Ricevo dall’amico Paolo Gulisano questa testimonianza che volentieri condivido con voi tutti.
A.M.V.
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Veglia pasquale: la notte più importante dell’anno liturgico e della storia per la Chiesa.
Sono ad attendere l’annuncio della Resurrezione in una chiesa. Siamo pochi: una mezza dozzina. Mi rendo conto- in questa notte- di essere un privilegiato. Ho la possibilità di partecipare alla Messa, e non di vederla davanti a uno schermo televisivo o di computer.
In realtà, rifletto che non è un privilegio, dovuto magari al coraggio del sacerdote o alla mia ostinazione, che qualcuno definirebbe “farisaica volontà di adempiere a un precetto”, ma è Grazia.
Questa chiesa aperta ma vuota evoca lo sgomento di colei che, giunta al luogo di sepoltura del Maestro tanto caro, lo trovò vuoto.
“Hanno portato via il mio Signore” disse col cuore pieno di dolore, un dolore che andava ad aggiungersi allo strazio dell’aver visto lo scempio sul Calvario del Figlio di Dio.
Nel corso delle passate settimane, di fronte alle porte sbarrate delle chiese, abbiamo avuto più volte in cuore questo sentimento doloroso: hanno portato via il Signore. O meglio: hanno messo tra Lui e noi un cordone sanitario, una barriera per impedirci di essere alla Sua presenza, di adorarlo, di riceverlo in noi.
Tuttavia, l’annuncio dell’Angelo è chiaro, inequivocabile: non è qui, è risorto. Già: la Resurrezione, il grande Mistero della Pasqua, che per noi cristiani non è solo passaggio, ma è di più, è Salvezza. L’uomo della Croce portava questo mistero nel suo stesso nome: Jeshua, colui che salva.
Cristo Salvatore è risorto da morte, dunque. Ce lo possono nascondere, ci possono impedire di avvicinarglisi, ma lui è qui. Nonostante il nostro smarrimento, noi felici pochi in questa chiesa vuota, avvolta nel silenzio assoluto della città. Noi come quei pochi nel Cenacolo di Gerusalemme, duemila anni fa.
Si erano ritrovati nel solito luogo, in quella sera di Pasqua. Si erano ritrovati lì dove avevano ascoltato le parole del Maestro, dolci come miele alle loro orecchie. Dove lo avevano visto spezzare il pane, e pronunciare parole che avrebbero attraversato i secoli, e compiere gesti come quelli che anche stasera vediamo compiere dal celebrante, parole e gesti che dureranno fino alla fine del mondo.
Quella sera nel cenacolo c’era il dolore ancora bruciante, la paura di dover subire anche loro il supplizio, la gioia per la notizia che era arrivata loro. Ma forse c’era anche altro: come si saranno guardati l’un con l’altro Pietro, Giovanni, Giacomo, Andrea e gli altri? L’ultima volta che si erano visti tutti insieme era stato giovedì, nell’Orto del Getsemani, dove il Signore aveva affrontato un dolore straziante, più atroce di quelli fisici che avrebbe subito il giorno seguente. L’amarezza dell’abbandono. “Volete andarvene anche voi”? Anche questa è una frase che mi è risuonata nella mente per tutta la Quaresima, di fronte a Gesù abbandonato e lasciato solo.
Come si guardarono l’un l’altro gli undici quella sera? Come poteva incrociare lo sguardo degli amici Simon Pietro, che lo aveva rinnegato, che gli aveva voltato le spalle, lui che era stato designato come la pietra? Cosa sentiva nel cuore Giovanni, lui che invece era rimasto, aveva percorso con Maria tutta la via dolorosa, e alla fine si era trovato lì, sotto la croce, testimone fino alla fine del compiersi della missione del Cristo? Avrebbe potuto recriminare, rinfacciare agli amici la loro assenza, quella paura che invece lui- il più giovane- aveva affrontato. E chissà se nei loro cuori pensavano anche a chi aveva tradito, a Giuda, impiccato a un albero.
Ma i loro pensieri, di qualsiasi tipo fossero, vennero interrotti da un arrivo. Il Cenacolo era chiuso, era a porte chiuse come questa chiesa della Pasqua 2020, ma Lui era entrato, Lui era lì, ancora una volta, e questa volta per sempre.
“Io sono con voi tutti i giorni” disse loro.
In questa Messa vigilare ricevo dunque la Santa Comunione con una gratitudine commossa, con una consapevolezza rinnovata, che è più forte della dispersione, della solitudine, dell’amarezza, del rincrescimento.
Egli è qui, con noi, Risorto, vincitore del male, vincitore dei nostri peccati. Signore del mondo e della storia.
