Persino il principe del mainstream pro Francesco, l'editorialista del Corriere della Sera Massimo Franco, evidenza l'esaurimento della spinta propulsiva di questo - per ora - tragico pontificato e e evidenzia i suoi limiti.
Abisso chiama abisso. Ricordiamo le previsioni della Beata Caterina Emmerich.
Massimo Franco «L’enigma Bergoglio. La parabola di un papato». (Solferino, pp. 332, euro 17
I neretti sono nostri.
Luigi
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 23-9-20
«Bergoglio si è rivelato magistrale nel destrutturare una Chiesa già in crisi, probabilmente meno abile nel costruirne un’altra. E sul piano del potere, da avversari, ma anche da amici, viene raccontato con un volto privato che stride con quello pubblico. In questi anni la lunga teoria di “laici” ed ecclesiastici promossi e poi di colpo retrocessi e scomparsi testimonia un governo del Vaticano fatto di blitz e una selezione della classe dirigente affidata a criteri a tratti misteriosi… Si allunga sul papato l’ombra di un’incompiutezza certo non attribuibile solo a lui. “Questo pontificato” mi ha confidato un amico di Bergoglio “sembra avere detto già tutto”. Si tratta di un giudizio liquidatorio e forse esagerato, che la crisi epocale del coronavirus contraddice, almeno temporaneamente. Ma se così fosse, alla fine il contraccolpo potrebbe risultare negativo quanto e più delle dimissioni di Benedetto XVI: come accade spesso quando le speranze debbono fare i conti con l’impressione sgradevole di essersi lasciati sfuggire un’occasione storica».
Di amici del Papa, Massimo Franco ne ha intervistati decine: cardinali, vescovi, banchieri, diplomatici, uomini dei servizi di sicurezza. Ha parlato ovviamente anche con i suoi critici. Ha incontrato il Papa stesso. E il suo predecessore Ratzinger. Ne ha tratto un libro indispensabile per chi intende capire questo Pontefice, e antevedere ciò che potrà accadere alla Chiesa nei prossimi anni (L’enigma Bergoglio. La parabola di un papato, che Solferino manda domani in libreria).
Massimo Franco non ha scritto un libro contro il Papa. Ha ricostruito, con la precisione e la misura di analisi che i lettori del «Corriere» conoscono bene, un quadro molto difficilmente contestabile di questo settennato, e del tempo a venire. Riconoscendo i grandi meriti di Bergoglio. Ma mostrando anche i suoi limiti; e i pericoli che ne possono derivare.
Riconosciamolo: da Francesco ci aspettavamo di più. Tutti ci siamo commossi alle sue prime parole: «Quanto vorrei una Chiesa povera, per i poveri». Tutti siamo rimasti colpiti dal cambio di stile, dalla scelta del nome, dai primi gesti; a cominciare dalla scelta di non vivere nel sontuoso Appartamento apostolico, ma in una camera del residence allestito per i cardinali del conclave. Eppure proprio quella scelta, apprezzata soprattutto dai laici, ha segnato sia un rapporto difficile con la Curia, sia l’inizio di uno stile di governo e di vita che espone il Papa a più di un rischio. «Francesco ha abolito la Corte pontificia per sostituirla con il cortile di Casa Santa Marta» è la battuta feroce che l’autore ha raccolto. In sostanza, cardinali — che hanno studiato per decenni per essere lì dove sono — vengono affiancati, scavalcati, sostituiti da personaggi a volte improbabili. La corsa ad andare in mensa con il Papa, a sedersi con il Papa, a mangiare con il Papa era diventata quasi una disciplina sportiva, con scene imbarazzanti e alla lunga fastidiose. Poi, quando è sopravvenuta l’emergenza Covid, in un primo tempo a Casa Santa Marta non si è compresa subito la dimensione del fenomeno, non si sono prese nell’immediato tutte le precauzioni necessarie a garantire la sicurezza del Santo Padre.
Massimo Franco però fa notare che la pandemia ha segnato anche un rilancio della sua figura. L’immagine di Francesco solo in una piazza San Pietro battuta dalla pioggia resterà nella storia della cristianità. In un momento di incertezza e fragilità, il mondo non solo cattolico ha ripreso a guardare alla finestra del Vaticano; e Francesco era lì. Per qualche settimana, Bergoglio è tornato il pastore del formidabile esordio di pontificato: il grande comunicatore, e anche il primo leader planetario a intuire che «se le periferie non vengono integrate e governate tendono a divorare dall’interno le società, i diritti e la democrazia».
