Andare lo stesso a Messa: la Chiesa non tratti con lo Stato
La Cei proseguirà la trattativa sulle Messe mentre Lombardia e Friuli cercano soluzioni: in tutti i casi la Chiesa andrà col cappello in mano. Condivisibile il ricorso al Tar, ma non sarà risolutivo. Appellarsi alla libertà di culto non è sufficiente: la politica considera tutto diritto soggettivo. Che fare? I vescovi dicano ai fedeli di andare lo stesso a Messa, applicando le misure di sicurezza. La Chiesa non deve chiedere allo Stato il permesso. O è autonoma dal potere o non è.
Nel suo comunicato di domenica scorsa 26 aprile, la Conferenza episcopale italiana (CEI) ha reagito stizzita contro l’esclusione governativa della riprese delle Messe con popolo nella Fase 2 delle politiche per il coronavirus. A questo punto si prospettano varie strade da percorrere:
Il Segretario della CEI continuerà probabilmente la trattativa col governo per ottenere qualche concessione. Nel frattempo alcune regioni del Nord come Friuli Venezia Giulia e Lombardia stanno cercando soluzioni regionali che però inevitabilmente confliggeranno con il governo centrale. Il Centro Studi Livatino ha annunciato il ricorso al TAR contro il decreto del Presidente del Consiglio. Le prime due strade non sono che richieste col cappello in mano di una concessione del potere politico. La terza è condivisibile, ma non è risolutiva perché il TAR anche se desse ragione alla Chiesa lo farebbe dall’interno delle sue motivazioni e non di quelle della Chiesa.
Questa, invece, ha bisogno di far valere un proprio diritto e anche le giustificazioni che essa pone a fondamento di quel diritto. O la Chiesa è autonoma dal potere secolare, e quindi titolare di una originaria facoltà di giurisdizione nel campo che le è essenziale o non lo è. Nessun potere politico può impedire la Messa, anche se può regolare i comportamenti dei cittadini che vanno a messa.
Il motivo principale addotto dai vertici CEI per la necessità di ripristinare la celebrazione delle sante messe è il diritto alla libertà di culto, garantita anche dalla Costituzione. Anche mons. D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, ha detto che tale libertà è un diritto inviolabile. Si tratta però di vedere se questo motivo sia sufficiente per una richiesta del genere. La mia idea è che non sia sufficiente e che la debolezza che la Chiesa italiana ha dimostrato in tutta questa fase delle limitazioni per il coronavirus, abbia origine proprio da questo punto: non sempre i vertici episcopali sanno su cosa fondare le loro pretese, e quindi vi rinunciano, oppure le indeboliscono al rango di semplici richieste. La Chiesa non deve chiedere allo Stato il permesso di celebrare la messa, può e deve recepire le esigenze di sicurezza sanitaria disposte dall’autorità preposta al bene comune temporale, ma non chiedere il suo permesso. Ora, appellarsi al diritto alla libertà di culto non è giustificazione sufficiente per sostenere questa pretesa della Chiesa.
Secondo la cultura giuridica e politica di oggi la libertà di culto è un diritto soggettivo, non fondato su un diritto naturale, ma un diritto del singolo cittadino che lo Stato deve garantire senza chiedersi se sia giustificato da un diritto oggettivo e naturale. Anche il diritto delle Femen ad interrompere le messe profanandole è stato riconosciuto come un diritto al culto e nessuna di esse è mai stata punita. Oggi si può bestemmiare in piazza e nessuno può dire nulla. Per questo c’è il diritto al culto cattolico, ma anche il diritto al culto non-cattolico, al culto new-age, alla chiesa di satana, c’è il diritto al culto vegano della Madre Terra e c’è quello dell’oroscopo. Come c’è il diritto all’ateismo e all’agnosticismo, oppure il culto del nulla di chi chiede l’eutanasia legale per qualsiasi motivo, ossia senza motivo. Se la Messa si fonda su un diritto soggettivo anche qualsiasi limitazione o impedimento alla messa che si fondasse su un diritto soggettivo avrebbe uguale titolo di riconoscimento del potere politico.
Se tutto si fonda sui diritti soggettivi, allora il potere politico potrà impedire alla Chiesa di manifestare in pubblico propri insegnamenti non rispettosi di diritti soggettivi riconosciuti dallo Stato a norma di Costituzione. Quando Ratzinger prevedeva che alla Chiesa sarebbe stato impedito di insegnare la sua dottrina sull’omosessualità, intendeva proprio questo: essendo l’omosessualità considerata un diritto soggettivo e come tale contemplata dalla legge e difesa dalla politica, insegnare altre visioni contrarie significa non rispettare un diritto soggettivo. Anche i cosiddetti “nuovi diritti” sono diritti soggettivi e se la celebrazione della Messa è motivata sulla base di un diritto soggettivo alla libertà di culto, finisce per essere equiparata ad essi: tutto fa brodo nel minestrone dei diritti soggettivi.
