La notizia bomba di oggi è che il sacerdote tedesco Josef Kentenich, fondatore del movimento apostolico di Schönstatt, morto a 83 anni nel 1968 e di cui è in corso la causa di beatificazione, negli anni Cinquanta fu riconosciuto colpevole dalla Santa Sede di abusi sessuali su suore del suo movimento.
A darci la notizia con i suoi dettagli, nella lettera qui di seguito, è la studiosa che l’ha scoperta, Alexandra von Teuffenbach, già docente di teologia e storia della Chiesa alla Pontificia Università Lateranense e all’Ateneo “Regina Apostolorum”, specialista della storia dei concili e curatrice, tra l’altro, della pubblicazione in più volumi dei diari del Concilio Vaticano II del teologo gesuita Sebastiaan Tromp.
Fu proprio Tromp il visitatore apostolico inviato nel 1951 dalla Santa Sede in Germania, nella località di Schönstatt, a fare luce su ciò che si temeva accadesse nel nascente movimento. Con l’immediato effetto che da Roma un decreto del Sant’Ufficio ordinò a padre Kentenich di separarsi dall’opera da lui fondata e soprattutto delle sue suore.
Ma in quel decreto non se ne dicevano tutti i motivi. Che però Alexandra von Teuffenbach ha trovato ampiamente documentati nei rapporti redatti da Tromp nel corso della sua ispezione, conservati negli archivi della congregazione per la dottrina della fede.
Aperti da poco alla consultazione degli studiosi, assieme a tutte le carte del pontificato di Pio XII, questi rapporti sono stati la miniera in cui ha scavato la studiosa.
Nel 1965 Paolo VI condonò la pena all’ormai anziano fondatore e gli permise di rientrare in Germania, dove morì tre anni dopo.
Il movimento apostolico di Schönstatt è tuttora uno di più rinomati e diffusi su scala planetaria. Uno dei suoi ultimi superiori generali è stato Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo di Santiago del Cile dal 1998 al 2010, chiamato da papa Francesco nel 2013 nella ristretta cerchia dei cardinali suoi consiglieri nel governo della curia romana e della Chiesa mondiale.
La biografia di padre Kentenich ha in Wikipedia lo stile di un’agiografia, a sostegno della sua causa di beatificazione. Ma naturalmente, dopo questa scoperta, dovrà essere tutta riscritta da capo.
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Gentilissimo dott. Magister,
nel corso di mie ricerche condotte in vari archivi sul gesuita olandese Sebastiaan Tromp (1889-1975), professore alla Gregoriana, consultore del Sant’Ufficio e segretario della commissione teologica del Concilio Vaticano II, mi sono imbattuta di recente in alcuni documenti riguardanti una grande opera religiosa.
Negli anni 1951-1953 Tromp fu infatti incaricato di compiere una visita apostolica a Schönstatt, nella diocesi di Treviri in Germania, dove si trova tuttora la sede principale di un ampio e ramificato movimento, composto anche da suore mariane. Quando fu fondato dal padre pallottino tedesco Josef Kentenich negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, non esisteva ancora la forma canonica dell’istituto secolare, che l’opera avrebbe poi assunto.
Quest’opera pionieristica, che trovò subito un alto numero di seguaci, fu dunque oggetto di una visita apostolica da Roma. Perché?
Gli atti – ora accessibili grazie all’apertura degli archivi fino a tutto il pontificato di Pio XII – raccontano di una precedente visita alle suore di Schönstatt ordinata dal vescovo di Treviri, che inviò sul posto il suo ausiliare Bernhard Stein dal 19 al 28 febbraio 1949. In linea generale, questi apprezzò l’opera, pur evidenziandone alcuni difetti e irregolarità.
In particolare egli scrisse:
“Nonostante la chiara visione del grande obiettivo educativo e nonostante l'alto livello di cura spirituale, sembrano esserci solo poche personalità sicure, con un pensiero veramente indipendente e una vera libertà interiore, tra i capi maschili e tra le suore mariane”.
E poco dopo aggiunse di aver riscontrato una “insoddisfazione interiore così caratteristica delle suore mariane, come anche insicurezza e mancanza di autonomia”.
Basandosi sulla relazione del suo ausiliare, il vescovo di Treviri scrisse a padre Kentenich, il quale però contestò, distorse e manipolò le disposizioni del vescovo, cosa che quest'ultimo non gradì affatto.
A questo punto la questione arrivò a Roma e fu disposta una nuova visita apostolica, con l’incarico questa volta affidato a padre Tromp.
