La Fase 2 ed il “Pomo della Discordia”
La cosiddetta “Fase 2” è cominciata da poco, appena undici giorni, eppure le polemiche sono in escalation giornaliera, con la solita, italica, faziosità che raggiunge di giorno in giorno apici sempre più alti. Cerchiamo di essere sinceri: tante, troppe cose scontentano dei tentativi governativi di rispondere efficacemente alle varie crisi e sub-crisi che si stanno moltiplicando.
Stamani ANSA ci ragguagliava del sipario “commovente” della Ministro Bellanova (con tanto di paragone con predecessori altrettanto emotivi qui) che, fiera, dichiarava “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili. Lo Stato è più forte del caporalato”, mentre intere categorie di lavoratori non vedono futuro, visti gli stanziamenti del tutto insufficienti in settori chiave come quello turistico, giusto per parlare di qualcosa che un minimo conosco di persona! Alla fiera signora Ministro si potrebbe, forse, ricordare che di lavoro nero è pieno il Paese, in svariati settori; che prima di regolarizzare un gruppo di clandestini si potevano impiegare i fruitori di Reddito di Cittadinanza ancora disoccupati…ma sarebbe un discorso lungo e, temo, inutile.
Quello di cui mi preme scrivere oggi, piuttosto, è un altro “Pomo della Discordia da Fase 2”, ovvero le “regole” per permettere ai fedeli cattolici di tornare a celebrare l’Eucarestia, e tutti gli altri sacramenti, insieme ai propri pastori.
Questo nostro blog ha affrontato l’argomento più volte, non solo dal punto di vista “nostrano” ma anche a livello internazionale (per esempio qui e qui).
Personalmente ho perso non poco sonno dinanzi all’apparente sonnolenza della CEI, che ha prima atteso di leggere nero su bianco l’esclusione della Chiesa dalla Fase 2 per decidersi, finalmente, dopo le proteste vivaci di Mons. Giovanni d’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno (qui), di qualche sacerdote coraggioso (qui) e di innumerevoli fedeli cattolici (qui un esempio fra tanti), ad alzare la voce e cominciare a “contrattare” con “l’avvocato del popolo”, non senza addolcimenti da tirata d’orecchie pontificia, dietro-front, inversioni, titubanze e – diciamocelo – scarsissima incisività (qui, qui, tant’è che, ad un certo punto, mi è venuto il dubbio che se non si fosse “alterato” il Presidente della Repubblica, perdendo un po’ dell’imperturbabilità british che lo contraddistingue (qui) staremmo ancora a chiederci “Signore, fino a quando?”!
Eppure Mr. President aveva ragione, bastava usare il buon senso! E basterebbe usarlo oggi.
Ci siamo lasciati alle spalle una Fase 1 quotidianamente vissuta fra file fuori ai supermercati, mascherine, guanti, autocertificazioni, multe e ricorsi, eppure continuano a raccontarci che le celebrazioni liturgiche sarebbero più pericolose di qualsiasi altra cosa perché creano assembramenti (ma non è la CEI a lamentarsi del calo di affluenza dei fedeli?!?), quindi veicolo di contagi epici, peggio della Peste Nera. Abbiamo “mendicato” la ripresa delle celebrazioni eucaristiche con il popolo, a numeri contingentati, con i preti che saranno costretti a distribuire l’Eucarestia con i guanti di lattice (con fior fiore di sanitari che reputano decisamente meglio l’uso dei gel sanitizzanti, convinti che i guanti possano essere più pericolosi perché creano false sicurezze), dopo aver tremato per giorni all’idea che il cosiddetto “Comitato Scientifico” imponesse di “imbustare le ostie consacrate per la distribuzione o, peggio, il self-service (qui il commento scandalizzato del Card. Sarah al – e per fortuna il Comitato Scientifico non legge Marco Tosatti, sennò avrebbe potuto prendere spunto dai nostri cari fratelli germanici super-fantasiosi qui!), immaginando nei peggiori incubi il gaudio dei satanisti.
La verità è che vedo – ed oramai siamo in tanti a pensarla così – il diritto alla libertà religiosa in bilico. Leggo tra le righe la volontà di tenerci sempre più distanti gli uni dagli altri, anche in famiglia, fomentando il terrore contagio per accelerare un distanziamento sociale che vogliono far diventare cronico, emotivo, irrazionale. Ci spingono alla paura verso “quello che sta a meno di un metro da me”, in modo che la paura diventi pian piano “di chiunque sia al di fuori di me”, la paura dell’altro che è sempre stata preludio alle peggiori pagine della storia umana. Ci manipolano, con la pubblicità, con i “bollettini di guerra” dei telegiornali, con le miriadi di news contraddittorie, atte a rendere la gente solo più confusa ed insicura, mentre scenari sfilano, non percepiti, sotto i nostri nasi. Giustamente siamo felici ed impazienti di poter partecipare nuovamente alla celebrazione Eucaristica, ma immaginate quanto questa “parvenza di riacquisita libertà” nasconda insidie?
Ci attenderanno al varco i “ganci”, pronti a denunciare, a chiamare le TV, ad inventare anche ciò che non c’è, pur di far revocare il permesso alle celebrazioni col popolo. Aspettiamocelo. Prepariamoci alle dita puntate in caso di escalation dei contagi, alle multe, alla persecuzione del ridicolo (e magari pure a quella fisica) da parte di chi la Chiesa la odia e non vede l’ora di liberarsene.
Lo confesso, avrei voluto vedere una CEI diversa, avrei voluto sentire parole forti uscire dalla bocca del Card. Bassetti, invece di comunicati sciapi che sanno di poco o nulla. Non so se sia capitato anche a voi, ma io ho cercato di immaginare cosa avrebbe detto in simili circostanze Giovanni Paolo II, cosa avrebbe fatto.