La pretesa della Chiesa di celebrare la Messa e di avere la giurisdizione suprema in questo campo non si fonda su un diritto del cittadino ma sul diritto della Chiesa. Il diritto della Chiesa è autonomo e distinto da quello dello Stato e quest’ultimo non può interferire in quello, cosa che il governo Conte ha fatto ampiamente. La Chiesa guarda in faccia lo Stato, non lo vede dal punto di vista del diritto di culto dei cittadini. Anche se tutti i cittadini italiani non andassero più a Messa la Chiesa avrebbe lo stesso i suoi diritti sulla Messa. Se essa accetta che il suo riconoscimento da parte dello Stato passi attraverso il diritto soggettivo alla libertà di culto non viene accettata per se stessa, semmai viene tollerata. Ma per la Chiesa essere tollerata è troppo poco.
La CEI, a questo punto, dovrebbe dire ai fedeli di andare lo stesso a Messa, nonostante il divieto, applicando alla lettera le misure di sicurezza previste. Ma per farlo non può poggiarsi su un semplice diritto soggettivo al culto, deve avere il coraggio di recuperare e poi di porre il diritto della Chiesa di fronte al potere politico di essere legislatrice assoluta nelle cose sacre. La posizione della CEI è inguaiata proprio dal suo appello alla libertà di culto: creduto sufficiente, in realtà può rivelarsi una trappola.
Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/andare-lo-stesso-a-messa-la-chiesa-non-tratti-con-lo-stato
No ai fedeli a Messa, pregiudizio senza scienza
Sul divieto di Messa con popolo, il Comitato Tecnico Scientifico - ormai trasformatosi in Comitato di Salute Pubblica - dimostra di non avere idea di cosa sono le chiese e di come affluiscono i fedeli, mostrando un'intolleranza che non ha nulla di scientifico.
Conte in collegamento con il Comitato tecnico scientifico
Domenica sera, ore 18: il consueto briefing della Protezione Civile con la stampa ha delle straordinarie novità. Sono stati registrati dei valori da record: schizzano a 3.033 i guariti. Positivo è pure il rapporto tra i tamponi eseguiti (66.658) e i pazienti positivi (2.646) pari al 3,9%, mai un dato così basso, tanto che il capo del Dipartimento Angelo Borrelli apre il bollettino della Protezione civile sottolineando che per la prima volta i "numeri sono particolarmente confortanti" perché "il numero di dimessi e guariti supera il numero di nuovi casi".
In quattro regioni (Basilicata, Calabria, Valle d'Aosta e Umbria) non si è registrato nessun morto, mentre in Molise e nella provincia di Trento c'è solo una vittima. Tre settimane fa, all’apice dell’epidemia, c’erano in terapia intensiva 4.068 persone; oggi sono 2.267. Una curva che continua a scendere e che si evidenzia nella regione più colpita, la Lombardia.
Un’ora e mezzo dopo questa conferenza stampa, si presenta davanti alle telecamere Giuseppe Conte, e contro ogni attesa gela gli italiani. Non commenta in alcun modo questo trend confortante, non spende una parola per dire che il prodigarsi dei medici ha portato a notevoli successi, soprattutto rispetto alle possibilità terapeutiche, che spiegano il numero di guariti. No: per Conte - da un punto di vista strettamente sanitario - nulla è cambiato rispetto alla fine di febbraio. Siamo sempre sotto assedio da parte del Covid, non dobbiamo uscire di casa, dobbiamo aspettare che passi ‘a nuttata. Certo: alcuni settori possono riprendere subito, ma altri assolutamente no. Tra questi, le “attività religiose”, ovvero la Messa. C’è il contentino dei funerali con 15 persone, ma per il resto rimangono le proibizioni da regime messicano degli Anni ’20. E di fronte alle proteste della Conferenza Episcopale, viene opposto un muro.
"Criticità ineliminabili" rendono impossibile la riapertura, già dal 4 maggio, delle funzioni religiose secondo gli esperti (Conte li chiama “scienziati”) del Comitato Tecnico Scientifico. In particolare il comitato ritiene che "la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose comporta, allo stato attuale alcune criticità ineliminabili che includono lo spostamento di un numero rilevante di persone e i contatti ravvicinati durante l'Eucarestia".
A partire dal 4 maggio quindi e "per le successive tre settimane", sostengono gli esperti, "non essendo ancora prevedibile l'impatto che avranno le riaperture parziali e il graduale allentamento delle misure attualmente in vigore sulle dinamiche epidemiche, il CTS reputa prematuro prevedere la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose". Un parere, fanno notare però, che potrà essere rivisto "a partire dal 25 maggio nella direzione di una previsione verso la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose, rispettando rigorosamente le misure di distanziamento sociale sulla base degli andamenti epidemiologici".
