Che c’entrano costoro con la chiesa di Gesù Cristo? Il caso di Sant’Oreste, in provincia di Roma dove l’11 luglio due donne si sono unite civilmente: a celebrare la funzione non il sindaco, ma il parroco don Emanuele Moscatelli
di Francesco Lamendola
Come nel caso di Lizzano, in diocesi di Taranto, del quale ci siamo appena occupati, anche nel caso di Sant’Oreste, provincia di Roma, in quel che è accaduto la cosa più significativa, e secondo noi più grave, più ben del fatto in sé, è la presa di posizione ufficiale della competente autorità ecclesiastica, vale a dire la curia vescovile. Abbiamo visto come nella vicenda della veglia di preghiera a sostegno della famiglia naturale, disturbata da una manifestazione LGBT e da uno sconsiderato e arrogante intervento del primo cittadino, il comunicato dell’arcivescovo Filippo Santoro è ancor più brutto, nella sua pretesca ipocrisia, di ciò che hanno subito quei cattolici colpevoli di recitare il Rosario perché Dio e la Madonna difendano la famiglia naturale, minacciata a morte dalle più che prevedibili conseguenze della legge Zan-Scalfarotto, ormai prossima ad essere approvata in Parlamento nel disinteresse generale o, peggio, con la tacita connivenza della chiesa ufficiale, quella di Bergoglio e soci.
Ebbene anche nella vicenda di Sant’Oreste la cosa che più spiace, che più ferisce, che più indigna, è proprio il modo in cui il pastore locale, in questo caso monsignor Romano Rossi, vescovo di Civita Castellana, ha deciso di gestire la situazione, e le parole con le quali ha spiegato i suoi provvedimenti.
Dopo il caso di Lizzano in diocesi di Taranto (nella foto il vescovo Santoro) il caso di Sant’Oreste, in provincia di Roma.
Innanzitutto, il fatto. L’11 luglio due donne di Sant’Oreste, un comune di 3.600 abitanti della città metropolitana di Roma, si sono unite civilmente: Francesca di 38 anni e Beatrice di 50. A celebrare la funzione non è stato il sindaco, Valentina Pini (noi diciamo sindaco e non sindaca, come diciamo colonnello o generale non colonnella o generala; e se a qualcuno non sta bene, tanto peggio per lui), ma una persona del luogo alla quale il sindaco ha concesso la delega, con tanto di fascia tricolore, su sua richiesta: il parroco, don Emanuele Moscatelli. È chiaro? Il parroco, amico delle donne ed evidentemente simpatizzando con la loro decisione di unirsi in matrimonio, non potendolo fare in chiesa, perché la Chiesa, nonostante le luminose aperture del compagno Bergoglio, non è ancora abbastanza misericordiosa e abbastanza in uscita per benedire le unioni omosessuali, ha deciso di farlo ugualmente, dismettendo per un’ora i panni del prete e indossando la fascia di delegato del sindaco, in modo da essere lui, proprio lui, a porre loro la fatidica domanda, vuoi tu, qui presente, ecc. ecc… io vi dichiaro marito e moglie (marito e moglie?). Non era sufficiente che si unissero per mano del sindaco; bisognava che ad unirle fosse lui. La Chiesa, almeno per adesso, non è d’accordo con una cosa del genere, non è d’accordo né con le unioni omosessuali né con la pratica omosessuale in se stessa: così dice il Catechismo, così ha sempre insegnato il Magistero; ma chi se ne frega? Il Catechismo si può cambiare, vedi quel che ha fatto, d’imperio e dalla sera alla mattina il compagno Bergoglio a proposito della non liceità assoluta della pena di morte (§ 2267), e il magistero (lettera minuscola) deve adattarsi alle mutate situazioni come un guanto deve aderire alla mano che lo indossa. E poi, si sa - è il mantra preferito di Bergoglio - serve il discernimento; la dottrina è rigida, se viene applicata senza discernimento: e allora, se quelle due donne si amano, che problema c’è a benedire il loro amore davanti agli uomini e, se possibile, anche davanti a Dio? Così deve aver pensato don Moscatelli, parroco della chiesa di San Lorenzo Martire (cosa ne avrebbe pesato il titolare della parrocchia, il santo martire che nel 258, sotto l’imperatore Valeriano, scelse la morte per non rinnegare la Verità di Cristo, è un altro paio di maniche), originario di Bassano Romano, barba e baffi imponenti e un sorriso serafico e soddisfatto d’uom giusto, come direbbe Dante. Ma che il suo gesto non sia stato proprio giusto, ha provato a farglielo capire il vescovo, dopo che già il sindaco, essendo con lui in confidenza, lo aveva invitato a valutare bene la cosa, anche se poi aveva aderito alla sua richiesta per non ledere i diritti di nessuno (di chi? delle due donne a sposarsi o del prete a sposarle lui in persona?), come ha poi tenuto a precisare in modo molto politicamente corretto.
