vedo tutto il limite del Messale montiniano (fermo restando, ovviamente, la sua validità): tutto impregnato di comunitarismo, cioè dove non è Dio al centro ma l'assemblea, mentre vedo la perenne attualità del Messale antico, dove ogni celebrazione - con o senza popolo - ha la sua ragione d'essere.
E ancora mi chiedo: la messa oggi è presentata come "festa": ebbene, quando i preti oggi, a porte chiuse, celebrano una messa, celebrano una festa o, piuttosto, un Sacrificio, che ha valore impetratorio, di espiazione, di adorazione e di ringraziamento?
La tua, mio caro R., è più di una riflessione: è un monito a tutti, in particolar modo ai quei sacerdoti, che ammorbati di "comunitarismo", sentono superfluo celebrar messa, perché per loro - come insegna Casel, maestro dei modernisti - il fedele è parte essenziale della celebrazione eucaristica. A dire che, se il fedele è assente, la messa non ha senso e valore; dal momento che il fedele è considerato un concelebrante. Lo sappiamo grazie alla Mediator Dei, l'enciclica sulla Sacra Liturgia di Pio XII del 1947, pubblicata allo scopo proprio di sconfessare questa idea eterodossa di Casel. A dirlo: l'abate Emanuele Caronti, che di quella enciclica fu il padre redazionale. Ed è logico che, senza fedeli, dovendo guardare i banchi, questi sacerdoti (ma è meglio chiamarli preti, perché dànno molta importanza all'essere presbiteri, in quanto capi di comunità) si sentano disoccupati e disorientati... per non dire depressi, perché inutili.
Lo dico senza ironia.
Mi riferisco anche a quei sacerdoti molto devoti e attenti alle funzioni religiose, ma che non sfuggono pure loro al fascino di introdurle e concluderle con "buongiorno" e "buonasera".
Ma – attenzione! - le colpe non sono del Messale di Paolo VI, che, pur considerando la celebrazione “coram populo” - già introdotta e subito radicatasi col Messale del 1965 -, non annulla quella “coram Deo”. Così anche la preghiera dei fedeli e lo scambio della pace, che nel Messale di Paolo VI restano facoltativi, ma che hanno finito per essere così importanti da non poterne fare più a meno.
I preti ricordino che sono prima di tutto SACERDOTI, cioè uomini di Dio, e non sacerdoti dell'umanità, come insegna quella canzonetta - erronea e fuorviante - che tristemente conosciamo. Dico "fuorviante" perché, pur volendo fare campagna vocazionale, sortisce l'effetto contrario: lo vedi dal considerevole numero degli abbandoni della vita consacrata. E il numero è destinato a salire. Come è destinato a scendere ulteriormente il numero delle vocazioni, proprio per la diminuzione inarrestabile dei fedeli.
Situazione diametralmente opposta dove si è aderiti - sacerdoti e fedeli - alle celebrazioni secondo l'usus antiquior del Messale Romano.
Ficchiamocelo bene in testa: sono gli uomini di Dio ad essere i veri pescatori di uomini!
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