Il Comitato di Salute Pubblica che ha preso il posto dei Ministri, del Governo, del Parlamento, sembra avere un’idea dei fedeli che si recano ad una Messa come dei tifosi di calcio che vanno alla partita: folle che si accalcano alle porte, “contatti ravvicinati” durante la funzione. Mostrano di non avere nessuna considerazione di quelle che sono le indicazioni di sicurezza che sarebbero date dalla Chiesa stessa ai fedeli, e sottostimano ampiamente il senso di responsabilità dei fedeli stessi. Non si capisce perché tale responsabilità dovrebbe essere inferiore a quella degli operai o degli addetti del settore edile o manifatturiero che sta per riaprire nei prossimi giorni, o di chi prende il bus o il treno.
La libertà religiosa nel nostro Paese è dunque nelle mani di questo “comitato”, un cenacolo di tecnici creato con un’ordinanza del capo dipartimento della Protezione Civile del 3 febbraio, poi istituito per decreto del commissario per l’emergenza Borrelli. Nel comitato siedono dirigenti che già fanno parte della pubblica amministrazione, tra cui un volto già noto al pubblico come il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il direttore generale dell’Aifa, altri manager del Ministero della Salute, dell’Inail e della Protezione Civile. Tutte figure cooptate dal Premier, a proprio insindacabile giudizio, non si capisce con quale legittimazione; tecnocrati che Conte usa come paravento e come giustificazione per le sue decisioni, che comportano conseguenze per milioni di persone. Un comitato di salute pubblica che nei confronti della libertà di culto ha assunto una posizione di aprioristica chiusura, molto intollerante, e molto poco scientifica.
Paolo Gulisano
https://lanuovabq.it/it/no-ai-fedeli-a-messa-pregiudizio-senza-scienza
- E ALLORA NOI CI FACCIAMO IL FUNERALE SENZA IL MORTO di Giorgio Maria Carbone
- LO SCARICABARILE SUI MAFIOSI di Ruben Razzante
- QUEGLI ITALIANI ABBANDONATI DA ROMA di Marinellys Tremamunno
- SALUTE MENTALE: IL COSTO NASCOSTO DEL LOCKDOWN di Roberto Marchesini
https://lanuovabq.it/it
Il cardinal Ruini e il "no" alle Messe: "Conte è uscito dalle sue competenze"
Il cardinal Camillo Ruini indica la strada per l'avvenire spirituale. L'intervista esclusiva rilasciata dall'ex presidente Cei a IlGiornale.it
Il cardinal Camillo Ruini indica la strada per l'avvenire spirituale. L'intervista esclusiva rilasciata dall'ex presidente Cei a IlGiornale.it
Il cardinal Camillo Ruini pensa che il governo si sia "arrogato" delle competenze in materia di celebrazioni religiose. La nota di ieri sera della Cei è tanto chiara quanto esaustiva.
Il dibattito tra le parti, per così dire, è ancora in corso. Palazzo Chigi ha fatto sapere nella tarda serata di ieri di essere al lavoro su un protocollo in grado di garantire sicurezza. Ma se ne dovrebbe parlare dal 25 maggio in poi. Prescindendo dal diritto alla partecipazione del "popolo" alle funzioni religiose, però, una pandemia costringe a riflettere in genere sull'"essenziale". Così come specificato in una delle recenti omelie da papa Francesco. La spiritualità rimane una delle "urgenze" percepite dalle persone. E la Chiesa cattolica, anche come istituzione, è chiamata ad indicare le modalità tramite cui la fede debba essere vissuta all'interno di un quadro pandemico. Di questo e di altro abbiamo parlato con l'ex presidente della Conferenza episcopale italiana, che ci ha rilasciato un'intervista in esclusiva.
Cardinal Ruini, il concetto di "libertà" sembra essere messo a dura prova di questi tempi. Lei ha da poco dato alle stampe Un'altra libertà, un libro edito da Rubettino. Un'opera che ha scritto col senatore Gaetano Quagliariello. Come si conciliano "libertà" e tutela dalla Salute pubblica nel corso di un quadro pandemico?
Sia la libertà sia la tutela della salute non sono degli assoluti. Vanno realizzati nel concreto delle situazioni. Nel caso di una pandemia sono inevitabili delle restrizioni della nostra libertà, per limitare il contagio. Questo però non significa che le pubbliche autorità abbiano mano libera nel limitare o addirittura sopprimere, sia pure temporaneamente, le libertà che ci appartengono in quanto persone e che in Italia sono anche costituzionalmente garantite. A questo riguardo dobbiamo tutti vigilare.