Questo però non ha cancellato i suoi errori. Non ha chiarito alcuni tratti inafferrabili del suo carattere. Non ha dissipato i dubbi sulla sua capacità di governo. Come scrive Massimo Franco, «dal 2013 al 2020 Jorge Mario Bergoglio ha fatto e disfatto le conferenze episcopali, gli organismi finanziari della Santa Sede, i vertici curiali. Ha nominato nuovi cardinali in ben sei concistori. Ha scelto e fatto dimettere vescovi e banchieri, capi della Gendarmeria e semplici funzionari. Si è circondato dei collaboratori e delle collaboratrici che preferiva. La pioggia di riforme e di commissioni nate e svanite nel suo settennato suggerisce dunque di osservare con maggiore distacco l’epopea del pontificato argentino».
Il libro esamina una per una le grandi questioni che si sono aperte in questi sette anni. La tendenza a declassare ogni critica a maldicenza, ogni riserva ad attacco personale. La presenza costante a Santa Marta di prelati discussi e a volte indagati per gravi accuse nei loro Paesi. Il declino della Chiesa italiana (per la prima volta nella storia non sono cardinali il patriarca di Venezia, e gli arcivescovi di Torino, Genova, Palermo, persino di Milano); come se essere italiani sia quasi un peccato. Il rapporto non sempre facile con il Papa emerito. I problemi di comunicazione: Francesco parla molto, a volte forse troppo, con «la prospettiva che il verbo papale appaia inflazionato, e dunque sia depotenziato e alla fine venga addirittura ignorato». Le disavventure del cardinale George Pell, chiamato a mettere ordine con i suoi modi spicci nelle finanze vaticane. Infortuni oggettivi, come la nomina della lobbista Francesca Immacolata Chaouqui. Il pasticcio degli investimenti immobiliari a Londra. Il modo repentino con cui Bergoglio ha contraddetto i vescovi italiani, che protestavano contro il governo Conte e il rifiuto di riaprire le chiese nei giorni in cui la pandemia aveva preso ad attenuarsi. Il mistero del mancato viaggio in Argentina. La relazione scritta nel 1991 dal superiore dei gesuiti, con considerazioni molto dure sul confratello Bergoglio, rispuntata proprio ora. E poi, soprattutto, «la grande ombra cinese», con un accordo di cui non si conoscono i termini, e «il fantasma di uno scisma», evocato dallo scontro sia con i progressisti tedeschi, sia con i conservatori Usa («gli americani mi attaccano? È un onore»).
Sintetizzato così, sembrerebbe un processo a Bergoglio. Non lo è. Francesco resta, per molti versi, un Pontefice eccezionale. Il libro ne rappresenta una conferma. Finirà per leggerlo il Papa stesso. E sarà interessante vedere cosa ne penserà.
http://blog.messainlatino.it/2020/09/massimo-franco-finito-leffetto.html
di Luca Del Pozzo
Il dibattito in corso circa la spinta propulsiva dell’attuale pontificato, innescato da un denso saggio del direttore della Civiltà Cattolica,(leggi anche qui), padre Antonio Spadaro (per inciso, saggio molto elegante e raffinato, che tra i tanti pregi ha anche quello di gettare una luce nuova, muovendo da altra angolatura, sui pontificati precedenti), è stato arricchito tra gli altri da un’intervento del vaticanista de Il Foglio, Matteo Matzuzzi, che al tema ha dedicato un’ampia ed articolata indagine. Indagine che fin dal titolo – “Il tramonto di un papato” – esprimeva una chiave di lettura diversa rispetto a quanto sostenuto da p. Spadaro. In estrema sintesi, per p. Spadaro la carica propulsiva del pontificato di Francesco non si è affatto esaurita, ma per poterla apprezzare occorre comprendere come per Francesco il concetto di governo della Chiesa e di riforma faccia tutt’uno con un processo di costante conversione e discernimento – categoria chiave della spiritualità ignaziana – che in quanto tale rifugge schemi precostituiti o idee nate a tavolino. “Si comprende così – scrive p. Spadaro – che la domanda su quale sia il «programma» di papa Francesco non ha senso. Il Papa non ha idee preconfezionate da applicare al reale, né un piano ideologico di riforme prêt-à-porter, ma avanza sulla base di un’esperienza spirituale e di preghiera che condivide passo passo nel dialogo, nella consultazione, nella risposta concreta alla situazione umana vulnerabile”. Il Papa, scrive ancora p. Spadaro, “…ha ben chiaro il contesto, la situazione di partenza; è informato, ascolta pareri; è saldamente aderente al presente. Tuttavia, la strada che intende percorrere è per lui davvero aperta, non c’è una road map soltanto teorica: il cammino si apre camminando”.
