Note sull’Anticristo: il diavolo è nei dettagli.
Come spiega Solovev l’Anticristo è estremamente piacevole e sembra Cristo, si sostituisce a lui.
Tutti immaginiamo l’Antricristo come qualcosa di mostruoso, confondendolo in realtà con la Bestia di cui ci parla l’Apocalisse di San Giovanni, o come qualcuno di ultimo e definivo come l’Uomo dell’Iniquità descritto da San Paolo. Queste due figure si chiamano rispettivamente Bestia e Uomo dell’Iniquità, non Anticristo.
In tutto il Nuovo Testamento l’unico punto in cui troviamo la parola Anticristo, anzi Anticristi al plurale, sono le lettere di Giovanni e con questo termine si indicano coloro che, nati all’interno della Chiesa, pur appartenendo alla Chiesa, negano la divinità di Cristo, coloro che si rendono simili a Cristo, che negano il timore di Dio. Il concetto è ripreso da Sant’Agostino che ulteriormente specifica che gli Anticristi, sempre plurali, sono un gruppo di iniqui. Quindi l’Anticristo non è una figura terrificante, non è il figlio della perdizione di cui parla San Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi, non è la Bestia dell’Apocalisse, quella il cui nome deve fare 666 secondo un qualche codice alfanumerico, che appunto è chiamata Bestia. Al contrario, l’Anticristo è “buono”, le sue parole devono sembrare “buone”, talmente buone da potersi sostituire a quelle di Cristo, a cui apparentemente somiglia: per accorgersi della verità bisogna guardare i dettagli.
Il lupo che si traveste da agnello è carino, somiglia a un agnello. E abbaglia come un agnello. Anzi, non un agnello, il più bello degli agnelli. L’Anticristo è travestito, è uno che sembra. È straordinariamente bravo nel sembrare, ma non è un agnello. C’è sempre il dettaglio, l’artiglio che esce da sotto alla falsa pelle, la zanna che per un istante brilla nel sorriso benevolente. E la persona saggia vede quell’artiglio, e cerca di dare l’allarme: è un lupo, svegliatevi, è un lupo, e tutto il coro della folla abbagliata dal mostro lo zittisce. Come potete criticare sempre, state attaccati a quella frase mal pronunciata, a quell’espressione discutibile. Bisogna guardare l’insieme. No, non bisogna guardare l’insieme, bisogna guardare i dettagli perché siamo stati avvertiti che ci saranno lupi travestiti da agnelli, e il lupo travestito da agnello nell’insieme sembra un agnello e anche un agnello particolarmente cordiale e amabile, è il dettaglio dell’artiglio, della zanna che brilla per un istante che ci permette di mettere a fuoco la verità. L’anticristo come spiega Solovev si considera più buono di Cristo, considera Cristo un suo precursore, Cristo ha diviso, lui unirà.
Se l’Anticristo si presentasse con le zanne piene di sangue verrebbe immediatamente identificato come malvagio, e ci sarebbe la produzione di anticorpi. Come fa l’Anticristo a spacciare le sue parole per cristiane? Le immerge nella paffuta misericordia 2.0, fiumi di zucchero filato. Per gli Anticristi niente effetti speciali da film dell’orrore, quindi, niente fine del mondo. Il concetto di Anticristo è quietamente teologico, e ci hanno serenamente dichiarato che ce ne saranno, quindi non ci stupiamo troppo se ce ne sono. Oltre un certo livello di fesseria, una scempiaggine teologica, smette di essere quieta scempiaggine: se nega la divinità di Cristo, se nega il giudizio di Dio diventa un gesto anticristico, ed è assolutamente impossibile pensare alla buona fede. È quindi specificato nel Nuovo Testamento, messo nero su bianco, potete controllare, e confermato da Sant’Agostino, che all’interno della Chiesa si formeranno Anticristi.
In questa terribile quaresima la Messa è finita, siamo rimasti senza Sacramenti. Non era mai successo in duemila anni. Moriamo senza Estrema Unzione. Questo periodo era stato profetizzato dal Profeta Daniele. La stessa chiesa che ci ha negato le Messe si è precipitata a chiudere le chiese quanto ancora erano aperti i bar e le parrucchiere. Ha spacciato la cosa per interesse per la salute pubblica, ma è pura ipocrisia. Alla nuova Chiesa della nostra salute non importa un fico, continua ad avere come unico scopo della sua missione in terra l’ingresso del maggior numero possibile di migranti, indifferente alla tubercolosi, alla scabbia, a Pamela smembrata, a Desireè profanata. C’erano innumerevoli modi di tenere le chiese aperte, che non fossero chiuse prima dei bar, mentre ancora i tabaccai sono aperti.
