IL GIALLO
Messe a rischio: Chiese ancora in balia dei tecnici
Si parla di imminenti chiusure delle chiese, sospensione delle Messe e ripresa delle limitazioni come i guanti alla Comunione e stop alle Cresime. Come stanno le cose? La Cei: «Col nuovo decreto non cambia nulla», ma alla Bussola il prefetto per gli affari di culto Michele Di Bari la stoppa e demanda tutto al Comitato Tecnico Scientifico. «Servono chiarimenti dopo il nuovo dPCM. L’interpretazione la dà il CTS che ha competenza, attendiamo una risposta. Chiudere le chiese? Non anticipiamo, ma...». Così la Chiesa torna di nuovo nelle mani del comitato di "espertoni" del governo che aveva già chiesto e ottenuto con facilità il lockdown delle Messe a marzo.
Davvero le Messe potrebbero essere di nuovo sospese? La partita è appesa a un filo e dipende ancora una volta dal CTS che detta la linea al Governo e alla Cei. Non è peregrino quindi ipotizzare una nuova stretta sulla partecipazione dei fedeli in chiesa o sulle modalità con cui si accede alla Messa, anche se al momento non c’è allo studio un lockdown specifico per i luoghi di culto.
È lo stesso Prefetto Michele Di Bari, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione al Ministero dell’Interno con delega anche agli affari dei culti a dirlo alla Nuova Bussola Quotidiana mentre però i vertici della Chiesa italiana ieri hanno ribadito che le attuali disposizioni sono un punto acquisito che non si discute.
Chiese chiuse o aperte? O accessi ridotti di fedeli come qualche vescovo – vedi il caso di Pinerolo – ha proposto? Come stanno le cose? Stanno che del destino delle Messe sta decidendo il comitato di espertoni che si comporta da vero e proprio ministero per gli affari religiosi ed è bene che i fedeli lo sappiano.
Un passo indietro: nei giorni scorsi il quotidiano Il Messaggero ha gettato tutti nel panico con un titolo ad effetto: I contatti dei vescovi col Viminale: pronti allo stop alle Messe se necessario. In realtà di quel passaggio nel titolo non c’era traccia. Si citavano solo le parole del segretario Cei monsignor Stefano Russo che parlava genericamente di un lavoro con il Ministero di monitoraggio della situazione. Ma la notizia ha girato ed è stata ripresa.
Successivamente poi, la Cei ha smentito con la Bussola quel titolo che sembrava attribuito al vescovo Russo (anche se pubblicamente non ha chiarito mai la cosa): «L’articolo parla – in riferimento al Segretario – del contatto tra istituzioni per seguire l’andamento epidemiologico. “Stop alle messe, pronti se necessario”: non è mai stato detto dal Segretario Generale, come si evince d’altronde dal testo. Peraltro, nel Dpcm non vi è alcun riferimento alle Messe», ci ha risposto il portavoce della Conferenza Episcopale Italiana.
In realtà non è propriamente così perché di Messe nel dPCM si parla e questo è il principale nodo da sciogliere in queste ore per cui Di Bari ha chiesto l’intervento del CTS.
All’articolo 6 del dPCM comma p si parla proprio di Messe e di funzioni religiose non solo cattoliche ma delle altre sei confessioni con le quali il governo ha stipulato accordi protocollari. E si fa riferimento a quegli accordi. Ma quegli accordi sono stati fatti a maggio, alla ripresa delle celebrazioni col popolo in presenza. Nel caso della Chiesa cattolica il protocollo firmato da presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il Presidente Cei Gualtiero Bassetti e il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese porta la data del 6 maggio.
Allegare il protocollo al dPCM del 13 ottobre però ha riportato in vita misure che oggi nelle chiese non si seguono più. Come ad esempio l’uso dei guanti durante la distribuzione durante la Comunione. Oppure la presenza di un solo organista o cantore e non del coro. O la sospensione delle cerimonie di Prima Comunione o le Cresime.
Nel corso dei mesi, la disciplina della Cei ha allentato queste misure cercando di favorire – per quanto possibile – un ritorno alla normalità. Quindi queste disposizioni sono state via via tolte mentre il grosso del protocollo è rimasto inalterato. La distanza di un metro e mezzo è stata portata a un metro, così come è stata consentita la vicinanza dei nuclei famigliari nello stesso banco, fino a luglio proibita.
