Laudato Si', un'autocelebrazione discutibile
In occasione del quinto anniversario dell'enciclica Laudato Si' viene lanciato l'anno dedicato all'approfondimento delle sue tematiche. Una iniziativa discutibile, come discutibile è il contenuto dell'enciclica che si fonda su una serie di teorie scientifiche discusse. E che rappresenta una discontinuità con il magistero sociale precedente.
Domani 24 maggio cade il quinto anniversario della pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Il Vaticano programma una settimana di attività, tra cui una preghiera comune per l’ecologia integrale, ma le celebrazioni continueranno per ben un anno intero. L’iniziativa stupisce. La Rerum novarum fu celebrata da Pio XI quarant’anni dopo, e non cinque, con l’autore morto da 28 anni, e non con l’autore ancora vivente: ed era la Rerum novarum. Una messa in scena così ampia e lunga come un anno giubilare contrasta con l’oggettivo peso della Laudato si’ e suscita l’idea che questa sia strumento di una promozione culturale forzata; non solo un’enciclica ma una bandiera di un programma.
La Laudato si’ è stata presentata come un’enciclica sociale, in continuità con i precedenti interventi del magistero sociale dei papi, ma molti fanno notare che così non può essere. Il tema dell’ambiente era già stato considerato ma non come criterio fondante e principale di un’enciclica, bensì come un tema settoriale, dipendente da altri.
Nella Laudato si’, invece, la questione ambientale diventa la prima preoccupazione della Chiesa, il che contrasta con tutta la sua tradizione. Non si tratta solo di cogliere le interconnessioni tra ambiente naturale e società – questo lo aveva già esplicitato la Caritas in veritate: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale provoca insoddisfazione nelle relazioni sociali”, n. 51 – ma di assumere l’ecologia come punto di vista complessivo. Questo, oltre che problematico, è un passaggio non in linea con il precedente insegnamento. Se il concetto di “conversione ecologica” significasse questo, ossia assumere la prospettiva ecologica come punto di vista complessivo sulla questione sociale, sarebbe da rifiutare. I temi della famiglia o della vita – a proposito: perché non dedicare una settimana speciale o un anno intero alla vita, tema ben più importante della conservazione della biodiversità data la strage che l’aborto sta facendo? – possono svolgere meglio il ruolo di punto di vista complessivo e di crocevia dei problemi sociali.
Nell’enciclica c’è un massiccio utilizzo di dati sociologici funzionali a sostenere la tesi della causa antropica dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale, contro la tesi di chi pensa che, al contrario, i problemi nascano dal mancato sviluppo e non dallo sviluppo. Questo pone seri problemi. Non è opportuno che in un documento del supremo magistero ecclesiastico si sposi questa o quest’altra ipotesi scientifica, sia perché il dibattito su questi temi è tuttora in corso e conclusioni chiare non ce ne sono, sia perché dietro le diverse correnti di pensiero scientifico si nascondono interessi materiali e ideologici che non è conveniente vengano sposati dall’autorità ecclesiastica, sia infine perché non è compito del magistero pronunciarsi sulle cause scientifiche dei processi in atto.
Le scienze sociali sono un elemento di cui le encicliche sociali devono tenere conto. Ma quelle discipline non sono fondative della Dottrina sociale della Chiesa e quindi non possono porsi addirittura come base delle considerazioni del magistero. Ciò rappresenta un restringimento della ragione e non un suo allargamento come voleva Benedetto XVI nel paragrafo 31 della Caritas in veritate.
La collocazione della Laudato si’ nella sequenza della Dottrina sociale è quindi problematica. Al punto che alcuni esperti sostengono che l’enciclica non può pretendere l’ossequio da parte dei fedeli come spetterebbe ad una enciclica pontificia. Ciò vale, soprattutto ma non solo, per la vasta sezione in cui l’enciclica riporta, facendole proprie senza filtri, contestabili opinioni sulle dimensioni e sulle cause del degrado ambientale. Ciò pone il problema di quale carattere vincolante abbia questa enciclica e fino a che punto la si debba considerare propriamente magistero. La Laudato si’, in rapporto inversamente proporzionale al numero delle sue pagine, si presenta quindi come un’enciclica debole nella sua struttura magisteriale.
I contenuti e il linguaggio dell’enciclica non si distinguono granché dai format espressivi dei movimenti ambientalisti. La natura va consegnata alle future generazioni così come si restituisce un prestito e le culture indigene vanno preservate allo stesso modo della biodiversità. L’assenso alla vulgata delle previsioni catastrofiche si connette con l’invito alla decrescita felice. Il principio “tutto si tiene”, di facile fraintendimento gnostico e naturalistico è associato alla “conversione ecologica”, principio dal dubbio significato. Mentre ci sono pagine e pagine di ambientalismo si parla solo di sfuggita di aborto (n. 120), di sacrificio di embrioni (n. 136) e di famiglia. L’”ecologia umana” di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI viene diluita nella nuova “ecologia integrale” del tutto-si-tiene.
C’è quindi una evidente sproporzione tra la Laudato si’ e l’enfasi sul suo quinto anniversario. A parte il dubbio stile della pomposa autocelebrazione, si nota soprattutto la volontà di lanciare l’enciclica come “evento”, come bandiera di un nuovo modo – friendly - di rapportarsi col linguaggio e la sensibilità del mondo.
Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/laudato-si-unautocelebrazione-discutibile
Bergoglio è "sceso in campo",per così dire,ai tempi delle primavere arabe,quando,sobillati i popoli,per quelle che sono pur lecite ed intrinseche aspirazioni alla giustizia,si volle dare l'idea del cambiamento,anche nella Chiesa. Agli occhi dei media plutocratici,massonici e classisti,il Papa di prima era come Mubarak. Per dare l'idea di un cambiamento bisognava aspettare un Papa con lo stesso nome di San Francesco,che sarebbe diventato agli occhi dei media,compresi quelli dei ricchi industriali d'Italia,che bene rappresentano,invece,le plutocrazie interne,il "Papa dei poveri". Come dei camaleonti,una vera e propria opera di camuffaggio da parte delle classi agiate e,nello stesso tempo,per portare avanti l'agenda liberal nella Chiesa. Un modo di prendere in giro quelle che sono le vere aspirazioni dei popoli,che pure esistono,cavalcando l'onda con lo scopo di tenere sempre le redini. Ora è arrivato il Papa dei poveri,quindi tutto è cambiato,affinché tutto rimanga come è. Salvo accogliere gli studenti delle università private in Piazza San Pietro durante la "giornata mondiale contro la povertà" circa un anno fa,non ho mai sentito il Papa difendere il diritto agli studi universitari e indicare il dito contro le fin troppe disparità interne. Ma poi si sbandiera la "questione del lavoro",facendo pensare,che l'unica cosa che conta,sia "il lavoro",facendo il gioco delle caste e degli evasori,che continuano a sedere i primi posti nelle chiese e nelle piazze. Come andava affermando invece San Francesco di Paola,in opposto ad Ayn Rand,bisognerebbe invece mandarli a spaccare le pietre.
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