Nel discorso tenuto da Bergoglio in una Piazza San Pietro deserta, L’ipotesi dell’ira di Dio non è stata presa in considerazione: chiedere perdono è cafone, fa medioevale. Da sempre, davanti alle catastrofi si chiede perdono, e ci si avvicina a Dio. Noi andiamo al tabernacolo, dove è Dio. Ora le chiese sono chiuse. Le chiese sono chiuse e tabaccai sono aperti. La necessità della vicinanza con tabernacolo è giudicata meno angosciante delle sigarette.
La Chiesa in uscita è in caduta libera.
La Messa è finita. Siamo nella follia di un’epidemia e le nostre Chiese sono sprangate e i sacramenti vietati. Le Messe viste attraverso il televisore o attraverso computer hanno lo stesso valore del guardare un documentario del mare rispetto a essere al mare. Mentre discutiamo se le Messe seguite via televisore o computer (una Messa che vedi, non una Messa cui partecipi) abbiano un valore, occorre rilevare che sono terribilmente pericolose. Ci sono due pericoli entrambi gravi, che sono la banalizzazione e la profanazione. Solo persone con una capacità di concentrazione enorme riescono a seguire una Messa dal computer senza distrarsi per rispondere telefono, senza distrarsi a rispondere a qualcuno, senza distrarsi perché hanno bussato. Pochissime persone s’inginocchiano al momento della consacrazione (in effetti, ci stiamo inginocchiando davanti a Cristo o davanti a uno schermo?), la Messa si può seguire, in poltrona, sul divano, ogni tanto interrompendo per controllare la posta. Secondo rischio: volontariamente si possono fare azioni di profanazione durante la consacrazione. La Messa era sacrificio sul Golgota, è diventata mensa dopo il concilio, ora è spettacolo televisivo. Continuano gli sbarchi dei migranti, molto amati dalla Chiesa, che per noi sono una catastrofe sanitaria a fulgida dimostrazione che alla Chiesa della salute del popolo italiano non importa molto, eppure si è precipitata a toglierci la Messa e sprangare le chiese.
Alla Salette, in un’apparizione, la Madonna ha pronunciato la frase Roma diventerà la sede dell’Anticristo. Nel Vangelo è scritto “Voi mi cercherete e non mi troverete: sta descrivendo i nostri tempi come le chiese sprangate. Il Profeta Daniele ha previsto un tempo senza sacrifici, cioè senza Messa, perché la Messa cattolica è un sacrificio, che avrebbe preannunciato all’abominio della desolazione. Cosa c’è stato di più desolato di Bergoglio solo in una piazza. Nessuno ha compilato l’autocertificazione per raggiungere Cristo nel suo tabernacolo. Musica perfetta, fotografia perfetta, la falsa umiltà di tutta la impeccabile sceneggiatura ha abbagliato il mondo e pochi hanno colto i dettaglio, la zampa del lupo. Il dettaglio è la frase Non è tempo del giudizio di Dio, ma del giudizio degli uomini. Queste parole, parole che sembrano belle, sono mostruose. Nel discorso sono state nominate strane colpe, colpe ecologiche, non accogliere ogni africano che desideri caslpestare la nostra terra ed essere mantenuto da noi, ma non è stato nominato l’aborto, la colpa immensa con cui questa società si è condannata a morte, il piccolo naufrago nudo e senza nulla che attraversa il mare salato del ventre di sua madre e trova operatori pagati dallo stato che sminuzzano il suo corpo e lo gettano tra le garze sporche.
Non è tempo del giudizio di Dio, ma del giudizio degli uomini. Ogni istante della storia è il momento del Giudizio di Dio, con questa frase idiota, di un’idiozia sconvolgente, Bergoglio completa l’orrido processo di antropocentrismo comunicato dal Concilio Vaticano II. Dio è fuori dalla storia, il Suo giudizio su di noi non c’è. Resta Cristo, uno strano Cristo allo zucchero filato che dovrebbe salvarci, “svegliati e salvaci ” ha detto Bergoglio, sarebbe cortese se Cristo si svegliasse e ci salvasse, così noi possiamo ricominicare la nostra vita normale, i normali Pride con annessa Madonna Trans, le normali opere teatrali dove si buttano escrementi sul viso di Cristo, le opere d’arte dove si fotograva un crocefisso immerso nell’orine. e soprattutto i normali aborti dove una creatura umana, della stessa forma umana viene smembrata. La parola aborto in questa strampalata cerimonia non è stata nominata, non abbiamo chiesto perdono per aver violato le leggi di Dio, non uccidere, non commettere atti impuri. Non è stato chiesto perdono per l’orrenda idolatria dell’orrida Pachamama, la violazione del primo comandamento, per la riduzione di tutti i sacerdoti allo stato laicale, con l’impossibilità di celebrare la Messa per i fedeli, violazione del terzo comandamento, , di comunicare e confessare. Cristo nei Vangeli esige la nostra fede e il nostro rispettare la Legge per la salvezza, altrimenti sarà il fuuoco della Genna, l’Anticristo è più buono, ci salva tutti gratis, una bella indulgenza plenaria stratosfericamente gratis, senza neanche chiedere un atto di pentimento in cambio, appena Cristo “si sveglia” e ci salva potremo tornare ai nostri aborti e ai nostri pride, che piacciono tanto alla grande italiana Bonino e al grande italiano Pannella, nuove luci della nuova chiesa.
