Pompeo supplica il Vaticano di non arrendersi a Pechino
Ultimatum del Segretario di Stato Usa al Papa? Sugli accordi sino-vaticani, Pompeo scrive: "Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l'accordo". Ma leggendo l'articolo da cui è tratto, troviamo una giusta analisi e una sincera supplica al Papa, perché non ceda al totalitarismo. Certo, mai sintesi fu più improvvida.
Ultimatum dagli Usa al Vaticano sui rapporti con Pechino? O è meglio parlare di un appello accorato? Gli accordi, parzialmente segreti e provvisori, fra Cina e Santa Sede scadono oggi. Il dialogo fra Pechino e la diplomazia vaticana è molto avanzato e si dà quasi per scontato, sia da parte di fonti cinesi che da quelle di Roma, un rinnovo degli accordi. La settimana prossima, 29 settembre, si recherà in visita presso il Papa il Segretario di Stato americano, Michael Pompeo, che si trova personalmente coinvolto in un momento molto delicato. Non solo è non solo in piena campagna elettorale per la rielezione del presidente Trump, ma anche nel bel mezzo di una guerra commerciale con la Cina, il cui ultimo episodio è il tentativo (per ora respinto dalla magistratura degli Usa) di espellere le piattaforme social cinesi WeChat e Tik Tok dal mercato statunitense. In mezzo a questa tensione arriva il tweet pubblicato ieri dal Segretario di Stato: “Due anni fa, la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il Partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi. Ma l'abuso del Pcc sui fedeli è solo peggiorato. Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l'accordo”.
Il tono del tweet è ultimativo, freddo e aggressivo: o stai con noi contro la Cina, o perdi l’autorità morale. "Ma chi sei tu per giudicare" l'autorità morale della Chiesa, verrebbe da chiedere, parafrasando il papa. E cosa suggerisce al Segretario di Stato Usa che la Chiesa, col suo miliardo e mezzo di cattolici nel mondo, possa addirittura "mettere a rischio la sua autorità morale"? Cosa c’entra, poi, il Dipartimento di Stato americano con la diplomazia vaticana in materia religiosa? Perché l’accordo con Pechino è in materia religiosa, non è un semplice rapporto fra Stati sovrani. E anche il giudizio che si può esprimere sui fini e gli esiti di un accordo deve tenerne conto: non si tratta di un accordo di partnership, di alleanza, di cooperazione, come fra soggetti laici, bensì si parla di obiezione di coscienza, di nomine dei vescovi, di riconoscimento della validità dei loro sacramenti. Materie su cui le diplomazie degli altri Stati, inclusi gli Stati Uniti, non hanno neppure gli strumenti per giudicare.
In realtà, il tweet di Pompeo, da solo, vuol dire poco. Non lo si comprende finché non si legge l’articolo completo da cui è tratto, pubblicato il 18 settembre su First Things. Il Segretario di Stato americano parte da un’analisi lucida e senza fronzoli della situazione reale, in Cina: “A due anni di distanza (dalla firma, ndr), è chiaro che l’accordo sino-vaticano non abbia protetto i cattolici dalla persecuzione del Partito, per non parlare dell’orrendo trattamento che il Partito riserva agli altri cristiani, ai buddisti tibetani, ai seguaci del Falun Gong e ai fedeli delle altre religioni. Il rapporto annuale del Dipartimento di Stato sulla libertà religiosa del 2019 forniva un esempio eclatante con la storia di don Paul Zhang Guangjung, picchiato e poi “scomparso” per essersi rifiutato di aderire all’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, gestita dal Partito Comunista. E questo è solo uno dei tanti esempi”.
In questa situazione, in cui nulla è migliorato e molto è peggiorato dalla firma degli accordi, quello di Pompeo non è affatto una minaccia, ma un invito: a far pesare l’autorità morale che la Chiesa ha nel mondo. Il Segretario di Stato, che non è un cattolico, riconosce storicamente questa autorità al Vaticano: “La Santa Sede ha una capacità unica e il dovere di concentrare l’attenzione del mondo sulle violazioni dei diritti umani, specialmente quelle commesse dai regimi totalitari, come quello di Pechino. Alla fine del Ventesimo Secolo, il potere della testimonianza morale della Chiesa ha aiutato e ispirato colo che liberarono l’Europa centrale e orientale dal comunismo e coloro che sfidarono i regimi autocratici e autoritari in America latina e in Asia orientale. Quello stesso potere di testimonianza morale dovrebbe essere impiegato ancora oggi nei confronti del Partito Comunista Cinese”. Pompeo ricorda che furono proprio Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI, a ricordare come il diritto alla libertà religiosa sia il primo dei diritti umani che un governo deve rispettare.