Avrebbe tuonato come fece all’indirizzo della mafia ad Agrigento? Avrebbe invitato tutti noi a non aver paura? Non lo so cosa avrebbe detto lui ma sono rimasta colpita da ciò che ha scritto Mons. Bernard Ginoux, Vescovo di Montauban, l’11 maggio, in occasione dell’anniversario della sua nomina a vescovo, al suo gregge. Uno scritto lucido, dolente ma straordinariamente paterno ed aperto alla speranza, del quale sono venuta a conoscenza grazie ad un articolo di LifeSite (qui) e che vi propongo di seguito nella mia traduzione:
“L’11 maggio 2007 sono stato nominato vescovo di Montauban e fin dalla mia ordinazione il 2 settembre 2007, ho cercato di adempiere alla mia missione con dedizione e preoccupazione per il bene comune. Questa missione sta volgendo al termine con l’avvicinarsi dell’età canonica della pensione. Le settimane che abbiamo appena vissuto sono state un calvario che per alcuni ha portato alla morte e per altri alla lotta con la malattia. Molti hanno sofferto a causa di misure di protezione così rigorose che la loro salute mentale è stata colpita più gravemente della loro salute fisica. Penso a tutti gli anziani che non sono stati colpiti da questo virus. Certo, dovevano essere protetti da esso, ma era necessario separarli dai loro legami naturali fino al punto in cui ai nonni era proibito vedere i loro nipoti? Se fossero state adottate misure preventive coerenti e se gli strumenti necessari (come le maschere) fossero stati forniti fin dall’inizio, le tragedie familiari sarebbero state evitate. Sappiamo anche che alcune di queste persone si sono lasciate morire. Tra i giovani, i suicidi sono stati causati dalla tensione accumulata. Dovrà essere fatta una valutazione onesta di queste realtà.
Ma questi fatti non pregiudicano il lavoro svolto dai sanitari (medici, infermieri, paramedici, ecc.), vite offerte al servizio degli altri, gli sforzi compiuti da molte persone anonime nella loro determinazione a combattere COVID-19. La Chiesa cattolica non ha mancato di essere presente sui fronti più esposti e nel suo servizio permanente di carità, specialmente con popolazioni in difficoltà come i migranti. Ha anche accettato le misure draconiane che non ci hanno permesso di vivere i grandi momenti della nostra fede cristiana, dalla domenica delle Palme alla domenica di Pasqua, la Settimana Santa, il cuore e il fondamento della fede in Cristo che è morto e risorto. Lo abbiamo accettato nonostante l’immenso senso di perdita che i nostri fedeli hanno sicuramente sperimentato. La loro sofferenza è stata in qualche modo mitigata dalle trasmissioni TV e da tutti i mezzi audiovisivi. Resta il fatto che la nostra fede non è nutrita da questi mezzi; la fede cattolica è alimentata dalla presenza reale di Gesù Cristo. La Chiesa si realizza incessantemente attraverso il sacrificio della Messa, dove è reso presente l’unico sacrificio di Cristo sulla croce. La Messa ci presenta a lui, lo rende presente e ci fa partecipare a quello che è il “banchetto del Signore”: prendiamo veramente il nostro posto alla sua tavola. Non è un momento di preghiera o persino un semplice ascolto della Parola di Dio, ancor meno un incontro fraterno. Possiamo fare a meno di tutto ciò, ma non possiamo fare a meno dell’Eucaristia, proprio come abbiamo bisogno degli altri sacramenti. La messa è la vita della Chiesa cattolica. Anche se siamo uniti a Cristo in molti modi, viviamo per lui attraverso l’Eucaristia
In un momento in cui stanno riprendendo un gran numero di attività, mentre possiamo trovarci uno accanto all’altro su un aereo, nei supermercati o in attività all’aperto come in pista, una parte della cittadinanza che ha la libertà di praticare la propria religione partecipando alla Messa è impedita dal farlo con il pretesto di una pandemia il cui numero sta diminuendo. I numeri parlano da soli. Inoltre, la maggior parte delle nostre chiese sono molto grandi e abbiamo tutti i mezzi per conformarci alle misure sanitarie. È in gioco la nostra libertà e viene seriamente compromessa. Ho sentito molte persone che soffrono e parlo per loro.
Sono un vescovo in un luogo in cui, un giorno, nell’agosto 1942, il vescovo Pierre-Marie Theas ha osato quasi da solo condannare gli attacchi alla libertà e alla dignità dei cittadini francesi. Non avevamo raggiunto questo punto di ignominia. Ma io denuncio la violazione dei diritti dei fedeli cattolici di partecipare liberamente alla Messa; denuncio la negazione di questo diritto. Il diritto civile, la cui natura vincolante riguardo questa materia resta da dimostrare, non può essere imposto alla mia coscienza di pastore quando mi impedisce di adempiere al mio dovere. Sono un sacerdote e un vescovo per dare Cristo ai fedeli bisognosi. Questa è la mia missione e voglio dirglielo. La Chiesa cattolica ha sempre ricordato il diritto della persona umana a praticare la propria religione. Impedire l’esercizio di questo diritto è una violazione dei diritti umani fondamentali che potrebbe portare ad altri abusi. Questa lettera è un appello alla coscienza dei cattolici della diocesi di Montauban, che mi è cara e di cui sono pastore da tredici anni. Sapere che potete vivere la vostra fede liberamente sarà per me una grande gioia pastorale perché, anche in tempi di grandi epidemie, la Chiesa, sebbene con precauzioni, ha sempre offerto al Popolo di Dio la presenza del Salvatore attraverso il culto pubblico.
Affido alla Beata Vergine Maria, onorata nella Cattedrale di Montauban sotto il nome di Nostra Signora dell’Assunta, la diocesi e tutti i suoi abitanti. Possa lei vegliare su di noi e mantenerci sotto la sua protezione.”
di Stefania Marasco
La cosiddetta “Fase 2” è cominciata da poco, appena undici giorni, eppure le polemiche sono in escalation giornaliera, con la solita, italica, faziosità che raggiunge di giorno in giorno apici sempre più alti. Cerchiamo di essere sinceri: tante, troppe cose scontentano dei tentativi governativi di rispondere efficacemente alle varie crisi e sub-crisi che si stanno moltiplicando.