Qualcuno spieghi all’insulsa chiesa allo zucchero filato che l’Ira di Dio è una parte della sua misericordia. Sodoma viene distrutta perché nel fuoco e nel terrore, finalmente i suoi abitanti si pentano e un attimo prima della morte salvino le loro anime chiedendo perdono.
” Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è.” Questa frase può essere considerata anticristica? Questa frase può essere considerata un peccato contro lo spirito. Questa frase pone fine alla religione di Cristo, che esige il rispetto della Legge perché ogni respiro dell’Uomo è sotto il Giudizio di Dio, e apre la porta alla nuova religione mondiale, carina, insulsa e politicamente corretta. Nell’affermare che può esistere un tempo in cui il giudizio di Dio è sospeso, è contraddetta la Bibbia: si realizza la profezia dell’Apocalisse di San Giovanni, la negazione della Parola. Invece di chiedere persono a Dio per aborto e beatificazione della sodomia, si dichiara che il Giudizio di Dio è terminato.
Sulla Piazza di San Pietro c’era un crocifisso. Dietro al crocifisso c’era una telecamera che ha permesso di fare riprese spettacolari dall’alto, con la testa del Crocefisso in primo piano sfuocato e Bergoglio poi a fuoco al centro dell’inquadratura. I miei complimenti al regista. Bergoglio era stato tutto il tempo sotto una tettoia. Il crocefisso è stato lasciato alla pioggia. Un crocefisso ligneo del mille cinquecento, che un Papa pieno di fede aveva contrapposta alla peste nel 15522 fermandola, che si era miracolosamente salvato da un incendio, è stato lasciato alla pioggia, che lo ha danneggiato irrimediabilmente. La vernice si è sciolta sembrando sangue. Il crocefisso si è rovinato. Tra i santi padri in vaticano non ce n’è nemmeno uno abbastanza intelligente da capire che un Crocefisso ligneo alla pioggia si rovina? L’episodio è davvero stato una esempio di abissale dabbenaggine? Possiamo veramente credere alla buona fede? Al cretino di turno che si permette di dire l’idiozia di turno, è cioè che il crocefisso era solo un pezzo di legno, ricordo il significato del linguaggio simbolico, in contrapposizione a diabolico, che i martiri giapponesi si facevano torturare a morte pur di non calpestare l’effige di Cristo (un pezzo di pergamena, secondo gli astuti) e che innumerevoli martiri sono morti tra atroci sofferenze per non distruggere simboli cristiani, per non bruciare incenso davanti a stature degli dei (un qualsiasi pezzo di marmo)
Il fumo di satana già avvistato all’interno del Vaticano da Paolo VI, sembra che ci abbia fatto il nido, e che stia anche tirando su dei piccoli. Non è più solo il fumo. I Nemico è dentro le porte. Un nemico travestito da agnello.
BY SILVANA DE MARI
https://www.silvanademaricommunity.it/2020/04/02/anticristo/Dalla peste al coronavirus, le pandemie spiegate in un libro
Nel 2005 Paolo Gulisano dava alle stampe un agile volume dal titolo Pandemie. Dalla peste all’aviaria. Era infatti un momento in cui si parlava molto dell’Influenza aviaria, l’influenza dei polli, che era attesa come una sorta di Peste del 2000. Si trattò di una minaccia-fantasma, e l’autore (medico epidemiologo e scrittore) colse l’occasione per parlare della storia delle epidemie. Dalle citazioni della Bibbia alle descrizioni di Tucidide e Lucrezio, dalla «morte nera» medievale fino alla peste del ’600, per giungere infine al ’900 con le speranze suscitate da una scienza medica che sembrava destinata a trionfare su virus e batteri grazie a farmaci e vaccini, ma che si ritrova oggi ad affrontare nuovi ed inquietanti pericoli, la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l’uomo e i virus. Questo libro è stato oggi riaggiornato (Pandemie. Dalla peste al coronavirus: storia, letteratura, medicina, Editrice Ancora Milano Pag 140 euro 9,99 Ebook) e ripercorre la lunga battaglia che l’uomo combatte da secoli contro le malattie contagiose, le pesti di ieri e i virus misteriosi di oggi, compreso il Coronavirus.