Ma l’aver richiamato il protocollo originale del 6 maggio nel dPCM ha fatto sobbalzare sulla sedia più di uno. «E’ vero che si ritornerà a distribuire la Comunione con i guanti?» si sono chiesti molti sacerdoti e fedeli. «Domenica niente Cresime, sono sospese», ha temuto qualcun altro. E così anche per la altre misure, comprese le Prime Comunioni. A questo punto si renderebbe necessario un aggiornamento del protocollo. Che fare?
E’ qui che interviene il Ministero, che con il prefetto Michele di Bari (in foto) alla Bussola ha annunciato che la questione delle deroghe sarà risolta dal comitato di esperti e espertoni del governo che già ha dettato la linea alla Chiesa.
«Nel corso dei mesi sono stati richiesti molti pareri relativi ai protocolli stipulati con tutte le confessioni religiose – ha detto di Bari -. Dobbiamo fornire i chiarimenti richiesti alla luce del nuovo dPCM. Per questo al momento c’è un interlocuzione tra questo dipartimento e le confessioni religiose. Così abbiamo chiesto al CTS un apposito parere per fornire i chiarimenti.
Secondo di Bari poi «l’interpretazione sulle misure viene fornita dalla CTS che ha competenza su questa materia e quindi dobbiamo attendere una risposta».
Chiediamo all’alto funzionario se il CTS potrebbe eventualmente decidere anche misure più restrittive: «Non anticipiamo i tempi. Siamo in una situazione di verifica su ciò che è accaduto in questi mesi e su ciò che serve ora».
Stando quindi alle parole del prefetto la partita è ancora in mano al CTS che ha davanti a sé diverse strade.
Potrebbe ad esempio confermare la situazione attuale di allentamento delle misure oppure insistere sui protocolli del 7 maggio e quindi dovrebbero essere reintrodotti i guanti durante la Comunione e sospesi alcuni sacramenti. Oppure potrebbe, alla luce dell’aumento dei casi che ha giustificato il nuovo dPCM, anche valutare di tornare alla situazione di marzo e aprile e tornare a sospendere le Messe con concorso di popolo.
Con la prudenza prefettizia che lo contraddistingue Di Bari non lo ha escluso quando ci ha detto di «non anticipare».
La Cei nella serata di ieri, ha mandato un chiarimento che sembra andare nella direzione della continuazione dello stato attuale. Ecco di seguito il testo del comunicato stampa: "Il Dpcm del 13 ottobre 2020 sulle misure di contrasto e contenimento dell’emergenza Covid-19 lascia invariato quanto previsto nel Protocollo del 7 maggio circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo. Esso rimane altresì integrato con le successive indicazioni del Comitato tecnico-scientifico, già trasmesse nel corso dell’estate.
Tra queste, a titolo esemplificativo: guanti non obbligatori per il ministro della Comunione che però deve igienizzarsi accuratamente le mani; celebrazione delle Cresime assicurando il rispetto delle indicazioni sanitarie (in questa fase l’unzione può essere fatta usando un batuffolo di cotone o una salvietta per ogni cresimando), la stessa attenzione vale per le unzioni battesimali e per il sacramento dell’Unzione dei malati; reintroduzione dei cori e cantori, i cui componenti dovranno mantenere una distanza interpersonale laterale di almeno 1 metro e almeno 2 metri tra le eventuali file del coro e dagli altri soggetti presenti (tali distanze possono essere ridotte solo ricorrendo a barriere fisiche, anche mobili, adeguate a prevenire il contagio tramite droplet. L’eventuale interazione tra cantori e fedeli deve garantire il rispetto delle raccomandazioni igienico-comportamentali ed in particolare il distanziamento di almeno 2 metri); durante la celebrazione del matrimonio gli sposi possono non indossare la mascherina; durante lo svolgimento delle funzioni religiose, non sono tenuti all’obbligo del distanziamento interpersonale i componenti dello stesso nucleo familiare o conviventi/congiunti, parenti con stabile frequentazione; persone, non legate da vincolo di parentela, di affinità o di coniugio, che condividono abitualmente gli stessi luoghi dove svolgono vita sociale in comune.
Nelle settimane in cui le Diocesi riprendono le attività pastorali, la Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana assicura un’interlocuzione costante con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Interni e il Comitato tecnico-scientifico, per monitorare il quadro epidemiologico e l’evoluzione della pandemia”.
Sarà, e sarà anche che l'interlocuzione sia costante, ma dopo la pubblicazione del comunicato, la Bussola è tornata da Di Bari per chiedere se il comunicato della Cei era sufficiente. La risposta del funzionario non lascia presagire che la partita sia già conclusa: «Aspettiamo il parere del Cts».
