Il 12 marzo papa Francesco aveva fatto chiudere tutte le chiese della sua diocesi di Roma, a motivo della pandemia di coronavirus. Ma se ne era subito pentito, e il giorno dopo le ha fatte riaprire.
È rimasto però il divieto, a Roma e in Italia, di celebrare le messe con presenti i fedeli. E il papa per primo vi obbedisce. Da diverse settimane ormai, le sue messe a Santa Marta nei giorni feriali e in San Pietro nelle festività sono celebrate in solitudine, così come la memorabile benedizione con il santissimo sacramento della sera di venerdì 27 marzo, in una piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia.
Le messe del papa, tuttavia, così come le messe di tante parrocchie, sono trasmesse per via telematica. Quelle di Francesco con indici di ascolto altissimi, mai toccati in passato. Ogni sua messa feriale a Santa Marta, la mattina alle 7, è vista in Italia da circa 1 milione e 700 mila telespettatori.
Anche su questo, però, in Francesco sono ora sorti dei seri timori. L’apparente successo di queste messe televisive cela infatti un pericolo che già molti cattolici hanno denunciato. È il pericolo che il sacramento decada dal reale al virtuale e quindi si dissolva. Il grido d’allarme non è venuto solo dalle correnti più attaccate alla tradizione, ma anche da esponenti di spicco dell’ala progressista, in Italia dal fondatore del monastero di Bose Enzo Bianchi, dallo storico della Chiesa Alberto Melloni, dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi.
Ebbene, nell’omelia della messa a Santa Marta del 17 aprile, venerdì dell’ottava di Pasqua, Francesco non si è più trattenuto e ha spiegato che una Chiesa “viralizzata” non è più la Chiesa vera, fatta di popolo e di sacramenti. Guai – ha ammonito – se quando la pandemia cesserà restasse viva l’idea “gnostica” di una Chiesa telematica invece che reale.
L’omelia del papa è riprodotta più sotto. Ma prima può essere utile notare che anche in passato, quando le epidemie infuriarono, grandi pastori della Chiesa cattolica furono consapevoli della necessità di tenere viva la realtà dei sacramenti.
Si può ricordare in proposito la grande peste di Milano del 1576. San Carlo Borromeo, il vescovo, ottenne dal governatore spagnolo della città l’obbligo per tutti i cittadini di chiudersi in casa per quaranta giorni. Ma mandò i suoi preti a celebrare le messe domenicali agli angoli delle strade, con i fedeli affacciati agli usci e alle finestre.
San Carlo guidò anche delle processioni penitenziali, ma con l’accortezza di disporle su due file singole ai lati delle strade e con 3 metri di distanza tra l’uno e l’altro penitente. Le cronache del tempo ricordano le sue incessanti visite agli appestati, ma sempre con attente precauzioni. Cambiava spessissimo gli abiti e li faceva bollire, purificava col fuoco e l’aceto ogni suo contatto manuale, teneva a distanza con una bacchetta di legno i suoi interlocutori. Si calcolò che a Milano i morti furono 17 mila, contro i 70 mila di Venezia.
Come ai tempi di San Carlo, anche a Roma, oggi, un parroco ha celebrato la messa della domenica delle Palme all’aperto, sul campanile, con i fedeli affacciati da finestre e balconi. Il suo gesto è entrato nelle cronache tra le notizie bizzarre. Ma certo quella sua messa era più “vera” di quelle teletrasmesse.
Ecco dunque i passaggi chiave dell’omelia di Francesco. Il papa ha preso spunto dal racconto – nel Vangelo del giorno – dell’incontro tra gli apostoli e Gesù risorto sulle rive del lago di Galilea. E così ha proseguito.
*
Dall’omelia di papa Francesco nella messa mattutina a Santa Marta del 17 aprile 2020
[…] Questa familiarità con il Signore, dei cristiani, è sempre comunitaria. Sì, è intima, è personale ma in comunità. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa. Può diventare una familiarità – diciamo – gnostica, una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il Pane.
Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.
Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo – un bravo vescovo, bravo – e mi ha rimproverato. “Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo …”. Io pensai: “Ma questo che ha nella testa, per dirmi questo?”. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò. Poi ho capito. Lui mi diceva: “Stia attento a non ‘viralizzare’ la Chiesa, a non ‘viralizzare’ i sacramenti, a non ‘viralizzare’ il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci.
