ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 10 ottobre 2020

Scismi per tutti i gusti..

FERRO CANALE. APPUNTI SULLA QUESTIONE DEL PAPA SCISMATICO.

 

Carissimi Stilumcuriali, Guido Ferro Canale, un amico del nostro blog che ormai avete imparato a conoscere, ci ha inviato questa riflessione ricca e documentata che di sicuro aprirà una discussione nel nostro mondo. Buona lettura. 

Appunti sulla questione del Papa scismatico

Mentre è piuttosto nota l’ipotesi che la Sede Apostolica divenga vacante perché il Pontefice pro tempore cade in eresia (sia o non sia necessaria una sentenza, e a quali effetti, poco importa in questa sede), si parla molto meno della possibilità che egli commetta il delitto di scisma. Tuttavia, contro Paolo VI e le sue riforme, l’ha prospettata – all’esito di un travagliato percorso intellettuale che suscita riflessioni fin troppo attuali – il rev. Georges de Nantes nel suo Liber accusationis in Paulum VI;[1] e la questione è stata ripresa più di una volta nell’ambito delle polemiche suscitate dalla riforma liturgica. Non certo in modo peregrino: specialmente le considerazioni di Mons. Klaus Gamber, da poco riproposte all’attenzione generale, meritano senz’altro un attento esame.

Esame che, a mio avviso, richiede sia la rilettura accurata degli autori che hanno trattato il tema, sia un’altrettanto accurata verifica dell’applicabilità della/e loro ipotesi alle vicende della Liturgia romana negli anni Sessanta e Settanta.

Torquemada, Gaetano e Suárez: tre versioni di un’ipotesi

Anzitutto, mi sembra necessario risalire dal testo di Suárez – su cui si basano tanto Gamber quanto  de Nantes – ai precedenti in esso richiamati, i Cardinali Gaetano e Torquemada, ma prima ancora al retroterra inespresso del loro pensiero. Questi autori, infatti, avevano una ragione ben precisa per porsi lo specifico problema se il Papa potesse divenire scismatico, separarsi dalla Chiesa e perdere l’ufficio, vuoi in automatico vuoi per sentenza: il caso si era effettivamente dato a Costanza, che per loro, oltre ad essere storia recente, restava un Concilio di bruciante attualità, bruciante quanto l’eresia conciliarista e, prima ancora, il Grande Scisma d’Occidente.

Il momento decisivo per la soluzione della contesa fra i tre pretendenti alla Cattedra di Pietro, infatti, storicamente è stata la deposizione dell’ultimo rimasto, Pedro Martinez de Luna y Gotor alias Benedetto XIII, motivata dal Concilio di Costanza proprio con il suo ostinato rifiuto di rinunciare alla carica e ogni diritto sulla stessa: in quelle particolari circostanze, dato che a giudizio dei più il problema della legittimità dei contendenti era considerato insolubile, ostinarsi nelle proprie pretese equivaleva a voler mantenere la Chiesa divisa, quindi a volere lo scisma, quindi ad essere scismatico.[2] E, per buona misura, anche eretico, per negazione dell’articolo di fede secondo cui la Chiesa deve essere Una.

Ben lungi dall’accettare la sentenza di un’assise che reputava illegittima perché non convocata da lui, Pedro de Luna si asserragliò nell’imprendibile roccaforte di Peñíscola, presso Valencia, proclamando che quella era l’arca di Noè in cui aveva trovato rifugio la vera Chiesa e che tutto il resto del mondo cristiano, avendo scelto di aderire a Martino V (il Papa uscito dal Concilio), era scismatico e scomunicato. Perciò, quando leggiamo il Gaetano o Torquemada ipotizzare che il Papa scomunichi la Chiesa intera, dobbiamo rievocare la vivida immagine del vegliardo indomabile che ogni Giovedì Santo, fino alla morte,[3] ha fatto esattamente questo, promulgando la tradizionale bolla In Coena Domini, dove fulminava scomuniche su tutti i seguaci dell’intruso nel Papato.

Da un lato, quindi, per i due insigni Cardinali e per tutti gli autori del tempo, la sentenza di Costanza era un precedente indiscutibile, fondamento necessario della legittimità di Martino V e dei suoi successori, e si trattava semmai di trovarne la giustificazione teologica; dall’altro, una volta ammessa in linea di principio la possibilità del Papa scismatico, era finanche doveroso chiarire se potesse darsi in altri casi oltre a quello sancito a Costanza. E non va dimenticato che sia Torquemada sia il Gaetano, pur appartenendo a generazioni diverse, hanno dovuto scrivere contro il Concilio di Basilea, come dire contro un altro scisma di Papi, sebbene originato da un inaudito scisma di Concili.

