Mentre il Vaticano è in procinto di rinnovare lo storico accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi nel corso di questo mese, uno dei maggiori esperti della Chiesa cattolica sulle questioni cinesi ha sostenuto che, sebbene il desiderio di dialogo sia comprensibile, non c’è ancora nulla da mostrare per l’accordo due anni dopo.
Ne parla Elise Ann Allen nel suo articolo pubblicato su CruxNow che vi presento nella mia traduzione.
Papa Francesco e Xi Jinping, presidente della Cina
Papa Francesco e Xi Jinping, presidente della Cina
Mentre il Vaticano è in procinto di rinnovare lo storico accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi nel corso di questo mese, uno dei maggiori esperti della Chiesa cattolica sulle questioni cinesi ha sostenuto che, sebbene il desiderio di dialogo sia comprensibile, non c’è ancora nulla da mostrare per l’accordo due anni dopo.
“Capisco la positività, la tentazione di avere questo rapporto con la Cina, ma devo dire che c’è ben poco frutto”, ha detto padre Bernardo Cervellera, esprimendo la speranza che “il Vaticano, nel rinnovare l’accordo, invece di subire ancora di più le richieste della Cina, mette più paletti” tra le loro richieste.
Capo di Asia News ed ex missionario in Cina, Cervellera è intervenuto durante una discussione online del 4 settembre ospitata dall’Acton Institute, un’organizzazione cattolica di libero mercato, offrendo la sua valutazione dello stato del continente asiatico nel mezzo della pandemia del coronavirus e della nuova legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong.
Parlando dell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi che il Vaticano ha fatto con la Cina nel 2018, che è in procinto di essere rinnovato questo mese, Cervellera ha notato che molti funzionari da parte del Vaticano hanno elogiato l’accordo come qualcosa di positivo e fruttuoso, mentre “la Cina non ha mai detto nulla”.
Ha fatto riferimento a un articolo pubblicato sul Global Times, un giornale cinese con legami con il Partito comunista, che citava funzionari vaticani (mons. Marcelo Sorondo, ndr) che lodavano l’accordo, ma che non conteneva riferimenti a funzionari o opinioni di membri del governo cinese.
Il fatto che la Cina sia stata così silenziosa sull’accordo, ha detto, gli lascia due impressioni: o che il Partito comunista cinese vede l’accordo come qualcosa di positivo, o che, a loro avviso, “la posta in gioco sta aumentando così tanto da chiedere tutto al Vaticano”.
Tutto, in questo senso, ha detto, significherebbe che “il Vaticano deve dare l'”okay” per tutto quello che fa la Cina, e certamente devono interrompere il loro dialogo con Taiwan”.
“Questo è certamente il motivo fondamentale per cui il ministro degli Esteri cinese era così interessato al rapporto con il Vaticano”, ha detto, “perché in questo modo tolgono a Taiwan l’unico punto, l’unica ambasciata che possono avere in Europa”.
Attualmente Taiwan intrattiene relazioni diplomatiche con soli 15 Paesi, essendo la Santa Sede il suo unico legame diplomatico in Europa.
Cervellera ha ammesso di capire perché sia interessante proseguire il dialogo con la Cina, visto che da quando Mao Zedong è entrato al governo del Partito comunista nel 1949, la porta è stata fermamente chiusa, nonostante i tentativi dei precedenti pontefici, tra cui San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
“La Cina non ha mai voluto un rapporto, ha sempre chiuso le finestre. Non hanno mai voluto dialogare. Ora che il Vaticano ha questo sottilissimo filo di dialogo, capisco che lo vogliano mantenere”, ha detto Cervellera, ma ha aggiunto che a suo avviso, per quanto riguarda l’accordo, c’è stato poco da mostrare nei due anni trascorsi dalla firma.
“Questo accordo di per sé dovrebbe essere [dedicato] alla nomina di nuovi vescovi, ma da quando l’accordo è stato raggiunto, non è stato nominato [nessun] nuovo vescovo”, ha detto, osservando che dei due vescovi che sono stati nominati e degli altri tre che sono stati riconosciuti dal governo negli ultimi due anni, tutti erano stati selezionati anni prima dell’accordo del 2018.