E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non “viralizzata”, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei sacramenti, in mezzo al popolo di Dio. Loro hanno fatto un cammino di maturità nella familiarità con il Signore: impariamo noi a farlo, pure. Dal primo momento, questi hanno capito che quella familiarità era diversa da quello che immaginavano, e sono arrivati a questo. Sapevano che era il Signore, condividevano tutto: la comunità, i sacramenti, il Signore, la pace, la festa.
Che il Signore ci insegni questa intimità con Lui, questa familiarità con Lui ma nella Chiesa, con i sacramenti, con il santo popolo fedele di Dio.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 20 apr
PAPA: CHIESA NON E' VIRTUALE - MEGLIO TARDI CHE MAI, MA AVVENIRE...
Nell’omelia di Santa Marta di venerdì 17 aprile il Papa ha detto in modo inequivocabile che la Chiesa vera non può essere virtuale e fare dunque a meno della presenza fisica della comunità. Spiazzati i turiferari. Imbarazzo di ‘Avvenire’. Intanto proseguono le interpretazioni approssimative delle norme su apertura delle chiese, messe, processioni: irruzioni delle forze dell’ordine, multe a raffica. Interessanti riflessioni del professor Giovanni Turco (Università di Udine)
PAPA FRANCESCO: MESSA MATTUTINA A SANTA MARTA DI VENERDI’ 17 APRILE 2020
Nell’omelia il Papa ha commentato il brano del Vangelo di Giovanni (21, 1-14) in cui si riferisce della terza apparizione di Gesù Risorto ai discepoli sulle rive del Lago di Tiberiade. Essi non avevano pescato nulla, ma uno sconosciuto li convinse a pescare dalla parte destra della barca, così che la rete fu riempita da “centocinquantatré grossi pesci”. Allora capirono.
. “Nessuno gli domandò, qui, ‘chi sei?’: sapevano che era il Signore. Una familiarità quotidiana con il Signore, è quella del cristiano. E sicuramente, hanno fatto la colazione insieme, con il pesce e il pane, sicuramente hanno parlato di tante cose con naturalezza”.
. “Questa familiarità con il Signore, dei cristiani, è sempre comunitaria. Sì, è intima, è personale ma in comunità. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa. Può diventare una familiarità – diciamo – gnostica, una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il Pane”.
. “Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre”.
. “Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo – un bravo vescovo: bravo – e mi ha rimproverato. ‘Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo …’. Io pensai: ‘Ma, questo che ha nella testa, per dirmi questo?’. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò. Poi ho capito. Lui mi diceva: ‘Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo”. (NdR: il neretto è nostro – il Papa ha utilizzato “viralizzare”…probabilmente voleva dire “virtualizzare”…)
Chiara e netta l’omelia di papa Francesco in questi tempi di coronavirus. E quanto mai opportuna. Specie dopo la confusione creata da lui stesso, da diversi vescovi, da non pochi teologi e dai soliti turiferari riguardo alla possibilità (salutata con grande favore ed elevata quasi a norma) di vivere il cristianesimo senza la mediazione della Chiesa, attraverso i social. Addirittura si è prospettata l’idea della legittimità de facto canonica della confessione direttamente con Dio, inserendola in una sorta di religione fai-da-te. E’ vero che c’è voluto “un vescovo – un bravo vescovo: bravo” per far comprendere al Papa la gravità della situazione… però: sempre meglio tardi che mai.
Sulla chiusura delle chiese proprio il Papa si era reso protagonista tra il 12 marzo e la mattina del 13 di un clamoroso dietrofront per quanto riguardava la diocesi di Roma. Dopo aver imposto il 12 al cardinale vicario Angelo De Donatis la serrata di tutte le chiese (davanti allo sconcerto di qualche vescovo ausiliare il porporato si era visto costretto a fare il nome del mandante…), Jorge Mario Bergoglio – raggiunto da vivaci proteste rossoporpora – il mattino seguente aveva ingiunto allo stesso cardinale vicario di modificare immediatamente il decreto, consentendo l’apertura delle chiese parrocchiali (e di poche altre).
