Ortodossi e Comunione, la fede che è mancata alla Cei
Le chiese ortodosse in Italia e nel mondo hanno difeso i propri riti liturgici, come l’amministrazione della Santa Eucaristia tramite un cucchiaio d’oro, senza che ciò causasse chissà quali nuovi focolai. Pur senza una linea univoca, si è affermata la fede nella Comunione quale Farmaco di immortalità e segno dell’abbandono di sé a Dio, e si è ricordata l’esperienza delle pandemie passate. Una prospettiva di fede che ci saremmo aspettati dai nostri Vescovi.
Di fronte ai protocolli del Governo per regolare il culto in questi tempi di pandemia, la Chiesa cattolica italiana ha avuto un atteggiamento piuttosto arrendevole. Lo si è già visto e non si vuole infierire ulteriormente. È però importante capire che qualcun altro non ha seguito la stessa strada - o almeno ci ha provato - senza per questo essere all’origine di chissà quali nuovi focolai. Stiamo parlando delle chiese ortodosse, presenti in Italia e in generale in Europa e nel mondo. Non c’è stata una linea univoca, ma quello che certamente colpisce, almeno per contrasto con la nostra situazione di cattolici italiani, è stata la volontà di difendere la propria identità e i propri riti liturgici.
Gli ortodossi amministrano la Santa Eucaristia ai fedeli tramiti un cucchiaio d’oro, che raccoglie il Pane consacrato immerso nel Sangue di Cristo e lo mette direttamente nella bocca del fedele, senza che vi sia contatto. Una prassi decisamente più pericolosa della Comunione direttamente in bocca in uso nel mondo cattolico, almeno fino a qualche mese fa.
Questa è la modalità secolare delle chiese ortodosse e questa è stata difesa. Non sempre con successo. Come a Reggio Emilia, dove padre Evangelos Yfantidis, vicario generale archimandrita, di fronte al divieto di usare il cucchiaio, aveva dichiarato: «Per voi è rischioso, secondo noi no. La nostra Fede è questa e continueremo a usare il cucchiaino». Dopo qualche giorno, però, è intervenuto il prefetto e si è giunti alla “concordata” conclusione: Messa sì, Comunioni no. Impensabile per loro dare la Comunione in mano o in modo diverso.
La reazione più dura la si registra nella Chiesa greco-ortodossa (vedi qui), che ritiene impensabile che l’Eucaristia possa essere veicolo di trasmissione di virus: «Per quanto riguarda la questione che viene di volta in volta ingiustificatamente sollevata sui presunti pericoli, che in queste visioni blasfeme si dice si annidino nel Mistero vivificante della Santa Comunione, il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia esprime la sua amarezza, il suo profondo dolore e la sua dura opposizione», dichiarando «a tutti coloro che, per ignoranza o per consapevole infedeltà, insultano brutalmente tutto ciò che è santo e sacro, i dogmi e le sacre regole della nostra fede, che la Santa Comunione è la medicina dell’immortalità, antidoto non per morire, ma per vivere secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo per sempre».
Sulla stessa linea la decisione della chiesa ortodossa di Cechia e Slovacchia: «La Comunione non è mai stata e non sarà mai causa di malattia e di morte, ma, al contrario, sorgente di una nuova vita in Cristo, della remissione dei peccati e della guarigione dell’anima e del corpo». In sintesi, il Farmaco dell’immortalità non può divenire veicolo di malattia e di morte. E la Chiesa ortodossa, non a torto, avanza l’esperienza di secoli di epidemie e pandemie.
Uno stimolo coraggioso e interessante, ma non inappellabile, almeno per come la teologia cattolica ha spiegato il mistero della transustanziazione, in quanto è la sostanza del pane e del vino a cedere il posto alla sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, mentre invece gli accidenti permangono, insieme alle loro proprietà. Quindi, strettamente parlando, questi accidenti potrebbero trasmettere microbi, polveri, etc. Il punto è che il comitato scientifico dovrebbe dimostrare che delle particole chiuse in una pisside e deposte direttamente e senza contatto sulla lingua del fedele dalle mani deterse del sacerdote, siano in grado di contagiare... Così come dovrebbe fornire, prima di sparare raccomandazioni, uno studio scientifico nel quale si dimostri che la Comunione sulla mano è più sicura di quella in bocca.
E magari la Cei, da parte sua, dovrebbe prendere atto che non esiste solo il comitato tecnico-scientifico del Governo in grado di dare pareri sulla questione e che pur sempre di pareri si tratta e non di evidenze (vedi qui e qui). Prima di calpestare il diritto dei fedeli, riconosciuto dal Diritto canonico e dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (vedi qui), di ricevere la Comunione direttamente in bocca, forse si sarebbe dovuto esigere dal Governo le prove scientifiche in base alle quali il comitato si permette di dare indicazioni a destra e a manca.