Prima di tutto, cosa sono le Pandemie di cui si parla nel libro?
Con questo termine si definisce una epidemia (ovvero una malattia che colpisce una collettività di persone) che colpisce un’area geografica di vaste propor zioni. Affinché si sviluppi un’epidemia è necessario che il processo di contagio tra le persone sia abbastanza facile. Epidemie e pandemie sono dunque manifestazioni collettive di una determinata malattia, con implicazioni sociali significative. Il termine pandemia si applica solo a malattie o condizioni patologiche contagiose.
Con questo termine si definisce una epidemia (ovvero una malattia che colpisce una collettività di persone) che colpisce un’area geografica di vaste propor zioni. Affinché si sviluppi un’epidemia è necessario che il processo di contagio tra le persone sia abbastanza facile. Epidemie e pandemie sono dunque manifestazioni collettive di una determinata malattia, con implicazioni sociali significative. Il termine pandemia si applica solo a malattie o condizioni patologiche contagiose.
Sono le malattie più pericolose?
Nell’Occidente contemporaneo la mortalità dovuta a malattie infettive, ossia trasmissibili, è inferiore all’uno per cento. Di fatto si muore per malattie cronico-degenerative, come i disturbi cardiocircolatori, le malattie respiratorie, i tumori. Gli incidenti costituiscono la prima causa di morte tra i giovani al di sotto dei venticinque anni, seguita al secondo posto dai suicidi. Questo è ciò per cui si muore oggi in Italia, in Europa e nel mondo occidentale. Eppure nessun dato sulla mortalità da tumori, da infarti, da ischemie cerebrali o da incidenti del traffico è in grado di determinare il panico collettivo suscitato dalla sola possibilità che ci si possa ammalare di una malattia infettiva, e quello che sta accadendo col Coronavirus lo conferma.
Nell’Occidente contemporaneo la mortalità dovuta a malattie infettive, ossia trasmissibili, è inferiore all’uno per cento. Di fatto si muore per malattie cronico-degenerative, come i disturbi cardiocircolatori, le malattie respiratorie, i tumori. Gli incidenti costituiscono la prima causa di morte tra i giovani al di sotto dei venticinque anni, seguita al secondo posto dai suicidi. Questo è ciò per cui si muore oggi in Italia, in Europa e nel mondo occidentale. Eppure nessun dato sulla mortalità da tumori, da infarti, da ischemie cerebrali o da incidenti del traffico è in grado di determinare il panico collettivo suscitato dalla sola possibilità che ci si possa ammalare di una malattia infettiva, e quello che sta accadendo col Coronavirus lo conferma.
Perché l’uomo teme tanto le malattie trasmesse da virus?
Perché non ne conosce l’origine, perché evoca paure antichissime, ancestrali. Nel mio libro ho cercato di rispondere a questa e altre domande: cosa realmente è accaduto nella storia, e perché nel 2000 terzo millennio le malattie trasmissibili rappresentano ancora una minaccia così sconvolgente? Sono interrogativi che ci si deve porre, che è inevitabile porsi in particolare quando ci si ricorda che nella storia si sono verificate numerose pandemie, dagli esiti culturali e sociali spesso gravi e imprevedibili. Non parliamo solo delle memorabili pestilenze dell’antichità, ma anche di eventi molto vicini a noi, fra cui la celebre Influenza spagnola del 1918, e di minacce recentissime se non addirittura ancora incombenti, come l’AIDS, la tubercolosi, i virus africani. Oggi è il Coronavirus che ha scatenato un’autentica psicosi collettiva, come ho potuto constate direttamente sul campo. Ho visto persone terrorizzate, probabilmente anche a causa di una strategia comunicativa fatte dalle Istituzioni che in un primo tempo non ha fornito con chiarezza le indicazioni preventive da attuare, e poi ha trasmesso paura allo scopo di obbligare le persone ad osservare le misure costrittive di isolamento.
Perché non ne conosce l’origine, perché evoca paure antichissime, ancestrali. Nel mio libro ho cercato di rispondere a questa e altre domande: cosa realmente è accaduto nella storia, e perché nel 2000 terzo millennio le malattie trasmissibili rappresentano ancora una minaccia così sconvolgente? Sono interrogativi che ci si deve porre, che è inevitabile porsi in particolare quando ci si ricorda che nella storia si sono verificate numerose pandemie, dagli esiti culturali e sociali spesso gravi e imprevedibili. Non parliamo solo delle memorabili pestilenze dell’antichità, ma anche di eventi molto vicini a noi, fra cui la celebre Influenza spagnola del 1918, e di minacce recentissime se non addirittura ancora incombenti, come l’AIDS, la tubercolosi, i virus africani. Oggi è il Coronavirus che ha scatenato un’autentica psicosi collettiva, come ho potuto constate direttamente sul campo. Ho visto persone terrorizzate, probabilmente anche a causa di una strategia comunicativa fatte dalle Istituzioni che in un primo tempo non ha fornito con chiarezza le indicazioni preventive da attuare, e poi ha trasmesso paura allo scopo di obbligare le persone ad osservare le misure costrittive di isolamento.