Le parole inequivocabili di papa Francesco sono state immediatamente rilanciate dal suo interprete privilegiato, il Turiferario Maggiore, con un editoriale su Vatican News. Andrea Tornielli scrive tra l’altro: “Quella del cristiano, ha spiegato Francesco, è ‘una familiarità quotidiana con il Signore’, come quella di chi si siede a tavola per far colazione e parlare con naturalezza di ciò che gli sta a cuore. Una familiarità che è sempre comunitaria, pur essendo personale e intima. Perché una familiarità senza comunità, senza rapporti umani, senza la condivisione del pane, senza i sacramenti, può correre il rischio di diventare ‘gnostica’, evanescente. Cioè di ridursi a “una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio”.
E ADESSO, POVERI MANCUSO E BRAMBILLA?
Ma gli spiazzati tra i turiferari sono tanti. I vertici della Conferenza episcopale italiana, in primo luogo, che hanno dovuto in qualche modo abbandonare la loro piena e untuosa sudditanza ai voleri del Governo. Dei cattofluidi di Avvenire (in grande imbarazzo per la virata papale) ci occupiamo tra poco. Prima ci piace evidenziare quanto avevano dichiarato in tempi recenti, due illustri teologi. Il primo è il noto Vito Mancuso che sull’ Huffington post del 12 aprile sentenziava con la consueta impudenza: “Quelli che hanno chiesto di aprire le Chiese per guadagnare qualche punto nei sondaggi, fanno parte di quel genere di uomini che hanno sempre usato Dio per i loro traffici terreni. Ci sono sempre stati. Non hanno mai avuto niente a che fare con la spiritualità”.
Il secondo è Franco Giulio Brambilla, dal 2011 vescovo di Novara e dal 2015 vicepresidente della Cei per l’Italia settentrionale. In un’intervista a tutta pagina a Avvenire dell’8 aprile (a firma del turiferario presidenziale Giacomo Gambassi) Brambilla aveva denunciato “la superficialità di alcuni che (…) fanno discorsi astratti sul diritto di andare a pregare in chiesa, magari non andandoci di solito” (da notare quell’aggiunta gratuita – presumibilmente anti-salviniana - “magari non….”, a testimonianza del fatto che Brambilla si ritiene, come tutti i catto-sinistri, un ‘puro’ del cattolicesimo). Un’affermazione quella di Brambilla, ripresa non a caso in evidenza nel sommario che Avvenire ha posto sotto il titolo dell’intervista.
AVVENIRE : UNO STRANO MODO DI RIFERIRE DELL’OMELIA PAPALE….
Generalmente il quotidiano catto-fluido evidenzia sotto grandi titoli nelle sue pagine (di solito in Catholica) i contenuti delle omelie papali in Santa Marta. Così come, ça va de soi, Vatican News. Che difatti dedica all’omelia del 17 aprile un servizio di cronaca dal titolo “Il Papa prega per le mamme in attesa e mette in guardia dal rischio della fede ‘virtuale’ “ e un editoriale – come nelle occasioni importanti – a firma come detto più sopra del Turiferario Maggiore - e intitolato: “L’emergenza pandemia e la nostalgia della comunità in carne e ossa”.
Che ti fa invece l’Avvenire, che per settimane ha predicato la bellezza della preghiera a casa e dei riti in streaming, interprete perfetto della decisione di resa (senza condizioni) al Governo dei vertici della Conferenza episcopale italiana? Del resto l’Avvenire si è trasformato ormai de facto nella velina privilegiata di Palazzo Chigi, il cui noto inquilino non a caso ha ringraziato il quotidiano con una lettera eloquente pubblicata con grande evidenza la vigilia di Pasqua.
Ebbene l’Avvenire il 18 aprile riferisce dell’omelia papale (oggettivamente molto importante in riferimento al dibattito italiano) in una colonnina laterale a pagina 11. Le prime 29 righe sono dedicate all’appello a pregare per le donne incinte (fatto all’inizio della messa). Ne restano 52 e nelle ultime cinque, finalmente si citano le parole del Papa sulla Chiesa ‘virtuale’: “Questa non è la Chiesa, l’ideale della Chiesa è col popolo e con i sacramenti”. Un po’ poco, considerate le abitudini consolidate della casa e pur concedendo che il titolino della colonnina è: “Il pontefice: la Chiesa ‘virtuale’ non è Chiesa”. Tanto più che ci sarà pur qualcuno che si ricorda dei titoli a carattere di scatola del foglio cattofluido sempre pronto a far da megafono al Papa quando parla ad esempio di migranti …
AVVENIRE CONTINUA A SBANDARE: PRESTO (IL 25 APRILE) LA TESTATA DALL’AZZURRO AL ROSSO?