Stamani ANSA ci ragguagliava del sipario “commovente” della Ministro Bellanova (con tanto di paragone con predecessori altrettanto emotivi qui) che, fiera, dichiarava “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili. Lo Stato è più forte del caporalato”, mentre intere categorie di lavoratori non vedono futuro, visti gli stanziamenti del tutto insufficienti in settori chiave come quello turistico, giusto per parlare di qualcosa che un minimo conosco di persona! Alla fiera signora Ministro si potrebbe, forse, ricordare che di lavoro nero è pieno il Paese, in svariati settori; che prima di regolarizzare un gruppo di clandestini si potevano impiegare i fruitori di Reddito di Cittadinanza ancora disoccupati…ma sarebbe un discorso lungo e, temo, inutile.
Quello di cui mi preme scrivere oggi, piuttosto, è un altro “Pomo della Discordia da Fase 2”, ovvero le “regole” per permettere ai fedeli cattolici di tornare a celebrare l’Eucarestia, e tutti gli altri sacramenti, insieme ai propri pastori.
Questo nostro blog ha affrontato l’argomento più volte, non solo dal punto di vista “nostrano” ma anche a livello internazionale (per esempio qui e qui).
Personalmente ho perso non poco sonno dinanzi all’apparente sonnolenza della CEI, che ha prima atteso di leggere nero su bianco l’esclusione della Chiesa dalla Fase 2 per decidersi, finalmente, dopo le proteste vivaci di Mons. Giovanni d’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno (qui), di qualche sacerdote coraggioso (qui) e di innumerevoli fedeli cattolici (qui un esempio fra tanti), ad alzare la voce e cominciare a “contrattare” con “l’avvocato del popolo”, non senza addolcimenti da tirata d’orecchie pontificia, dietro-front, inversioni, titubanze e – diciamocelo – scarsissima incisività (qui, qui, tant’è che, ad un certo punto, mi è venuto il dubbio che se non si fosse “alterato” il Presidente della Repubblica, perdendo un po’ dell’imperturbabilità british che lo contraddistingue (qui) staremmo ancora a chiederci “Signore, fino a quando?”!
Eppure Mr. President aveva ragione, bastava usare il buon senso! E basterebbe usarlo oggi.
Ci siamo lasciati alle spalle una Fase 1 quotidianamente vissuta fra file fuori ai supermercati, mascherine, guanti, autocertificazioni, multe e ricorsi, eppure continuano a raccontarci che le celebrazioni liturgiche sarebbero più pericolose di qualsiasi altra cosa perché creano assembramenti (ma non è la CEI a lamentarsi del calo di affluenza dei fedeli?!?), quindi veicolo di contagi epici, peggio della Peste Nera. Abbiamo “mendicato” la ripresa delle celebrazioni eucaristiche con il popolo, a numeri contingentati, con i preti che saranno costretti a distribuire l’Eucarestia con i guanti di lattice (con fior fiore di sanitari che reputano decisamente meglio l’uso dei gel sanitizzanti, convinti che i guanti possano essere più pericolosi perché creano false sicurezze), dopo aver tremato per giorni all’idea che il cosiddetto “Comitato Scientifico” imponesse di “imbustare le ostie consacrate per la distribuzione o, peggio, il self-service (qui il commento scandalizzato del Card. Sarah al – e per fortuna il Comitato Scientifico non legge Marco Tosatti, sennò avrebbe potuto prendere spunto dai nostri cari fratelli germanici super-fantasiosi qui!), immaginando nei peggiori incubi il gaudio dei satanisti.
Ci siamo lasciati alle spalle una Fase 1 quotidianamente vissuta fra file fuori ai supermercati, mascherine, guanti, autocertificazioni, multe e ricorsi, eppure continuano a raccontarci che le celebrazioni liturgiche sarebbero più pericolose di qualsiasi altra cosa perché creano assembramenti (ma non è la CEI a lamentarsi del calo di affluenza dei fedeli?!?), quindi veicolo di contagi epici, peggio della Peste Nera. Abbiamo “mendicato” la ripresa delle celebrazioni eucaristiche con il popolo, a numeri contingentati, con i preti che saranno costretti a distribuire l’Eucarestia con i guanti di lattice (con fior fiore di sanitari che reputano decisamente meglio l’uso dei gel sanitizzanti, convinti che i guanti possano essere più pericolosi perché creano false sicurezze), dopo aver tremato per giorni all’idea che il cosiddetto “Comitato Scientifico” imponesse di “imbustare le ostie consacrate per la distribuzione o, peggio, il self-service (qui il commento scandalizzato del Card. Sarah al – e per fortuna il Comitato Scientifico non legge Marco Tosatti, sennò avrebbe potuto prendere spunto dai nostri cari fratelli germanici super-fantasiosi qui!), immaginando nei peggiori incubi il gaudio dei satanisti.
La verità è che vedo – ed oramai siamo in tanti a pensarla così – il diritto alla libertà religiosa in bilico. Leggo tra le righe la volontà di tenerci sempre più distanti gli uni dagli altri, anche in famiglia, fomentando il terrore contagio per accelerare un distanziamento sociale che vogliono far diventare cronico, emotivo, irrazionale. Ci spingono alla paura verso “quello che sta a meno di un metro da me”, in modo che la paura diventi pian piano “di chiunque sia al di fuori di me”, la paura dell’altro che è sempre stata preludio alle peggiori pagine della storia umana. Ci manipolano, con la pubblicità, con i “bollettini di guerra” dei telegiornali, con le miriadi di news contraddittorie, atte a rendere la gente solo più confusa ed insicura, mentre scenari sfilano, non percepiti, sotto i nostri nasi. Giustamente siamo felici ed impazienti di poter partecipare nuovamente alla celebrazione Eucaristica, ma immaginate quanto questa “parvenza di riacquisita libertà” nasconda insidie?
Ci attenderanno al varco i “ganci”, pronti a denunciare, a chiamare le TV, ad inventare anche ciò che non c’è, pur di far revocare il permesso alle celebrazioni col popolo. Aspettiamocelo. Prepariamoci alle dita puntate in caso di escalation dei contagi, alle multe, alla persecuzione del ridicolo (e magari pure a quella fisica) da parte di chi la Chiesa la odia e non vede l’ora di liberarsene.