In fondo è già stato fatto con facilità la prima volta e non sarebbe da escludere vista la psicosi degli ultimi giorni. In questo senso il titolo del Messaggero si rivelerebbe profetico. In ogni caso, in attesa delle decisioni dei tecnici, elevati praticamente, da quello che abbiamo capito, a membri di un organismo supremo decisionale, la Cei non toccherebbe palla e dovrebbe accontentarsi di andare di nuovo traino di uno Stato sempre più ingerente. Ma i fedeli saranno disposti stavolta a subire un nuovo lockdown ecclesiastico?
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/messe-a-rischio-chiese-ancora-in-balia-dei-tecnici
VIRUS
L'alternativa al lockdown c'è, ma si preferisce la paura
Siamo incamminati inesorabilmente sulla strada di un lockdown sempre più rigido. Eppure sia dall'Oms sia da migliaia di scienziati arriva l'appello a evitare quei blocchi che già in questi mesi hanno provocato enormi danni, economici e sanitari.
Ci stiamo avviando tranquillamente verso un nuovo lockdown duro. Non lasciamoci ingannare dai giochi di parole: quando il governo dice “prendiamo queste misure restrittive oggi per evitare un eventuale lockdown”, in realtà annuncia l’inizio di un processo inesorabile di chiusura delle attività, sociali e personali. Il lockdown infatti non è semplicemente una misura che scatta al verificarsi di certe condizioni, ma è un criterio con cui si affronta il diffondersi di una epidemia.
Si parte già con delle restrizioni generali, e man mano che i contagi salgono si aggiungono nuove restrizioni; fino alla chiusura totale, come abbiamo sperimentato nei mesi da marzo a maggio scorsi. In questo modo, visto che l’inverno è tempo propizio per il diffondersi dei virus e quindi ci si può attendere ragionevolmente un aumento notevole dei casi di Covid, a meno di eventi al momento imprevedibili, la strada è segnata. Peraltro, è come se le gravi conseguenze del lockdown precedente non avessero insegnato nulla; come se dal punto di vista sanitario non ci fosse stata alcuna novità da marzo a oggi; come se in questi mesi non fosse stato possibile prepararsi in altro modo a una eventuale recrudescenza del Covid.
Eppure, negli ultimi giorni, l’ipotesi di un lockdown all’italiana (o alla cinese, in altri paesi è stato decisamente più leggero) appare molto meno remota. Nei giorni scorsi è stato reso pubblico il documento di «Prevenzione e risposta al Covid-19», a cura del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, che prevede quattro scenari di diffusione del Covid, dal più ottimistico (situazione invariata rispetto ad oggi) al più pessimistico (situazione praticamente fuori controllo) con relativo crescendo di azioni e misure restrittive.
Ieri poi le agenzie riportavano le dichiarazioni di due tra gli esperti che vantano la massima visibilità nei media dall’inizio della crisi. Il virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti ha dichiarato che «un lockdown a Natale è nell’ordine delle cose», perché – citando il Regno Unito che avrebbe deciso di fare il lockdown durante le vacanze scolastiche – con un lockdown a Natale «si potrebbe resettare il sistema, abbassare la trasmissione del virus e aumentare il contact tracing». E Massimo Galli, responsabile Malattie infettive dell’Ospedale Sacco, ha detto che «rimangono 15 giorni per mettere in campo misure utili per invertire la tendenza di forte aumento dei contagi», tra cui smart working diffuso e didattica a distanza almeno per le scuole superiori. Ovvio che cosa potrà accadere se tra 15 giorni la tendenza non si fermasse.
A questo punto è opportuno richiamare i dati ufficiali della diffusione del Covid-19, trasmessi dal Ministero della Salute e aggiornati a ieri, per avere un quadro oggettivo della situazione: a ieri risultavano positive in Italia 92.445 persone, vale a dire lo 0,15% della popolazione italiana; i ricoverati con sintomi 5.470, ovvero il 5,9% dei positivi; le persone in terapia intensiva 539, ovvero lo 0,58% dei positivi.
In Lombardia, la regione più colpita da febbraio a oggi, le persone attualmente positive sono 15.218, 0,15% della popolazione residente. In totale, da febbraio ad oggi in Lombardia sono stati registrati 116.644 casi, ovvero l’1,17% della popolazione lombarda è stata colpita dal Covid (e sappiamo che gran parte di questi casi sono asintomatici o paucisintomatici). E in tutta Italia i casi totali sono stati 372.799, ovvero lo 0,62% della popolazione.
Vale a dire che il lockdown, la chiusura in larga scala delle attività e della vita sociale, blocca l’intera popolazione pur colpendo il virus una porzione minima di persone (sul totale). E sappiamo anche che a dover temere il coronavirus sono soprattutto le persone più vulnerabili: le persone anziane e quelle con importanti patologie pregresse.