Paolo Gulisano
https://www.aldomariavalli.it/2020/04/12/io-sono-con-voi-tutti-i-giorni/
Cari amici, con grande piacere condivido, nella mia traduzione dall’inglese, la lettera della meditazione sulla Santa Pasqua che il cardinale Raymond Leo Burke, con paterna benevolenza, mi ha inviato.
Subito dopo trovate la versione originale.
Messaggio per la Pasqua, la domenica della Risurrezione di Nostro Signore
Cari amici,
Il mattino di Pasqua, noi, insieme alle sante donne che sono state fedelmente accanto a Nostro Signore nella Sua Passione e nella Sua Morte, ci troviamo davanti alla Sua tomba vuota. La tomba ricorda la profonda angoscia della morte e della sepoltura di Cristo, Dio Figlio Incarnato, che ha voluto soffrire la più crudele delle passioni e subire l’esecuzione più ignobile conosciuta in quel momento, per liberarci per sempre dal peccato e dal suo frutto più velenoso, la morte eterna. Ma la tomba vuota è pieno di luce e dentro di esso c’è l’Angelo Pasquale. Non è più la tomba, ma il Santo Sepolcro, il testimone di un mistero, del mistero di tutti i misteri: il mistero dell’Amore Divino che è la nostra salvezza. Il sepolcro è vuoto non perché qualcuno ha portato via il corpo del Salvatore.L’Angelo della Pasqua annuncia alle sante donne – e a noi – il mistero di cui il Santo Sepolcro è testimone:
«Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». (Mc 16, 6-7).
Dio, nel suo incommensurabile e incessante amore per l’uomo, ha mandato il suo Figlio unigenito nella nostra carne umana, per realizzare nella stessa carne la vittoria sul peccato, la vittoria della vita eterna. Il Signore risorto ci precede sempre nella Chiesa ed è sempre al nostro fianco nella Chiesa per condurci sulla via che conduce alla vita eterna.
La nostra vita umana è, quindi, cambiata per sempre, nel modo più profondo possibile. Dal giorno della risurrezione del Signore, noi, che siamo rinati in Lui attraverso il Battesimo, viviamo in Lui. Noi che siamo stati adottati da Dio Padre nel suo Figlio unigenito, che è morto ed è risorto dai morti, viviamo in Cristo. Noi siamo vivi in Cristo. Egli, vivo in noi per la presenza dello Spirito Santo nelle nostre anime, ci precede, ci guida, affinché il nostro pellegrinaggio terreno raggiunga il suo vero destino: la vita eterna alla presenza di Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – e in compagnia degli angeli e di tutti i santi.
Per questo san Paolo ci esorta con tutta la concretezza e il grande realismo, comandandoci: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi” (1 Cor 5, 7). Non ci dà un ordine astratto o idealistico, al di fuori delle nostre capacità. Da soli non possiamo vivere liberi dal “lievito della malizia e del male” (1 Cor 5, 8). È lo Spirito Santo, che il Signore Risorto manda nei nostri cuori dal suo glorioso Cuore trafitto, che ci trasforma, affinché possiamo vivere “con il pane azzimo della sincerità e della verità” (1 Cor 5, 8). Non siamo più schiavi dei nostri peccati e del Principe delle tenebre. Siamo veri figli di Dio, fratelli e sorelle di Cristo Risorto, liberi cooperatori con la sua grazia che è sempre abbondante e che non manca mai. Il nostro destino in Cristo, come figli e figlie adottivi in Lui, non è la tomba, ma la vita eterna. Quando moriremo, il nostro corpo sarà posto nella tomba per attendere il giorno della risurrezione del corpo alla venuta finale di Cristo. Lo Spirito Santo, che abita in noi, ci rende capaci di ciò che altrimenti ci sarebbe impossibile: capaci di vivere in accordo con la verità e l’amore di Cristo, ora e nell’eternità.
Certamente, dobbiamo affrontare le difficili sfide della vita cristiana quotidiana, degli inganni del Maligno e della nostra stessa debolezza. Certamente, viviamo in un momento tumultuoso nel mondo, un momento di crisi sanitaria internazionale, di cui sappiamo così poco e di cui riceviamo quotidianamente resoconti confusi e persino contraddittori, e anche nella Chiesa, afflitta da tanta confusione ed errori. Ma noi guardiamo il Santo Sepolcro, e conosciamo la verità di cui esso è testimone. Rimaniamo saldi e forti, fiduciosi che il Signore è veramente risorto dai morti e che Egli ci precede e ci accompagna nella quotidiana battaglia per rimanergli fedele, per vivere in accordo con la verità e l’amore che hanno la loro fonte abbondante e inesauribile nel Suo Sacratissimo Cuore. I nostri cuori, posti nel Suo Sacro Cuore, ricevono la saggezza e il coraggio di vivere fedelmente la nostra identità di veri figli e figlie di Dio in Lui.