Va notato, peraltro, che ciascuno dei nostri tre autori sviluppa il tema secondo una prospettiva diversa, sebbene non necessariamente contraddittoria rispetto alle altre.

Torquemada, il primo in ordine cronologico, scrive a sostegno di Eugenio IV e deve, quindi, evitargli l’accusa di scisma per inosservanza del decreto Frequens, ossia per aver trasferito il Concilio di Basilea contro la volontà della maggioranza. Di qui la sua considerazione che il Papa può bensì commettere scisma violando il diritto umano (se violasse quello divino si rientrerebbe nel caso dell’eresia), ma solo se si tratti di norme che la Chiesa intera osserva per tradizione fin dai tempo degli Apostoli o che sono state stabilite dai concili universali o dalla Santa Sede per l’utilità universale, soprattutto in materia di culto divino. Secondo la teologia del tempo, infatti, doveva ascriversi alla tradizione apostolica[4] qualsiasi consuetudine di cui non fosse possibile rintracciare l’autore, e che tuttavia si riscontrava osservata ab immemorabili dai cristiani del mondo intero; e gli esempi addotti riguardavano per lo più proprio l’ambito liturgico. Per contro, subordinando il carattere vincolante delle leggi universali emanate dai Concili o dai Papi precedenti al fine da loro perseguito, l’utilità generale, egli poneva le premesse per il ragionamento di Eugenio, secondo cui proprio l’utilità generale imponeva, nel caso concreto, di dar torto alla maggioranza e ragione alla minoranza, trasferendo il Concilio a Ferrara, unica sede dove potessero realisticamente convenire i Greci per tentare di comporre l’antico scisma.

Così, in concreto e anche per evidenti ragioni di opportunità, il Porporato ha trattato il problema del Papa scismatico principalmente come ipotesi di inosservanza personale di leggi liturgiche antichissime che non ci può essere ragione di non osservare, ad es. se “non volesse celebrare in paramenti sacri o in luoghi consacrati, o con le candele, o [non volesse] farsi il segno della Croce come fa il resto del collegio dei Vescovi, e simili”.[5]

Diverse, invece, le condizioni del tempo in cui scrive il Gaetano, e quindi anche le considerazioni svolte: il suo commento alla seconda parte della Summa è stato terminato il 26 febbraio 1517, dunque pochi anni dopo lo scontro con il conciliabolo di Pisa, che – è importante notarlo – non aveva portato ad un nuovo scisma di Papi; in compenso, nella sua coscienza sensibile alle esigenze della riforma, si agitava l’inquietudine suscitata da Pontefici come Alessandro V, Giulio II, fors’anche Leone X. Non a caso, dunque, il “suo” Papa scismatico è soprattutto un Papa che si disinteressa totalmente degli affari ecclesiastici e vuole vivere come semplice sovrano temporale: scismatico in quanto si separa dai doveri del proprio ufficio. Anzi, egli scrive che è oggetto di costatazione il fatto che la persona del Papa può cadere in peccati del genere.[6]

Dal canto suo, sebbene si richiami a entrambi, in realtà Suárez elabora una linea propria, nel senso che, trattando dello scisma come rifiuto di communicatio in sacris, vi ricomprende sia il caso del Papa che vuole scomunicare tutta la Chiesa, sia quello in cui egli non si limita all’inosservanza personale delle leggi liturgiche, ma assume un ruolo attivo nel promuovere la distruzione di qualcosa che esiste bensì iure humano – altrimenti rientrerebbe nella più nota discussione sul Papa eretico – ma che non ha senso eliminare. Infatti, il Papa non può separarsi da sé stesso come Capo della Chiesa, però potrebbe separarsi dal Corpo, “se non volesse mantenere la debita unione e congiunzione con l’intero corpo della Chiesa, come se tentasse di scomunicare la Chiesa intera, o se volesse sovvertire tutte le cerimonie ecclesiastiche confermate dalla tradizione apostolica”.[7] Poiché il Papa deve qui separarsi dalla totalità della Chiesa, si tratta probabilmente degli stessi usi universalissimi cui pensava Torquemada; non si vede spazio, invece, per la figura del Pontefice assorbito dalle cure temporali, che sembra anzi implicitamente esclusa nel momento in cui si nega la separazione del Papa da sé stesso, quindi anche della persona dai doveri dell’ufficio.

Fin qui il pensiero degli autori più importanti in materia, cui i secoli successivi, per quanto ne so, non hanno apportato aggiunte significative.

