"In vesta di pastor lupi rapaci": ciò che dice Dante dei falsi pastori del suo tempo, lo si può dire non solo del clero di oggi ma anche di tutta la società civile e di coloro, in particolare, dai quali dipende il nostro futuro
di Francesco Lamendola
Il problema non è nuovo; nuova è la sua estensione, davvero sconvolgente, e la straordinaria protervia ostentata dai colpevoli, come se non temessero il giudizio di Dio, né quello degli uomini. Dante lo aveva stigmatizzato nel divino Poema (Par. XVII, 55-57): In vesta di pastor lupi rapaci / si veggion di quassù per tutti paschi: / o difesa di Dio, perché pur giaci? Il problema dei vescovi che invece di custodire le anime dei credenti nella fede, le confondono, le scandalizzano, le disperdono; dei lupi travestiti da pastori, che sfruttano indegnamente la loro posizione eminente per provocare il maggior danno possibile al gregge di Cristo; dei prelati avidi, ambiziosi di potere e di successo, narcisisti, spregiudicati, cinici, amorali, sprofondati nei peggiori vizi della carne: ebbene, un tale problema è sempre esistito, e già altre volte, in passato, aveva toccato punte estremamente drammatiche.
Oggi governi "fantoccio"e contro-chiesa si sono messi al servizio dell’élite finanziaria e hanno tradito il loro patto con la comunità, agendo in maniera diametralmente opposta all’interesse reale della gente e della nazione nel suo insieme!
Mai, però, bisogna dirlo, si era mescolato e intrecciato in maniera così impressionante con l’altro problema, la caduta verticale della fede nel clero, che a sua volta produce la diffusione di una setta radicalmente anticristica nel seno del clero stesso, sì che oltre ad essere eretici, oltre ad essere moralmente degenerati, codesti falsi pastori sono anche diffusori consapevoli di una falsa dottrina, che conduce le masse dei fedeli all’apostasia, senza che queste se ne rendano conto; anzi, senza che ne abbiano il benché minimo sentore. E non si creda che codesti pastori sono divenuti lupi rapaci cadendo nell’errore in buona fede: l’esistenza di ben quattro logge massoniche all’interno del Vaticano fa capire che non vi è nulla di spontaneo in tale fenomeno, ma tutto è stato studiato e attuato con metodo e perseveranza. Ecco: questo non era mai accaduto, neanche al tempo della crisi ariana o della cattività avignonese: per quanto corrotto, l’episcopato non si era mai fatto operatore, massicciamente, di una vera e propria contro-religione e di una contro-chiesa, cui spetta senz’altro il nome che le viene attribuito dall’evangelista Giovanni, la sinagoga di Satana al servizio dell’Anticristo nella battaglia finale. Bisogna infatti considerare che l’Anticristo, chiunque egli sia e comunque vada intesa la sua figura, non si presenterà come un nemico frontale di Gesù Cristo, ma, al contrario, se ne professerà seguace, mescolando con diabolica malizia verità ed errore, onde falsificare dall’interno la dottrina, a sovvertire il Vangelo, con l’aria di chi lo vuole solo aggiornare e rendere più adatto ai tempi nei quali viviamo: quelli della modernità e della globalizzazione. Oggi più che mai un vero cattolico (non un seguace di Bergoglio e del Vaticano II, per intenderci) potrebbe far sue le parole di San Pietro, là ove deplora la degenerazione dell’episcopato, sempre nel medesimo canto dantesco (vv. 40-54):
Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d’oro usata;4
ma per acquisto d’esto viver lieto
e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
d’i nostri successor parte sedesse,
parte da l’altra del popol cristiano;
né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
né ch’io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
E ciò che dice Dante dei falsi pastori del suo tempo, lo si può dire non solo dei vescovi di oggi, ma anche, uscendo dall’ambito della Chiesa e rivolgendo uno sguardo d’insieme su tutta la società civile, per la stragrande maggioranza di coloro dai quali dipende il nostro futuro: governanti, politici, economisti, banchieri, magistrati, grandi industriali, amministratori pubblici, professori universitari, primari di medicina, scienziati accademici, giornalisti, intellettuali di ogni ordine e grado, artisti, gente di spettacolo. Tutti coloro che esercitano un potere, anche solo verbale o anche solo virtuale, e concorrono a determinare, attraverso il nostro immaginario, il nostro sentire e il nostro pensare (o piuttosto credere di pensare) si sono messi al servizio dell’élite finanziaria e hanno tradito il loro patto con la