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domenica 12 aprile 2020

Gli uomini che rifiutano la Redenzione

IL PECCATO D'ORGOGLIO


L’orgoglio è lo spirito del mondo che si oppone a Dio. Gesù è venuto per redimere gli uomini, non per condannarli; ma gli uomini che rifiutano la Redenzione sono automaticamente condannati: si condannano con le loro stesse mani 
di Francesco Lamendola  

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La dialettica oppositiva fra il Regno di Dio e il mondo (κόσμοςkósmos), che il Concilio Vaticano II ha preteso di abolire, o meglio, per usare un termine più consono alla sua voluta ambiguità, di “superare”, un concetto che vuol dire tutto e il contrario di tutto, è alla base del Vangelo, svela il senso del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, e fornisce ai cristiani la giusta chiave di lettura della storia umana. Fra Gesù Cristo e il mondo vi è una insuperabile opposizione: o si sta con l’uno, o si sta con l’altro.

 Non è un caso che il diavolo sia chiamato, da san Paolo specialmente, il principe di questo mondo (2 Cor 4,4). E Gesù, addirittura, rivolgendosi al Padre nella sera dell’Ultima Cena, in uno di quei passi evangelici che fanno venire l’orticaria al falso clero modernista che si spaccia indegnamente per cattolico (Gv 17,9): Io prego per loro [ossia per i suoi discepoli]; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi”. Se Gesù si rifiuta di pregare per il mondo, ciò significa che il mondo non è suscettibile di redenzione: in altre parole, che è maledetto, essendo il regno delle tenebre. Se ne facciano una ragione il signor Bergoglio, il quale vorrebbe salvo e beato perfino Giuda Iscariota (benché di lui Gesù abbia detto: sarebbe meglio che non fosse mai nato!), e tutti i neoteologi che attribuiscono a Dio la misericordia assoluta, separandola dalla verità e della giustizia, e prescindendo dal pentimento e dalla conversione del peccatore: no, il mondo non sarà salvato, se non a patto di pentirsi e convertirsi, e di riconoscere che solo Gesù è via, verità e vita. E ciò vale anche per gli atei e per i seguaci delle religioni non cristiane: con buona pace della Nostra aetate, del falso ecumenismo e di tutti quei cattolici, peraltro in buona fede, ma poco coerenti e poco perspicaci (e ce ne sono, eccome se ce ne sono), i quali si ostinano a non vedere né nella Nostra aetate, né nel Concilio in generale, alcun tralignamento dalla retta dottrina e dall’autentico Magistero, nessuna eresia, nessuna rottura rivoluzionaria con ciò che la Chiesa ha sempre insegnato, fino al 1962.

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La dialettica oppositiva fra il Regno di Dio e il mondo, che il Concilio Vaticano II ha preteso di abolire? Fra Gesù Cristo e il mondo vi è una insuperabile opposizione: o si sta con l’uno, o si sta con l’altro!

Del resto, non siamo noi, ma è Gesù Cristo a dirlo, e con la massima chiarezza, non con lo stile volutamente vago e ambiguo, oltreché fastidiosamente mellifluo e zuccheroso che caratterizza tutti i documenti conciliari del Vaticano II (Mt 16,16): Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato. Non che Gesù sia venuto nel mondo per condannarlo; è venuto per salvarlo e non per condannarlo: (cfr. Gv 3,17 e 12,47); ma il fatto è che il mondo non vuole essere salvato, perché si rifiuta di riconoscere Gesù e di convertirsi alla vita di grazia, e per ciò stesso il suo giudizio diviene inevitabile. Per questo Gesù dice anche (Gv 12,47-49): Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. Speriamo, dunque, che il concetto sia sufficientemente chiaro: Gesù è venuto per redimere gli uomini, non per condannarli; ma gli uomini che rifiutano la Redenzione, sono automaticamente condannati; si condannano con le loro stesse mani, a causa del pessimo uso che fanno del dono prezioso del libero arbitrio. Il “mondo”, pertanto, nell’accezione neotestamentaria della parola, non è tutto il mondo, non è il mondo in quanto tale, ma quella parte di umanità che rifiuta Gesù Cristo, e dunque quel mondo che, ferito dalle conseguenze del Peccato originale, non vuol saperne della medicina che potrebbe risanarlo, e preferisce perdersi per un peccato d’orgoglio. Ed è riferendosi a questo mondo di tenebre, maledetto, che Gesù dice ai suoi discepoli, sempre durante l’Ultima Cena (Gv 15, 18-21): Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