Ci attenderanno al varco i “ganci”, pronti a denunciare, a chiamare le TV, ad inventare anche ciò che non c’è, pur di far revocare il permesso alle celebrazioni col popolo. Aspettiamocelo. Prepariamoci alle dita puntate in caso di escalation dei contagi, alle multe, alla persecuzione del ridicolo (e magari pure a quella fisica) da parte di chi la Chiesa la odia e non vede l’ora di liberarsene.
Lo confesso, avrei voluto vedere una CEI diversa, avrei voluto sentire parole forti uscire dalla bocca del Card. Bassetti, invece di comunicati sciapi che sanno di poco o nulla. Non so se sia capitato anche a voi, ma io ho cercato di immaginare cosa avrebbe detto in simili circostanze Giovanni Paolo II, cosa avrebbe fatto.
Avrebbe tuonato come fece all’indirizzo della mafia ad Agrigento? Avrebbe invitato tutti noi a non aver paura? Non lo so cosa avrebbe detto lui ma sono rimasta colpita da ciò che ha scritto Mons. Bernard Ginoux, Vescovo di Montauban, l’11 maggio, in occasione dell’anniversario della sua nomina a vescovo, al suo gregge. Uno scritto lucido, dolente ma straordinariamente paterno ed aperto alla speranza, del quale sono venuta a conoscenza grazie ad un articolo di LifeSite (qui) e che vi propongo di seguito nella mia traduzione:
“L’11 maggio 2007 sono stato nominato vescovo di Montauban e fin dalla mia ordinazione il 2 settembre 2007, ho cercato di adempiere alla mia missione con dedizione e preoccupazione per il bene comune. Questa missione sta volgendo al termine con l’avvicinarsi dell’età canonica della pensione. Le settimane che abbiamo appena vissuto sono state un calvario che per alcuni ha portato alla morte e per altri alla lotta con la malattia. Molti hanno sofferto a causa di misure di protezione così rigorose che la loro salute mentale è stata colpita più gravemente della loro salute fisica. Penso a tutti gli anziani che non sono stati colpiti da questo virus. Certo, dovevano essere protetti da esso, ma era necessario separarli dai loro legami naturali fino al punto in cui ai nonni era proibito vedere i loro nipoti? Se fossero state adottate misure preventive coerenti e se gli strumenti necessari (come le maschere) fossero stati forniti fin dall’inizio, le tragedie familiari sarebbero state evitate. Sappiamo anche che alcune di queste persone si sono lasciate morire. Tra i giovani, i suicidi sono stati causati dalla tensione accumulata. Dovrà essere fatta una valutazione onesta di queste realtà.Ma questi fatti non pregiudicano il lavoro svolto dai sanitari (medici, infermieri, paramedici, ecc.), vite offerte al servizio degli altri, gli sforzi compiuti da molte persone anonime nella loro determinazione a combattere COVID-19. La Chiesa cattolica non ha mancato di essere presente sui fronti più esposti e nel suo servizio permanente di carità, specialmente con popolazioni in difficoltà come i migranti. Ha anche accettato le misure draconiane che non ci hanno permesso di vivere i grandi momenti della nostra fede cristiana, dalla domenica delle Palme alla domenica di Pasqua, la Settimana Santa, il cuore e il fondamento della fede in Cristo che è morto e risorto. Lo abbiamo accettato nonostante l’immenso senso di perdita che i nostri fedeli hanno sicuramente sperimentato. La loro sofferenza è stata in qualche modo mitigata dalle trasmissioni TV e da tutti i mezzi audiovisivi. Resta il fatto che la nostra fede non è nutrita da questi mezzi; la fede cattolica è alimentata dalla presenza reale di Gesù Cristo. La Chiesa si realizza incessantemente attraverso il sacrificio della Messa, dove è reso presente l’unico sacrificio di Cristo sulla croce. La Messa ci presenta a lui, lo rende presente e ci fa partecipare a quello che è il “banchetto del Signore”: prendiamo veramente il nostro posto alla sua tavola. Non è un momento di preghiera o persino un semplice ascolto della Parola di Dio, ancor meno un incontro fraterno. Possiamo fare a meno di tutto ciò, ma non possiamo fare a meno dell’Eucaristia, proprio come abbiamo bisogno degli altri sacramenti. La messa è la vita della Chiesa cattolica. Anche se siamo uniti a Cristo in molti modi, viviamo per lui attraverso l’EucaristiaIn un momento in cui stanno riprendendo un gran numero di attività, mentre possiamo trovarci uno accanto all’altro su un aereo, nei supermercati o in attività all’aperto come in pista, una parte della cittadinanza che ha la libertà di praticare la propria religione partecipando alla Messa è impedita dal farlo con il pretesto di una pandemia il cui numero sta diminuendo. I numeri parlano da soli. Inoltre, la maggior parte delle nostre chiese sono molto grandi e abbiamo tutti i mezzi per conformarci alle misure sanitarie. È in gioco la nostra libertà e viene seriamente compromessa. Ho sentito molte persone che soffrono e parlo per loro.Sono un vescovo in un luogo in cui, un giorno, nell’agosto 1942, il vescovo Pierre-Marie Theas ha osato quasi da solo condannare gli attacchi alla libertà e alla dignità dei cittadini francesi. Non avevamo raggiunto questo punto di ignominia. Ma io denuncio la violazione dei diritti dei fedeli cattolici di partecipare liberamente alla Messa; denuncio la negazione di questo diritto. Il diritto civile, la cui natura vincolante riguardo questa materia resta da dimostrare, non può essere imposto alla mia coscienza di pastore quando mi impedisce di adempiere al mio dovere. Sono un sacerdote e un vescovo per dare Cristo ai fedeli bisognosi. Questa è la mia missione e voglio dirglielo. La Chiesa cattolica ha sempre ricordato il diritto della persona umana a praticare la propria religione. Impedire l’esercizio di questo diritto è una violazione dei diritti umani fondamentali che potrebbe portare ad altri abusi. Questa lettera è un appello alla coscienza dei cattolici della diocesi di Montauban, che mi è cara e di cui sono pastore da tredici anni. Sapere che potete vivere la vostra fede liberamente sarà per me una grande gioia pastorale perché, anche in tempi di grandi epidemie, la Chiesa, sebbene con precauzioni, ha sempre offerto al Popolo di Dio la presenza del Salvatore attraverso il culto pubblico.Affido alla Beata Vergine Maria, onorata nella Cattedrale di Montauban sotto il nome di Nostra Signora dell’Assunta, la diocesi e tutti i suoi abitanti. Possa lei vegliare su di noi e mantenerci sotto la sua protezione.”
di Stefania Marasco
PATRUNO. CHE ACCADE DA LUNEDÌ CON IL PROTOCOLLO CEI-GOVERNO?