Hai scritto che la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l’uomo e i virus, che sono prodotti di una Natura che oggi viene sempre più idolatrata.
Esattamente. Non è un caso che si cerchi sempre di trovare una causa “artificiale”. Si è ipotizzato che potesse trattarsi di un virus uscito da un laboratorio militare, opera quindi della manipolazione della Natura. Scienziati seri e accreditati ci dimostrano invece che questo virus è assolutamente naturale, nella sua origine. Semplicemente ha fatto un salto di specie, passando dagli animali all’uomo. Tutte le grandi pestilenze che hanno afflitto l’umanità nel corso dei secoli venivano da una Natura che in fondo non è poi così benigna e buona come asseriscono gli idolatri dell’ecologismo.
Esattamente. Non è un caso che si cerchi sempre di trovare una causa “artificiale”. Si è ipotizzato che potesse trattarsi di un virus uscito da un laboratorio militare, opera quindi della manipolazione della Natura. Scienziati seri e accreditati ci dimostrano invece che questo virus è assolutamente naturale, nella sua origine. Semplicemente ha fatto un salto di specie, passando dagli animali all’uomo. Tutte le grandi pestilenze che hanno afflitto l’umanità nel corso dei secoli venivano da una Natura che in fondo non è poi così benigna e buona come asseriscono gli idolatri dell’ecologismo.
E la storia della Medicina è lì a dimostrarlo…
Infatti. Una storia fatta anche di casi di cui si è persa memoria, anti- che micidiali e misteriose epidemie come quella che colpì l’Inghilterra nel XVI secolo, chiamata «malattia del sudore», un morbo più temibile della stessa peste bubbonica, che uccideva chi ne rimaneva colpito nel giro di poche ore. Moltissime sono le epidemie di cui restano testimonianze storiche, ma delle quali è impossibile identificare l’eziologia, ossia l’origine, il microrganismo responsabile. Questi virus killer sono scomparsi, si sono estinti, o potrebbero tornare a colpire, magari mutati geneticamente? Le pandemie sono un problema reale. Non potremo mai sapere esattamente in che misura abbiano segnato l’umanità più antica, anche se le prime testimonianze scritte a noi pervenute tracciano dei quadri terribili e desolanti.
Infatti. Una storia fatta anche di casi di cui si è persa memoria, anti- che micidiali e misteriose epidemie come quella che colpì l’Inghilterra nel XVI secolo, chiamata «malattia del sudore», un morbo più temibile della stessa peste bubbonica, che uccideva chi ne rimaneva colpito nel giro di poche ore. Moltissime sono le epidemie di cui restano testimonianze storiche, ma delle quali è impossibile identificare l’eziologia, ossia l’origine, il microrganismo responsabile. Questi virus killer sono scomparsi, si sono estinti, o potrebbero tornare a colpire, magari mutati geneticamente? Le pandemie sono un problema reale. Non potremo mai sapere esattamente in che misura abbiano segnato l’umanità più antica, anche se le prime testimonianze scritte a noi pervenute tracciano dei quadri terribili e desolanti.
Ci attende un futuro di terrore? Vivremo nell’ansia di nuove pandemie?
La preoccupazione circa future pandemie, nonostante tutto, resta alta. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la più importante autorità scientifica e organizzativa preposta al controllo delle malattie e alla promozione della salute, le condizioni perché si possa verificare una pandemia propriamente detta sono tre: la comparsa di un nuovo agente patogeno; la capacità di tale agente di colpire gli uomini, creando gravi patologie; la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio.
La preoccupazione circa future pandemie, nonostante tutto, resta alta. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la più importante autorità scientifica e organizzativa preposta al controllo delle malattie e alla promozione della salute, le condizioni perché si possa verificare una pandemia propriamente detta sono tre: la comparsa di un nuovo agente patogeno; la capacità di tale agente di colpire gli uomini, creando gravi patologie; la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio.
Il Coronavirus ha le caratteristiche per essere ritenuto tale?