Dal canto suo Matzuzzi ha notato, a mo’ di premessa, che “avere un programma non è delittuoso”, e che anzi i cardinali quando debbono scegliere chi eleggere Papa “guardano bene cosa pensa e cosa no su determinati temi”. Secondo, e cosa più importante, durante il suo pontificato “Francesco una rotta ben impostata l’ha mostrata eccome“. Rotta tracciata nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013, laddove Francesco dice che “Ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti”. Insomma, se non un programma vero e proprio, quanto meno una chiara direzione di marcia. D’altra parte, guardando indietro a questi sette anni e mezzo di pontificato gli indizi che dicono di una visione programmatica non mancano. A partire dai primi mesi quando, nota Matzuzzi, “più che dello spirito si parlò dell’amministrazione, di uffici e personale: chirografi su chirografi, commissioni e comitati per riformare, cambiare aggiornare”. E questo non per caso ma perché “nelle congregazioni generali del pre Conclave, i cardinali avevano preteso da chiunque fosse stato eletto un giro di vite, una grande riforma che solo un Papa-manager… avrebbe potuto realizzare”. Altro elemento, la creazione del C9, l’organismo voluto da Francesco con l’incarico di rifomare la Curia, “talmente istituzionale e strutturato che all’origine aveva un componente per continente”; e ancora, l’indicazione, contenuta sempre in Evangelii gaudium, circa lo statuto delle Conferenze episcopali “che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”. Vi sono poi stati i vari Sinodi (a partire da quelli del 2014 e 2015 che portarono alla discussa Esortazione apostolica Amoris laetitia) i cui temi – sottolinea Matzuzzi – “li ha scelti Francesco. E ha scelto temi che sapeva essere divisivi; temi che avrebbero incendiato gli animi e creato spaccature allargando fossati già distanti l’uno dall’altro”. Non solo. Anche la scelta, sempre operata da Francesco, di affidare al card. Kasper la relazione che aprì e indirizzò i lavori del Concistoro che precedette il doppio Sinodo sulla famiglia, non fu certo una scelta “neutrale” se solo si tiene conto che Kasper “fin dai tempi di Giovanni Paolo II aveva chiesto meglio e più di altri il via libera al riaccostamento dei divorziati risposati alla comunione; richieste sempre rispedite al mittente dal duo Wojtyla-Ratzinger”. E lo stesso dicasi per Claudio Hummes, il cardinale brasiliano cui Francesco affidò il Sinodo sull’Amazzonia, “da sempre convinto peroratore del via libera ai viri probati”. A sostegno del fatto che la questione del “metodo” di governo di Francesco non è forse così chiara come vorrebbe p. Spadaro, Matzuzzi adduce altri tre elementi. Primo, le reazioni – “in qualche caso fuori dalle righe” – di chi si aspettava ben altri risultati dall’azione di governo di Francesco, dimostrano che “anche tra i più entusiasti sostenitori della linea caratterizzante il pontificato si era fatta strada l’idea che oltre alla volontà ignaziana di «riformare le persone dal di dentro» ci fosse pure la determinazione di riformare la chiesa stessa in modo irreversibile”; secondo, il fatto – ciò che rappresenta un problema non di poco conto – che “ogni assemblea sotto Francesco si è trasformata in una disputa mai risolta dal Papa”. Da qui la domanda, legittima, che Matzuzzi pone: “Siamo sicuri che lasciare tutto in questa indeterminatezza sia non solo opportuno ma anche sano?”. Vi è poi il terzo elemento, che riguarda da vicino la politica estera, per così dire, di Francesco, in particolare per quanto riguarda i rapporti con la Cina. Questione da cui emerge con chiarezza che c’è, eccome, un disegno preciso che punta alla distensione con il governo di Pechino, obiettivo in nome del quale “Non una parola su Hong Kong – ma molte sulle tensioni socio-politiche negli Stati Uniti, ad esempio – nulla sugli uiguri, nonostante due cardinali di santa romana chiesa…abbiano accusato Pechino di commettere nei confronti di quella popolazione un vero e proprio genocidio”. Fatti che per Matzuzzi non lasciano adito a dubbi: “Sono scelte, non improvvisazione”. Alla fine della sua lunga indagine Matzuzzi torna alla domanda che p. Spadaro ha posto come sottotitolo al suo saggio sul governo di Francesco, “E’ ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato?”, per sottolineare che se il direttore della Civiltà Cattolica ha dovuto ribadire che cosa Francesco intenda per riforma e cosa no, forse questo significa che “qualcosa è andato storto: o nella comprensione del modo di governare di questo Papa (modo, non stile) o nel fatto che effettivamente il pontificato ha incontrato qualche ostacolo di troppo non previsto, e la spinta propulsiva ha subìto una battuta d’arresto”.
