LE INTERVISTE IMPOSSIBILI/4
Lo spudorato realismo del signor Coronavirus
Il virus si racconta confessando di essere venuto per smascherare le illusioni umane: «Sfilavate per la pace e io vi ho trasformati in bombe epidemiche. La vostra paura è l’ombra del vostro egoismo, perciò vi ho regalato l’isolamento. Amavate ridere a vuoto ed io vi ho coperto la bocca. Volevate una vita virtuale ed ora la vostra vita reale è scomparsa. Pensavate alla scienza come liberatrice, ora gli scienziati vi tengono a casa».
Mi sento chiamare. Mi volto. Riconosco quegli occhi al di sopra della mascherina, ormai di ordinanza. È Marco, compagno di calcetto di qualche era glaciale or sono. Più pingue che invecchiato inizia a snocciolare aneddoti del passato mentre i nostri due carrelli della spesa non rispettano il distanziamento sociale. I clienti del supermercato intanto sciamano attenti e prudenti intorno a noi.
Poi ad un certo punto l’appesantito Marco mi fa: «Sai che leggo le tue interviste? Incontri gente davvero strana».
«Questo è quello che offre il convento del mondo, amico mio», gli rispondo.
E lui di rimando: «Sai chi dovresti intervistare?»
«Dimmi, chi?»
«Ma il signor Coronavirus!»
«Preferisco lasciare ad altri simili piaceri».
E dopo una serie di battute, tutte orrendamente scontate, Marco alla fine saluta e riprende il suo tour tra le corsie. A quel punto sento dietro di me una voce piatta e atona interpellarmi così: «Il suo amico aveva ragione. Dovrebbe intervistare quello che voi chiamate il Coronavirus». Mi giro e mi trovo di fronte un anziano, di bassa statura e assai esile, che porta un paio di occhiali importanti, dalle lenti completamente appannate. Si toglie la mascherina e fa un passo verso di me. Un passo di troppo che mi costringe d’istinto a farne uno io di meno. Arretro.
«Ma sì, intervisti il Coronavirus. Intervisti me».
«Prego?»
«Piacere, sono l’ex detenuto SARS-CoV-2» e così dicendo mi tende la mano come se stesse impugnando una pistola. Io nuovamente arretro e lui di rimando sorride amabile: «A mano armata, carisssimo». Le due esse di “carissimo” escono dalla sua bocca sibilanti e assai lunghe. Ricordano il rumore di un trapano da dentista. «Ogni mano è diventata un’arma e un gesto di pace si è mutato in una minaccia. Avete tanto berciato contro la guerra quanto marciato per la pace ed io ho trasformato ciascuno di voi in una potenziale bomba epidemica. La legge del contrappassso carisssimo». Nuovamente quelle esse così fastidiose. Tento di riavermi. Mi manca il respiro anche a causa della mascherina, la quale invece pende da un orecchio del mio interlocutore come se fosse un orecchino. Poi riesco a formulare mentalmente la domanda che mi pare la più logica possibile: «Sarà davvero chi dice di essere?!»
«Noto che le mancano le parole», fece l’ometto con un tono di voce assai noioso. Ricordava il più tedioso tra i più tediosi professori di liceo.
«Mi provi che lei è il signor Covid»
«Innanzitutto non mi confonda con il Covid-19. Lui è la malattia. Io sono un virus. E poi è facile provare che io sono chi dico di esssere. Se viene più vicino posso dimostrarglielo». Una strana luce violacea si era accesa per un attimo agli angoli degli occhi. Arretro di nuovo di un passo. Lui a quel punto si volta, fa tre passi e sfiora una ragazza, mora e riccia, con una mascherina a fantasia. Gli tengo dietro.
«Bene, facciamo finta che sia lei il nostro Coronavirus. Perché si è definito un ex detenuto?». L’ometto anziano, rimettendosi la mascherina, si volta verso di me e mi domanda con un tono di voce completamente cambiato: «Scusi? Sta parlando con me?».
A quel punto, dopo essersi tolta la mascherina, interviene la ragazza mora di prima: «Guardi che stava parlando con il sottoscritto». E pronuncia queste parole con un tono di voce stanco e piatto. Capisco al volo cosa è successo: Sars-comesichiama si era trasferito dalla persona anziana alla ragazza. Ero più stupito che spaventato.
«Sono un ex detenuto perché sono evaso. Non mi venga a chiedere se da un laboratorio o dal corpo di un pipistrello. Domanda oziosa. Anche se è certo che prima di traslocare da voi, mi ero adattato a vivere in quegli schifosi chirotteri. Poi, magicamente avvenne lo spillover, il salto di specie. Senta come suona bene: spill-o-ver. Su, su, lo ripeta con me: spill-o-ver». Non gli bado. L’indole del cronista torna a farsi vigile in me.
«Come si definirebbe?»
«Sono una parodia del peccato originale: anche quello fece un salto di specie da animale a uomo, da un serpente ad un esssere umano. Curioso come certe cose ritornino, non trova?». La ragazza allunga una mano e con un tocco leggero mette a posto il colletto di un ragazzetto con un cappello da baseball sgualcito che si era allontanato dalla madre. Stessa scena di prima: la ragazza si rimette la mascherina e il bimbetto, togliendo la sua, si gira verso di me.