Che c’entrano costoro con la chiesa di Gesù Cristo?
Venuto a conoscenza della cosa (ma un buon vescovo non dovrebbe sapere certe cose prima che arrivino a dare scandalo alle anime?), monsignor Rossi, come un buon padre di famiglia, ha chiamato questo prete un po’ confuso e ha provato a spiegargli in che cosa aveva sbagliato, ascoltando, ci mancherebbe, le sue ragioni. La conclusione del colloquio è stata che il parroco se ne andrà da un’altra parte, e intanto si concederà un periodo di riflessione e ritiro spirituale; a Sant’Oreste arriverà un nuovo parroco; nel frattempo, sin dal 19 luglio il vescovo in persona si è recato nella chiesa di San Lorenzo a celebrare la Messa, presente don Moscatelli, e ha spiegato ai parrocchiani cos’era accaduto, cosa aveva deciso lui di fare, e di prepararsi ad accogliere il nuovo titolare della parrocchia. Si è mosso, insomma, in maniera non dissimile dal vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti, quando si trovò a dover gestire la “grana” di un prete della sua diocesi, don Giuliano Costalunga, che era andato in Spagna per sposarsi - lui personalmente, non per sposare dei suoi amici - con un uomo, ovviamente secondo il rito civile. Anche in quel caso il pastore si era recato nella parrocchia travolta dal ciclone, aveva celebrato la Messa alla presenza del diretto interessato, e aveva spiegato ai parrocchiani, divisi fra scandalizzati e sostenitori delle “buone” ragioni del loro prete, che pur senza giudicare alcuno, e con tutta la buona volontà di questo mondo, c’è un limite a tutto e che un prete sposato con uomo non può restare nella sua parrocchia come se niente fosse, e come peraltro il sacerdote in questione avrebbe desiderato; indi, come da iconografia bergogliana, aveva abbracciato pubblicamente la pecorella smarrita, non troppo convinta d’essersi smarrita, anzi, intestardita a dire che avrebbe voluto continuare a fare il parroco accanto a quel marito che gli aveva fatto scoprire la felicità dell’amore: una felicità che, disse, augurava di cuore a tutti gli altri. Ecco, forse una lieve differenza si nota in questo: che mentre don Moscatelli ha aderito subito alla richiesta di farsi da parte e lasciare le sue funzioni di parroco di Sant’Oreste, don Spolaore lo ha fatto, sì, ma perché costretto, mentre da parte sua non ne avrebbe visto alcuna ragione valida. Peraltro, e senza voler fare il processo alle intenzioni, non si può fare a meno di chiedersi quanto sincere e convinte siano state le cose che don Moscatelli ha detto al suo vescovo, dato che l’episodio che lo messo al centro della cronaca se l’era andato a cercare con piena coscienza del fatto, non ci si era trovato coinvolto più o meno per distrazione o per troppa fiducia, tanto è vero che il sindaco lo aveva messo in guardia da un’iniziativa precipitosa e lo aveva invitato a valutare bene le inevitabili conseguenze che avrebbe avuto per lui, e le ricadute che ci sarebbero state nella comunità, sia civile che religiosa. Ma noi vogliamo credere alla sincerità e alla trasparenza delle persone e perciò, se egli ha accettato di buon grado di ritirarsi dalla sua parrocchia e ha convenuto che sarebbe stato meglio non fare quello che invece ha fatto, ne prendiamo atto, pur dispiaciuti che ancora una volta dei buoni cattolici abbiano subito un fiero colpo, se non nella loro fede, nella loro fiducia verso i pastori che dovrebbero guidarli e confortarli, invece, in questi tempi così difficili. E speriamo che egli abbia la possibilità di meditare a fondo, mettendo da parte le sue umane convinzioni e riscoprendo il giusto atteggiamento che ogni cristiano, e non solo un sacerdote, dovrebbe tenere di fronte a ciò che