A quest’ultimo proposito: nell’editoriale di domenica 19 aprile, il Direttore turiferario si schiera impavido a favore della proposta di regolarizzare lo status (con conseguenze in ambito abitativo, lavorativo e sanitario) di un esercito di clandestini: un passo, che, se fatto, porterà dritto dritto alla concessione della cittadinanza. La scusa è quella del blocco conseguente al coronavirus e della necessità di ripartire “col piede giusto”: “Si tratta di dare regole e status, controlli e garanzie a chi vive e lavora nell’irregolarità. Parliamo di 600mila donne e uomini”, scrive Tarquinio il Superbo, concorde anche in questo caso con la “grande italiana” (copyright Santa Marta) Emma Bonino.
Francamente l’Avvenire prosegue imperterrito sulla strada che non porta normalmente in Paradiso. Come si evince da quest’altra grave sbandata, annunciata con evidenza nella prima pagina di mercoledì 8 aprile: “25 APRILE: Liberazione social e solidale”. Nel “Primo Piano” a pagina 4, un titolone: “Sarà un 25 aprile di ricostruzione” e nella prima riga del sommario la comunicazione: “Niente cortei, la festa della Liberazione ai tempi del Covid-19 cambia volto: evento online dalle 11”. In pagina un’ampia intervista con il neo-teologo Carlo Petrini: “Una nuova Resistenza contro la paura”.
Il Covid-19 un virus ‘fascista’? E però com’è che viene dalla Cina comunista, magari forse da uno dei suoi laboratori virologici militari, da dove – è una delle ipotesi - sarebbe sfuggito per errore? Ci attendiamo comunque che per coerenza l’Avvenire online il 25 aprile alle 11.00 si vesta di rosso antico, quello – come minimo - del Pci di Togliatti. Così come qualche mese fa si è colorato di verde in onore di Greta e dei suoi burattinai. Dai, Marco Tarquinio, è un’occasione storica per diventare compagni a pieno titolo: dai, non farti sviare da quelle storiacce sui preti uccisi nel triangolo rosso emiliano, dai che ti faranno presidente onorario dell’Anpi e allora avanti col rosso, chè l’odierno azzurro è un pugno nell’occhio per i nuovi lettori di Avvenire!
CRESCE L’IRREQUIETEZZA NEI SACERDOTI E NELLA BASE CATTOLICA. INCURSIONI POLIZIESCHE E MULTE IN QUANTITA’ (MA ANCHE NO)
Per quanto poi riguarda la possibilità di esercitare la libertà di culto, in queste settimane ne abbiamo viste di tutti i colori, con decine di casi in cui le forze dell’ordine (per ignoranza della Nota del Viminale del 27 marzo e/o della successiva precisazione apparsa sul sito della Presidenza del Consiglio) hanno interpretato con molta approssimazione le norme di legge vigenti. Di alcuni di questi casi abbiamo riferito ampiamente. Altri se ne sono aggiunti, ultimi tra tutti quelli registrati domenica 19 aprile.
Molto inquietante e grottesca l’irruzione di agenti nella chiesa di San Pietro Apostolo a Gallignano (frazione di Soncino, diocesi di Cremona), dove don Lino Viola stava celebrando la Messa (si era alla Consacrazione) con 7 aiutanti e 6 fedeli presenti (le famiglie di due morti senza funerale). Il sacerdote ha cacciato chi gli voleva notificare la multa di 280 euro, che è stata estesa anche ai 13.
Non va dimenticata inoltre la pagina vergognosa per l’informazione televisiva legata alla messa di Pasqua celebrata nella chiesa del Buon Pastore a Penitro (Formia): il sacerdote, don Konka Showrilu, era accompagnato da poche persone tutte a norma di legge, ma un parrocchiano – intrufolatosi indebitamente - era entrato in chiesa girando un video poi inviato alla trasmissione satirica ‘Striscia la notizia’ (canale 5, Mediaset). ‘Striscia la notizia’ – con la grande sensibilità umana (pardon… cinismo) che ha mostrato già anche in altre occasioni - aveva così esposto alla pubblica gogna il povero prete, accusato nientepopodimeno che di aver dato la Comunione senza guanti e mascherina e multato di 400 euro. Tristissimo che la ‘denuncia’ sia partita da un parrocchiano… ma il gusto perverso della delazione non risparmia neanche la parte cattofluida delle nostre comunità, sordamente irritate contro i sacerdoti che tengono aperte le chiese, espongono il Santissimo, offrono magari la possibilità di fare la Comunione sacramentale.