«Il suo pregio più grande? Posto che ne abbia uno….», faccio al ragazzino.
E il ragazzino, con una vocina atona e incolore: «Sono un tipo realista che obbliga tutti a guardare in faccia ai fatti per quello che sono. Ringraziatemi perchè vi ho fatto conoscere i vostri limiti, vi ho costretto a guardarvi allo specchio. Io sono la personificazione del male che avete dentro e vi consuma, vi infetta e vi uccide. Io ho dato forma al vostro peccato, perchè il mio contagio è ad ampia diffusione, così come il male di suo è diffusivo. Io sono il vostro contrappassso».
«Cosa intende dire?»
«La compagnia che voi cercavate prima di questo sfolgorante periodo di tenebre era solo cibo per il vostro individualismo, era la vetrina per la vostra vanità. E così io vi ho regalato l’isolamento dove asssaporare i frutti rancidi del vostro egoismo. Amavate ridere a vuoto ed io vi ho coperto la bocca con una mascherina, vi ho tolto il sorriso. E a proposito di mascherine, voi siete menzogneri, non autentici, vi celate dietro mille maschere e allora vi ho regalato milioni di mascherine. Vi piacevano così tanto i social e le posssibilità offerte dal web ed ora io vi ho incatenato a loro come unica posssibilità di comunicazione. Per anni vi siete rinchiusi in una vita virtuale ed ora la vostra vita reale è solo virtuale. Infine avete sempre pensato alla scienza come liberatrice ed ora gli scienziati vi tengono a casa».
Passa accanto al ragazzetto una donna dalla stazza eccezionale. Lui fa un passo e la tocca con un dito la spalla. La donna, come da copione, si toglie la mascherina.
«Chi vorrebbe essere?»
«Le dirò a chi asssomiglio – mi disse la donna con il medesimo tono di voce dei precedenti ospiti del signor SARS-CoV-2 e pronunciando quelle coppia di esse come se stesse usando ancora una volta un trapano da dentista – Asssomiglio a Dio: sono qui, ma contemporaneamente sono in tanti posti diversi, do la morte o risparmio vite, scuoto le coscienze nell'intimo». Sorride. I denti luccicano.
«Noto in lei una punta di superbia».
«La superbia è un lussso che possso permettermi. Suvvia, è sotto gli occhi di tutti: un essserino così piccolo ha messso in ginocchio l’intera umanità. Sì, mi sento migliore di voi. Un esempio tra molti? Voi da tempo avete smesso di fare figli. Io mi replico tantisssimo invece». Ride di nuovo, quasi fino alle lacrime.
«È meglio che mi dia una calmata, altrimenti soffoco dal ridere»
«Humor nero il suo…»
«Le faccio io ora una domanda: lei ha paura di me?»
«Certo, è naturale»
«Allora mi permetto di dirle che la vostra paura è l’ombra del vostro egoismo. Nesssuno, ad esempio, si scandalizza del milione e mezzo di bambini che ogni anno muoiono per tubercolosi, per il semplice motivo che quei bambini non sono figli vostri. Il male quotidiano di una parte del mondo per la prima volta dopo cento anni è diventato male del vostro mondo. E così vi siete svegliati da un torpore delle coscienze, quello sì, letale. Un male che vi ha soltanto sfiorato. Ho deciso di cogliere, per lo più, i fiori già sfioriti, di osssidare gli anni di argento, di farvi visita nell’inverno della vostra esistenza, risparmiando i germogli da impreviste gelate primaverili».
Un uomo sulla trentina, alto e robusto, pericolosamente dà le spalle alla donna. Questa allunga una gamba e con un piede gli dà un colpetto all’altezza del polpaccio.
«Pare quasi che ci provi gusto a contagiare»
«Non ci provo gusto, signore. È solo sopravvivenza. In questo io e voi siamo uguali. Anche voi sopravvivete. Di certo non vivete. Vi trascinate sul ventre perché pensate ed agite mossi dal ventre e bassso ventre».
«Un’altra domanda. Lei ha vissuto da vicino, anzi da dentro, centinaia di migliaia di morti. Come si preparano gli uomini a morire?»
«Chi crede trova sempre la parola giusta, chi non crede semplicemente non trova parola alcuna. È la morte ad aver detto per lui l’ultima parola». L’uomo sulla trentina si rimette la mascherina pur non avendo sfiorato nessuno e poi si allontana da me speditamente. Capisco che l’intervista è terminata.
Dopo qualche minuto di disorientamento, riprendo a fare la spesa e poi mi reco alle casse. Esco e appena arrivato al parcheggio ecco che, sparsi qua e là, un omino anziano, una ragazza mora e riccia, un ragazzetto con un cappello da baseball sgualcito, una donna obesa e un tizio sulla trentina ben piazzato si voltano nello stesso istante verso di me e, con il medesimo tono di voce stanco e smorto, mi fanno in coro, togliendosi la mascherina: «La prosssima volta sarò io ad intervistarla».
Tommaso Scandroglio
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