Il gesuita nell’arco di tre anni si recò più volte in Germania e approfondì vari aspetti dell’opera, come si evince dalle centinaia di pagine in tedesco e latino conservate negli archivi.
Quello che ha attirato la mia attenzione non sono però gli statuti dell’opera, che dovevano essere rielaborati, ma il grave abuso di potere da parte del fondatore a danno delle suore, chiaramente accertato ed evidenziato dal visitatore romano, come d’altronde aveva già fatto quello locale.
L’obbligo imposto alle suore di confessarsi con il fondatore – almeno in alcune circostanze – è solo un aspetto. Ciò che Tromp raccoglie dalle testimonianze, dalle lettere, dai tanti colloqui avuti, anche con il fondatore stesso, è indicativo di una situazione di totale sudditanza delle suore, in qualche modo celata da una specie di struttura familiare applicata all’opera.
Kentenich era il “padre”, il fondatore dal potere assoluto, spesso equiparato a Dio, tanto che in molte espressioni e preghiere non si comprende con chiarezza se queste siano rivolte a Dio Padre o al fondatore stesso. Invece la “madre” generale in questa “famiglia” non ha alcun potere e ancora meno lo hanno le “figlie”, cioè le religiose. Un “padre-padrone” quindi, un esempio lampante di ciò che probabilmente intende papa Francesco quando parla di clericalismo, col padre e fondatore dell’opera che si erge a proprietario dell’anima e del corpo delle suore.
Questa loro condizione si esplicitava anche in atti concreti. Le suore, mensilmente, dovevano inginocchiarsi davanti al “padre”, porgergli le loro mani, donarsi totalmente a lui. Il dialogo che si svolgeva, spesso con la suora da sola e a porte chiuse, era il seguente:
“Di chi è la figlia?” Risposta: “Del padre!”
“Che cosa è la figlia?” Risposta: “Nulla!”
“Che cos’è il padre per la figlia?” Risposta: “Tutto!”
“A chi appartengono gli occhi?” Risposta: “Al padre!”
“A chi appartengono le orecchie?” Risposta: “Al padre!”
“A chi appartiene la bocca?” Risposta: “Al padre!”
“Che cosa è la figlia?” Risposta: “Nulla!”
“Che cos’è il padre per la figlia?” Risposta: “Tutto!”
“A chi appartengono gli occhi?” Risposta: “Al padre!”
“A chi appartengono le orecchie?” Risposta: “Al padre!”
“A chi appartiene la bocca?” Risposta: “Al padre!”
Alcune suore riferirono anche di questa prosecuzione del rito:
“A chi appartiene il seno?” Risposta: “Al padre!”
“A chi appartengono gli organi sessuali?” Risposta: “Al padre!”.
“A chi appartengono gli organi sessuali?” Risposta: “Al padre!”.
Da questo rito si arriva al racconto fatto in una lettera del 1948, trascritta da padre Tromp, di una suora tedesca, che all’epoca dei fatti si trovava in Cile. Oggetto della lettera è un abuso sessuale. La suora riferisce che dopo ciò che le era successo in occasione di uno di questi riti non aveva più potuto vedere nel “padre” il fondatore, ma solo un “maschio”, raccontando di essersi ribellata e di aver sofferto per un anno prima di riuscire a parlarne con il suo confessore.
Costui non reagì, come si sarebbe potuto temere, rimproverando la suora per la sua “impurità”. Le disse invece che non le avrebbe dato l’assoluzione fino a che lei non gli avesse dato il permesso di denunciare il comportamento di padre Kentenich a Roma, “poiché non comprendeva come suore intelligenti potessero partecipare a queste cose, ma ancora meno poteva comprendere il padre”.
La suora, nel suo evidente conflitto interiore, piena di imbarazzo e paura, scrisse alla madre generale in Germania una lettera che quest’ultima inviò in copia a Kentenich, ed ebbe per tutta risposta dalla madre l’accusa di essere posseduta dal demonio. Quando poi il visitatore apostolico chiese alla madre generale, ormai destituita, se di lettere di quel genere ne avesse ricevute altre, la madre generale riferì di sei-otto lettere, a suo dire meno gravi, che però disse di aver buttato via.
Tutto il clima, tutto l’ambiente descritto dal visitatore è molto sessualizzato. Balletti di suore attorno al padre fondatore, incontri notturni, espressioni ambigue non sono certo ciò che ci si aspetta in una casa religiosa. Ma dopo aver inizialmente negato i fatti, i sostenitori dell’opera – in primo luogo il generale dei pallottini Woicjech Turowski, poiché Kentenich era ancora pallottino – ritennero di poter giustificare tutto: il fondatore avrebbe solo aiutato le suore a liberarsi dalle tensioni sessuali con un “rimedio pastorale psicoterapeutico”.