Altre vicende penose si sono verificate il Venerdì Santo. A Supersano, nel basso Salento, multati parroco, sindaco e alcuni fedeli – tutti a distanza e con mascherine - fuori della Chiesa Madre di San Michele Arcangelo, dove don Oronzo Cosi aveva portato il Cristo morto per la benedizione. A Pomponesco (Mantova) multati (280 euro a testa) don Davide Barilli, il sindaco, il vicesindaco, una consigliera comunale e due volontari della protezione civile, perché per qualche minuto hanno compartecipato al ricordo della Passione (e delle vittime del coronavirus) sulla piazza del paese dove erano state erette tre croci e acceso un falò. A Dosolo (Mantova) multato (280 euro) il parroco don Stefano Zoppi perché ha portato il Crocifisso settecentesco per le vie del Paese (su un mezzo attrezzato della protezione civile) fermandosi più volte per la benedizione (riferiscono le cronache locali che i fedeli, commossi, erano alle finestre o ai balconi).
Processione e processione… Ci viene spontaneo osservare a tale proposito che il parroco di Rocca Imperiale (Cosenza) è stato multato anche lui per aver portato il Cristo in processione per le vie del paese (come abbiamo riferito, vedi . https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/938-coronavirus-grottesco-rocca-imperiale-sulmona-don-dino-pirri.html ).... invece a Chieti l’arcivescovo Bruno Forte ha potuto fare la stessa cosa (percorso di 700 metri in centro città, dal Seminario Regionale alla cattedrale di san Giustino), accompagnato da un sacerdote e scortato da due carabinieri in alta uniforme: sulla piazza della cattedrale, da dove ha benedetto la città, Forte ha trovato anche il sindaco con fascia tricolore. Nessuna multa in questo caso, né per l’arcivescovo né per il sindaco…. Ma solo un imprevisto, che ha suscitato una profonda impressione: poco dopo la partenza dal Seminario, in corso Marrucino, le braccia del Cristo si sono improvvisamente staccate dalla croce e il Cristo si è capovolto. L’arcivescovo si è fermato e con l’aiuto del sacerdote accompagnatore (don Guido Carafa) il Cristo è stato rimesso a posto.
Si potrebbe continuare a lungo con quanto accaduto in altre parti d’Italia, da Sant’Arpino (Caserta) a San Vito di Fagagna (Udine), da Pescara a Rivarolo Canavese, da Pozzuoli a San Marco in Lamis (Foggia), da Borgotrebbia (Piacenza) a Bedizzole (Brescia)…. Cronaca grottesca di un andazzo scandaloso, oltre che di dubbia costituzionalità.
LE INTERESSANTI RIFLESSIONI DEL PROFESSOR GIOVANNI TURCO SULLA SITUAZIONE ODIERNA IN ITALIA E SU POSSIBILI SCENARI FUTURI
Concludiamo con quattro estratti da un’intervista molto ampia che il professor Giovanni Turco (Filosofia del diritto, Università di Udine) ha dato a Stefano Fontana (direttore dell’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân), pubblicata su La Nuova Bussola Quotidiana di domenica 19 aprile 2020. Buona riflessione (anche se, a pensarci bene, rischiano di tremare le vene e i polsi)
. (elementi della situazione odierna in Italia): “Tutta una serie di garanzie delle libertà individuali, date per acquisite in quanto indicate come tutelate dalla gerarchia delle fonti normative, è stata sospesa con grande facilità. Non modificando la Costituzione, neppure mediante una legge ordinaria, ma semplicemente (almeno in esordio) mediante atti del governo. Ed è singolare che anche su questo punto non si sia registrato alcun dibattito di rilievo, né dottrinale, né politico, se si eccettuano singole voci dissenzienti”.