Carissimi Stilumcuriali, l’avvocato Francesco Patruno ci ha inviato una riflessione molto dettagliata e documentata sul Protocollo reso pubblico fra il Governo e la Conferenza Episcopale Italiana in materia di celebrazioni liturgiche alla presenza di fedeli. Vi consigliamo di leggerlo, anche perché contiene una notizia importante: e che in realtà lo Stato, o le Autorità civili non avrebbero nessun potere di controllo o sanzione su ciò che accade in Chiesa.
Vedete anche questi collegamenti: https://rorate-caeli.blogspot. com/2009/11/it-is-not-licit-to -deny-communion-
on.html e http://blog.messainlatino.it/2 009/11/la-comunione-al-tempo-d el-colera.html Buona lettura…
on.html e http://blog.messainlatino.it/2
§§§
BREVI RIFLESSIONI CIRCA IL PROTOCOLLO TRA CEI E GOVERNO ITALIANO E CIRCA LA DISTRIBUZIONE DELLA COMUNIONE
La CEI, all’inizio di questo mese di maggio, sottoponeva al Governo italiano una bozza di misure da essa predisposte allo scopo di riprendere le celebrazioni liturgiche con la partecipazione del popolo.
Il Comitato tecnico-scientifico, nella sua seduta del 6 maggio scorso, esaminava le misure predisposte e le approvava. Il giorno 7 successivo vi era la firma di un Protocollo tra la CEI, nella persona del Presidente, card. Gualtiero Bassetti, ed il Governo, nelle persone del Presidente del Consiglio dei ministri, prof. Avv. Giuseppe Conte, e del Ministro dell’Interno, dott.ssa Luciana Lamorgese.
In primo luogo, ci sia permesso inquadrare questo Protocollo.
In base ad un sommario esame, sembrerebbe che quest’atto rientri nell’ambito delle c.d. intese di secondo livello, previste dall’art. 13, comma 2, dell’Accordo di Villa Madama, a norma di cui: «Ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza episcopale italiana». Questa disposizione disegna e delimita il quadro di riferimento del principio di indipendenza degli ordini (dello Stato e della Chiesa) ed al contempo del vincolo di collaborazione nelle relazioni tra queste due entità. Insomma, l’art. 13, comma 2, dell’Accordo madamense, estende l’ambito pattizio ad ogni materia su cui entrambe le autorità possano avere degli interessi potenzialmente confliggenti, prevedendo che queste divergenze siano superate con la collaborazione reciproca e siano regolate con nuovi accordi tra Italia e Santa Sede e/o con intese tra Governo e CEI, a seconda della tematica della contesa.
Senza entrare nell’annoso problema dottrinale se queste intese, c.d. di secondo livello, godano della copertura di cui all’art. 7 Cost. ovvero di quella del successivo art. 8, a mio sommesso avviso, sembra, nondimeno, che il Protocollo non appaia inquadrabile in questa tipologia di atti, giacché non ci risulta che esso sia stato poi trasfuso in un provvedimento statale (solitamente un d.p.r.) affinché potesse assumere valore vincolante in ambito statuale, ma sia stato solo comunicato alla CEI, da parte del Ministero dell’Interno, Dip. per le libertà civili e l’immigrazione, con una semplice nota di accompagnamento.
Sembra, dunque, plausibile pensare che si tratti di una fonte anomala, comunque interna alla Chiesa, a cui lo Stato – con la firma del Governo – ha prestato un mero placet, non esistendo, ad oggi, neppure un fondamento normativo al riguardo, sebbene l’emendamento Ceccanti al d.l. n. 19/2020, approvato dalla Camera lo scorso 6 maggio, potrà fornire – quando sarà approvato da entrambe le Camera il d.d.l. di conversione – un supporto normativo a questa tipologia di atti (l’emendamento concerneva l’inserimento di una lettera h bis all’art. 1, comma 2, del d.l., con la previsione dell’«adozione di protocolli, adottati di intesa con la Chiesa cattolica e con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, per la definizione delle misure necessarie per consentire lo svolgimento delle funzioni religiose»).
Tale anomalia circa la natura dell’atto si ripercuote anche sulle conseguenze giuridiche in ambito statale, poiché – non essendo stato trasfuso in una normativa (anche solo di rango amministrativo) dello Stato – nessun organo statuale (ad es., gli organi di Polizia) potrà essere chiamato a sanzionare (come avvenuto per alcune celebrazioni liturgiche durante il periodo di lock-down) eventuali sue violazioni da parte di fedeli o dei celebranti. D’altronde a differenza del parere reso dal Ministero dell’Interno in occasione della Pasqua (prot. 3617 del 27.3.2020), che fu immediatamente trasmesso dal dicastero statale alle Prefetture, il Protocollo attuale non ci consta sia stato trasmesso alle stesse, sebbene sia reperibile sul sito del Governo.
E quindi chi risponderà per eventuali violazioni del Protocollo? Ed a quali sanzioni andrà incontro?