Come si vede, un’indagine argomentata e dai toni assolutamente pacati. Ma tanto è bastato perché al povero Matzuzzi fosse affibbiato lo stigma di “reazionario” dalla solita cerchia degli autoproclamatisi guardiani della rivoluzione, con l’aggiunta di commenti e giudizi (questi sì “reazionari”) che non hanno fatto altro che confermare, con buona pace della narrativa mainstream, l’accresciuto nervosismo di certi ambienti. Tra l’altro, sono essi per primi a rendere un pessimo servizio al Papa che non ha certo bisogno di improbabili avvocati d’ufficio; tanto più che stiamo parlando di un pontefice – come ebbe a sottolineare uno dei più autorevoli vaticanisti d’Oltreoceano, John Allen, che “ha invitato un robusto ed aperto dibattito sui problemi della Chiesa, che comprende certamente la sua leadership. Quando qualcuno esprime riserve, quindi, non è tanto un atto di sfida quanto uno di obbedienza”. Sarebbe oltremodo sciocco pensare che un saggio come quello di p. Spadaro potesse passare inosservato, siccome tocca un tema di assoluta rilevanza per chiunque, credente o no, segua da vicino le vicende della Chiesa. In esso p. Spadaro ha dato una lettura del governo di Francesco che si può condividere o meno. Così come si può condividere, in tutto in parte o per nulla, ciò che sull’argomento ha scritto Matzuzzi o altri che pure hanno affrontato la questione. Per fare un altro esempio, appare alquanto discutibile l’affermazione “I Papi non fanno programmi, seguono il vento dello Spirito”, con cui Maurizio Crippa (altra firma del Foglio) ha chiuso un suo recente intervento sulla vicenda dopo essersi premurato di ricordare i fallimenti (a suo dire, s’intende) dei programmi dei papi che hanno preceduto Francesco, da Paolo VI a Benedetto XVI passando per Giovanni Paolo II, per sottolineare di contro quanto siano ancora feconde e valide le intuizioni originarie di ciascuno. Si tratta di un’affermazione discutibile per due motivi. Primo, perché non necessariamente l’una cosa esclude l’altra, tenuto conto che un programma di governo altro non è se non il tentativo di tradurre nella realtà ciò che lo Spirito suggerisce (e viceversa: seguire lo Spirito non è mai una cosa astratta, e anzi comporta e richiede sempre indirizzi concreti e scelte precise). Secondo, e cosa più importante, perché è tutto da capire di quale Spirito stiamo parlando. Se cioè si tratta della terza persona della Trinità o di qualcos’altro. La qual cosa, evidentemente, non è affatto così scontata come potrebbe sembrare (neanche quando c’è di mezzo un Papa) né tanto meno indifferente. A meno che qualcuno non ritenga davvero un seguire lo Spirito e il “ripartire dall’annuncio del Vangelo e dalla testimonianza, dall’abc delle preghiere e dal catechismo della misericordia”, come scrive Crippa, una predicazione ecclesiale centrata per lo più sulla denuncia dei mali della società e dei problemi che affliggono la Chiesa, muovendo da una prospettiva che da più di un osservatore è stata definita sine ira ac studio “troppo umana”. Per non parlare di quelli che, sempre per restare sull’attuale corso ecclesiale, per Crippa sarebbero dei “semi” che un domani germoglieranno; ad esempio, “lo sguardo sulla diversità sessuale” che – udite udite – “è semplicemente la presa d’atto di quel che il mondo vive”. Cioè, vediamo se abbiamo capito: il mondo vive l’omosessualità né più né meno come un fatto assolutamente normale e la semplice presa d’atto di questo fenomeno sarebbe addirittura un “seme”?? Seguendo questo ragionamento se un domani (per altro non molto lontano) il mondo sdoganasse la pedofilia (vedi anche qui), che facciamo? Anche in questo caso la Chiesa dovrebbe “prendere atto” e basta in ossequio ad una malintesa interpretazione del principio di realtà? Va bene che voltarsi indietro vagheggiando i bei