comunità, agendo in maniera diametralmente opposta all’interesse reale della gente e della nazione nel suo insieme. È nell’interesse della gente che il governo ha deciso d’imporre misure restrittive senza precedenti, per combattere un virus fra i tanti, che in percentuale fa immensamente meno vittime del cancro o dell’infarto, e più o meno quante ne fa ogni anno, una comune influenza, allorché beninteso, i suoi effetti si sommano ad altre patologie pregresse di una certa gravità, quasi sempre in soggetti anziani e debilitati? Ed è nell’interesse della gente spendere somme favolose per acquistare un vaccino che si vorrebbe somministrare all’intera popolazione, ma che si sa già essere del tutto inefficace, stante il fatto che non si può realizzare alcun vaccino per una malattia virale il cui agente patogeno si è estinto da mesi? È nell’interesse della gente aver sospeso e praticamente congelato tutte le altre terapie e gran parte delle attività diagnostiche nelle strutture sanitarie pubbliche, cosa che ha fatto e continuerà a fare decine di migliaia di vittime che nessuno si prende la briga di conteggiare e render note, perché non fanno notizia? È nell’interesse della gente che quasi tutti i giornalisti e direttori di giornali hanno seminato per settimane, per mesi, il terrore grazie ai mezzi di cui dispongono, manipolando sistematicamente i dati e in particolare occultando il dato decisivo: che quest’anno le morti per malattia non si discostano significativamente dalla media statistica di tutti gli altri anni? Ed è nell’interesse della gente che medici ed esponenti del mondo scientifico si sono guardati bene dal dire chiaro e tondo che la mascherina non serve assolutamente a niente, se non a provocare danni alla salute perché obbliga le persone a respirare la propria aria viziata; e che è un atto di malafede intenzionale far credere che i cosiddetti portatori asintomatici del virus siano dei malati, per giunta suscettibili di trasmettere ad altri soggetti la loro malattia?
Siamo in ostaggio di una classe dirigente apolide, opportunista, incapace della più piccola empatia nei confronti del prossimo!
L’elenco della domande di questo tenore potrebbe continuare a lungo, e in ciascun caso la risposta sarebbe ugualmente monotona e sconfortante: no, nessuna delle misure prese e degli atteggiamenti posti in essere sono stati pensati a vantaggio della comunità. Al contrario, erano tutti finalizzati a soddisfare gli interessi economici e politici delle multinazionali farmaceutiche, delle grandi banche erogatrici di prestiti, delle fondazioni private di qualche super-miliardario “filantropo” che sembra così sollecito del pubblico bene, anche se, guarda caso, si trova in patente conflitto d’interessi allorché, per esempio, esercita forti pressioni sulla O.M.S. affinché dichiari a livello mondiale una pandemia che in effetti non c’è, non perché non esista il virus del Covid-19, ma perché nella situazione degli scorsi mesi non si riscontrava alcun elemento che permettesse di considerarlo come una gravissima emergenza planetaria – e tanto meno lo si riscontra ora. Dunque, per mesi siamo stati in ostaggio, e lo siamo tuttora, di una classe dirigente che bada ai propri interessi privati, alle proprie convenienze di vario genere, dai soldi alla carriera, ma se ne infischia completamente del pubblico bene. Una classe dirigente che non ha più che scarsi legami con il territorio e con la popolazione; che, spesso, ha la seconda casa, o magari la prima casa, a Londra o a New York, dove pure riceve lo stipendio per i servizi e le attività che svolge nella ricerca, nell’insegnamento universitario, nelle professioni liberali o nel mondo dello spettacolo, e dove fa studiare i suoi figli, dove si cura o cura i propri familiari in caso di malattia o di un intervento chirurgico, dove pubblica libri e consegue premi letterari o riconoscimenti scientifici, e insomma dove ha tutti i suoi interessi e i suoi legami. Non parliamo di affetti, perché questa è ormai una parola grossa, e sicuramente obsoleta, quando si tratta di questa classe dirigente apolide, opportunista, incapace della più piccola empatia nei confronti del prossimo.
Tra filantropi senza scrupoli e multinazionali farmaceutiche? Per mesi siamo stati in ostaggio, e lo siamo tuttora, di una classe dirigente che bada ai propri interessi privati, alle proprie convenienze di vario genere, dai soldi alla carriera, ma se ne infischia completamente del pubblico bene!
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