Al di là di queste considerazioni, è da lodare quanto il 10 marzo scorso il Sinodo della Chiesa greco-ortodossa emanava: «Per i fedeli della Chiesa, la partecipazione alla divina Eucaristia e alla comunione del calice della vita non possono diventare causa di trasmissione di malattia, perché i fedeli di tutti i tempi sanno che la partecipazione alla divina comunione, anche durante le pandemie, costituisce un’affermazione chiara dell’abbandono di sé al Dio vivente e, dall’altra parte, una manifestazione chiara dell’amore che vince tutte le paure umane anche giustificate».
Questo è un paragrafo da leggere e meditare. E non una sola volta. Dai nostri Vescovi ci saremmo aspettati una prospettiva di fede di questo tipo, anziché una reazione di evidente isteria igienista. L’esortazione calma e decisa ad abbandonarsi al Dio vivente, vincendo così tutte le paure che in questi tempi vengono alimentate giorno dopo giorno, e che stanno devastando il cuore degli uomini, sarebbe stata di certo di più grande aiuto, che non i centimetri di distanziamento sociale. Perché sempre le pandemie, anche quelle molto, molto più gravi del coronavirus, sono state superate grazie alla forza che viene dalla fede, capace di esorcizzare la paura che paralizza.
Quello che purtroppo viviamo nel mondo cattolico è l’esito di una pastorale malata da decenni: abbiamo smesso di avere la giusta paura del peccato e dell’Inferno e siamo piombati dentro la paura di un virus. E questa paura - spiace dirlo - è stata l’anima delle disposizioni della Chiesa italiana in materia liturgica. Molte persone se ne sono accorte, da tempo; alcune si sono arrabbiate, altre sono rimaste scandalizzate e deluse. Dai vescovi ci si aspettava un supplemento di fede, ci si attendeva di essere trascinati verso l’abbandono in Dio, proprio nei Sacramenti da Lui istituiti per la nostra salvezza. Ci si attendeva, insomma, qualcosa di simile a quanto fatto dai loro fratelli ortodossi. «I fedeli di tutti i tempi sanno che la partecipazione alla divina comunione, anche durante le pandemie, costituisce un’affermazione chiara dell’abbandono di sé al Dio vivente»: molti fedeli lo sanno. Ma dove sono i Pastori?
Per questo continuiamo a chiedere ai nostri lettori di scrivere ai propri vescovi, al cardinal Bassetti e soprattutto alla Congregazione per il Culto Divino, perché venga ristabilito il diritto di ricevere la Comunione in bocca e vengano rimosse tutte quelle invenzioni odiose che rendono le nostre Messe invivibili e danno ai fedeli il segno di una fede in Dio sbiadita, per non dire scomparsa. Una “fede” figlia della paura.
Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/ortodossi-e-comunione-la-fede-che-e-mancata-alla-cei
L’Eucaristia, l’Amore di Gesù che sana ogni situazione
Tutte le più alte espressioni dell’Amore - crocifisso, unitivo, adorante - sono racchiuse nell’Eucaristia. Purificando la nostra anima con il sacramento della Penitenza e accostandoci devotamente alla Comunione, riceviamo i frutti che ci permettono di conformarci a Gesù. Il Suo è un dono così grande che san Pietro Giuliano Eymard, poco prima di morire, disse: “Avete l’Eucarestia: che volete di più?”
“Avete l’Eucarestia: che volete di più?”. Queste furono le ultime parole proferite sul letto di morte da san Pietro Giuliano Eymard, fondatore della Congregazione del Santissimo Sacramento.
L’Eucaristia è Gesù Amore, il sacramento che contiene il Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Signore Gesù Cristo. Essa è il frutto dell’immenso Amore di Gesù per noi, per il quale Egli non ha esitato a dare tutto Sé stesso fino a farsi nostro cibo. Gesù, che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13.1-15), rimane presente nelle specie del pane e del vino, per dare gloria al suo eterno Padre attraverso la memoria della sua Passione e per darci il Pane della vita eterna. Nell’Eucaristia, vi è Gesù vivo e vero, “Dio Amore”, che ci ha amato fino all’eccesso, immolandosi come Agnello innocente per la nostra Redenzione.
Tutte le più alte e più profonde espressioni dell’Amore sono racchiuse nell’Eucaristia: l’amore crocifisso, unitivo e adorante; ma anche l’amore contemplativo, orante e inebriante. Gesù Eucaristico è Amore crocifisso, che si immola per noi nel Sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue nella Santa Messa, in memoria e rinnovazione del Sacrificio della Croce. Il pane e il vino offerti in sacrificio a Dio, per mezzo del sacerdote, divengono la sua Carne e il suo Sangue, vero cibo e vera bevanda, nutrimento, forza e vita che noi riceviamo nella santa Comunione.