tempi andati è un esercizio tanto inutile quanto velleitario così come, all’opposto, propugnare improbabili balzi in avanti verso una Chiesa solo immaginaria; ma da qui ad attestarsi su una posizione ultra-realista, ce ne passa (e da questo punto di vista, ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano per cui lo accenno solo, sarebbe da approfondire quanto dietro certe posizioni discendano da una imprecisa teologia dell’Incarnazione). E’ vero che ai suoi tempi, come ebbe a dire il gesuita in chief padre Arturo Sosa, non c’erano registratori, però da quei Vangeli nei quali noi semplici pecorelle ci ostiniamo a credere risulta che fin dall’inizio della sua predicazione Gesù non faceva altro che ripetere “convertitevi e credete al Vangelo”: dice niente? O la Chiesa non crede più che bene e male siano concetti oggettivi e in quanto tali indisponibii all’”Io e alle sue voglie”, per usare un’espressione cara a Benedetto XVI? Oppure quello che predicava Gesù andava bene allora mentre oggi c’è bisogno d’altro? Un conto è la sacrosanta necessità di incarnare nell’oggi il Vangelo, tutt’altra faccenda è la tentazione di (ri)scrivere di volta in volta un vangelo diverso a seconda dell’oggi e della situazione che si ha davanti.
Tornando alle (scomposte) reazioni nei confronti dell’indagine di Matzuzzi, va ribadito che le osservazioni in essa sollevate possono non piacere ma restano più che legittime. Per sua natura il ministero petrino non ha solo una dimensione spirituale, ma anche pastorale e di governo che, in quanto tali, richiedono una chiara visione dei problemi sul tappeto e un’altrettanto chiara rotta da seguire. Che poi lo si voglia chiamare programma o in altro modo poco importa. Ma di sicuro un pontefice non può permettersi il lusso di navigare a vista (né questo, by the way, è il caso di Francesco, come lo stesso Matzuzzi ha dimostrato), altrimenti è a rischio l’essenza stessa di ogni pontificato, quell’essere la “roccia” che conferma i fratelli nella fede. Anche per questo certe reazioni appaiono sempre stonate e fuori luogo. Intendiamoci, non che sia una novità. Non è stata la prima e non sarà l’ultima volta che chi, svolgendo il suo lavoro, solleva dubbi o muove una qualche seppur rispettosa critica, viene fatto oggetto di attacchi. Per tacere di episodi sfociati nel grottesco come quando – lo ricordò il diretto interessato in un’intervista che gli feci per Tempi – pretoriani e custodi vari promossero nei confronti di Vittorio Messori, reo di aver dato voce ad alcune rispettose perplessità nei confronti di Francesco, niente meno che la formazione di un comitato che pretendeva (sic!) che il Corriere della Sera gli sospendesse la collaborazione. L’aspetto singolare di quella vicenda, e che si ripresenta tale e quale oggi, fu che gli attacchi a Messori giunsero da quegli stessi ambienti che, anni addietro, contestavano un giorno sì e l’altro pure la Chiesa e i papi di allora (Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). Con una piccola differenza: che quando un pontefice viene criticato, per semplificare, da sinistra, è lui che sbaglia e i suoi critici sono tutti martiri del libero pensiero; quando invece il Papa è criticato da destra allora è lui che ha ragione e i suoi detrattori hanno torto marcio. Al solito, due pesi e due misure. Ma tant’è. E’ una delle costanti della storia, non solo ecclesiale, che chi ieri stava sulle barricate e contestava, poi te lo ritrovi dall’altra parte a sventolare cartellini rossi. Lupi che hanno perso il pelo ma non il vizio di ergersi a maestrini col ditino sempre puntato, con la stessa sicumera e lo stesso tono altezzoso con cui di volta in volta a papi, vescovi ed “eretici” di turno, pretendono di insegnare come debba essere la Chiesa e come si debba vivere il Vangelo. Avanti il prossimo.