 

Gli anni Settanta: un caso di scisma liturgico?

Passando a trattare in concreto la questione sollevata da Mons. Gamber, ritengo importante sottolineare che, sebbene vi sia un consenso generale sulla possibilità che il Papa cada in scisma, lo stesso non si può dire per le esemplificazioni a sostegno dell’ipotesi, con l’unica presumibile eccezione della scomunica alla Chiesa intera; e siccome il diritto canonico, nel silenzio della legge positiva, richiede l’unanimità dei dottori affinché una loro tesi acquisti forza di legge, le altre posizioni espresse da Torquemada, dal Gaetano e da Suarez restano al rango di semplici opinioni probabili.

Ciò posto, dirò subito che, a mio parere, la prospettiva del Papa politico, evocate dall’esperienza concreta del Gaetano, oggi è uscita dal novero delle curiosità accademiche e assomiglia davvero un po’ troppo alla realtà che viviamo: bastino a testimoniarlo le prime reazioni alla recentissima enciclica “Fratelli tutti”.

Sul fronte propriamente liturgico, invece, mi sembra che uno scisma ci sia stato (ben prima che scoppiasse il “caso Léfebvre”), che duri tuttora e che i tradizionalisti, lungi dall’esserne gli artefici, vi hanno semmai reagito.

Sempre a parer mio, però, non si è trattato semplicemente della soppressione de facto del Messale Romano precedente… e le azioni di Paolo VI non consentono di considerarlo l’autore dello scisma stesso.

In primo luogo, infatti, bisogna considerare che l’ipotesi del Torquemada, e verosimilmente anche di Suárez, non riguarda la modifica di un rito particolare, sia pure il più diffuso nel mondo, ma la tentata soppressione in tutta la Chiesa di cerimonie universalmente osservate in tutti quanti i riti; e il termine “cerimonie” va inteso nel senso tecnico di “gesti rituali”, come – negli esempi del Torquemada – il segno della Croce o l’uso delle candele.

Aggiungerei altresì che Mons. Gamber sembra aver dimenticato che, in realtà, un precedente storico in cui un Papa ha completamente soppresso un rito plurisecolare e tradizionale esiste: S. Gregorio vii lo ha fatto con il rito mozarabico. La legittimità del gesto mi risulta indiscussa pure in ambito tradizionalista, anche se, per quanto ne so, la principale ragione addotta era la filiazione storica della Chiesa di Spagna da quella di Roma, donde egli traeva la conseguenza che l’una dovesse, filialmente, conformarsi alla Liturgia dell’altra:[8] motivazione che, almeno oggi e alle mie orecchie, non suona esattamente persuasiva.

Infine, quanto all’introduzione di un rito nuovo, più o meno scambiato o gabellato per una versione migliorata del vecchio, essa pone certamente problemi di rispondenza al bene comune, non però di carenza di potere in astratto; e non si può considerare di per sé un atto scismatico, specialmente in quanto – a ben vedere – il Messale di S. Pio V non è mai stato né giuridicamente abrogato né del tutto proibito, sebbene il suo uso legittimo fosse stato circoscritto ai Sacerdoti anziani e malati. Tuttavia, il caso del c.d. “indulto di Agatha Christie”, la cui concessione è stata voluta da Paolo VI in persona, a mio avviso basta a dimostrare come egli fosse alieno dal rigetto in linea di principio del Messale anteriore; la questione Léfebvre, per lui, aveva piuttosto carattere dottrinale (e su questo credo che nessuno gli dia torto) e non sarebbe stato contrario a concessioni sul fronte liturgico, una volta risolto il problema dell’assenso al Concilio.

Se poi passiamo a considerare il contenuto della riforma liturgica, a parte l’ovvio rilievo che già in astratto essa non corrisponde all’ipotesi suareziana del Papa eversore almeno perché limitata ad un rito solo, vediamo che la disciplina cerimoniale è stata semplificata molto – forse troppo – e i gesti di riverenza sono stati ridotti e spesso resi facoltativi, ma con tutto questo si è rimasti ben lontani da una loro abolizione generalizzata: insomma, parliamo senz’altro di scelte discutibili, direi anche deleterie, non però di atti scismatici.

Questi ultimi, in compenso, sono stati per così dire il pane quotidiano degli anni ’60 e ’70: oggi, se riprendiamo gli esempi di Torquemada e pensiamo a Messe celebrate senza candele, segni di Croce o paramenti, ricordiamo subito una ridda di sgradevolissime esperienze di quel tipo.