. (la leva della paura): “Si sa che facendo leva sulla paura, si può imporre anche l’inimmaginabile. Invocando l’emergenza, si possono introdurre leggi che altrimenti incontrerebbero resistenze tenaci. Presentandosi come “salvatori della patria”, si possono decretare norme capaci di immunizzare il potere da qualsivoglia obiezione. L’esempio della Rivoluzione francese è emblematico. Dichiarando la patria in pericolo, si giustificò il massacro dei preti refrattari (quelli che non avevano giurato la costituzione civile del clero) e dei detenuti nelle carceri (in gran parte tali arbitrariamente e per lo più sulla base di sospetti). In realtà, ad essere in pericolo non era la patria, ma la Rivoluzione. Gli avversari della Rivoluzione vengono presentati come nemici della patria. (…) Le emergenze, reali o fittizie che siano, costituiscono un’occasione propizia per estendere il controllo sociale, ed imporre mutamenti radicali nella vita di intere popolazioni. Questo è un dato. Ora, come in altre occasioni, i rischi sono ‘dietro l’angolo’. Chiunque guardi lucidamente alla situazione attuale se ne avvede”.
. (scenari possibili) “In merito a possibili scenari futuri o in fieri, va detto che questi riguardano, piuttosto che la diffusione del virus (nei suoi aspetti clinici e terapeutici), gli orizzonti verso i quali potrebbero condurre i provvedimenti assunti in nome del contrasto all’epidemia. Riflettendo sotto un profilo puramente congetturale, si può ritenere che, se non vi sarà un rapido ritorno al corso ordinario della vita sociale – almeno nella misura in cui lo era fino a febbraio scorso – si profilano, come particolarmente preoccupanti, almeno due scenari, che lungi dall’escludersi potrebbero intrecciarsi. Da una parte, se il blocco della vita sociale perdura si apre la strada al collasso sociale. Con esiti di frantumazione dei legami civili, di conflittualità generalizzata e di impoverimento diffuso. Dall’altra, potrebbero registrarsi forme di controllo sociale sempre più pervasivo, attuate attraverso l’introduzione di un sistema di tipo autorizzativo, tale da toccare i più intimi aspetti della vita umana. Il tutto, in presenza di situazioni di grave penuria di cui soffrirebbero intere categorie, rimaste senza lavoro, con l’introduzione di forme di dipendenza sempre più forte da iniziative esterne (statali o non). L’intreccio dei due scenari darebbe luogo ad una ‘fluidificazione’ sociale, che potrebbe concludersi in una sorta di ‘caos istituzionalizzato’ o, se si vuole, di ‘disordine organizzato’.
. (analogie storiche….) A riguardo, potrebbe sovvenire un’analogia di carattere storico: come al tempo della Rivoluzione in Francia per potere circolare liberamente era necessario avere con sé il ‘certificato di civismo’, ai nostri giorni si potrebbe giungere a potere circolare liberamente, solo potendo contare sull’autorizzazione fissata da un ‘attestato sanitario’ normativamente vincolante. Solo uno sguardo superficiale può illudersi che domani sarà più o meno uguale a ieri. Ciascuno in quanto soggetto razionale, capace quindi di deliberazioni razionali, particolarmente chi ha rilevanti responsabilità sociali, dovrebbe non lasciarsi travolgere dall’immediatezza delle urgenze (pur ovviamente avendo cura di quanto richiedono) o dall’incombere dell’emotività. Per conservare lucidità di mente e decidere prudentemente, per il bene comune.
PAPA: CHIESA NON E’ VIRTUALE – MEGLIO TARDI CHE MAI, MA AVVENIRE… - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 20 aprile 2020
SERGIO RUSSO E IL PAPA: AH, SE CI FOSSE ANCORA PASQUINO…
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, Sergio Russo, lo scrittore artigiano che ormai certamente conoscete, e che avete incontrato diverse volte su Stilum Curiae, ci ha mandato una sua piccola creazione “leggera”, una citazione del famoso Pasquino, la statua vicino a piazza Navona dove il popolo appiccicava biglietti per denunciare – in forma poetica e sarcastica – vizi e vizietti della Roma papalina. Buona lettura…
§§§
AH… SE CI FOSSE ANCORA PASQUINO!*… (scriverebbe così):
“A Francé’, tu prima lanci il sasso,
ma poi metti la mano drent’al petto…
Sembra che tu ce provi gusto, e spasso
veder chi t’ha seguito, contraddetto.
Sì… che li credenti credeno a Gesù,
ma no a te, che de noi ridi e fai… cucù!”