Bufera si abbatte sul Vaticano: Becciu rinuncia al cardinalato
Monsignor Angelo Becciu non è più cardinale. Il consacrato ha rinunciato, ma c'è chi afferma che Becciu è stato "scardinalato" dal Papa in persona. Giallo sui perché. Si ipotizza un legame con lo scandalo del "palazzo di Londra"
Monsignor Angelo Becciu non è più cardinale. Il consacrato ha rinunciato, ma c'è chi afferma che Becciu è stato "scardinalato" dal Papa in persona. Giallo sui perché. Si ipotizza un legame con lo scandalo del "palazzo di Londra"
Monsignor Angelo Becciu si è dimesso dalle alte cariche che ricopriva in Vaticano, ma non solo: ha anche rinunciato al cardinalato.
Il commento è lapidario: "Preferisco il silenzio". La sensazione è che per comprendere cosa stia accadendo tra le mura leonine si debba aspettare che la tempesta si plachi. Intanto però ci sono dei fatti: Becciu non è più il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. E il consacrato, soprattutto, non è più un cardinale di Santa Romana Chiesa. Un caso che se non è unico è certamente raro. Almeno per come la vicenda si è palesata all'esterno: in maniera improvvisa.
Mentre scriviamo, come si apprende dall'Adnkronos, è arrivato un commento di mons. Dario Edoardo Viganò, che si è detto "dispiaciuto" e che ha augurato all'ex sostituto della segreteria di Stato "ogni bene possibile". Monsignor Angelo Becciu era balzato di recente agli onori delle cronache qualche mese fa per la vicenda del "palazzo di Londra", ma non figurava tra le persone interessate dalle indagini della Santa Sede. Becciu era il sostituto della Segreteria da cui quello scandalo sarebbe partito, ma non è mai stato riportato un collegamento diretto tra l'ormai ex porporato e il palazzo londinese o gli altri fatti all'attenzione dei "pm" di papa Francesco. Difficile, al momento, comprendere le motivazioni di un gesto, di una decisione, che ha un tenore storico.
Anche monsignor Perlasca ha parlato con la medesima agenzia, sottolineando però di non sapere niente in relazione alle motivazioni. Per ora, questo passaggio di cronache dal Vaticano è immerso in un vero e proprio mistero. Proprio durante questo periodo, inoltre, si sta discutendo molto della tenuta della "spinta propulsiva" di questo pontificato. Vengono presentati bilanci di natura giornalistica. Le dimissioni di Becciu condiscono un quadro già particolarmente interessato da riflessioni. E papa Francesco potrebbe presto parlare in pubblico di quanto accaduto con questa rinuncia.
Il comunicato che circola è questo: "Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia alla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu". Il testo è stato riportato da Repubblica. Il "però" è legato alla formula delle dimissioni. Non è consueto che un cardinale rinunci alla porpora. Possibile, quindi, che sia stato il Santo Padre a "scardinalare" Becciu. Ma si tratta per ora di una mera ipotesi che non trova conferma.
Il pontefice argentino, secondo quanto riportato dalla fonte sopracitata, potrebbe aver informato Becciu della decisione all'interno di un'udienza privata. Becciu, insomma, sarebbe stato in qualche modo rimosso dalla Curia romana. E la volontà da cui dipende questo abbandono potrebbe essere quella di Jorge Mario Bergoglio. "Dimissionare", del resto, è un'espressione entrata in voga nel linguaggio ecclesiastico.
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/bufera-vaticano-becciu-ha-rinunciato-cardinalato-1892358.html
di Sabino Paciolla
Papa Francesco ha accettato la rinuncia dalla carica di prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al cardinalato, presentata dal card. Giovanni Angelo Becciu. Lo rende noto la Sala Stampa della Santa Sede.
Il Vaticano non ha fornito dettagli sul motivo per cui papa Francesco ha accettato le dimissioni di Becciu nella dichiarazione menzionata. L’annuncio è molto secco ed è formato da una sola frase: “Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu”.
Becciu, l’ex potente capo di gabinetto della Segreteria di Stato vaticana, è stato coinvolto in uno scandalo finanziario che ha visto l’investimento del Vaticano in un affare immobiliare a Londra che ha causato ingenti perdite alla Santa Sede per milioni di euro pagati in onorari agli intermediari.
Come l’anno scorso aveva riportato Ed Condon, “il rapporto della Santa Sede con una banca svizzera di dubbia reputazione ha scatenato una controversia interna tra la Segreteria di Stato e le autorità finanziarie vaticane. Al centro del conflitto c’era una linea di credito multimilionaria utilizzata per finanziare un controverso investimento nella speculazione immobiliare londinese.
