No alla Comunione in bocca? Una raccomandazione senza evidenza scientifica
Secondo i principi della medicina basata sull’evidenza questa raccomandazione si colloca al IV livello di evidenza, ovvero al livello più basso. Un rating simile è tecnicamente attribuito alle raccomandazioni mediche prive di ogni affidabilità e valore scientifico. Mai questo tipo di raccomandazioni diventa pratica medica routinaria. Eppure, la nuova raccomandazione del Comitato tecnico scientifico (Cts) per l’emergenza Covid-19 è destinata a modificare radicalmente il comportamento di milioni di individui.
Leggiamo dallo stralcio del verbale n. 91: “Anche sulla base degli attuali indici epidemiologici, il Cts raccomanda che l’officiante, al termine della fase relativa alla consacrazione delle ostie, dopo aver partecipato l’Eucarestia ma prima della distribuzione delle ostie consacrate ai fedeli, proceda ad una scrupolosa detersione delle proprie mani con soluzioni idroalcoliche. Il Cts raccomanda altresì che, in assenza di dispositivi di distribuzione, le ostie dovranno essere depositate nelle mani dei fedeli evitando qualsiasi contatto tra le mani dell’officiante e le mani dei fedeli medesimi. In caso di contatto, dovrà essere ripetuta la procedura di detersione delle mani dell’officiante prima di riprendere la distribuzione della Comunione. Il Cts ritiene auspicabile che la medesima procedura di detersione delle mani venga osservata anche dai fedeli prima di ricevere l’ostia consacrata. Rimane la raccomandazione di evitare la distribuzione delle ostie consacrate portate dall’officiante direttamente alla bocca dei fedeli”.
Quest’ultima “raccomandazione” colpisce molto per molti motivi.
Essa giunge a distanza di oltre un mese dal Protocollo Cei e governo italiano circa la ripresa delle Celebrazioni con il popolo ed inserisce un elemento nuovo che non era contenuto e nemmeno implicitamente considerato nel suddetto documento. Infatti, a partire dal 18 maggio i fedeli hanno potuto ricevere, nel rispetto dovuto alla personale libertà di scelta, la comunione sia in bocca che nelle mani, in condizioni di assoluta sicurezza e tutela della loro salute e senza che questo abbia generato alcun caso di documentata trasmissione del virus o infezione da Covid-19.
Pertanto, la nuova raccomandazione del Cts risulta intempestiva ed è immotivata perché non conseguenziale alla eventuale segnalazione di un maggiore rischio infettivo connesso al ricevimento della comunione, sia nella modalità di distribuzione della stessa in bocca che in quella sulle mani.
“Rimane la raccomandazione” ha l’esplicito significato di confermare un criterio o una raccomandazione indicati da una pregressa prescrizione. Di tale prescrizione non si rinviene alcuna traccia nel Protocollo Cei – governo, nel quale letteralmente si legge all’articolo 3.4: “La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi – indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli”. Come è facile evincere, in questo scritto non compare alcuna raccomandazione di evitare la distribuzione delle ostie consacrate portate dall’officiante direttamente alla bocca dei fedeli. L’espressione “rimane la raccomandazione” appare, pertanto, quanto meno arbitraria, ambigua e priva di alcuna fattuale giustificazione.
È evidente che questa nuova raccomandazione introduce un elemento inatteso; ma soprattutto stupisce che essa sia assolutamente sprovvista di ragionevolezza epidemiologica e rigore scientifico.
Da un punto di vista epidemiologico, si comprende poco come “sulla base degli attuali indici epidemiologici” il Cts abbia giustamente rivisto la pratica relativa all’impiego dei guanti nella distribuzione della comunione (consigliando di non usarli) ed invece abbia inserito ex novo, in maniera imprevedibile oltre che incoerente rispetto agli stessi ‘attuali indici epidemiologici’, la raccomandazione di evitare da parte dell’officiante la distribuzione delle ostie consacrate direttamente alla bocca dei fedeli.