Ancora non possiamo dirlo. Siamo entrati in un clima di incertezza. Da anni gli esperti avvisavano sull’arrivo di una possibile grande Pandemia, la “Big One”. Le autorità sanitarie dei vari Paesi occidentali si sono sempre dette convinte di essere pronte a fronteggiare l’emergenza, ma ora queste certezze sono venute meno. A complicare le cose c’è il fatto che, rispetto al passato, assistiamo oggi, con gli attuali mezzi di trasporto, a spostamenti quanto mai rapidi di persone potenzialmente infette, in grado di veicolare il virus in ogni continente, diffondendo il contagio con una rapidità e vastità inusitate. Le pandemie dunque sono un problema reale: uno spettro che si aggira per il mondo, che occorre imparare a fronteggiare ma senza catastrofismi e senza utilizzare il pretesto della malattia per soffocare, limitare o addirittura cancellare i diritti e le libertà personali.
Ancora non possiamo dirlo. Siamo entrati in un clima di incertezza. Da anni gli esperti avvisavano sull’arrivo di una possibile grande Pandemia, la “Big One”. Le autorità sanitarie dei vari Paesi occidentali si sono sempre dette convinte di essere pronte a fronteggiare l’emergenza, ma ora queste certezze sono venute meno. A complicare le cose c’è il fatto che, rispetto al passato, assistiamo oggi, con gli attuali mezzi di trasporto, a spostamenti quanto mai rapidi di persone potenzialmente infette, in grado di veicolare il virus in ogni continente, diffondendo il contagio con una rapidità e vastità inusitate. Le pandemie dunque sono un problema reale: uno spettro che si aggira per il mondo, che occorre imparare a fronteggiare ma senza catastrofismi e senza utilizzare il pretesto della malattia per soffocare, limitare o addirittura cancellare i diritti e le libertà personali.
Coronavirus il delitto perfetto (ASCOLTATELO PRIMA CHE ME LO BLOCCHINO)
Stiamo vivendo un mondo che se non rimaniamo legati a Dio si finisce di fare la fine di quelli dei videogiochi
Enzina Pasquali
«Non sarà più come prima»: ce lo auguriamo
Non ho le competenze per valutare le misure anti Covid_19, e francamente credo che anche i tanti che ne parlano seguono più dei pareri che delle autentiche e motivate ragioni. Ma non vedo qui il problema, anche se, di fronte a tante variegate posizioni, mi rende sospettoso il tacciare di «fake news» coloro che hanno opinioni diverse. Sì, perché con questa storia si vuole mettere il bavaglio alle idee, e questo può dare inizio a un brutto periodo per la libertà, la democrazia, il rispetto di ogni uomo, cancellando ciò che costituisce la grande conquista della civiltà dopo le tragedie del nazismo e del comunismo. E per chi ha anche solo un po’ di memoria storica (e non bastano le ripetute Giornate della Memoria, per ridestare una coscienza attuale, non per identificare come nemici realtà differenti) sarebbe ottima cosa scoprire e denunciare le radici (quelle sì ancora attuali) di una cultura che ha generato le diverse forme di totalitarismo.
Vorrei però fermarmi a considerare un aspetto che, se da un lato tocca giustamente i credenti, i cattolici in particolare, dall’altro deve fare riflettere tutti coloro che amano la libertà dell’uomo, non solo quella privata, ma le sue caratteristiche civili.
Prendo in considerazione la questione della Messa soprattutto in questi giorni della Settimana Santa, tema dibattuto sia a livello politico (in Italia l’On. Salvini ne ha fatto oggetto di una richiesta pubblica) come religioso (abbiamo ascoltato da poco le considerazioni di due Cardinali: il Presidente della CEI Bassetti, e il Vescovo di Bologna, Zuppi).
In più, abbiamo ascoltato Bill Gates, che addirittura vorrebbe escludere tutti i cattolici dal livello pubblico della vita finché non saranno tutti vaccinati, come le esternazioni di Fiorello, per cui per essere fedele non è necessario andare in chiesa, perché si può pregare anche andando in bagno…
Personalmente mi pongo questa semplice domanda: ci rendiamo conto delle conseguenze di quanto affermiamo? Perché se la salute diventa il bene primario (e non conta che questo implichi pure il diritto assoluto di uccidere il bimbo che una madre si porta in grembo se ha deciso di abortire) e se tutti si sentono in diritto di definire ciò che è essenziale per essere un buon credente, trasformando i gesti della fede in optionals da sacrificare in nome di una salute pubblica diventata unico criterio di valore, ci rendiamo conto che qualcosa, nella mentalità e nel costume sta cambiando? E se cambia, ci chiediamo se verso un bene maggiore o cancellando quelle conquiste di civiltà che ci hanno reso fieri dei tempi in cui viviamo?
