ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 14 settembre 2020

Nessuna critica a sacerdoti o vescovi?

DOPO IL PADOVA PRIDE
L'ateismo dei cristiani

Nessuna critica a sacerdoti o vescovi, ma la vicenda della partecipazione cattolica al Padova Pride Village impone delle considerazioni sul nostro essere nel mondo. Vale ancora la pena di combattere la concupiscenza della carne? Esiste ancora il fascino, il coraggio di lasciare tutto per la “perla preziosa”? O ci vergogniamo del Vangelo? Diceva un bravo vescovo che «l‘ateo più pericoloso è il Cristiano che vive come se Dio non esistesse».






Mi ha molto colpito il caso della annunciata partecipazione cattolica al Padova Pride Village. Premetto che la mia non vuole essere una critica rivolta a taluni sacerdoti, o vescovi… o la Chiesa in generale, riguardo all'atteggiamento da tenere nei confronti di persone di qualsiasi tendenza sessuale. Del resto la Bibbia è chiara, basta rileggersi la vicenda di Sodoma (Gen. 19, 5ss).

Ma, tuttavia, voglio manifestare il mio sconcerto personale, la mia fatica spirituale, il mio tentennamento umano di fronte alla confusione, per non dire nebbia totale, sui giusti confini tra l‘essere cristiani  e l’impegno reale, quotidiano nel tessuto di oggi.

Il tema dell'omosessualità è anche giusto da affrontare, ma in circostanze diverse. L’ufficialità di presenze religiose e il sostegno offerto al contesto sopra citato, come definirlo: è uno scivolone oppure oggi è un approccio normale?

Non mi preoccupo di tenere un atteggiamento reverenziale verso una moderna percezione che oggi, si ha, dei “diritti personali”, o meglio “individuali". Piuttosto guardo a tutti questi avvenimenti che toccano da vicino anche la Chiesa, da un’angolatura particolare della mia storia. Perché mi sento coinvolta come “suora”, come “educatrice” e come responsabile che, quotidianamente è a contatto con molti giovani, e sento forte la necessità di creare nei giovani una coscienza, dei sentimenti positivi e soprattutto di educarli all’ascolto della Parola di Dio, attraverso la preghiera; alla consapevolezza della potente presenza dello Spirito Santo che alimenta la fiamma della Fede; a riconoscere in mezzo a noi la presenza di Maria, che con gioia e umiltà, ci aiuta a percorrere “ la via stretta” del Vangelo!

Certo che la persona, indiscutibilmente, è anche la sua sessualità: l’individuo, o la persona, è “sessuata” sin dal concepimento. Questo significa che, lungo il corso della sua vita, è impossibile, per la persona, non esprimersi anche sotto questo profilo.
Nessuno, e ripeto nessuno, nega questa imprescindibile e fondamentale connotazione della nostra esistenza e dell’esistenza di ogni persona umana.

Ma da suora, mi chiedo se per le persone consacrate è valido ancora “l’essere nel mondo… ma non del mondo”. Vale ancora la pena di combattere “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita”? (1Gv. 2, 16).
Esiste ancora il fascino, il coraggio di lasciare tutto per la “perla preziosa”? E, a riguardo, esiste ancora un processo formativo in tal senso?

Forse, il “mondo”, inteso non come Creazione che è “dono di Dio” con tutto ciò che comprende, ma, evangelicamente inteso come realtà che non riconosce Gesù (Gv. 1, 10), e anzi, che odia la Sua Parola, e non ne sopporta le regole, non esiste più? La condizione di vita che Gesù insegna, forse non è più proponibile? Il corpo come “tempio dello Spirito” era una ideazione fantastica di S. Paolo e di questi due millenni di Chiesa ormai, oggi, superata?

Personalmente, sarei bugiarda, nella mia scelta di vita consacrata, se affermassi di aver rinunciato all’Amore, alla mia sessualità e alla vita! Anzi, al contrario, pur non esercitando, nella sua fisicità, la sessualità mia propria di donna, non mi sono mai sentita né castrata, né mutilata nel sentimento materno che è proprio della connotazione umana femminile; perciò, non credo di aver mai rinunciato, ripeto, pur nella castità del mio corpo, né all’Amore, né alla vita!

