Come riconoscere i veri dai falsi pastori? Il falso parlando con lingua di serpente dice al peccatore: Chi sono io per giudicarti? né lo ammonisce affinché si salvi mentre il vero è pronto a dar la vita per le sue pecorelle
di Francesco Lamendola
Viviamo in un tempo di crisi profonda, profondissima, dove il relativismo impera e gli stessi cristiani vacillano, si confondo, seminano a loro volta dubbi morali e propagano una falsa dottrina, adulterata in maniera tale da piacere al mondo. Si direbbe che essi abbiano perso il sapore del sale e siano diventati insipidi; e più di tutti si sono traviati i pastori, molti dei quali sono segretamente nemici di Cristo, e con parole menzognere e melliflue seducono la massa dei fedeli, dando loro a intendere che la vita del cristiano è tutta latte e miele e che in essa non c’è più la croce di Cristo.
Quale atroce inganno stanno consumando ai danni dei fedeli! Dio, giusto Giudice, li ricompenserà secondo la malvagità delle loro intenzioni. Infatti essi non sviano le anime perché si sono sviati a loro volta, ma perché hanno aderito, nel segreto dei loro cuori tenebrosi, a una società anticristiana, la massoneria, e hanno abbracciato le ideologie del mondo moderno, il liberalismo, il comunismo, l’illuminismo, il materialismo: non credono più nel Dio di Gesù Cristo (Dio non è cattolico!, dice trionfante, bestemmiando, il falso papa Bergoglio) e sanno parlare solo di ciò che piace al mondo: dei diritti, dei migranti, del clima, dell’ambiente, della nostra casa comune, com’essi chiamano il creato; ma tacciono su ciò che spiace a Dio e conduce le anime in perdizione: il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, le unioni omosessuali. Per ciascuna di queste cose trovano una giustificazione; per ciascuna di esse elaborano una vera e propria contro-dottrina, fondata su un contro-magistero, il che li qualifica come il contro-clero di una contro-chiesa, che poi è la sinagoga di Satana.
Come riconoscere i veri dai falsi pastori?
E tuttavia c’è un metodo estremamente semplice, e pressoché infallibile, per distinguere e riconoscere i veri pastori della vera Chiesa cattolica da quelli falsi, ossia dai lupi travestiti da pastori per la perdizione delle anime: vedere se ciò che essi dicono e fanno ha lo scopo di rafforzare le anime e metterle in grado di resistere alle tentazioni; oppure, al contrario, se tende a indebolirle, a confonderle, e quindi a far sì che cedano alle tentazioni e cadano nel peccato.
A questo proposito è più che mai di attualità il Discorso sui pastori di Sant’Agostino, che consigliamo vivamente di leggere e meditare a tutti i cattolici di buona volontà (Disc. 46,13; CCL 41, 539-540; cit. in: Con acqua viva. Liturgia delle ore quotidiana, settembre-ottobre 2020, Editrice Shalom, 2020):
Dice il Signore: “Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme” (Ez 34,4).
Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato.
Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in stesse, malato è propriamente chi è tocco già dal male, mentre infermo è colui che è solo fermo e quindi solo debole.
Per chi è debole bisogna tenere che la tentazione lo assalga e lo abbatta. Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, o di sottomettersi al giogo di Cristo.
Per Sant’Agostino è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche sopportare i mali!
Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto già il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacità di sopportare il male, che disponibilità a fare il bene. Ora invece è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi, ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia, e si distoglie anche dalle stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportarono scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tute le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia.
Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare.
Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calare giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo.
A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: “Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite” (Ez.34, 4): Il ferito di cui si parla qui è, come abbiamo già detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla (1 Cor. 10, 13).
Il falso pastore, parlando con lingua di serpente, dice al peccatore: Chi sono io per giudicarti?, né lo ammonisce affinché si salvi. Il vero pastore invece è pronto a dar la vita per salvare le sue pecorelle.
Dunque, il falso pastore non parla mai della tentazione, non mette in guardia contro di essa: logico, dal momento che il suo scopo è impedire che le pecorelle si rafforzino contro di essa, anzi, se possibile che non ne abbiano neppure la cognizione. Il falso pastore non solo non parla della tentazione, ma parla poco anche del peccato; se lo fa, è soltanto per rassicurare le pecorelle che il perdono di Dio è certo e infallibile, che si può sempre fare assegnamento sulla sua misericordia. E mente. Non dice, infatti, che il perdono di Dio è legato al sincero pentimento e al fermo proponimento di non rinnovare più il peccato: e tacendo questo punto essenziale, dà loro l’illusione che peccare ed essere perdonati siano quasi una sola cosa; che Dio sia un distributore automatico di perdono all’ingrosso, senza bisogno che il peccatore si converta. Il falso papa Bergoglio, per esempio, ha appena pronunciato un ignobile discorso, demagogico e ipocrita, rivolto ai genitori di figli omosessuali, assicurando loro che Dio ama quei giovani: il che è vero, nel senso che Dio ama tutte le sue creature, compresi i peccatori. Ma ha taciuto sul punto essenziale: il pentimento dei peccati commessi e il proponimento di cambiar vita. Come disse Gesù all’adultera: Nemmeno io ti condanno: va’, e non peccare più. Se manca questa seconda pare del discorso, si inganna colui al quale viene rivolto: lo s’illude che Dio ami i peccatori impenitenti, cioè che ami il peccato, il che è blasfemo. Dio aborrisce il peccato e ha compassione del peccatore, a condizione che questi si penta dei suoi peccati. Il buon ladrone si pente e riceve da Gesù la promessa di venire accolto in Paradiso, accanto a Lui, quel giorno stesso. Ma il cattivo ladrone, quello che continua a insultare Gesù anche durante l’agonia sulla croce, non si pente e perciò i suoi peccati non gli vengono perdonati. In tutti i testi dei Padri e in tutte le opere dei pittori medievali si mostra il diavolo che si impadronisce della sua anima allorché questa, al momento della morte, gli esce dalla bocca. Stesso discorso per Giuda Iscariote, del quale il falso papa Bergoglio ha detto che probabilmente si è salvato, in virtù del fatto che si era pentito. È vero che si era pentito, perché è scritto nei Vangeli, ma non che aveva deciso di cambiar vita: al contrario, disperando del perdono d’Iddio, si è suicidato, aggiungendo un ulteriore peccato mortale a quello, gravissimo, di aver tradito Gesù Cristo e averlo consegnato nelle mani di coloro che volevano metterlo a morte.