Fonti all’interno della Prefettura vaticana per l’economia hanno confermato a Catholic News Agency (CNA) che una parte sostanziale dei 200 milioni di dollari utilizzati per finanziare l’acquisto da parte della Segreteria di Stato di un complesso edilizio di lusso a 60 Sloane Avenue è stata ottenuta attraverso il credito concesso da BSI, una banca svizzera con una lunga storia di violazione del riciclaggio di denaro sporco e delle misure di salvaguardia delle frodi nei suoi rapporti con i fondi sovrani. (…)
Il 4 novembre, CNA ha riferito che nel 2015 il cardinale Angelo Becciu ha tentato di mascherare i prestiti da 200 milioni di dollari nei bilanci vaticani, cancellandoli a fronte del valore dell’immobile acquistato nel quartiere londinese di Chelsea, una manovra contabile vietata dalle politiche finanziarie approvate da Papa Francesco nel 2014.
Il tentativo di nascondere i prestiti fuori bilancio è stato rilevato dalla Prefettura dell’Economia, allora guidata dal cardinale George Pell. Alti funzionari della Prefettura per l’economia hanno detto alla CNA che quando Pell ha cominciato a chiedere i dettagli dei prestiti, specialmente quelli che coinvolgevano BSI, l’allora arcivescovo Becciu ha chiamato il cardinale in Segreteria di Stato per un ‘rimprovero’.”
Per questa operazione la procura vaticana ha messo sotto inchiesta vari funzionari ma non il card. Becciu il quale ha sempre negato operazioni illecite. La crisi sviluppatasi in Vaticano ha visto anche varie dimissioni, tra cui quella di Rene Bruelhart, capo dell’agenzia di vigilanza finanziaria del Vaticano.
Becciu è stato coinvolto in una complicata serie di transazioni finanziarie intorno all’acquisto dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI), un ospedale italiano che nel 2013 è collassato sotto gli 800 milioni di euro di debiti. Nell’occasione fu acceso un prestito di 50 milioni di euro per acquisire l’ospedale in fallimento oltre ad una sovvenzione proveniente dalla Fondazione Papale che si trova USA.
L’ultima volta che un cardinale ha rinunciato ai suoi diritti è stato quando l’americano Theodore McCarrick ha rinunciato ai suoi diritti e privilegi di cardinale nel luglio 2018 nel corso di un’indagine per abusi sessuali su adulti e minori. In seguito, l’anno scorso, Papa Francesco lo ridusse allo stato laicale.
Prima dell’ex card. McCarrick, un altro cardinale, Keith Michael Patrick O’Brien, rinunciò ai suoi diritti e prerogative sempre per accuse di abusi sessuali. Egli, d’intesa con Papa Francesco, «nel mese di maggio 2013 ha lasciato la Scozia per un periodo di rinnovamento spirituale, di preghiera e penitenza. Successivamente, nel marzo 2015 – si legge nella biografia diffusa – dopo un lungo itinerario di preghiera, il card. Keith Michael Patrick O’Brien ha rinunciato ai diritti e alle prerogative del cardinalato, espresse nei canoni 349, 353 e 356 del Codice di Diritto Canonico».
Il card. Becciu, di 72 anni, avrebbe potuto partecipare a un possibile futuro conclave per eleggere il successore di Francesco. E’ impedito di votare ai cardinali che hanno un’età superiore agli 80 anni. Ma rinunciando ai suoi diritti di cardinale, Becciu ha rinunciato al suo diritto di partecipare.
Le cosiddette “Profezie di San Malachia” sono, secondo i loro divulgatori, opera di Malachia di Armagh, monaco del monastero di Bangor e poi arcivescovo di Armagh
Di tanto in tanto, qualcuno ricorda le profezie attribuite a San Malachia († 1148), che prevedono la fine del papato e del mondo. In questo articolo vorremmo analizzare questi presagi.
Le cosiddette “Profezie di San Malachia” sono, in base ai loro divulgatori, opera di Malachia di Armagh, monaco del monastero di Bangor e poi arcivescovo di Armagh, morto con fama di santità e canonizzato nel 1190 da Papa Clemente III. Le sue previsioni sarebbero state scritte quando il santo monaco è stato per un mese a Roma nel 1139. Constano di 111 – o 113, secondo altri – distici latini che cercano di ritrarre ogni Papa da Celestino II (1143-1144) al presunto Pietro II, l’ultimo Papa, che governerà la Chiesa fino alla fine del mondo. Ecco, ad esempio, il distico attribuito a San Giovanni Paolo II († 2005): “De labore solis – La sofferenza del sole”.