Uniti alla Vergine Madre di Dio, alle sante donne, a San Pietro e agli altri testimoni della Risurrezione di Nostro Signore lungo i secoli cristiani, in breve, uniti a tutta la Comunione dei Santi, guardiamo la tomba vuota del Signore, il Santo Sepolcro, e riceviamo con fiducia l’annuncio dell’Angelo Pasquale che ci assicura che Cristo è risorto e che ci precede, per incontrarci sempre nella Chiesa, soprattutto nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Alziamo oggi e ogni giorno il nostro cuore, uno con il Cuore Immacolato di Maria, al Suo Sacro Cuore. Consacriamo i nostri cuori al Suo Sacro Cuore, per vivere sempre in Sua compagnia, in comunione di cuore con Lui.
Si racconta la storia del santo cardinale Stefan Wyszyński, arcivescovo di Gniezno e Varsavia in Polonia e primate della Polonia, che fu prima incarcerato e poi messo agli arresti domiciliari dal governo comunista, a partire dal settembre del 1953. Lui e coloro che lo assistevano furono testimoni del trattamento disumano, anzi della tortura e dell’esecuzione, di tanti prigionieri. Uno di coloro che lo assistevano durante gli arresti domiciliari espresse, un giorno, il timore di chi potesse arrivare alla porta. La paura non era infondata. Si dice che il Cardinale abbia risposto che, quando la paura bussa alla porta, il coraggio apre la porta, e non c’è nessuno. In altre parole, in tempi di sofferenza e persino di morte, dobbiamo avere il coraggio di coloro che sono vivi in Cristo. Non possiamo cedere alla paura, che è un sentimento naturale in tempo di pericolo, ma che Satana usa per toglierci il coraggio di Cristo. Dobbiamo piuttosto avere sempre più fiducia in Nostro Signore che non ci abbandonerà mai. Se andiamo avanti con coraggio, sì, ci sarà sofferenza, ma non ci sarà sconfitta. Quando il coraggio apre la porta, ciò che temevamo tanto non ci sarà perché Cristo è con noi. Piuttosto, ci sarà la vittoria di Cristo nella nostra carne umana. Nella situazione attuale e più grave in cui viviamo nel mondo e nella Chiesa, ricordiamo l’esempio del Venerabile Cardinale Wyszyński. Quando la paura ci vincerebbe, restiamocoraggiosi in Cristo che è veramente risorto e vive in noi.
Riponiamo tutta la nostra fiducia nel nostro Signore risorto, facendo completamente nostra la preghiera del Salmista, cantata in modo così bello in questo giorno della Risurrezione di Nostro Signore:
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:rallegriamoci in esso ed esultiamo!Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza!Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria! (Sal 118 [117], 24-25).
Io prego per voi e con voi. Siamo insieme forti, fermi e coraggiosi testimoni del mistero della verità di Dio e dell’amore di Dio che opera in noi. Per favore pregate per me.
Possa la vostra celebrazione della Risurrezione di Nostro Signore portare gioia e pace durature nella vostra casa e fiducia e coraggio nel vostro cuore.
Raymond Leo Cardinale BURKE
12 aprile 2020
Domenica di Pasqua
Di Sabino Paciolla
tratto da
Una parola al giorno / Provvidenza
Durante il pranzo di Pasqua sul terrazzo di casa, in regime di quarantena causa coronavirus, con le figlie si parla delle paure dei giovani, e una delle ragazze dice: “Forse la nostra generazione di quasi trentenni è bloccata dalla mancanza di prospettive. Anche prima della pandemia, tutto ci appariva incerto. Siamo i figli dell’insicurezza. E adesso ancora di più”.
Provo a buttare lì un commento: “Bisognerebbe aver più fiducia nella Provvidenza divina, senza pretendere di controllare tutto”. Ma la conversazione, sul punto, si esaurisce lì.
Più tardi vedo che il caro amico Giovanni Lugaresi con gli auguri di Pasqua mi ha mandato un brano tratto da una lettera indirizzata alla moglie da Giovannino Guareschi quando, nel 1954, lo scrittore era chiuso in carcere.
Il papà di don Camillo e Peppone, in un momento molto difficile della sua vita, scriveva così: “Completa è la mia fiducia nella Provvidenza che, per essere veramente tale, non deve mai essere vincolata da scadenze. Mai preoccuparsi del disagio di oggi, ma aver sempre l’occhio fisso nel bene finale che verrà quando sarà giusto che venga. I giorni della sofferenza non sono giorni persi: nessun istante è perso, è inutile, del tempo che Dio ci concede. Altrimenti non ce lo concederebbe”.
Sì, bisogna aver fiducia nella Provvidenza. Il bene finale verrà quando sarà giusto che venga. Quel che è certo è che verrà.
A.M.V.
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