Beninteso, non che tutto, prima del Coronavirus, andasse bene: la cultura dello scarto, la onnipotenza del denaro e della finanza, la corruzione dei costumi e la dissoluzione della famiglia (chiamata «tradizionale», con una vena di disprezzo per chi la considera ostinatamente formata da un uomo e una donna), l’assenza di un dialogo costruttivo nel campo della educazione e della vita sociale, uno statalismo sempre più invadente, sono tutti fattori che ci chiedono non di ritornare a uno status quo ante, ma di costruire un cammino migliore nella cultura e nella convivenza.
Il clima di sospetto e di delazione, da un lato, e il superficiale ottimismo dall’altro, certo non lasciano presagire buoni risultati.
Mentre la capacità di sacrificio di tante persone (e non solo nel campo medico) e la creatività sociale e comunicativa, unita a forme commoventi di gratuità fanno sperare che si apra una nuova stagione: appunto quel «cambiamento d’epoca» vissuto non più con lo sguardo impotente di chi rinuncia ai principi che lo hanno sostenuto finora per abbracciare un mutamento senza effettive ragioni, ma vissuto come l’alba di una umanità che, ritrovando le radici autentiche nella tradizione umanistica e cristiana che ci hanno donato eroi e santi, sa vivere il presente come occasione di una ripresa autenticamente umana.
Allora credo che, invece che fermarci a sostenere gli inviti (doverosi) alla prudenza e ai sacrifici necessari, sarebbe buona cosa aprire una strada di bene e di riflessione critica, perché capace di leggere i segni dei tempi. Non è certo di prediche né di moralismi acritici ciò di cui abbiamo bisogno.
E questo lavoro si potrà fare insieme, mettendosi all’opera riconoscendo i valori comuni e le potenzialità di ciascuno, secondo questa bellissima immagine di uno scrittore russo, che ha attraversato le tragedie dei lager e le ha raccontate indicando traguardi di speranza.
«Come viene aperta una strada nella neve vergine?
Un uomo avanza per primo, sudando e imprecando, muove con difficoltà una gamba poi l’altra, e sprofonda ad ogni passo nello spesso manto cedevole.
L’uomo è sempre più lontano e nere buche irregolari segnano il suo cammino. Stanco, si allunga sulla neve, accende una sigaretta e il fumo della machorka si espande lentamente in una piccola nuvola azzurrina sopra la bianca neve scintillante. L’uomo è già andato oltre, ma la nuvoletta resta sospesa là dove si era fermato a riposare: l’aria è quasi immobile. Per aprire una strada si scelgono sempre delle giornate calme, affinché i venti non spazzino via le opere degli uomini.
L’uomo sceglie da sé i punti di riferimento nell’infinità nevosa: una roccia, un albero alto, e come il timoniere che conduce la barca lungo il fiume, da un promontorio all’altro, così l’uomo sposta il suo corpo attraverso la neve. Sulla pista stretta e labile che ha segnato avanzano, spalla contro spalla, cinque o sei uomini.
Tutti posano il piede non nella traccia ma accanto ad essa.
Quando raggiungono un punto convenuto in precedenza, fanno dietro front e ritornano sui propri passi, sempre badando a calpestare la neve intatta, là dove l’uomo non ha ancora posato il suo piede. La via è tracciata. Altre persone, e slitte e trattori possono percorrerla.
Se si camminasse, passo dopo passo, nella traccia del primo, si otterrebbe un cammino visibile ma stretto e a stento praticabile, un sentiero e non una strada, delle buche nelle quali arrancare ancora più faticosamente che nella neve vergine. Per il primo la fatica è maggiore che per tutti gli altri e quando non ce la fa più uno del quintetto di testa passa avanti.
Ognuno di quelli che seguono la traccia, anche il più piccolo, il più debole, deve posare il piede su di un lembo di neve vergine e non nella traccia di un altro.
Quanto ai trattori e ai cavalli, non sono per gli scrittori, ma per i lettori.» (Varlam Tichonovic Šalamov, I racconti della Kolyma)
Vorrei però fermarmi a considerare un aspetto che, se da un lato tocca giustamente i credenti, i cattolici in particolare, dall’altro deve fare riflettere tutti coloro che amano la libertà dell’uomo, non solo quella privata, ma le sue caratteristiche civili.
Prendo in considerazione la questione della Messa soprattutto in questi giorni della Settimana Santa, tema dibattuto sia a livello politico (in Italia l’On. Salvini ne ha fatto oggetto di una richiesta pubblica) come religioso (abbiamo ascoltato da poco le considerazioni di due Cardinali: il Presidente della CEI Bassetti, e il Vescovo di Bologna, Zuppi).