In essa Gesù si dona completamente a noi e, essendo Amore unitivo, penetra nel nostro petto rimanendo corporalmente presente in noi il tempo che durano le specie del pane. È “l’unione consumata”, come la chiama santa Elisabetta della Trinità: “Lui in noi e noi in Lui”. Per mezzo dell’Eucaristia noi ci uniamo a Gesù, ma anche a tutte le membra del suo Corpo mistico, “poiché c’è un solo pane”, scrive san Paolo, “noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo nell’unico pane” (1Cor 10,17). Per essere “perfetti nell’unità”, Gesù deve essere in noi e il Padre in Lui, perché come il Padre è nel Figlio, e il Figlio è nel Padre, così anche noi diventiamo una cosa sola nel Padre e nel Figlio (Gv 17,21). Ma per unirci a Gesù è necessario presentarsi a Lui “santi e immacolati”, purificando la nostra anima mediante il sacramento della Penitenza, consapevoli delle parole di Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13,8).
Accostandosi santamente alla Comunione, l’anima riceve i frutti che le permettono di compiere una trasformazione graduale interiore che assimila la nostra persona a Gesù Ostia, con l’acquisto delle sue virtù e con la perfezione che configura la nostra vita in modo sempre più santo. Si tratta del frutto completo della Santa Messa, della Comunione e dell’adorazione eucaristica. Il nutrirsi devotamente e quotidianamente della Santa Eucaristia porta l’anima a conformarsi a Gesù, dandole un’impronta eucaristica. “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Benedetto XVI istruisce al riguardo, affermando che “il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui”. (Omelia in occasione della XX Giornata della gioventù, Colonia, domenica 21 agosto 2005).
L’anima deve quindi aspirare a diventare “Ostia eucaristica” con “Gesù Ostia”, conformandosi a Gesù in modo che non sia più lei a vivere, ma Cristo in lei, per poter esclamare con san Massimiliano Maria Kolbe: “Il tuo Sangue scorre nel Sangue mio, la tua anima, o Dio incarnato, compenetra la mia anima, le dà forza e la nutre”.
Essendo Amore infinito, Gesù Cristo non ci ha privati della sua presenza e, come Amore adorante, resta fra noi con umiltà nel Tabernacolo, nascosto sotto i veli eucaristici come vittima innocente in olocausto di adorazione al Padre, intercedendo incessantemente per noi. Egli “da ricco che era si è fatto povero” (2Cor 8,9) per noi. Nella presenza eucaristica Gesù si è spogliato della sua ricchezza divina e umana ma anche della sua forza e potenza. Nel suo sconfinato Amore, ha preferito esporsi a insulti, irriverenze e profanazioni, piuttosto che privarci della sua presenza sui nostri altari. Egli ha nascosto la propria divinità, scegliendo liberamente di assumere la povertà della natura umana, a sua volta occultata per rendersi presente sotto le specie visibili e materiali del pane e del vino.
Adorando il Verbo fatto Carne, il cuore dell’uomo sperimenta i frutti dell’Amore di Dio, dissetandosi all’unica “fonte di acqua zampillante per la vita eterna” (Gv 7, 37), sorgente quotidiana di amore, di forza, di luce e di gioia, di coraggio, di ogni virtù e bene.
Non c’è situazione umana e spirituale che non possa essere curata e sanata dalla Santa Eucaristia. San Cirillo di Gerusalemme, Padre e Dottore della Chiesa, insegna:
«Se il veleno dell’orgoglio ti gonfia, ricorri all’Eucaristia, e il Pane sotto le cui apparenze si è annichilito il tuo Dio t’insegnerà l’umiltà. Se in te arde la febbre dell’avarizia, cibati di questo Pane e imparerai la generosità. Se ti rattrista il vento gelido dell’egoismo, ricorri al Pane degli angeli e nel tuo cuore spunterà rigogliosa la carità. Se ti senti spinto dall’intemperanza, cibati della Carne e del Sangue di Cristo che nella vita terrena praticò sì eccellentemente la sobrietà e diverrai temperante. Se sei pigro e indolente nelle cose spirituali, rinforzati con questo Cibo celeste e diverrai fervente. Se, infine, ti senti ardere dalla febbre dell’impurità, accostati al banchetto degli angeli e la Carne immacolata di Cristo ti farà puro e casto».
Dunque, se abbiamo l’Eucaristia, che vogliamo di più?
Maria Bigazzi
https://lanuovabq.it/it/leucaristia-lamore-di-gesu-che-sana-ogni-situazione
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