Si tratta di quesiti di difficile risposta. Senz’altro ci sembra che non possano ascriversi particolari responsabilità – di là di quella generale che ricade su ogni cittadino in questo periodo, che impone il distanziamento sociale e l’uso di dispositivi di sicurezza – sui fedeli. Ed a ben vedere anche per lo stesso legale rappresentante dell’ente sembra escludersi la possibilità di sanzioni – dal punto di vista statale e, direi, pure canonico – per eventuali violazioni, salvo che le condotte non siano sussumibili in violazioni di leggi e prescrizioni statali in questo periodo.
Del resto, dal tenore del Protocollo, emerge come lo stesso non contenga, a ben vedere, vere e proprie norme vincolanti tranne alcune (ad es., i punti 1.1, 1.2, 1.5, 3.2, 3.3, 3.10, 4.2), mentre la maggior parte di queste hanno indubbio carattere esortativo, quasi a livello di raccomandazione, di suggerimento per una celebrazione eucaristica “in sicurezza”.
Alcuni interrogativi sembrano porsi in proposito.
Se cioè il Protocollo sia applicabile solo alle celebrazioni delle messe in rito ordinario e, non, per es., in altri diversi (ad es., a quelle nella forma extraordinaria o in rito greco-cattolico o altro rito). Al riguardo, può affermarsi che il Protocollo non sia limitato alle celebrazioni delle messe solo in rito ordinario, ma si estenda a tutti i riti cattolici – compreso il vetus ordo – in Italia e che appartengono alla Chiesa cattolica. Né il riferimento, nel punto 3.3 allo scambio della pace, che deve continuare ad essere omesso, può indurre – in base ad una lettura superficiale – a ritenere che i riti che non comprendono questo gesto siano da escludersi dal campo di applicazione del Protocollo, e questo perché il Protocollo non contiene alcuna limitazione in ordine ai riti, essendo un atto generale, senza specificazioni di sorta, che concerne «la ripresa delle celebrazioni con il popolo» in qualsiasi rito e, dunque, anche le celebrazioni in rito greco-cattolico o nella forma straordinaria del rito romano o in altro rito ancora.
D’altronde, se si affermasse che il Protocollo non riguardasse pure le celebrazioni in altri riti, si dovrebbe concludere: o che queste celebrazioni non possano riprendere con il popolo a partire dal 18 maggio (e questo perché – se si afferma che le celebrazioni siano solo quelle nel rito romano ordinario – le altre sarebbero da escludersi anche dopo il 18, che, perciò, continuerebbero ad essere sine populo) o che, peggio, queste non debbano svolgersi “in sicurezza” e senza regole sanitarie per i fedeli.
Per cui, la chiave di lettura, come proposta da fedeli sensibili alla tradizione della Chiesa, secondo cui il Protocollo non si applicherebbe anche alle celebrazioni in quei riti, pare francamente poco convincente ed anzi controproducente per quei medesimi fedeli.
Le indicazioni del Protocollo, ovviamente, dovranno poi adattarsi al proprium dei riti celebrati dalle categorie dei fedeli. Su questo ben potranno intervenire i singoli Vescovi o i superiori di comunità. Ad es., l’Eparca cattolico di Lungro, mons. Oliverio, ha dettato il 13 maggio delle disposizioni, richiamando il Protocollo, nelle quali stabiliva nondimeno: «Per quanto riguarda la celebrazione delle varie ufficiature si continueranno a svolgere nel rispetto della nostra consolidata e santa tradizione liturgica, con le dovute attenzioni e precauzioni ma senza cambiamenti non autorizzati dall’Ordinario Diocesano». Supponiamo, quindi, che la distribuzione della Comunione continuerà ad avvenire con il cucchiaino in uso presso le Chiese bizantine chiamato lavida.
Altro interrogativo è se le diocesi o le singole conferenze episcopali regionali possano adottare ulteriori prescrizioni rispetto a quelle indicate dal Protocollo. Ciò è senz’altro possibile, nell’ambito di quanto statuito da quest’atto, prevedendo eventualmente delle cautele maggiori se lo esigono le circostanze territoriali (penso, ad es., alle zone lombarde) ovvero lo richiedano le specificità dei riti praticati (come è stato, ad es., per l’Eparchia di Lungro).
Veniamo al punto controverso che concerne propriamente la distribuzione della Comunione.
Il punto 3.4 stabilisce: «La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi – indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli».
Quel che emerge, in primo luogo, è il carattere esortativo della disposizione de qua. I verbi adoperati “avvenga” e “abbiano cura” esprimono l’idea di una raccomandazione, di un suggerimento, di esortazione paternalistica, ben diversa, dunque, da quella dell’obbligo stringente (non dice, infatti, “deve avvenire” né si adoperano forme verbali similari a questa). Avendo, dunque, valore esortativo, il celebrante potrebbe eventualmente anche decidere di non avvalersi di questo suggerimento, anche perché – come detto – non è prevista ex se alcuna sanzione in caso di sua violazione né potrebbe intervenire alcun’autorità dello Stato ad esigere il rispetto di quella specifica prescrizione, non essendo il Protocollo fatto proprio dallo Stato in un atto normativo o regolamentare/amministrativo.
Taluno (specie sacerdote), in effetti, si è lamentato, che non prenderà mai il Corpo di Cristo con un “preservativo” (v. qui), anche perché, per quei guanti monouso, essendo venuti in contatto con le sacre specie e nel timore, che possano conservarne dei frammenti, si porrebbe la questione liturgico-canonica del loro smaltimento. Questo, infatti, non potrebbe avvenire nel fuoco o nella terra in luogo appropriato o nel c.d. sacrario (essendo i guanti solitamente in materiale non biodegradabile ed anzi inquinante) e, d’altro canto, si pone il problema, quantomeno morale, di evitare di incorrere nel delitto di cui al can. 1367 del codice di diritto canonico («chi profana le specie consacrate, […] incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale»). La codificazione del 1917 (can. 1306), non a caso, prescriveva che tutto ciò che fosse venuto in contatto con le sacre specie fosse accuratamente lavato da ecclesiastici e versata la relativa acqua nel sacrario o nel fuoco («calici, patene, purificatoi, palle e corporali […] se furono adibiti per la Messa, e questi ultimi tre prima del bucato [fossero] lavati da ecclesiastici, versandone l’acqua nel sacrario o nel fuoco»). Disposizione simile oggi si trova nel § 120 dell’Istruzione Redemptionis sacramentum («I pastori abbiano cura di mantenere costantemente puliti i lini della mensa sacra, e in particolare quelli destinati ad accogliere le sacre specie, e di lavarli piuttosto di frequente secondo la prassi tradizionale. È lodevole che l’acqua del primo lavaggio, che va eseguito a mano, si versi nel sacrario della chiesa o a terra in un luogo appropriato. Successivamente, si può effettuare un nuovo lavaggio nel modo consueto»). Per cui, è più che legittimo porsi la questione dello smaltimento dei guanti monouso, che dovessero venire in contatto con le specie eucaristiche così come con gli oli santi, nel caso della celebrazione dei Battesimi e dell’Unzione degli Infermi (una nota al punto 3.8 precisa: «Nelle unzioni previste nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo e dell’Unzione degli infermi, il ministro indossi, oltre alla mascherina, guanti monouso»).