In più, abbiamo ascoltato Bill Gates, che addirittura vorrebbe escludere tutti i cattolici dal livello pubblico della vita finché non saranno tutti vaccinati, come le esternazioni di Fiorello, per cui per essere fedele non è necessario andare in chiesa, perché si può pregare anche andando in bagno…
Personalmente mi pongo questa semplice domanda: ci rendiamo conto delle conseguenze di quanto affermiamo? Perché se la salute diventa il bene primario (e non conta che questo implichi pure il diritto assoluto di uccidere il bimbo che una madre si porta in grembo se ha deciso di abortire) e se tutti si sentono in diritto di definire ciò che è essenziale per essere un buon credente, trasformando i gesti della fede in optionals da sacrificare in nome di una salute pubblica diventata unico criterio di valore, ci rendiamo conto che qualcosa, nella mentalità e nel costume sta cambiando? E se cambia, ci chiediamo se verso un bene maggiore o cancellando quelle conquiste di civiltà che ci hanno reso fieri dei tempi in cui viviamo?
Beninteso, non che tutto, prima del Coronavirus, andasse bene: la cultura dello scarto, la onnipotenza del denaro e della finanza, la corruzione dei costumi e la dissoluzione della famiglia (chiamata «tradizionale», con una vena di disprezzo per chi la considera ostinatamente formata da un uomo e una donna), l’assenza di un dialogo costruttivo nel campo della educazione e della vita sociale, uno statalismo sempre più invadente, sono tutti fattori che ci chiedono non di ritornare a uno status quo ante, ma di costruire un cammino migliore nella cultura e nella convivenza.
Il clima di sospetto e di delazione, da un lato, e il superficiale ottimismo dall’altro, certo non lasciano presagire buoni risultati.
Mentre la capacità di sacrificio di tante persone (e non solo nel campo medico) e la creatività sociale e comunicativa, unita a forme commoventi di gratuità fanno sperare che si apra una nuova stagione: appunto quel «cambiamento d’epoca» vissuto non più con lo sguardo impotente di chi rinuncia ai principi che lo hanno sostenuto finora per abbracciare un mutamento senza effettive ragioni, ma vissuto come l’alba di una umanità che, ritrovando le radici autentiche nella tradizione umanistica e cristiana che ci hanno donato eroi e santi, sa vivere il presente come occasione di una ripresa autenticamente umana.
Allora credo che, invece che fermarci a sostenere gli inviti (doverosi) alla prudenza e ai sacrifici necessari, sarebbe buona cosa aprire una strada di bene e di riflessione critica, perché capace di leggere i segni dei tempi. Non è certo di prediche né di moralismi acritici ciò di cui abbiamo bisogno.
E questo lavoro si potrà fare insieme, mettendosi all’opera riconoscendo i valori comuni e le potenzialità di ciascuno, secondo questa bellissima immagine di uno scrittore russo, che ha attraversato le tragedie dei lager e le ha raccontate indicando traguardi di speranza.
«Come viene aperta una strada nella neve vergine?
Un uomo avanza per primo, sudando e imprecando, muove con difficoltà una gamba poi l’altra, e sprofonda ad ogni passo nello spesso manto cedevole.
L’uomo è sempre più lontano e nere buche irregolari segnano il suo cammino. Stanco, si allunga sulla neve, accende una sigaretta e il fumo della machorka si espande lentamente in una piccola nuvola azzurrina sopra la bianca neve scintillante. L’uomo è già andato oltre, ma la nuvoletta resta sospesa là dove si era fermato a riposare: l’aria è quasi immobile. Per aprire una strada si scelgono sempre delle giornate calme, affinché i venti non spazzino via le opere degli uomini.
L’uomo sceglie da sé i punti di riferimento nell’infinità nevosa: una roccia, un albero alto, e come il timoniere che conduce la barca lungo il fiume, da un promontorio all’altro, così l’uomo sposta il suo corpo attraverso la neve. Sulla pista stretta e labile che ha segnato avanzano, spalla contro spalla, cinque o sei uomini.
Tutti posano il piede non nella traccia ma accanto ad essa.
Quando raggiungono un punto convenuto in precedenza, fanno dietro front e ritornano sui propri passi, sempre badando a calpestare la neve intatta, là dove l’uomo non ha ancora posato il suo piede. La via è tracciata. Altre persone, e slitte e trattori possono percorrerla.
Se si camminasse, passo dopo passo, nella traccia del primo, si otterrebbe un cammino visibile ma stretto e a stento praticabile, un sentiero e non una strada, delle buche nelle quali arrancare ancora più faticosamente che nella neve vergine. Per il primo la fatica è maggiore che per tutti gli altri e quando non ce la fa più uno del quintetto di testa passa avanti.
Ognuno di quelli che seguono la traccia, anche il più piccolo, il più debole, deve posare il piede su di un lembo di neve vergine e non nella traccia di un altro.
Quanto ai trattori e ai cavalli, non sono per gli scrittori, ma per i lettori.» (Varlam Tichonovic Šalamov, I racconti della Kolyma)
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