Non è che, per piacere a qualcuno… oggi dobbiamo “arrossire del Vangelo” o a parte di esso? Problema già evidenziato da S. Paolo: “Infatti non mi vergogno del Vangelo, poiché è Potenza di Dio per la Salvezza di chiunque crede”(Rom. 1, 16)  
Ma ci siamo dimenticati che, la società e il mondo, sono un immenso “Aereopago”, come dice San Paolo, da evangelizzare?

A me, a te che leggi, al sacerdote, al cristiano, al vescovo… Gesù, semplicemente, chiede di affrontare questa sfida con coraggio, perché la Fede è come la “dinamo” della bicicletta: “più pedali più illumina”.

Ma com’è possibile se il vero e unico antidoto al male è Gesù, con la sua proposta di vita e conversione, presentarlo oggi così sbiadito e annacquato?
La persona oggi sembra essere ridotta alla pura dimensione orizzontale, ma in questo modo si dimezza l'uomo.
Le giustificazioni in queste occasioni sono sempre uguali: “La fede ha, come obiettivo, la promozione umana in tutte le sue dimensioni",  "E poi, non ci si può salvare in qualsiasi religione?"; "Ma non vedi come ferve, oggi, il dialogo interreligioso?"; "E che dire poi dell’accoglienza? Tutto questo non è Vangelo?"

Ma, dopo 2000 anni, vuoi vedere che la vita di Gesù è da “interpretare” e non da vivere? E la Religione, oggi, non è più una norma valoriale sulla quale impostare il nostro agire? Il Vangelo, e l’intera Parola di Dio, non è più da considerarsi come un importante correttivo alla nostra condotta giornaliera?

Pare che tema unico, o pensiero unico, sia quello di “godersi” la vita, anche nei suoi aspetti carnali: il diritto all’amore e alle sue adeguate espressioni sembra coprire oggi, anche per i religiosi, tutto l’orizzonte umano e spirituale!!!
Eppure la stessa Conferenza Episcopale Italiana, qualche anno fa, scrisse in un suo documento che: “il mutamento delle condizioni di vita è stato così vertiginoso che esso ci è largamente sfuggito di mano…!” (23 ottobre 1981: “Chiesa Italiana e la prospettiva del paese”)

Conobbi personalmente molti anni fa monsignor Carlo Ferrari, un grandissimo vescovo (sia a livello spirituale che umano e intellettuale) di Mantova. In un convegno, svoltosi proprio a Mantova sulle prospettive future del cristiano, metteva profeticamente in guardia, proprio coloro che si dicevano cristiani, da un ateismo di fatto: “Il vero ateo? Non esiste! L‘ateo più pericoloso è il Cristiano che vive come se Dio non esistesse”.

Ecco il punto: vivere come se Dio non esistesse. Questo è il vero dramma dei cristiani. Chi ci parla oggi di Gesù? Di santità? Di sequela di Cristo? Persino la Catechesi, lo “spezzare la Parola di Dio”, il sentirci ed educarci alla Comunità Cristiana, alla condivisione Eucaristica … pare siano punti quasi totalmente trascurati.

Giovanni Paolo II, nei discorsi al Simposio dei Vescovi d’Europa a Roma nel 1985 e alla Conferenza Episcopale della Scandinavia nel 1989, invitava a: “Rifare il tessuto cristiano", “Ritrovare il grande soffio dello Spirito…”, “Recuperare le fondamenta perdute della Fede”, “Rilanciare l’afflato missionario delle nostre Comunità Cristiane”.

Vogliamo ascoltare i nostri Santi? Vogliamo ascoltare Gesù?

