Ecco il messaggio per la Santa Pasqua del card. Gerhard L. Müller, pubblicato su LifeSiteNews, nella traduzione dal tedesco fatta da Maike Hickson.
Ve la propongo nella mia traduzione in italiano.
Care sorelle e fratelli,
Nessuno di noi ha mai vissuto una situazione simile a quella che stiamo affrontando oggi. A causa della terribile epidemia di Coronavirus, la vita pubblica è drasticamente limitata. Non possiamo più celebrare la liturgia in chiesa la domenica e anche adesso nella Settimana Santa e a Pasqua.
È vero che cerchiamo di accontentarci delle trasmissioni televisive delle Sante Messe. Ma questa soluzione di fortuna non può sostituire la nostra presenza fisica davanti al Volto di Dio in mezzo a una congregazione contemplativa ma anche gioiosa, che si unisce al giubilo pasquale dei redenti. La celebrazione fisica della liturgia corrisponde alla nostra natura sociale. E quindi Dio non ci incontra in pensieri astratti, ma visibilmente nel mondo e soprattutto in Gesù, che ha detto di sé: “Chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 9).
Il Signore risorto rimane presente tra i fedeli nella parola udibile della predicazione, nei segni visibili dei Sacramenti, nella comunione della Chiesa che si può sperimentare. Le parole della Sacra Scrittura ci mostrano, in questi tempi di divieto del contatto umano per motivi igienici e di regole da tenere a distanza, ciò che ci manca e che speriamo sia presto superato.
Nella Chiesa primitiva era chiaro ciò che è seguito all’Incarnazione di Dio e alla vicinanza fisica a Gesù.
Così ci dicono i discepoli di Gesù: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.”. (1 Giovanni 1:1-4).
Molti dei nostri fratelli cristiani, passati e presenti, non hanno avuto e non hanno l’opportunità (per esempio, in tempi di persecuzione o altre circostanze sfavorevoli) di partecipare alla vita delle congregazioni e alla celebrazione della liturgia con presenza fisica. Naturalmente, Dio non ha ritirato loro la grazia che ricevono da Lui nella comunione spirituale in misura ricca. Ora possiamo anche leggere la Sacra Scrittura a casa, pregare insieme, rinnovare interiormente gli atti di fede, speranza e amore, rivalutare e, se possibile, migliorare il nostro rapporto con la famiglia e gli amici, fare una conversione interiore, pentirci dei nostri peccati e decidere di confessarli alla prossima occasione.
Dobbiamo mantenere vivo in noi il desiderio di assistere alla Santa Messa e di ricevere presto di nuovo i Sacramenti in chiesa.
Vorrei includere tutti voi, anche se a me sconosciuti, nelle mie preghiere. Formiamo una comunità di preghiera mondiale perché apparteniamo alla “Chiesa del Dio vivente” (1Tim 3,15).
La nostra situazione è spiritualmente un po’ paragonabile a quella dei discepoli che la domenica di Pasqua erano ancora spaventati e riuniti a porte chiuse. Ma proprio come allora, Egli entra oggi in mezzo ai suoi fedeli e dice a ciascuno di noi e a tutti noi: “La pace sia con voi”. Poi il Signore Crocifisso e Risorto ci mostra le sue mani trafitte e il suo fianco trafitto dalla lancia.
E possa anche questo essere la causa della stessa reazione nei nostri cuori oggi come allora tra i discepoli che Gesù stesso ha liberato dalle loro incertezze e dai loro dubbi: “Allora i discepoli si rallegrarono quando videro il Signore”. (Gv 20:20).
Auguro a tutti noi la gioia del Risorto.
Benedetta e felice Pasqua!
Il vostro, Gerhard Cardinale Müller, Roma
Di Sabino Paciolla
di Giuliano Di Renzo
Stiamo vivendo giorni di sofferenza e chiediamo l’aiuto del Signore dopo esserci resi conto che abbiamo deviato dalla sua via di santità e giustizia.
Noi in privato come noi in quanto società abbiamo avanzato imperterriti sulle vie del male, mai sazi di libertà sfrenata e rivendicati il far peccati come diritti, ingannando noi stessi. Mentre ci preoccupiamo di ecologie e ambiente distruggiamo i diritti altrui alla vita, ai più innocenti e indifesi.
L’aborto è diventato un mezzo per sbarazzarsi degli esiti indigesti degli illeciti della nostra sessualità abusata, avvilita al materialistico godimento dell’altro da noi detto per beffa amore. Invece che essere volto a segno e mezzo della pienezza comunione di amore tra persone che seriamente si donano perché seriamente si rispettano e si amano.
In tal modo abbiamo anche uccisa la società impedendole di crescere e fiorire come albero frondoso carico di futuro.
Abbiamo attentato alla famiglia, la quale non è più casa accogliente e sicura, ma uno stazionare senza frutto e doveri abbandonati ciascuno al capriccio e provvisorietà di incerti sentimenti.