Questo spiega perché anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) arriva l’invito a evitare i lockdown. Lo ha detto molto chiaramente il dottor David Nabarro, uno dei sei inviati del direttore generale dell’Oms per il Covid-19, secondo cui i lockdown hanno «una conseguenza che non si deve mai sminuire», ovvero «stanno provocando la crescita dei poveri e li stanno facendo molto ma molto più poveri».
Ancora più preciso è il documento promosso da eminenti epidemiologi e specialisti di malattie infettive di tutto il mondo e attualmente firmato da 25mila medici e poco meno di diecimila scienziati. Si tratta della Dichiarazione di Great Barrington, dal nome della località negli Stati Uniti dove è stata firmata il 4 ottobre da parte di tre scienziati: Martin Kulldorff, professore di medicina all’Università di Harvard, specializzato in malattie infettive e valutazione della sicurezza dei vaccini; Sunetra Gupta, dell’Università di Oxford, epidemiologo con esperienza in immunologia e sviluppo dei vaccini; Jay Bhattacharya, epidemiologo, esperto di politiche sanitarie, professore alla Stanford University Medical School.
La Dichiarazione sostiene che le politiche di lockdown dovrebbero essere abbandonate e sostituite da misure di “Protezione focalizzata” (Focused Protection), mirate a proteggere la parte di popolazione più vulnerabile. «Le attuali politiche di blocco – si legge - stanno producendo effetti devastanti sulla salute pubblica, a breve e lungo periodo. I risultati (solo per citarne alcuni) includono tassi di vaccinazione infantile più bassi, peggioramento degli esiti delle malattie cardiovascolari, meno screening per il cancro e deterioramento della salute mentale – con la conseguenza che questo porterà negli anni a venire a un aumento della mortalità, con la classe operaia e i membri più giovani della società che ne soffriranno il peso maggiore».
«Uno dei principi fondamentali della sanità pubblica - ha detto Kulldorff in una intervista concessa a Spiked – è che non ci si deve concentrare su una malattia, ma si deve guardare alla salute nel suo insieme, includendo ogni genere di malattia, e nel lungo periodo». Esattamente il contrario di quanto si sta facendo con il Covid-19. Peraltro i lockdown, come dimostra il caso dell’Italia, non impediscono la diffusione del virus tra giovani e anziani, e non impediscono la morte di molti anziani.
Cosa significa allora la proposta alternativa di una “Protezione focalizzata”? «Significa – risponde Kulldorff – concentrare gli sforzi sui soggetti ad alto rischio e lasciare i giovani vivere normalmente». Aperte scuole e università, aperti i bar e ristoranti, sport e attività culturali riportate alla normalità; solo sia garantito il rispetto delle norme igieniche e la permanenza in casa se malati.
Una cintura di protezione va invece stesa intorno ai più anziani e alle persone a rischio. Dice ancora la Dichiarazione di Great Barrington: «A titolo di esempio, le case di cura dovrebbero utilizzare personale con immunità acquisita ed eseguire frequenti test (...) su il resto del personale e su tutti i visitatori. La rotazione del personale dovrebbe essere ridotta al minimo. I pensionati che vivono in casa dovrebbero farsi consegnare a domicilio generi alimentari e altri beni di prima necessità. Quando possibile, dovrebbero incontrare i familiari all’esterno piuttosto che all’interno. Un elenco completo e dettagliato di misure, compresi gli approcci alle famiglie multigenerazionali, può essere implementato ed è alla portata e delle capacità di tutti i professionisti della sanità pubblica».
È un approccio perfettamente ragionevole, seria alternativa a questo clima di terrore generalizzato che provoca solo danni. Ma è anche la dimostrazione che la gestione dell’emergenza Covid è anzitutto un problema di politica, una politica che sta usando una crisi sanitaria per altri scopi.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/messe-a-rischio-chiese-ancora-in-balia-dei-tecnici
I medici sono stati colti tante volte in fallo in questi ultimi mesi, ma continuano ad avere autorevolezza in quanto sono considerati scienziati: in altre parole i medici continuano ad avere autorevolezza in quanto sono considerati come gli altri scienziati, in particolare come quelli che sono considerati i più autorevoli di tutti: i fisici. Quindi urge smascherare il fatto che in realtà i fisici non solo sbagliano ma sono veri truffatori, coinvolti in truffe generalizzate contro il popolo che li finanzia lautamente: cfr. https://gloria.tv/post/YKHwnmpmVFWu3iGXPJweYGr2s
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