E qui sorge la domanda: è stato proprio San Malachia a diffondere queste profezie? No! Queste predizioni, che risalirebbero al XII secolo, epoca in cui ha vissuto il santo, apparvero solo nel 1595 nell’opera Lignum Vitae, ornamentum et decus Ecclesiae (Legno di Vita, ornamento e gloria della Chiesa), del benedettino belga Arnoldo di Wyon. Le prime 74 sono accompagnate dal breve commento di Alfonso Chacón († 1601 ca.), frate domenicano e storico spagnolo, che dimostra che le previsioni si sono realizzate in modo esatto in ogni Papa citato. Circa Vittore IV, la profezia dice Ex tetro carcere (Dal carcere oscuro), al che Chacon aggiunge: Fuit cardinalis S. Nicolai in carcere Tulliano (È stato cardinale di San Nicola nel carcere Tulliano).
In base ai commenti di Alfonso Chacón sarebbe possibile calcolare l’ultimo Papa e la fine del mondo: dopo Giovanni Paolo II (De labore solis) ci sarebbero altri tre Pontefici: Benedetto XVI, Francesco e un altro, che assumerebbe il nome di Pietro II. Di lui è scritto: Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et ludex tremendus iudicabit populum. Finis (Pietro Romano, che pascerà le pecore tra molte tribolazioni. Terminate queste, verrà distrutta la città dalle sette colline, e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine).
Presentate le profezie, passiamo alle osservazioni.
Il primo punto importante è che le cosiddette “Profezie di San Malachia” si inseriscono nel quadro delle rivelazioni particolari: il fedele cattolico è quindi libero di accettarle o meno (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 66-68). In questa libertà c’è chi dà loro credito, ritenendo che siano azzeccate. Ad esempio, Crux de crucem (Croce derivata dalla croce) si riferisce a Pio IX (1846-1878); questi ha sofferto molto – ha preso su di sé la croce – per gli attacchi della Casa dei Savoia, sul cui emblema c’era una croce.
Alcuni studiosi respingono però queste profezie. Il maggior critico è padre Ménestrier, S.J., con il suo libro Réfutation des Prophéties faussement attribuées à S. Malachie sur les élections des Papes (Parigi, 1689). Il gesuita sostiene che: 1) per 450 anni queste profezie non sono state note. Nessuno storico medievale o rinascimentale, trattando la vita dei Papi, le cita; 2) non c’è una linea affidabile che dimostri come Chacón ne sia venuto a conoscenza e le abbia trasmesse ad Arnoldo de Wyon; 3) nella lista non appaiono solo Papi, ma anche antipapi (Vittore IV, 1159-64; Nicolò V, 1328-30; Clemente VII, 1378-94). Sarebbe blasfemo dire che Dio abbia confuso Papi e antipapi; 4) l’insinuazione della data della fine del mondo per il prossimo Papa, dopo Francesco, contraddice la Sacra Scrittura, che non rivela agli uomini la data del Giudizio Finale (cfr. Mt 24,36; Mc 13,32; At 1,7); 5) le profezie sono chiare fino a Urbano VII, in seguito diventano generiche (fuoco ardente, fede intrepida…), e si adatterebbero quindi a qualsiasi Papa degno; 6) Ménestrier conclude che le predizioni devono essere state create nel 1590 e attribuite falsamente a San Malachia (cfr. Dom Estêvão Bettencourt, OSB. Fim do mundo? A profecia de São Malaquias. Rio de Janeiro: Mater Ecclesiae, opúsculo 39).
Leggendo questo articolo, siamo invitati a mettere da parte le curiosità umane e a raddoppiare la fiducia nel Padre celeste, che si prende cura della sua Chiesa (cfr. Mt 16,18) fino alla fine dei tmpi (cfr. Mt 28,20), non lasciando che soccomba davanti alle tempeste (cfr. Mc 4,35-41).
Sugli infortuni (chiamiamoli così) bergogliani, fra cui la nomina "della lobbista Francesca Imnacolata Chaoqui" ..... merita aggiungere che la signora in passato si fregiò (si fa per dire) del titolo di MISS TOPLESS in uno stato degli USA.
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