Ecco allora emergere come al centro di tutto il nostro essere e operare non poniamo la giustizia come santità del nostro destino e della nostra vita, ma noi stessi e il nostro egoismo, ipocritamente ben dissimulato anche quando invochiamo ed esaltiamo in pubblico l’altruismo.
Insomma, fingendo a noi di amare mentre amiamo solo noi stessi non pensando che con quell’amare noi stessi si finisce con odiare noi stessi perché è inoculare in noi la morte.
Lo sappiamo o consideriamo comodo fingere di non sapere che tanto la natura come lo spirito sono tenuti in essere dalla loro giustizia che sono le leggi sacrosante della vita. Non possiamo pensare di sfuggire alla nemesi della storia e della vita individuali e collettive perché su tutto e tutti presiede la Giustizia che è immortale, che violata esige riparazione.
Se è così nella (presunta giustizia) delle nostre leggi scritte umane, tanto più lo è in quelle non scritte superiori ed eterne.
Se tenessimo ben presenti queste considerazione avremmo la risposta alla tormentosa domanda del perché il male nel mondo. E’ il naturale esito regale di sventate nostre avventure senza freni, abuso disinvolto di malintesa libertà. Malintesa libertà che la libertà nega e distrugge bruciando in una specie di infernale walhalla le nostre illusioni. Prepariamo con essa il nostro inferno. E osiamo poi domandarci come sorpresi perché, e chiamiamo a giudizio Dio, invece di portare noi al giudizio di Dio.
Già Omero all’inizio dell’Odissea faceva domandare a Giove se gli uomini oseranno ancora incolpare gli dèi invece che se stessi dei danni che si vanno procurando.
Il Venerdì Santo ci ricorda quel che ha fatto Dio per tirarci dalla palude che noi abbiamo fatto dei nostri cuori.
Ma pare che quell’amore, che è inaudito essendo anche estremo, ancora dopo più di duemila anni non trovi accoglienza nel cuore perverso e rabbioso degli uomini.
Si è ancora nel corso di un’epidemia e già i propositi che si manifestano corrono verso altri più gravi delitti.
Brevissima e incerta è la nostra vita, parlano di pace ma nel cuore hanno la guerra (Sl 55,19).
Il Venerdì Santo dovrebbe portarci di fronte al Crocifisso, che continuiamo a perseguitare come di non soddisfatti della secolare sua atroce agonia.
Dovrebbe portare un risveglio nella nostra coscienza, ma noi continuiamo a tranquillizzarci con le morfine di false disquisizioni su legalità evitando di soffermarci sulla moralità.
Quando oppressi e senza vie umane di uscita ci rivolgiamo al Signore perché ci liberi dalle sofferenze, ci preoccupano le nostre sofferenze mai a quelle che facciamo patire ogni giorno al Signore. Le nostre meditazioni sul Vangelo come anche sulla Passione di Cristo paiono più essere un “et eo comenzo el corrotto” (Jacopone da Todi. Pianto della Madonna) sulle nostre e altrui passioni e disgrazie umane invece che come quello della Madre sull’innocente straziato suo Figlio.
Il riferimento a Cristo finisce non poche volte per farne pretesto per ergere al suo posto l’umanità ferita dai suoi stessi mali, il Servo che redime se stessa, messia di se stessa messo al posto di Cristo.
Pensiamo invece alle sofferenza di Gesù per noi, di Lui il solo innocente capace di saldare l’immenso debito di noi peccatori alla Giustizia, l’offesa infinita divina santità di Dio.
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto e faranno lamento per Lui come per la morte del primogenito figlio unico” (Zc 12,10; Gv 19,37) e “nella sua luce vediamo la Luce (Sl 36,10).
Gesù ci dà la possibilità di ottenere la redenzione unendo alle sue sofferenze di innocente perseguitato le nostre sofferenze di colpevoli ravveduti.
Immergiamoci nella Passione di Gesù, chiediamo a Lui perdono dei colpi di flagello, delle trafitture di spine, dei chiodi, dell’ultimo sfregio fatto a Lui ormai cadavere dal colpo di lancia di un sacrilego ignaro soldato, sul quale la sua carità estrema riversa il sangue e l’acqua che lui e tutti noi redimono restituendo a ciascuno l’innocenza di nuova creatura.
Siamo tutti dei buoni ladroni e Gesù si è fatto crocifiggere per stare accanto a noi crocifissi per sostenerci con la speranza del suo perdono e operare per noi il sommo miracolo dell’amore più che della trasformazione dell’acqua in vino: la trasformazione della nostra morte nella sua morte che è Resurrezione.
Come si sta sotto la Croce - Omelia Venerdì Santo 2020 Vocogno
Come si sta sotto la Croce.
Omelia di don Alberto Secci nella Liturgia della Passione e Morte di N. S. Gesù Cristo in rito tradizionale a Vocogno in Val Vigezzo (VB).
radicatinellafede
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