Dio aborrisce il peccato e ha compassione del peccatore, a condizione che questi si penta dei suoi peccati!
Un buon esempio di come parla il vero pastore ci è offerto da San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (5, 1-13):
Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore.
Non è una bella cosa il vostro vanto. Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolatri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi!
L’ipocrisia della comunità cristiana? Togliete il malvagio di mezzo a voi! Col pubblico peccatore il cristiano non deve neanche sedersi alla stessa tavola: e pertanto la sua riprovazione deve essere netta e manifesta!
San Paolo, dunque, non esita a denunciare pubblicamente lo scandalo rappresentato da quel pubblico peccatore, e l’ipocrisia della comunità cristiana che fa finta d’ignorarlo: afferma nel modo più esplicito che il cristiano deve scandalizzarsi dei peccati dei confratelli, non di quelli dei pagani, perché a giudicare questi ultimi penserà Iddio. E aggiunge, per soprammercato, che col pubblico peccatore il cristiano non deve neanche sedersi alla stessa tavola: e pertanto che la sua riprovazione deve essere netta e manifesta. Altro che il bergogliano: Chi sono io per giudicare? Queste non sono le parole di un vero pastore, non sono le parole di chi vuole aiutare le anime a rialzarsi, a rafforzarsi, ma al contrario, di chi le vuole ingannare, indebolire e consegnare al peccato. San Paolo usa un’espressione estremamente forte, riferendosi a quel cristiano incestuoso che convive con la moglie di suo padre: Che sia dato in balia di Satana, per la rovina della sua carne. Ma aggiunge, e questa è la vera misericordia cristiana: affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore. Lo sguardo del cristiano deve essere sempre rivolto alla meta finale, che è la vita eterna: tutti gli atti della vita di quaggiù devono essere finalizzati ad essa. A che giova guadagnare anche un solo giorno della vita terrena, se si perde la propria anima e ci si condanna alle pene dell’inferno? Pertanto la vera misericordia è ammonire severamente il peccatore, non rassicurarlo con parole menzognere che Dio lo ama anche nel peccato.
Altro che il bergogliano: Chi sono io per giudicare? Queste non sono le parole di un vero pastore, non sono le parole di chi vuole aiutare le anime a rialzarsi, a rafforzarsi, ma al contrario, di chi le vuole ingannare, indebolire e consegnare al peccato!
D’altra parte, la tentazione non è una condizione estemporanea e sporadica nella quale l’uomo, chi sa come, viene a trovarsi; al contrario, è la condizione normale dell’esistenza umana, perché il Diavolo, il nemico dell’uomo, non dorme mai, né tralascia alcuna occasione per farlo cadere nel peccato, e quindi moltiplica le tentazioni facendo leva su tutti gli istinti più bassi della natura umana ferita dal Peccato originale: la lussuria, la superbia, la cupidigia, ecc. La posta in gioco è alta, molto alta: è la vita eterna dell’uomo. Il Diavolo fa il suo lavoro, che è quello di tentare le anime, ingannandole, onde portarsele all’Inferno; i veri pastori devono fare il loro, che è quello di mettere in guardia contro gli effetti e le conseguenze del peccato. Guai al falso pastore che non ha ammonito i peccatori, che non ha messo le anime sull’avviso di stare attente a non cadere in tentazione. Dio gli chiederà conto di quanti si sono perduti anche a causa del suo contegno. Ricordiamo le parole del profeta Ezechiele, 33, 13-16:
Se io dico al giusto: Vivrai, ed egli, confidando sulla sua giustizia commette l'iniquità, nessuna delle sue azioni buone sarà più ricordata e morirà nella malvagità che egli ha commesso. Se dico all'empio: Morirai, ed egli desiste dalla sua iniquità e compie ciò che è retto e giusto, rende il pegno, restituisce ciò che ha rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e non morirà; nessuno dei peccati che ha commessi sarà più ricordato: egli ha praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà.
Il falso pastore, parlando con lingua di serpente, dice al peccatore: Chi sono io per giudicarti?, né lo ammonisce affinché si salvi. Il vero pastore invece è pronto a dar la vita per salvare le sue pecorelle.
Come riconoscere i veri dai falsi pastori
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