Rosalina Ravasio*


* Comunità Shalom - Palazzolo sull'Oglio


CARDINALE SARAH
«Basta Messe in streaming e sottomissione ai governi»

Urgenza di tornare alla normalità della vita cristiana, Eucarestia da celebrare in chiesa (le Messe in tv allontanano dall'incontro con Dio), una liturgia da rispettare nell'integralità malgrado le norme igienico-sanitarie, compresa la distribuzione della Comunione, favorire l'adorazione eucaristica, primato della vita eterna sulla vita terrena. Sono questi i punti fondamentali della lettera ai presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo, scritta dal cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, con l'approvazione di papa Francesco. Ma basterà a far ripartire la comunità cattolica dopo mesi di abusi e attenzione solo alle norme di sicurezza anti-Covid?





Sabato 12 settembre è stata resa pubblica "Torniamo con gioia all'Eucarestia!", la lettera scritta il 15 agosto e indirizzata dal cardinal Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e i Sacramenti, a tutti i presidenti delle conferenze episcopali del mondo; lettera approvata da papa Francesco, in occasione dell’Udienza concessa al cardinale lo scorso 3 settembre. Oggetto dell’importante comunicazione è il ripristino della normalità nelle celebrazioni liturgiche.

Una lettera attesa, dopo mesi di disorientamento e di iniziative più o meno arbitrarie, che hanno cercato di rendere le chiese e le celebrazioni più che sicure, letteralmente asettiche, con un inevitabile contraccolpo negativo sul linguaggio proprio della liturgia.

«La dimensione comunitaria - esordisce il Cardinal Sarah - ha un significato teologico: Dio è relazione di Persone nella Trinità Santissima; crea l’uomo nella complementarietà relazionale. [...] Per descrivere la vita eterna la Scrittura usa l’immagine di una città: la Gerusalemme del cielo (cfr. Ap 21); una città è una comunità di persone che condividono valori, realtà umane e spirituali fondamentali, luoghi, tempi e attività organizzate e che concorrono alla costruzione del bene comune». È dunque impossibile ridurre la preghiera della Chiesa alla preghiera personale, sostituire il «culto pubblico integrale» (SC, 7) con una religiosità domestica o individuale.

Per questa ragione, Sarah ricorda ai vescovi la necessità e l’urgenza di «tornare alla normalità della vita cristiana, che ha l’edificio chiesa come casa e la celebrazione della liturgia, particolarmente dell’Eucaristia, come “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua forza”» (SC, 10).

A sfolgorare in tutta la sua attualità è l’esempio dei «fratelli martiri di Abitene (inizi del IV secolo), i quali risposero ai loro giudici con serena determinazione, pur di fronte a una sicura condanna a morte: “Sine Dominico non possumus”». Quel non possumus è un assoluto, e l’ablativo neutro (Dominico), non indica semplicemente la domenica, ma tutto quello che è del Signore. La comunità cristiana non può dunque vivere «senza la Parola del Signore, che nella celebrazione prende corpo e diventa parola viva, [...]; senza partecipare al Sacrificio della Croce in cui il Signore Gesù si dona senza riserve per salvare, con la sua morte, l’uomo che era morto a causa del peccato» e neppure «senza il banchetto dell’Eucaristia». Non possiamo dunque vivere senza il giorno del Signore, senza la comunità cristiana, «senza la casa del Signore, che è casa nostra, senza i luoghi santi dove siamo nati alla fede».

È dunque impensabile continuare a seguire la celebrazione eucaristica via streaming dal salotto o dalla camera da letto: «Nessuna trasmissione è equiparabile alla partecipazione personale o può sostituirla. Anzi queste trasmissioni, da sole, rischiano di allontanarci da un incontro personale e intimo con il Dio incarnato che si è consegnato a noi non in modo virtuale, ma realmente, dicendo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv. 6, 56). Questo contatto fisico con il Signore è vitale, indispensabile, insostituibile». È perciò urgente richiamare in chiesa quei tanti, troppi fratelli «scoraggiati, impauriti, da troppo tempo assenti o distratti».

Oltre a questo appello generale, Sarah, in qualità di Prefetto del Dicastero da lui presieduto, intende «ribadire alcuni principi e suggerire alcune linee di azione per promuovere un rapido e sicuro ritorno alla celebrazione dell’Eucaristia».