Il Papa, qualche giorno fa, ha ricordato che questa non è la "Chiesa vera". Soprattutto perché non c'è la possibilità di officiare con la presenza del popolo. Si auspica almeno un parziale ripristino della normalità nella fase 2? L'eucaristia, per un cattolico, è sempre un'urgenza...
L’Eucarestia per i credenti è anzitutto un bisogno, il bisogno del pane della vita. Il Papa ha dato voce a questo bisogno che riguarda tutta la Chiesa. Purtroppo il governo, nell’ultimo decreto della presidenza del consiglio, ha disatteso questo bisogno, arrogandosi competenze non sue riguardo alla vita della comunità cristiana. Bene ha fatto quindi la Cei a protestare con forza. Ora il governo ha il dovere di rivedere le sue posizioni.
C'è stata una fase, nel corso di questa storia, in cui sembrava che si dovesse quasi scegliere tra la salvezza del sistema economico e la salvezza delle vite umane. Con tutta la questione della "immunità di gregge" a fare da sfondo. Cardinal Ruini, l'Europa è stata e sarà di esempio in relazione alla tutela valori non negoziabili? Tra cui, ovviamente, c'è il diritto alla vita...
Purtroppo da molto tempo l’Europa non è più un esempio di tutela del diritto alla vita, come del valore della famiglia. Lo scoppio di questa pandemia ha fatto nascere nuove tentazioni, come quella dell’immunità di gregge, che prevede di sacrificare molte vite per non limitare le attività economiche e produttive. Nel complesso però questa tentazione è stata respinta: la coscienza della gente rifiuta infatti scelte di questo genere. Ci sono fortunatamente altre maniere per contemperare la tutela della vita con la salvaguardia delle attività produttive, pure esse necessarie proprio perché la gente abbia di che vivere, anche nel tempo del coronavirus.
Distanziamento sociale, mascherine obbligatorie, plexiglass in grado di separare le persone e magari paura nei confronti del prossimo. Cardinal Ruini, il virus è un acceleratore dell'epoca del post-umano?
Francamente non vedo questo pericolo. Le mascherine e il distanziamento tra le persone sono una necessità che non va demonizzata, un sacrificio che può farci sentire più forte il desiderio di una vicinanza anche fisica con le persone care.
Il Covid-19 metterà in crisi il multiculturalismo? Oppure crede che in fin dei conti gli effetti saranno limitati. E che il paradigma ideologico di fondo della società contemporanea rimarrà lo stesso?
E’ difficile fare previsioni. Molto dipende dalla durata di questa pandemia e dal tempo che occorrerà per disporre di un vaccino efficace. Il multiculturalismo è un dato di fatto, più o meno diffuso anche nelle diverse aree geografiche di un paese come l’Italia. Non è certo un valore assoluto e va gestito con saggezza e realismo, senza ideologizzazioni in positivo o in negativo.
Cardinal Ruini, di questi tempi è tornata in auge l'immagine di don Camillo, quello di Guareschi, che dalla torre campanara inoltra un messaggio di speranza alla popolazione durante l'alluvione. Conoscerà "Il ritorno di Don Camillo". La condizione della Chiesa italiana, per via della pandemia, oggi è metaforicamente simile?
Camillo è anche il mio nome e ricordo che quando, ventenne, passai un’estate in Austria per imparare il tedesco, il fatto che io, seminarista mingherlino, portassi il nome del Don Camillo di Guareschi suscitava incredulità e ilarità. Parlando seriamente, il coronavirus ha ricordato a tutti la nostra fragilità, i limiti del nostro potere. Dovrebbe quindi renderci più umili e più consapevoli della nostra realtà di creature, quindi più aperti alla fede: molti indizi ci dicono che così sta effettivamente avvenendo. Niente però è scontato: rimaniamo sempre persone libere e la fede è una risposta libera a Dio che bussa alla porta della nostra vita.
Cosa si sente di dire, a livello di prossimità spirituale, alle famiglie italiane che sono state colpite dal Covid-19?
Le parole hanno dei limiti, rischiano di essere scontate e un po’ convenzionali. Posso dire a queste famiglie che prego ogni giorno per loro e per i loro cari che hanno perduto la vita.
Una considerazione sull'Italia che verrà.
Più che sull’Italia che verrà preferisco dire una parola sull’Italia che spero possa venire. Vorrei che da questa pesante esperienza l’Italia – cioè tutti noi italiani – impari a essere più solidale, anche quando il coronavirus sarà passato. Vorrei che riprendesse vigore la nostra fiducia in Dio, la capacità di mettere Dio al centro del nostro progetto di vita. Vorrei che finalmente ci preoccupassimo del futuro dell’Italia, quindi dei figli e delle nascite, senza i quali non c’è futuro. Vorrei anche puntare sulla libertà e sulla responsabilità, che sole possono mettere fine al nostro declino.
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