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Et est spes novissimis tuis (Ger 31, 17).
«C’è speranza per il tuo avvenire» (oppure, intendendo al maschile: per i tuoi discendenti), dichiara il profeta Geremia preannunciando a Rachele il ritorno degli esiliati. Anche a noi, oggi, viene rivolto il medesimo incoraggiamento: c’è speranza per la Chiesa, benché si sia eclissata. Come all’epoca della crisi ariana, la maggior parte della gerarchia cattolica sembra del tutto sottomessa ai poteri mondani; i vescovi e cardinali che mantengono la libertà di parola paiono ancor meno numerosi di allora, quando la vera fede fu difesa da valorosi campioni come Atanasio d’Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano, i tre Cappadoci… per menzionare solo i più celebri. Alcuni di loro soffrirono più volte l’esilio in condizioni molto precarie, ma alla fine, dopo la morte dell’imperatore Valente, furono reintegrati. Ora, dove sopravviveva la Sposa di Cristo in quei drammatici frangenti? Nella communio catholica, ossia nella rete formata da tutti i battezzati fedeli alla verità, per quanto dispersi, privi di guida visibile e vessati da angherie di ogni genere, fino, in certi casi, al martirio di sangue; è grazie a loro che, una volta riacquistata la libertà, la Chiesa rifiorì più esuberante di prima e conobbe nuovi, splendidi trionfi.
Nell’antico rito romano della Settimana Santa la benedizione dell’ulivo, la Domenica delle Palme, è impreziosita da un bel prefazio proprio (poi eliminato dalla riforma del 1955) in cui si proclama una lode cosmica che abbraccia cielo e terra: l’assemblea dei Santi, l’esercito degli Angeli, la creazione visibile e i membri della Chiesa militante, i quali «professano con libera voce, dinanzi ai re e alle autorità di questo mondo, quel grande nome del tuo Unigenito» (illud magnum Unigeniti tui nomen coram regibus et potestatibus huius saeculi libera voce confitentur). Così si manifesta la comunione cattolica: nella franchezza di quanti proclamano davanti a tutti – compresi i potenti – la sovranità del Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto a redenzione loro e di quanti son disposti a riconoscerlo come tale: Gloria, laus et honor tibi sit, Christe Redemptor! Nella liturgia si prolunga l’acclamazione della folla festante che accolse il Messia: Benedictus qui venit rex in nomine Domini (Lc 19, 38). È proprio questa voce che, nelle attuali circostanze storiche, si sta cercando di soffocare con il pretesto di una pandemia che non sembra affatto di origine naturale.
A nessuno sfugge che sia l’informazione in proposito, sia i provvedimenti dei vari governi seguano dappertutto il medesimo ineluttabile copione, replicato invariabilmente da uno Stato all’altro. La popolazione mondiale, come un sol uomo, è stata ridotta alla completa sottomissione senza sparare un colpo: l’inottemperanza dei divieti comporta non solo il rischio di multe e denunce, ma pure uno stigma sociale da criminali e un senso di colpa paralizzante. Il virus, in realtà, si è rivelato l’arma perfetta per ottenere tutta una serie di effetti concomitanti: la legalizzazione di fatto dell’eutanasia, lo sdoganamento dell’aborto chimico, l’imposizione di vaccini fortemente nocivi, l’imbavagliamento del dissenso, il riassetto economico-finanziario, l’abolizione delle sovranità nazionali e la cancellazione dei diritti fondamentali, oltre – non ultimo – alla sospensione del culto cattolico, attuata ovunque con una precipitazione e un’intransigenza a dir poco sospette. Se, da un lato, si può ipotizzare che la Provvidenza si sia servita di decisioni umane per imporre una pausa a liturgie che il più delle volte offendevano Dio, dall’altro è anche vero che questa situazione sta portando al culmine il processo di protestantizzazione della vita cristiana con la completa privatizzazione del culto.
Il fatto più deprimente è che il martellante terrorismo mediatico che ci ha messi tutti agli arresti domiciliari ha ricevuto il contributo, come se non bastasse, di taluni predicatori di grido che han rincarato la dose o con invettive scomposte o con irritanti esortazioni a fare del bene standocene a casa o con il ricorso a pretese rivelazioni e profezie, per non parlare dei vescovi che ci raccomandano la generosità e l’amore (?) per farci accettare il confinamento del Triduo Pasquale, quando invece dovrebbero essere proprio loro a spronarci ad andare in chiesa! È uno strano zelo quello di chi inculca un’obbedienza assoluta (che altro non è che mera acquiescenza) sulla base di una visione privatistica e consumistica della religione che coincide proprio – guarda caso – con quella del mondo. Il tenore di queste manfrine presuppone che chi va in chiesa o chiede i Sacramenti lo faccia non per il bisogno che ha della grazia divina e allo scopo di attirarla su tutti, bensì per puro egoismo, per godersi un istante di conforto soggettivo, senza la minima cura della salute pubblica né delle migliaia di persone che potrebbero morire a causa sua… Anche la ragione, oltre al Creatore, è tenuta accuratamente fuori da siffatti ragionamenti.