Essa è irragionevole perché inserisce, e – come già detto – senza che ve ne sia obiettiva necessità e giustificazione epidemiologica, un irrigidimento dei criteri di distribuzione della comunione. Questo dato si pone in stridente e inaccettabile controtendenza rispetto a quanto avviene in tutti gli ambiti di vita di relazione, sociale e lavorativa. Laddove infatti si assiste ad un diffuso e trasversale ampliamento ed ‘ammorbidimento’ – sempre giustificato dagli attuali indici epidemiologici! – delle regole di comportamento, i criteri di distribuzione della Comunione divengono motivo di ingiustificata e irrazionale penalizzazione e ‘inasprimento’. Eppure, come facilmente verificabile, il momento della Comunione durante la Messa non integra in alcun modo la condizione di contatto stretto che rappresenta ad oggi l’unica condizione in grado di determinare un sensibile aumento del rischio di trasmissione del virus.
L’elemento, tuttavia, che più di ogni altro rende inaccettabile la nuova raccomandazione a qualsivoglia mente minimamente avvezza ai presupposti del ragionamento scientifico e alle sue metodologie è proprio il significato fondante del concetto di raccomandazione. In medicina, tale concetto non viene mai utilizzato in maniera casuale, ma è sempre necessariamente ricondotto ai principi della medicina basata sull’evidenza. A tale proposito, al concetto di raccomandazione si associa inevitabilmente il concetto di forza della raccomandazione. Esiste una “gerarchia delle evidenze” esemplificata da una piramide che cataloga la progressiva affidabilità scientifica delle prove. Al vertice della struttura sono posti i risultati derivanti dalle sperimentazioni cliniche randomizzate – a cui corrisponde un maggior rating di forza delle raccomandazioni – mentre al gradino più basso troviamo i risultati riportati sulla base di singole esperienze e le opinioni di esperti (con uno scarso valore scientifico e basso livello di forza di raccomandazione). Le raccomandazioni in medicina possono nascere solo secondo i principi della medicina basata sull’evidenza. Non tutte le raccomandazioni hanno la stessa dignità e lo stesso valore scientifico. Le raccomandazioni che sfuggono ai fondamentali e rigorosi criteri della medicina basata sull’evidenza hanno scarso (o nullo) valore e nessuna affidabilità medico-scientifica. Secondo gli stessi principi della medicina basata sull’evidenza solo le raccomandazioni classificabili come A e B sono effettivamente utili al paziente nella prevenzione e nella terapia di una malattia. Infatti, tali raccomandazioni emergono da studi eseguiti in maniera sistematica secondo criteri di controllo e randomizzazione dei risultati. Per questo motivo esse posseggono valore scientifico, un alto livello di evidenza e un elevato rating di raccomandazione. Le raccomandazioni classificate come C non provengono da trials o studi controllati e/o randomizzati e sono quindi sprovviste di valore scientifico. Come tali possono fornire solo alcune generali indicazioni di comportamento, ma non possono essere di riferimento nella pratica medica routinaria.
Le raccomandazioni classificate come D provengono dal parere di esperti e hanno il livello più basso di evidenza. Sono del tutto prive di rigore e fondamento scientifico e non possono essere pertanto in nessun modo fornire elementi di sicuro orientamento della condotta medica e scientifica.
A questo punto, è inevitabile argomentare la questione ponendo una domanda: quale è il livello di evidenza medica e il corrispondente rating di forza della nuova raccomandazione fatta dal Comitato Tecnico Scientifico per l’emergenza Covid-19? Tecnicamente tale raccomandazione, essendo fondata esclusivamente su una opinione non supportata da dati ricavati da studi scientifici mirati al tema in discussione, si colloca al IV livello di evidenza (il più basso), e presenta conseguentemente una forza di raccomandazione pari a zero. Essa è, quindi, per definizione, una raccomandazione priva di rigore e fondamento scientifico.
Sebbene molti esperti si siano espressi a favore della distruzione della comunione direttamente in bocca piuttosto che sulle mani, essendo quest’ultime pericoloso ricettacolo di germi, ad oggi non è possibile affermare con certezza scientifica quale modalità di distribuzione sia superiore all’altro in termini di sicurezza per la salute del fedele.
Quindi nessuna preferenza può essere fatta a favore di un metodo piuttosto che dell’altro. Ogni opinione in merito, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è priva di valore scientifico. Come tale non rappresenta alcuna indicazione utile alla salute dell’individuo.
Tuttavia, in medicina (e non solo) vigono anche regole semplici perché dettate dal buon senso e dalla prudenza.