Anzitutto, è necessario comprendere che «la dovuta attenzione alle norme igieniche e di sicurezza non può portare alla sterilizzazione dei gesti e dei riti, all’induzione, anche inconsapevole, di timore e di insicurezza nei fedeli». Il gesto e il rito liturgico devono essere rispettati nella loro integralità, anche in quegli aspetti che possono apparire “minimi”, ma che spesso racchiudono più di quanto immaginiamo.
A riguardo, il Cardinale mette in guardia da «improvvisate sperimentazioni rituali» ed esorta al «pieno rispetto delle norme, contenute nei libri liturgici, che ne regolano lo svolgimento. Nella liturgia, esperienza di sacralità, di santità e di bellezza che trasfigura, si pregusta l’armonia della beatitudine eterna: si abbia cura quindi per la dignità dei luoghi, delle suppellettili sacre, delle modalità celebrative». È un’attenzione dovuta a Dio, alla fede del suo popolo, ma anche all’umanità di questo popolo, così disorientata ed avvilita dai continui segnali di paura e ansia, che sta incessantemente ricevendo anche nelle nostre chiese.

Il secondo aspetto riguarda la relazione con le autorità civili, un punto particolarmente delicato, dove molte conferenze episcopali sono capitolate: «Si confida nell’azione prudente ma ferma dei Vescovi perché la partecipazione dei fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia non sia derubricata dalle autorità pubbliche a un “assembramento”, e non sia considerata come equiparabile o persino subordinabile a forme di aggregazione ricreative. Le norme liturgiche non sono materia sulla quale possono legiferare le autorità civili, ma soltanto le competenti autorità ecclesiastiche (cfr. SC, 22)».

Terzo aspetto: «Si riconosca ai fedeli il diritto di ricevere il Corpo di Cristo e di adorare il Signore presente nell’Eucaristia nei modi previsti, senza limitazioni che vadano addirittura al di là di quanto previsto dalle norme igieniche emanate dalle autorità pubbliche o dai Vescovi». Ed aggiunge: «i fedeli nella celebrazione eucaristica adorano Gesù Risorto presente; e vediamo che con tanta facilità si perde il senso della adorazione, la preghiera di adorazione. Chiediamo ai Pastori di insistere, nelle loro catechesi, sulla necessità dell’adorazione».

È evidente che Sarah ha presenti gli spettacoli che abbiamo dovuto vedere in questi mesi: Comunioni negate, perché si voleva ricevere l’Ostia consacrata in bocca e non in mano; sacerdoti richiamati dai propri vescovi per aver concesso la Comunione nella forma universale prevista dalla Chiesa; chiese ove veniva proibito di inginocchiarsi, etc.

Un ultimo fondamentale appello, rivolto ai presidenti delle conferenze episcopali, è quello di non cedere alle sirene delle ideologie, di non lasciare che eventuali decisioni dovute all’emergenza rispondano al principio materialista ed immanentista del pensiero dominante: «La Chiesa [...] ricorda che l’esistenza terrena è importante, ma molto più importante è la vita eterna: condividere la stessa vita con Dio per l’eternità è la nostra meta, la nostra vocazione. Questa è la fede della Chiesa, testimoniata lungo i secoli da schiere di martiri e di santi, un annuncio positivo che libera da riduzionismi unidimensionali, dalle ideologie: alla preoccupazione doverosa per la salute pubblica la Chiesa unisce l’annuncio e l’accompagnamento verso la salvezza eterna delle anime».

La lettera è dunque più che benvenuta. Ma basterà a far ripartire la comunità cattolica? Dopo mesi in cui sono state prese decisioni che hanno di fatto mostrato una preoccupazione per la nuda vita biologica decisamente superiore al bisogno delle anime. Dopo centinaia, migliaia di malati lasciati morire senza sacramenti, in ottemperanza alle norme anti-covid. Dopo che abbiamo accettato che l’accesso al supermercato per reperire il pane materiale, o quello alle tabaccherie per soddisfare un vizio, fosse più importante della possibilità di nutrirsi del Pane di vita eterna, basterà?

Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/basta-messe-in-streaming-e-sottomissione-ai-governi

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