Il fatto è che tutte queste raccomandazioni, accreditando la disinformazione che già ci sommerge come una marea, contribuiscono solo a distoglier l’attenzione da ciò che sta veramente accadendo. I suggerimenti dei militari russi giunti in Italia circa un’enorme manovra diversiva si stanno chiarendo meglio grazie alle notizie, trapelate di recente, sulla sperimentazione in corso della rete 5G, a cui la “pandemia” farebbe da schermo sia sul piano mediatico che su quello sanitario. Le immagini delle persone che, a Wuhan, soffocavano stramazzando a terra fanno pensare a un collasso del sistema cardio-respiratorio, che può essere provocato da onde elettromagnetiche di forte intensità. L’obiettivo ultimo di questo sviluppo tecnologico che non si ferma di fronte a nulla va probabilmente ben al di là di singoli risultati parziali: come anticipato da una mostra fotografica di due anni fa proveniente dall’Irlanda, esso mira a creare una nuova specie umana tramite l’impianto di dispositivi di intelligenza artificiale. L’uomo dovrebbe così giungere all’apice della sua evoluzione, con l’eliminazione per “selezione naturale” dei soggetti non adatti e il controllo totale dei sopravvissuti. Non è dunque la fine della globalizzazione, bensì la sua fase culminante.
Pur essendo tutti tenuti, allora, a fare il possibile per ridurre al massimo i rischi reali (che variano molto da regione a regione), abbiamo più che mai bisogno di affidarci alla protezione di Dio: non solo non siamo in grado di escludere in modo assoluto un determinato pericolo per la salute, ma pare pendere su di noi una minaccia ben peggiore, subdola e nascosta. Affinché la richiesta dell’aiuto divino non sia temeraria e venga esaudita, occorre però che gli uomini si interroghino su ciò che deve cambiare nella loro vita e smettano di offenderlo continuamente in materia grave, sia a livello privato-individuale che a livello pubblico-sociale. Un importante ruolo della gerarchia cattolica è sempre stato quello di correggere i popoli dalle loro devianze e di opporsi ai tiranni di questo mondo in vista della salvezza di tutti, favorendo così il bene temporale in funzione di quello eterno; oggi, invece, sembra quello di assecondare i progetti dei potenti per portare l’umanità alla rovina, e sul piano spirituale e su quello materiale… un vero oppio dei popoli, come voleva qualcuno.
In questo interminabile Sabato Santo, ringraziamo il Signore di averci conservato all’interno della communio catholica, così che possiamo rimanere esenti da quell’impostura religiosa che «offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità» (Catechismo della Chiesa Cattolica, § 675). Ormai, in realtà, non si vede più neppure quale sia tale soluzione apparente se non la completa sottomissione all’oligarchia finanziaria, ottenuta con la complicità di un apparato ecclesiastico che conserva solo una funzione meramente propagandistica e decorativa. Tuttavia non dobbiamo cedere allo scoraggiamento: noi portiamo un tesoro che nessuno può toglierci. Nessuno ha il potere di cambiare o sopprimere la Chiesa, che è più grande delle idee e delle forze umane. Il suo Fondatore e Sposo vive in essa, rendendola indefettibile con la Sua grazia; la Sua parola, che rimane in eterno, ci garantisce che le potenze degli inferi mai prevarranno contro di essa, nonostante qualsiasi apparenza contraria. Per un’incommensurabile grazia che non abbiamo meritato, siamo membra di un corpo vivente che nulla può distruggere – e tali rimarremo se continueremo a professare con libera voce, dinanzi ai poteri di questo mondo, il grande nome dell’Unigenito. Come già il Capo, anche il Corpo deve sperimentare la sua passione; ma, come già il Capo, anche il Corpo, grazie a piccole comunità di cattolici fedeli alla propria identità, dovrà pure risorgere.
Resurrexi, et adhuc tecum sum, alleluia!
Resurrexi, et adhuc tecum sum, alleluia!
Pubblicato da Elia
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