Sul sito dell’ANSA si poteva leggere, in data 17 Aprile, questo lancio d’agenzia:
Città del Vaticano: Celebrare la messa senza popolo “è un pericolo”, queste modalità a distanza sono legate “al momento difficile” ma “la Chiesa è con il popolo, con i sacramenti. Non si può “viralizzare [?] la Chiesa, i sacramenti, il popolo”. “È vero che in questo momento” occorre celebrare a distanza ma “per uscire dal tunnel, non per rimanere così” perché la Chiesa “è familiarità concreta con il popolo”. “Questa non è la Chiesa, è una Chiesa in una situazione difficile.” Lo ha detto Papa Francesco nell’omelia della messa a Santa Marta.
Eppure Bergoglio, soltanto poco tempo prima, aveva emanato – lui per primo – disposizioni per la Città del Vaticano affinché “tutte le Celebrazioni Liturgiche della Settimana Santa si svolgessero senza la presenza fisica di fedeli.”
E tuttavia, come se ancora non fosse soddisfatto di aver prevenuto (soggiacendovi!) disposizioni governative in merito, dispone ulteriormente, qualche giorno dopo “l’interdizione a tutti i fedeli di tutte le chiese della diocesi di Roma**”, decreto fatto poi revocare, qualche giorno dopo, facendo credere che il vicario di Roma, il cardinale De Donatis, lui stesso avesse preso autonomamente quella grave decisione di chiusura di tutte le chiese…
La medesima cosa ha comunque fatto riguardo ai sacramenti, facendo sottomettere la CEI al governo, il quale – senza che ne possedesse l’autorità, né tantomeno la giurisdizione – ha vietato la celebrazione della messa e la distribuzione dei sacramenti al popolo, sotto pena di salatissime multe e di denunce.
Era Bergoglio stesso infatti, avendolo ripetuto più volte, a dire che bisognava obbedire al governo (piuttosto che a Dio?!), sottolineando ciò col ricevere pubblicamente ed in maniera ufficiale, il primo ministro Conte in Vaticano…
Ma tant’è… prendendo atto del malcontento del popolo cristiano, Bergoglio con mossa abile – nel migliore e più spregiudicato stile peronista – rigira subito la “frittata”, scaricando tutta la responsabilità sui vescovi italiani, i quali si erano pedissequamente allineati a lui ed al governo…
Che forse Bergoglio abbia pensato, in cuor suo, pressappoco… “se questi cristiani ‘praticanti’ hanno cominciato a pensare che andare in chiesa e a messa è superfluo (poiché così han fatto capire loro i vescovi, “dirottandoli” sulla comunione spirituale e su altre pratiche più o meno intimistiche), allora altrettanto, codesti ‘praticanti’ potrebbero pensare che pure la gerarchia sia superflua… ed anche l’ottopermille!”…
Insomma papa Francesco ha scaricato – una volta di più – in tale caso la responsabilità di una “chiesa gnostica” sui vescovi italiani…
Già, ma guarda caso, appunto su di loro!
E adesso che diranno costoro, in propria difesa, visto che fino ad un attimo prima essi stessi avevano dileggiato e subissato il povero Salvini, il quale chiedeva per i credenti la riapertura, almeno a Pasqua (con le dovute accortezze), delle nostre belle chiese?
***
In questi giorni sto esaminando un’Apparizione Mariana – di cui al momento non faccio però il nome – ma che è comunque “al di sopra di ogni sospetto”, essendo deceduto quel veggente il 2 maggio 2012 (ben prima della rinuncia di Benedetto XVI, come pure della conseguente elezione di papa Francesco), e già diversi anni addietro già parlava di “pressioni” molto sospette di cardinali, nei riguardi di papa Ratzinger, per farlo dimettere, oltre a delineare il profilo del suo successore: «Scrivi figlio, Io vi chiamo servi inutili, vi siete associati con il “re burlone” a far baldoria, invece di mettere Mio Figlio Gesù esposto e a far penitenza, atti di adorazione, per i peccati che si commettono!…»
(*) Pasquino è la più celebre “statua parlante” di Roma, divenuta figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo: ai piedi della statua infatti (ma più spesso al collo) si appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a farsi beffe anonimamente dei personaggi pubblici più importanti della Roma pontificia. Erano le cosiddette “pasquinate”, dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere, come pure l’avversione alla corruzione e all’arroganza dei suoi rappresentanti.
(**) Decreto n. 446/20 dell’8 marzo.
(***) Considerazioni in parte tratte da “Fatima”, su gloria.tv
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