Pertanto, secondo un principio di buon senso (non disponendo di alcun dato scientifico a supporto): se è buona norma “evitare qualsiasi contatto tra le mani dell’officiante e le mani dei fedeli medesimi. In caso di contatto, dovrà essere ripetuta la procedura di detersione delle mani dell’officiante prima di riprendere la distribuzione della Comunione”, è buona norma dare anche la seguente indicazione: “Evitare qualsiasi contatto tra le mani dell’officiante e la bocca dei fedeli medesimi. In caso di contatto, dovrà essere ripetuta la procedura di detersione delle mani dell’officiante prima di riprendere la distribuzione della Comunione”.
È un suggerimento semplice, non supportato da evidenze scientifiche, ma razionale e soprattutto saggio e per questo giusto.
Poi, in realtà, è anche un suggerimento che non comporta alcuna iniqua discriminazione: risulta infatti incomprensibile il motivo per il quale la medesima nuova raccomandazione del Cts si faccia carico di rivedere solo le modalità di ricevimento della Comunione per la sola comunità cattolica, lasciando invece invariata la modalità di ricevere in bocca la Comunione per le altre confessioni cristiane non cattoliche.
Andrea Reho*
andreareho1@gmail.com
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* Medico, specialista e dottore di ricerca presso l’Università degli Studi Milano, responsabile di Unità operativa di Chirurgia plastica ricostruttiva – Gruppo ospedaliero San Donato. Membro della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva. Risiede e lavora a Milano, ha studiato e lavorato nel Regno Unito, ha studiato in Francia e negli Stati Uniti.
COVID E SCIENTISMO
Comunione: i vescovi non si pieghino al governo
Protocollo tra Cei e Governo per la ripresa delle Messe: Comunione solo sulle mani? Non ha senso, nemmeno scientificamente. La Cei non risponde a una lettera aperta. Delpini manda un parere informale che rivela un'ammissione di non conoscenza che sfocia però in allineamento a decisioni governative, nonostante il rammarico per la Messa "sfigurata"
Messa nel Duomo di Milano
L’8 giugno scorso, un gruppo di medici e giuristi, preoccupati del fatto che a seguito del protocollo tra Cei e Governo per la ripresa delle Messe si stava assistendo ad una diffusissima forzatura di interpretazione del protocollo stesso, finalizzata a rendere obbligatoria la Comunione distribuita solamente sulle mani, decise di redigere un documento che dimostrava attraverso dati scientifici che la Comunione data direttamente in bocca non presenta in alcun modo un rischio per la salute dei fedeli che la ricevono. Veniva ricordato anche un precedente molto significativo: nel 2009, in occasione della diffusione epidemica da virus influenzale H1N1 (influenza suina), caratterizzata da analoghe modalità di trasmissione, nessun categorico invito era stato fatto in merito alla modalità di ricevere la Comunione solo sulle mani.
Da un punto di vista del Diritto, la lettera sottolineava che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in quella occasione, ebbe modo di riconoscere e salvaguardare “il diritto di ciascun fedele di ricevere il Santissimo Sacramento sulla lingua”, affermando inoltre che “Non è lecito negare ad un fedele la santa Comunione a meno che non vi sia dal diritto la proibizione di riceverlo” (Redemptionis Sacramentum, cfr. n.91 e n.92). Nella lettera dei medici e giuristi veniva anche osservato che in nessun modo il Decreto del Governo italiano previsto per le altre Confessioni Cristiane non cattoliche ha implicato una modificazione delle consuete modalità di ricevere la Comunione. Questa lettera, firmata da Gianfranco Amato, Emanuela Francone, Paolo Gulisano, Silvano Poma, Andrea Reho, Giulio Reho, è stata inviata al Pontefice, al cardinale Bassetti presidente della CEI e per conoscenza ad altri prelati.