“Quindi non si può dire che grazie all’accordo tutto questo sia successo”, ha detto, esprimendo la speranza che, andando avanti, ci sarà molto di più da mostrare.
Cervellera ha anche offerto la sua valutazione del continente asiatico alla luce del coronavirus, evidenziando tre elementi che, secondo lui, si sono distinti negli ultimi anni, alcuni dei quali sono diventati più chiari nel mezzo del coronavirus e delle proteste di Hong Kong.
Non solo le economie dell’Asia, Cina compresa, sono state messe “in ginocchio” dal coronavirus, ma i leader sono sempre più “orgogliosi”, ha detto Cervellera, aggiungendo che per lui questo significa “non ha più importanza [per loro] mantenere l’immagine di una persona aperta”.
“Tutti loro si stanno trasformando in dittatori personali che andranno avanti per decenni”, ha detto, nominando la Cina, il Pakistan, la Tailandia e il Myanmar come vittime di questa nuova tendenza, che, ha detto, spesso ha fatto sì che questi leader “soffocassero i diritti umani con impressionante facilità”, in particolare quelli delle minoranze, facendola Franca nei confronti della comunità globale.
A ciò si aggiunge una crescente inquietudine tra i giovani, che vogliono “trovare un senso alla loro vita e al loro lavoro”. Mentre la maggior parte della cultura asiatica è tradizionalmente incentrata sulla comunità, i giovani del continente sono sempre più concentrati su ciò che una data situazione significa per loro personalmente.
“Questo è qualcosa di molto nuovo, è qualcosa che crea scossoni in molte parti dell’Asia”, ha detto Cervellera, aggiungendo che è qualcosa che è venuto alla ribalta soprattutto a Hong Kong, dove le proteste su larga scala sono dominate per lo più da giovani, alcuni dei quali hanno solo 13 o 14 anni.
Dallo scorso giugno Hong Kong è stata presa da proteste di massa, prima in opposizione a un disegno di legge che avrebbe permesso l’estradizione nella Cina continentale, anche se alla fine è stato ritirato, e ora per una nuova misura di sicurezza nazionale elaborata da Pechino, che intendeva reprimere quello che definisce “terrorismo”, “sovversione” e interferenza straniera negli affari interni.
“Il fatto è che i giovani di Hong Kong rischiano tutto questo per protestare contro la Cina, contro il governo, e rischiano di non trovare lavoro. Rischiano di non poter andare a scuola o all’università, perché la Cina sta applicando leggi molto, molto severe”, ha detto. “Quindi questi giovani rischiano davvero tutto, ma per cosa? Per la loro libertà”.
Sono giovani “che vogliono superare il fondamentalismo religioso, le ideologie”, ha detto, aggiungendo che in Cina “nessuno crede nel comunismo. Nessuno. Molti si mettono sotto l’albero comunista”, non tanto per convinzione, quanto per i benefici sociali.
“In Cina si è sempre colpevoli e si deve dimostrare la propria innocenza. Non è che si è innocenti fino a prova contraria, è il contrario”, ha detto, aggiungendo che “tutto è al servizio del partito”.
Cervellera ha anche sottolineato la rapida crescita della Chiesa cattolica nel continente asiatico, rilevando che mentre l’Asia contiene poco più della metà della popolazione mondiale, con circa 3-4 miliardi di persone, ci sono circa 120-130 milioni di cattolici, che secondo lui è un numero “impressionante” dato che i cristiani sono una minoranza spesso perseguitata.
“Almeno il 60 per cento dei Paesi asiatici ha problemi di libertà religiosa. Quindi, questa Chiesa perseguitata, che ha limiti alla libertà religiosa, continua a crescere del 5% ogni anno”, ha detto, osservando che in Europa il numero dei cristiani è rimasto in gran parte invariato, grazie all’afflusso di immigrati cristiani.
I migranti cristiani che hanno figli in Europa stanno bilanciando il numero dei morti, ha detto, ma ha notato che, rispetto ad altre parti del mondo come l’Asia e l’Africa, in Europa “c’è poco slancio per l’evangelizzazione”.
Di Sabino Paciolla|