Il Protocollo nulla stabilisce circa lo smaltimento di questi guanti. Sarebbe bene, dunque, che tanto la CEI quanto le conferenze episcopali regionali dettino delle disposizioni in proposito.
Tornando al punto in discussione, a parte la circostanza che esso, per come è formulato, si atteggia più ad una raccomandazione che non ad un obbligo, vi è la circostanza innegabile che nel Protocollo non si dica affatto che il sacerdote debba prendere il Corpo di Cristo, da distribuire ai fedeli, con i guanti monouso, ben potendo adoperarsi, per la distribuzione della Comunione, le c.d. pinze eucaristiche, vale a dire un utensile liturgico, da secoli utilizzato dalla Chiesa in tempi di pestilenze (v. qui), come suggeriva, del resto, anche la diocesi di Milano (v. qui). Nulla di scandaloso, quindi, che il sacerdote, preoccupato di frammenti, sia pur minimali, di Ostia sul guanto monouso, possa, per precauzione, adoperare quest’utensile liturgico, avendo cura, ovviamente, della sua sterilizzazione dopo ogni celebrazione.
Nel Protocollo, per di più, non si legge neppure – a stretto rigore – che l’Ostia sia distribuita solo sulla mano. La disposizione, in effetti, afferma solo che sia evitato il contatto con le mani dei fedeli – per coloro che prendono l’Ostia in mano – ma nulla si legge circa quei fedeli che assumono l’Ostia sulla lingua. Non essendoci, perciò, un divieto in tal senso, sembra potersi affermare che l’Ostia ben possa essere presa sulla lingua da parte dei fedeli. In questo caso, secondo buon senso, bisognerà evitare che la mano del celebrante o dell’eventuale ministro straordinario, ovvero le c.d. pinze eucaristiche, vengano in contatto con la bocca o la lingua del fedele. Per questo, i vescovi non potrebbero né imporre la Comunione sulla mano né vietare quella sulla lingua (v. qui), come invece disposto da alcuni, come ad es., il vescovo pugliese di Conversano-Monopoli (v. qui) senza che, nella sua diocesi, ci siano particolari esigenze sanitarie.
Taluno, inoltre, preso da devoto zelo, si spinge a suggerire che, al termine della distribuzione della Comunione, essendo le dita del sacerdote venute in contatto con il Corpo di Cristo, siano nettate, anziché con un qualche detergente, bensì ponendo «le dita su una piccola fiamma come indicava San Carlo Borromeo durante la peste che colpì Milano» (v. qui). Preferiamo sorvolare su questa misura proposta, che va, evidentemente, storicizzata ed inserita nel suo contesto storico-sociale e culturale, tanto più che, in alternativa, a questo metodo “ustionante”, lo stesso Santo proponeva di lavare le dita in aceto preparato a tal fine, che si dovrà poi consumare nel fuoco (v. qui).
Ancora un interrogativo. Qualcuno ha affermato che il Protocollo sarebbe applicabile solo alla distribuzione della Comunione all’interno della messa, mentre extra Missam, il sacerdote non sarebbe tenuto al rispetto di quanto stabilito dal punto 3.4. In realtà, a parte la circostanza che – va ribadito – questo punto anche all’interno della celebrazione eucaristica ha un mero valore di raccomandazione, sembra, comunque, potersi escludere che il punto 3.4 riguardi solo le celebrazioni eucaristiche. Esso – per come è formulato – concerne, infatti, tutte le ipotesi di distribuzione della Comunione. Ce lo conferma il punto 3.8, secondo cui: «Il richiamo al pieno rispetto delle disposizioni sopraindicate, relative al distanziamento e all’uso di idonei dispositivi di protezione personale, si applica anche nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica o inserite in essa», come nel caso, ad es., di Battesimi, Matrimoni, ecc.
Quelle misure, dunque, valgono pure «nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica», come potrebbe essere la Comunione al di fuori della S. Messa.
Basterà adoperare, in fondo, le disposizioni cum grano salis e secondo buon senso.
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Marco Tosatti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali un amico affezionato della nostra comunità ci ha inviato, alla vigilia della riapertura delle celebrazioni con i fedeli, un vademecum di resistenza e difesa legale nei confronti delle possibili interferenze e prevaricazioni da parte di eventuali zelanti esponenti delle autorità civili. Leggete con attenzione, e seguite i consigli dell’amico, a cui va tutta la nostra riconoscenza per questi suggerimenti preziosi, in un momento in cui l’illibertà e l’autoritarismo sembrano allungare la loro ombra sulle nostre vite. Buona lettura.
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AD USO DEI FEDELI E DEI CHIERICI CATTOLICI
Premesso che nell’Ordinamento Repubblicano ex art. 7 della Costituzione e ex art. 1 dell’Accordo di Villa Madama del 1984 che Stato e Chiesa “sono sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”;
Premesso, dunque, che il Protocollo firmato il 7 maggio a Palazzo Chigi non ha prodotto né può produrre alcuna efficacia né nell’ordinamento della Repubblica né in quello Canonico essendo nullo ex tunc;
Premesso, inoltre, che “Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo. […] Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (Sacrosantum Concilium can. 22; cfr. anche CJC can. 838).