Pompeo cita papa Francesco, quando nel 2013 sosteneva: “I cristiani devono rispondere al male con il bene, prendere la Croce su di sé, come fece Gesù”, e commenta: “La storia ci insegna che i regimi totalitari possono sopravvivere solo nelle tenebre e nel silenzio, quando i loro crimini e la loro brutalità non sono né visti, né condannati. Se il Partito Comunista Cinese riesce a mettere in ginocchio la Chiesa Cattolica e le altre comunità religiose, i regimi che non rispettano i diritti umani saranno rafforzati e il costo delle tirannie che persistono aumenterà per tutti quei coraggiosi fedeli che onorano Dio prima dell’autocrate di turno”. E di qui l’appello accorato del Segretario di Stato al Papa: “Io prego la Santa Sede, e tutti coloro che credono nella scintilla divina che illumina ogni vita umana, che nel trattare con il Partito Comunista Cinese ricordino le parole di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni: La verità vi rende liberi”.
La preghiera di Pompeo, sintetizzata da lui stesso nelle poche battute del messaggio che ha affidato al mare digitale di Twitter suona purtroppo come un ultimatum, come un’ingerenza e probabilmente produrrà effetti controproducenti, soprattutto considerando che l’amministrazione Trump non gode di grandi simpatie in Vaticano. Mai sintesi fu più improvvida.
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Stefano Magni
https://lanuovabq.it/it/pompeo-supplica-il-vaticano-di-non-arrendersi-a-pechino
Il governo cinese continua a imprigionare il clero cattolico – compresi i vescovi – che si rifiutano di sostenere il Partito comunista, secondo un nuovo rapporto proveniente dalla provincia di Jiangxi.
Ecco un articolo pubblicato dallo staff del Catholic News Agency che vi propongo nella mia traduzione.
Il governo cinese continua a imprigionare il clero cattolico – compresi i vescovi – che si rifiutano di sostenere il Partito comunista, secondo un nuovo rapporto proveniente dalla provincia di Jiangxi.
Secondo l’UCA News, dal 1° settembre i sacerdoti della diocesi di Yujiang che si rifiutano di aderire all’Associazione patriottica cattolica cinese sono agli arresti domiciliari. A questi sacerdoti è stato vietato di “svolgere qualsiasi attività religiosa in qualità di sacerdoti” come parte della loro punizione.
Per decenni, la Chiesa in Cina è stata divisa tra la Chiesa “sotterranea”, in piena comunione con Roma, e l’Associazione patriottica cattolica cinese (CPCA), gestita dallo Stato, che non lo era. Il governo comunista ha nominato i vescovi per la CPCA.
Nel settembre 2018, è stata resa nota la notizia di un accordo provvisorio tra i funzionari di Pechino e del Vaticano, volto a unificare la Chiesa clandestina e la CPCA. Mentre i termini dell’accordo sono stati mantenuti riservati, secondo quanto riferito, esso permette all’CPCA di scegliere una lista di candidati per la nomina a vescovo, tra i quali poi il papa farà la sua nomina.
A seguito di tale accordo, il clero precedentemente clandestino è stato incoraggiato ad unirsi alla Chiesa di Stato (non riconosciuta dal Vaticano, ndr), il che implica l’affermazione dell’autorità del Partito comunista sugli affari ecclesiali. Molti esponenti del clero clandestino si sono rifiutati di farlo, citando conflitti dottrinali tra l’insegnamento della Chiesa e le regole della CPCA. Il Vaticano ha riconosciuto che alcuni ecclesiastici potrebbero scegliere di non aderire alla CPCA per motivi di coscienza.
Tra il clero agli arresti domiciliari, si dice, c’è il vescovo Lu Xinping della diocesi di Nanchino, a cui è stato vietato di celebrare la messa. Il vescovo Xinping è stato riconosciuto dal Vaticano, ma è stato consacrato come vescovo della CPCA.
La notizia dei sacerdoti agli arresti domiciliari arriva mentre l’accordo originale Vaticano-Cina sta per scadere. L’accordo, firmato nel settembre 2018, scade il mese prossimo. Si prevede che sarà rinnovato (vedi anche qui).
Dalla firma dell’accordo con la Cina, molti sacerdoti hanno denunciato molestie da parte delle autorità civili, poiché si sono rifiutati di aderire all’APCPC. Ci sono state decine di segnalazioni di demolizioni di chiese da parte del Partito comunista cinese per ragioni dubbie, come ad esempio il permesso.
Le persecuzioni sono state particolarmente intense nella provincia di Jiangxi. Lì, l’Ufficio per la sicurezza pubblica e il Dipartimento del lavoro del Fronte unito hanno informato il clero che, se non si fossero uniti all’CPCA, non avrebbero avuto il permesso di predicare.
Inoltre, il Partito comunista cinese ha tentato di riscrivere i 10 Comandamenti per riflettere meglio i principi comunisti, e sta lavorando a una riscrittura della Bibbia.
Altrove in Cina, un sacerdote è stato rapito per oltre due settimane a causa del suo rifiuto di aderire al CPCA.
Secondo AsiaNews, p. Liu Maochun della diocesi di Mindong è stato trattenuto dall’Ufficio affari religiosi per 17 giorni. La diocesi di Mindong si trova nella provincia del Fujian.
P. Liu non è riconosciuto come membro ufficiale del clero in quanto appartiene alla Chiesa “sotterranea”.
Per AsiaNews, non si sa dove si trovi P. Liu dal 1° settembre, dopo che è stato portato dall’Ufficio Affari Religiosi dopo una visita pastorale in un ospedale.
Di Sabino Paciolla
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