la Chiesa, sulle orme dell’insegnamento di Gesù Cristo, ha sempre insegnato in questa materia: che Dio ha creato gli uomini maschio e femmina; che li ha destinati ad amarsi, a unirsi diventando una carne sola e a generare dei figli; che Sodoma fu punita con la distruzione per il peccato dei suoi abitanti e che l’amore contro natura è una delle cose che maggiormente offendono Dio e macchiano la vita, la quale ci è stata data per amare e servire Duo e non per cercare, contro di Lui, il nostro piacere e la nostra soddisfazione; infine che accendersi di passione per le persone del proprio sesso è, per usare l’espressione di san Paolo, il segno esteriore del traviamento interiore dovuto alla superbia della creatura che non vuole riconoscere il suo Creatore, perciò di un totale capovolgimento del giusto rapporto con Dio, tale da comportare in se stesso la giusta punizione che si addice a quanti v’indulgono.
Il vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti abbracciato pubblicamente la pecorella smarrita, non troppo convinta d’essersi smarrita, don Giuliano Costalunga!
Fin qui, e nonostante un certo eccesso di paternalismo buonista (una volta il comportamento di don Moscatelli avrebbe ricevuto ben altra sanzione), si potrebbe anche pensare che il vescovo, poveraccio, si è destreggiato meglio, o se si vuole meno peggio, che poteva, in una situazione di per sé abbastanza spinosa, con le associazioni LGBT che subito si son messe a starnazzare di diritti negati, pretendendo come al solito, per esempio come nel caso di Lizzano, d’insegnare ai cattolici ciò che devono sentire, pensare, credere, e guardandosi bene dal rispettare la specificità della loro dottrina, della loro morale e della loro prospettiva sulle cose di quaggiù, che è inseparabile da quella delle cose di Lassù. Perché, dunque, abbiamo detto che la cosa maggiormente spiacevole, in tutta questa trista vicenda, è stata proprio la reazione del vescovo? A parte l’effetto disastroso che deve aver avuto sui parrocchiani vedere il vescovo che viene a celebrare di persona, come se qualcosa di grave fosse accaduto, ma con il parroco al suo fianco quale co-officiante, e dunque vedere un parroco che va in municipio a sposare due donne e poi, con quelle stesse mani con le quali ha firmato il certificato di unione, ora maneggia il Corpo di Cristo, come se nulla fosse, il che mandava un messaggio di segno opposto, del tipo: non preoccupatevi, in fondo non è successo niente; a parte questo, la relazione dei fatti, e dei suoi provvedimenti, fatta ad Adnkronos è espressione di una confusione o, peggio, di una connivenza tale con il gesto di don Moscatelli, da far venire in mente il noto proverbio, di cui esistono diverse varianti dialettali: è peggio il rammendo dello strappo. Ecco le sue precise parole, come riferite dalla stampa nazionale:
Successivamente alla cerimonia l’ho chiamato, abbiamo ragionato insieme e ha compreso l’inopportunità del gesto. Il parroco è un libero cittadino ma c’è un canone che impedisce ai sacerdoti di officiare cerimonie civili, a prescindere da chi si sposa. Ma si dialoga nella Chiesa e così ho fatto con don Emanuele. Abbiamo dialogato a lungo, non si è trattata di una decisione di autorità. Non è incorso in nessuna censura, ha deciso in autonomia che era opportuno dimettersi.
Dire che il gesto di don Moscatelli è stato inopportuno è più o meno come dire che il sacrilegio, unito allo scandalo, è una monelleria? A noi però risulta che Gesù ha detto (Mt 18,6-7): Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!
Che c’entrano costoro con la chiesa di Gesù Cristo?
di Francesco Lamendola
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