Considerato, in particolare, che la celebrazione del Santo Sacrificio della messa, istituito dal nostro nostro Salvatore nell’ultima cena per “perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua resurrezione” (Sacrosatum Concilium 47);
E che pertanto, la sua celebrazione è normata dalla leggi generali della Chiesa e, in particolare, per il Novus Ordo dall’Institutio Generalis Missali Romani (Editio Tipica Tertia), dal Diritto Canonico (Libro IV, Parte I, Titolo III) e dalla Istruzione Redemptoris Sacramentum; e per il Vetus Ordo dalle norme del Missale Romanum (Editio Tipica 1962) e dalle norme del Motu Proprio Summorum Pontificum;
Notando, infine, che “poiché deve difendere l’unità della Chiesa universale, il Vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche” (CJC can. 392 § 1) e a lui spetta di vigilare “che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei Santi” (Ibidem § 2).
Si ricorda, poi, che l’articolo 5 comma 2 dell’Accodo di Villa Madama 1984 prescrive che: “Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica”
Per casi di urgente necessità s’intende in via generale per evitare la commissione di un imminente, grave e non altrimenti evitabile crimine;
S’intendono, poi, quei casi contemplati dall’art. 354 del Codice di Procedura Penale che sommariamente sono: 1. è stato commesso un reato e gli agenti di polizia giudiziaria entrano per conservare tracce e cose relative a reato in attesa dell’intervento del pubblico ministero; per compiere i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose; se del caso, per sequestrare il corpo del reato e le cose a questo pertinenti. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale.
Dall’art. 39 del Codice Unico di Pubblica Sicurezza: presenza di armi, munizioni e materie esplodenti.
Solo in questi casi la forza pubblica nazionale (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza) può entrare senza la previa comunicazione all’autorità ecclesiastica.
L’art 54 del Testo Unico sugli Enti Locali comma 4 prevede che “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
In questo specifico caso qualsiasi accesso della forza pubblica deve essere dato preventivo avviso all’Ordinario del luogo.
L’art. 405 del Codice penale sanziona: “Chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni. Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni”
L’art. 409 prescrive: “Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 405,impedisce o turba un funerale o un servizio funebre è punito con la reclusionefino a un anno”.
L’art. 404 del Codice Penale prevede: “Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni.
Dispositivo dell’art. 403 Codice penale “Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto
Dispositivo dell’art. 414 Codice penale: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: 1. con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; 2. con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni. 3. Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1. 4.Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti.
Nei casi sopra previsti si applicano le aggravanti di cui all’art.112 del Codice Penale.
Suggerimenti Pratici
Al fine di garantire l’ordinato accesso ai luoghi di culto e per la dignità delle stesse sacre celebrazioni, in un contesto che anche a causa dell’incredibile comportamento della CEI, sarà prevedibilmente avverso e ostile:
- Si organizzi un piccolo gruppo di fedeli laici previamente preparati che regolino l’accesso con dignità e sicurezza.
- Di questo gruppo faccia parte se possibile un giudice, o un avvocato o un pubblico ufficiale o un giurista o, al limite, una persona adeguatamente preparata in diritto, cui venga rilasciata dal parroco o dal responsabile giuridico del luogo di culto un’opportuna delega.
- Nel caso di arrivo di membri della forza pubblica, chieda con calma, cortesia, rispetto ma anche con la necessaria risolutezza le ragioni dell’eventuale intervento e il chieda le generalità del mandante dello stesso.
- Ricordi, del caso, ai membri della forza pubblica quanto prescritto dalla Costituzione, dal diritto concordato e dal codice penale e da quello di procedura penale.
- Nel caso un deprecabile accesso al luogo di culto durante la celebrazione di un sacro rito:
- il celebrante e i sacri ministri non prestino alcuna attenzione agli intervenuti e proseguano nella celebrazione senza cedere ad alcuna intimidazione;
- sia solo il fedele incaricato ad interloquire con gli intervenuti;
- si abbia buona cura di documentare in ogni modo materiale e tecnico il comportamento degli intervenuti e ogni altro particolare atto all’identificazione degli intervenuti;
- con calma e buon ordine – anche se formalmente intimati – nessuno dei presenti si allontani dal luogo della celebrazione fino al suo termine.
- Al termine della celebrazione sia subito redatto un verbale circa i fatti e le circostanze in duplice copia originale;
- le due copie di detto verbale sia poi firmato dai ministri del culto, dal parroco o responsabile giuridico del luogo di culto e dal maggior numero di testimoni, di cui è possibile subito e/o in breve tempo l’identificazione tramite documento ufficiale di riconoscimento;
- una copia originale si conservi e l’altra si alleghi nel momento in cui ci si reca al più prossimo Commissariato di Polizia di Stato e a un Comando dell’Arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza per sporgere esposto/querela entro 90 giorni dai fatti accaduti.
In questo grave momento della vita della Santa Madre Chiesa, ogni battezzato è chiamato a difenderne il bene più prezioso: la Santissima Eucarestia. Come il piccolo e grande martire Tarcisio, che questo sommo bene difese con la sua giovane vita, meritando di sentire a lui rivolte le Parole di Gesù: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; ed io preparo per voi un regno”.
"Epoca terribili quella in cui gli IDIOTI governano I CIECHI"
RispondiEliminaPopolazione italiana: 60.317.000
cittadini stranieriregolari: 5.255.503
clendestini(calcolati in diff): 300.000
totale 65.872.503
Dati covid ore 18,00 15/05/2020
casi totali inizio pandemia 223.885 pari a 0,34 % DELLA POPOLAZIONE
persone attualmente positive 72.070 pari a 0,11% DELLA POPOLAZIONE
persone decedute fino a oggi 31.610 pari a 0,048% DELLA POPOLAZIONE
(NON ACCERTATE TUTTE DI COVID19)
persone guarite 120.205 pari a 0,18% DELLA POPOLAZIONE