A quattro settimane dall’invio, non è arrivata alcuna risposta formale, e pertanto i firmatari hanno deciso di rendere pubblica questa iniziativa. Il silenzio della Chiesa per la verità non è stato assoluto: è arrivato infatti un cortese biglietto scritto di sua mano da parte dell’Arcivescovo di Milano Monsignor Delpini. L’Arcivescovo scrive: “Non sono esperto di nessuno degli argomenti trattati. Sono invece sconcertato per le differenze di valutazione che gli esperti esprimono su molti aspetti della vicenda del Covid. Sono personalmente incline ad avere stima e rispetto per chi ha responsabilità istituzionali, ma non nascondo il disappunto per prescrizioni che sfigurano le nostre celebrazioni”. In queste poche righe, è sinteticamente riassunto quello che non solo monsignor Delpini, ma probabilmente l’intero episcopato, o quasi, ha vissuto di fronte all’epidemia: 1) la non conoscenza degli argomenti scientifici. 2) La deferenza e il rispetto per le istituzioni 3) Lo sconcerto per le diverse valutazioni espresse dagli esperti 4) Il disappunto per le prescrizioni che – come dice giustamente l’Arcivescovo - “sfigurano” (un termine forte e significativo) le celebrazioni.
Come detto, stimolati anche da queste osservazioni di Delpini, abbiamo provveduto a stilare un nuovo documento. Cercando un dialogo su basi puramente tecniche, basate sui principi della Evidence Based Medicine con il CTS. Ci piacerebbe però che la Chiesa prestasse per prima attenzione a ciò che scriviamo. Se è vero che, come dice Delpini, i vescovi non sanno nulla di Epidemiologia e Infettivologia, perché non dotarsi di un proprio Comitato tecnico-scientifico in propria rappresentanza? E’ avvenuto in Austria, in Scozia, in Polonia, perché non dovrebbe essere così anche in Italia. Ci sono nel mondo scientifico posizioni discordanti? Lo stupore di monsignor Delpini è quasi ingenuo: l’ingenuità di chi si è a lungo sentito raccontare che esiste LA Scienza, precisa ed esatta, al contrario della Teologia sempre opinabile e in discussione, agli occhi del mondo. Esistono posizioni diverse in merito all’epidemia? Bene: si tratta allora (per usare un termine caro al linguaggio ecclesiastico) di “discernere”. Chiediamo quindi ai vescovi di non appiattirsi sulla vulgata governativa. Va bene il rispetto e la deferenza verso le istituzioni di cui parla l’Arcivescovo, ma i comitati governativi non hanno il dono dell’infallibilità. Parliamone. Infine: se è vero quello che dice il successore di san Carlo Borromeo che queste prescrizioni sfigurano le liturgie, perché non andare ad un nuovo tavolo di trattativa forti di una serie di dati scientifici messi a disposizione della Chiesa con competenza e passione da ricercatori e studiosi?
Un punto di partenza potrebbe essere questo nuovo documento, nel quale sono state evidenziati alcune criticità del protocollo governativo, e soprattutto della recente nota che va ulteriormente a sfigurare il momento così importante della Comunione Eucaristica.
1. Essa giunge a distanza di oltre 1 mese dal Protocollo CEI e Governo italiano circa la ripresa delle Celebrazioni con il popolo ed inserisce un elemento nuovo che non era contenuto e nemmeno implicitamente considerato nel suddetto documento. Infatti, a partire dal 18 maggio i fedeli hanno potuto ricevere, nel rispetto dovuto alla personale libertà di scelta, la comunione sia in bocca che nelle mani, in condizioni di assoluta sicurezza e tutela della loro salute e senza che questo abbia generato alcun caso di documentata trasmissione del virus.
2. Pertanto, la nuova raccomandazione del CTS risulta intempestiva ed è immotivata perché non conseguenziale alla eventuale segnalazione di un maggiore rischio infettivo connesso al ricevimento della comunione, sia nella modalità di distribuzione della stessa in bocca che in quella sulle mani.
3. “Rimane la raccomandazione” ha l’esplicito significato di confermare un criterio o una raccomandazione indicati da una pregressa prescrizione. Di tale prescrizione in realtà non si rinviene alcuna traccia nel protocollo CEI-Governo, dove .non compariva alcuna raccomandazione di evitare la distribuzione delle ostie consacrate portate dall’officiante direttamente alla bocca dei fedeli’. L’espressione ‘rimane la raccomandazione’ appare, pertanto, quanto meno arbitraria, ambigua e priva di alcuna fattuale giustificazione.