Nell’agosto 1951 un decreto del Sant’Ufficio – con conferma pontificia – allontanò padre Kentenich dalla sua opera, esiliandolo e vietandogli ogni ulteriore contatto con le suore. La Chiesa aveva agito velocemente e senza sollevare pubblico scandalo, poiché non si voleva danneggiare l’opera, ma solo aiutare le suore. Ma centinaia di pagine di atti, negli anni seguenti, raccontano di come il fondatore, che si trovava in una casa dei pallottini a Milwaukee negli Stati Uniti, non si attenesse affatto alle disposizioni vaticane, mantenendo i contatti con le suore, le quali – ed è questa forse la cosa più eloquente – non riuscivano a trovare quella libertà e autonomia che i visitatori avevano auspicato.
Non ci fu alcun nuovo inizio per Schönstatt, perché tante sorelle preferirono il fascino del fondatore alle direttive della Chiesa. Quelle suore non smisero mai di scrivere, di denigrare e calunniare non solo i visitatori ma anche le consorelle che avevano collaborato con loro e i preti che avevano testimoniato contro padre Kentenich. Il Sant’Ufficio dovette intervenire per molti anni ancora, almeno per tutto il periodo la cui documentazione è ora accessibile.
Questa è la parte buia della storia, ma c’è anche una parte edificante. Ed è la curia romana che operava sotto Pio XII e che – certamente in questo caso – riuscì a dare il meglio di sé.
Gli atti narrano di una ricerca assidua e meticolosa della verità. Vengono ascoltati tutti, anche gli amici del padre Kentenich, i quali mettono in risalto i pregi dell’opera ma molto meno la persona stessa del fondatore. Pio XII, che segue e approva ogni passo, considera con molta attenzione ogni scritto a lui indirizzato da parte delle suore.
Oltre al lavoro compiuto come visitatore, che pare ineccepibile anche a distanza di settant’anni, colpisce molto il modo in cui padre Tromp riferisce l’incontro con la suora abusata, quando questa finalmente poté tornare in Germania. Da un gesuita olandese di vecchio stampo non ci si sarebbe probabilmente mai aspettato questo lucido appunto in latino, che così si può tradurre:
“Disse quasi le stesse cose che si trovano nella lettera. Aggiunse che dopo non fu più molestata da padre Kentenich. È sempre in ansia, per il timore di aver agito male manifestando la cosa. Le ho detto che ha agito correttamente e le ho vietato di avere su questo argomento alcun contatto con padre Kentenich di persona o per iscritto”.
Quella Chiesa oggi così spesso colpevolizzata per non saper trattare gli abusi sessuali, qui invece ha come precorso i tempi. Siamo nei primi anni Cinquanta, quindi molto lontani da leggi statali che tutelino le vittime di abusi o da una consapevolezza nella società riguardo all’argomento. La Chiesa cattolica invece procede nel senso più giusto per quelle donne, senza però svilirle pubblicizzando i fatti. Nel decreto del Sant’Ufficio non c’è scritto nulla riguardo agli abusi, ma i fatti contestati vengono comunicati per iscritto alle madri superiore, affinché possano accettare più facilmente l’allontanamento del fondatore. Purtroppo le suore non furono in grado di accogliere quella mano che era stata tesa loro; non riuscirono – così si evince dagli atti – a staccarsi da quell’uomo, come tante donne non riescono ad allontanarsi dal marito che le maltratta e che spesso scusano e difendono.
La storia è tanto più terribile perché, dopo tanti anni dall’avvio nel 1975, la causa di beatificazione di padre Kentenich sta per concludere la fase diocesana ed essere mandata a Roma. Ed è per questo che oggi le scrivo, gentilissimo dott. Magister, per rendere pubblica questa storia, affinché cessi la venerazione di questo “padre” e si possano demolire le tante ricostruzioni di verità alternative proposte, quasi si trattasse solo di debolezze psicologiche davanti a un uomo allo stesso tempo così carismatico, abile e terribile.
Non me la sentivo di tacere, perché come donna mi sono venute le lacrime leggendo quelle carte e come cristiana penso che solo la Verità ci rende liberi.
Alexandra von Teuffenbach
Settimo Cielo
di Sandro Magister 02 lug
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