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Gesù è venuto per redimere gli uomini, non per condannarli; ma gli uomini che rifiutano la Redenzione, sono automaticamente condannati; si condannano con le loro stesse mani, a causa del pessimo uso che fanno del dono prezioso del libero arbitrio!

Questo preambolo e necessario per mettere bene a fuoco l’oggetto della presente riflessione: come si diventa seguaci di Gesù e come si diventa, invece, suoi nemici. Per essere seguaci di Gesù c’è una sola strada, che all’inizio può sembrare aspra e difficile, ma che poi, mano a mano che la si percorre, appare sempre più dolce e più lieve, come un viale pieno di sole e fiancheggiato da fresche aiole di rose: la rinuncia all’ego, la capacità di spogliarsi del proprio orgoglio e della propria vanità, senza di che non si può raggiungere lo stato di umiltà e quindi in si potrà mai essere dei veri seguaci di Gesù. Ecco dunque quale è la vera essenza del mondo: l’orgoglio, la volontà di vivere alla propria maniera, senza timor di Dio, e senza pensare che tutto ciò che di buono c’è in noi, viene da Lui e non ce lo siamo dati da noi stessi.
Scriveva a questo proposito Benedikt Baur, al secolo Karl Borromäus Baur (Mengen, Baden-Württemberg, 9 dicembre 1877-Beuron, stesso Land, 10 novembre 1963), abate della famosa arciabbazia benedettina di Beuron, teologo, studioso di liturgia, in una delle sue numerose e fecondissime opere di chiarificazione spirituale (da: Benedetto Baur O. S. B., Luce dell’anima, vol. III, Ciclo Pasquale, Il tempo dopo Pentecoste; traduzione dal tedesco delle monache del Monastero di San Paolo in Sorrento, Roma, Orbis Catholicus, 1952, pp. 235-238):
CHI SI ESALTA SARÀ UMILIATO E CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO. Il fariseo e il pubblicano: l’amor proprio che giunge fino a trascurare Dio e a vantarsi di se stesso, e l’amor di Dio che, per Dio e per la verità, fa dimenticare all’uomo se stesso e gli fa porre tutta la sua fiducia nella misericordia e nella bontà di Dio. Orgoglio e umiltà: l’orgoglio è lo spirito del mondo; l’umiltà lo spirito di Cristo e della Chiesa, lo spirito del corpo mistico di Cristo.

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Il “mondo” nell’accezione neotestamentaria della parola, non è tutto il mondo, non è il mondo in quanto tale, ma quella parte di umanità che rifiuta Gesù Cristo, e dunque quel mondo che, ferito dalle conseguenze del Peccato originale, non vuol saperne della medicina che potrebbe risanarlo, e preferisce perdersi per un peccato d’orgoglio!