4. Da un punto di vista epidemiologico, si comprende poco come “sulla base degli attuali indici epidemiologici” il CTS abbia giustamente rivisto la pratica relativa all’impiego dei guanti nella distribuzione della comunione (consigliando di non usarli) ed invece abbia inserito ex novo, in maniera imprevedibile oltre che incoerente rispetto agli stessi ‘attuali indici epidemiologici’, la raccomandazione di evitare da parte dell’officiante la distribuzione delle ostie consacrate direttamente alla bocca dei fedeli.
5. Essa è irragionevole perché inserisce, e - come già detto - senza che ve ne sia obiettiva necessità e giustificazione epidemiologica, un irrigidimento dei criteri di distribuzione della comunione. Questo dato si pone in stridente e inaccettabile controtendenza rispetto a quanto avviene in tutti gli ambiti di vita di relazione, sociale e lavorativa. Laddove infatti si assiste ad un diffuso e trasversale ampliamento ed ‘ammorbidimento’ – sempre giustificato dagli attuali indici epidemiologici! - delle regole di comportamento, i criteri di distribuzione della Comunione divengono motivo di ingiustificata e irrazionale penalizzazione e ‘inasprimento’. Eppure, come facilmente verificabile, il momento della Comunione durante la Messa non integra in alcun modo la condizione di contatto stretto che rappresenta ad oggi l’unica condizione in grado di determinare un sensibile aumento del rischio di trasmissione del virus.
6. L’elemento, tuttavia, che più di ogni altro rende inaccettabile la nuova raccomandazione a qualsivoglia mente minimamente avvezza ai presupposti del ragionamento scientifico e alle sue metodologie è proprio il significato fondante del concetto di Raccomandazione. In medicina, tale concetto non viene mai utilizzato in maniera casuale, ma viene sempre necessariamente ricondotto ai principi della Medicina Basata sull’Evidenza. A tale proposito, al concetto di raccomandazione si associa inevitabilmente il concetto di forza della raccomandazione. Esiste una “gerarchia delle evidenze” esemplificata da una piramide che cataloga la progressiva affidabilità scientifica delle prove. Al vertice della struttura sono posti i risultati derivanti dalle sperimentazioni cliniche randomizzate – a cui corrisponde un maggior rating di forza delle raccomandazioni - mentre al gradino più basso troviamo i risultati riportati sulla base di singole esperienze e le opinioni di esperti (con uno scarso valore scientifico e basso livello di forza di raccomandazione). Le raccomandazioni in medicina possono nascere solo secondo i principi della Medicina Basata sull’Evidenza. Non tutte le raccomandazioni hanno la stessa dignità e lo stesso valore scientifico. Le raccomandazioni che sfuggono ai fondamentali e rigorosi criteri della Medicina Basata sull’Evidenza hanno scarso (o nullo) valore e nessuna affidabilità medico-scientifica. Secondo gli stessi principi della Medicina Basata sull’Evidenza solo le raccomandazioni classificabili come A e B sono effettivamente utili al paziente nella prevenzione e nella terapia di una malattia. Infatti, tali raccomandazioni emergono da studi eseguiti in maniera sistematica secondo criteri di controllo e randomizzazione dei risultati. Per questo motivo esse posseggono valore scientifico, un alto livello di evidenza e un elevato rating di raccomandazione. Le raccomandazioni classificate come C non provengono da trials o studi controllati e/o randomizzati e sono quindi sprovviste di valore scientifico. Come tali possono fornire solo alcune generali indicazioni di comportamento, ma non possono essere di riferimento nella pratica medica routinaria.
Le raccomandazioni classificate come D provengono dal parere di esperti e hanno il livello più basso di evidenza. Sono del tutto prive di rigore e fondamento scientifico e non possono essere pertanto in nessun modo fornire elementi di sicuro orientamento della condotta medica e scientifica. Secondo i principi della Medicina Basata sull’Evidenza quindi la prescrizione di dare la Comunione sulle mani si colloca al IV Livello di Evidenza, ovvero al livello più basso, tecnicamente attribuito alle raccomandazioni mediche prive di ogni affidabilità e valore scientifico. Mai questo tipo di raccomandazioni diventano pratica medica routinaria. Speriamo quindi che ora monsignor Delpini e con lui tutto l’Episcopato abbiano le idee più chiare e possano trarne tutte le conseguenze.
Paolo Gulisano
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