L’ORGOGLIO È LO SPIRITO DEL MONDO DEI NON CRISTIANI. È orgoglioso chi segue la propria ragione e la propria volontà, chi conosce solo la propria volontà. Per orgoglio l’uomo si distoglie da Dio, si rifiuta di mettere al servizio della sua legge e della sua volontà i talenti, le attitudini, le energie del corpo e della mente che ha ricevuto da lui. Vuol essere padrone di sé e non accetta comandi neanche da Dio.  Qualsiasi peccato ha origine dall’orgoglio, dal rifiuto di sottomettersi a Dio, poiché l’orgoglio prepara il terreno al peccato, poi la soddisfazione di una passione, l’avarizia, la sensualità compiono l’opera. L’orgoglio è il principio, la causa di ogni peccato, la radice di ogni male, è il lievito che infetta quello che c’è di buono nell’uomo ed, estendendosi, lo porta a rovina: è il rande anzi l’unico ostacolo all’unione con Dio. È anche la misura del nostro allontanamento da Dio. Lo spirito del mondo consiste proprio in questo: allontanamento da Dio, amor proprio, vanità. Il mondo può fare a meno di Dio, dell’Uomo-Dio, del Salvatore, della Chiesa, della preghiera e dei sacramenti; crede di essere abbastanza forte e abbastanza abile per manifestarsi puro, paziente, amorevole con le sue sole forze. Questo spirito del mondo, di orgoglio e di vanità s’infiltra purtroppo anche nel santuario della Chiesa, nel cuore dei cristiani,. Hanno rinunziato solennemente al mondo, hanno ricevuto lo Spirito Santo e ciò nonostante sia individualmente che collettivamente c’è in loro tanto rispetto umano, tanta ricerca della lode e del favore degli uomini, degli onori e dell’autorità; sono così indegnamente schiavi dei grandi e dei potenti della terra, capiscono così poco l’umiltà cristiana, lo spirito di Cristo e della sua Chiesa. Tutto spirito del mondo! Come meravigliarci se la vita cristiana in tanti è così malmenata? Se rinneghiamo e sacrifichiamo con tanta facilità i principi e gl’ideali cristiani, se scambiamo quello che c’è di più sacro per un piatto di lenticchie?
L’UMILTÀ È LO SPIRITO DI CRISTO.”Imparate da me” (Matt 11,29). Non a operare miracoli, non a creare i mondi o a risuscitare i morti, ma quest’unica cosa: l’umiltà di cuore. Il mondo non aveva trovato né medico né medicine per il suo male, l’orgoglio, allora egli è venuto e ci ha dato tutti e due nella sua persona. L’orgoglio è un veleno così virulento che può essere neutralizzato solo da un contravveleno potente: la profonda umiliazione del Figlio di Dio. Venendo a noi il Figlio di Dio vuole la sottomissione, la povertà, l’umiltà e sceglie la morte più obbrobriosa e più umiliante, quella della croce. Dio che muore in croce, annientato, rigettato dagli uomini, condannato come l‘ultimo dei malfattori. Ecco l’umiltà di Gesù! L’umiltà è la sostanza del suo piano di redenzione, il compendio di quello che ci ha insegnato con la parola e con l’esempio; è tutta la sua vita, la virtù che gli è propria.  Deve essere perciò anche la virtù propria della Chiesa, del corpo di Cristo e di ogni vero cristiano, membro di Cristo. È il fondamento dell’edificio spirituale e soltanto su di esso le altre virtù poggiano con sicurezza; è la radice e l’origine di ogni bene e di ogni salvezza. Dal progresso nell’umiltà dipende l’accrescimento della grazia e della virtù. Tutto l’edificio della vita di grazia poggia su due colonne: la forza della croce di Cristo e l’operazione dello Spirito Santo. Ma il peso della Croce di Gesù e della vita cristiana può sostenerlo solo chi è ben fondato nell’umiltà e lo Spirito Santo non stabilirà la sua dimora in un’anima che non si è svuotata di se stessa. Perciò l’umiltà è il fondamento sul quale poggia la vita cristiana, soprannaturale: l’umile sottomissione a Dio, il sentirci nulla di fronte a lui sgombrano gli ostacoli che il cuore, traviato dall’orgoglio, oppone alla fede, alla speranza, alla carità e ad ogni altra virtù. “Imparate da me che sono umile di cuore”. Siamo rami di Cristo, la vite Con Paolo ripetiamo: “Posso tutto in colui che mi dà forza” (Filipp. 4,13). Nulla in noi stessi, siamo forti in lui. Tutto quello che possediamo di buono e che di buono possiamo fare proviene da un altro, dalla vite, da Cristo, il capo: “Della pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” (Giov 1,16). Quello che siamo e che possediamo l’abbiamo solo come tralci della vite, come membra di Cristo; a lui ogni onore e gloria. Quanto a noi possiamo vantarci solo “delle nostre infermità” (2 Cor 12,10). “È il medesimo e unico spirito che opera dando a ciascuno in particolare secondo che gli piace” (1 Cor 12,11).

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L’orgoglio è lo spirito del mondo che si oppone a Dio 
di Francesco Lamendola
  
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