In altre parole: ciò che la riforma liturgica non ha fatto – abolire e disprezzare le cerimonie ecclesiastiche sancite dalla tradizione – è divenuto sentire comune e prassi generale, già prima che il nuovo Messale venisse approvato (l’istruzione relativa alla Comunione sulla mano, per esempio, lo precede di qualche mese); né la maggior flessibilità rubricale del Ritus Modernus, come lo ha battezzato Mons. Gamber, ha ricondotto nell’alveo i trasgressori. Gli stessi soggetti che vituperavano il Messale di S. Pio V facevano ogni giorno strame di quello di Paolo VI.

Ho detto “facevano”… ma in realtà dovrei usare il tempo presente, perché questo scisma liturgico non è mai stato ricomposto. Non dal “Summorum Pontificum”, che semmai lo ha reso conclamato, e tantomeno dalle grida manzoniane che costellano i decenni di vita della Messa riformata, dall’annuncio della fine degli esperimenti alla “Redemptionis Sacramentum”.

Qui sì, mi sembra lecito e addirittura doveroso prospettare una responsabilità almeno morale – ma non per questo meno grave – della Santa Sede e dei Vescovi, che non si sono opposti con sufficiente fermezza allo scisma liturgico dilagante, quando pure non ne hanno assecondato in modo attivo certe istanze sconsiderate. Ma già S. Caterina da Siena osservava che l’origine di tutti i problemi nella Chiesa stava nella scarsa o nulla volontà dei Superiori di correggere gli inferiori… nihil sub sole novi, purtroppo.

Chiaramente, coloro che si sono visti imporre la riforma si sono visti imporre la prassi, non certo il libro liturgico così come stava; e avendo visto, alla prova dei fatti, che i tentativi di pretendere dalle Autorità ecclesiastiche interventi concreti per assicurare il rispetto della disciplina riformata non portavano mai – o quasi mai – a nulla, si sono trovati di fronte ad una scelta tragica: combattere una battaglia da ultimi giapponesi isolati nella giungla, in vista di una celebrazione degna del Novus Ordo, oppure rifiutarlo completamente, tenersi saldi al rito anteriore e fare tutto il possibile per tenerlo in vita. Gli uni e gli altri sono stati osteggiati in modo feroce, i secondi certamente in maniera più visibile; ma se oggi il rito antico sembra aver recuperato un proprio spazio, per quanto precario, chi vorrebbe salvare la nuova Messa dallo sfacelo totale si trova più isolato che mai, soprattutto dopo la rinuncia di Benedetto XVI. Del resto, questo non può sorprendere affatto: piaccia o non piaccia, è tutto un peana alla “Nuova Chiesa di Papa Francesco”, tutto un contrapporre la Chiesa di ieri alla Chiesa di oggi… che è poi l’essenza dello scisma dei nostri tempi, anche quando non si accompagni all’eresia formale.

Vale però anche, e forse soprattutto, in questo caso il monito di S. Gerolamo secondo cui l’eresia conduce allo scisma e lo scisma all’eresia. Il disprezzo per la “Chiesa di prima” sfocia, anche soltanto per via di successive enfatizzazioni dialettiche, nella negazione dell’identità della Fede, mentre la perdita del senso del dogma, magari già prima di diventare negazione consapevole, porta alla contestazione in linea di principio di leggi e autorità il cui valore non è più compreso. Tutto questo si vede benissimo nel caso della Comunione sulla mano: da un punto di vista storico, riceverLa in bocca e in ginocchio corrisponde ad un’usanza degli ultimi secoli, non già apostolica… ma essa è scaturita dall’accresciuto rispetto per la Presenza Reale, caratteristico della pietà controriformista; il preteso ritorno all’antico, nato forse come questione disciplinare e non dottrinale (anche se il dubbio sembra lecito…), ha portato di fatto ad una perdita generalizzata del senso del dogma, della genuina fede eucaristica, ed è avvenuto nel plateale contrasto con la disciplina in vigore, proprio perché questa era sentita e presentata come un relitto della “Chiesa di prima”.

Torna dunque assai a proposito il monito del Concilio di Costanza sulla negazione pratica del dogma che La vuole Una. E mi verrebbe da concludere che, fin quando gli spiriti non avranno rigettato l’errore che li porta a ritenere ammissibile una contrapposizione del genere tra ieri e oggi, lo scisma non potrà essere ricomposto, né in ambito liturgico né altrove.

 

Genova, 7 ottobre 2020

N.S. del Rosario

Guido Ferro Canale

***

[1]   Almeno un passaggio merita di essere riportato per esteso: “Les hypothèses des théologiens concernant le cas du ‘pape schismatique’ sont ici totalement dépassées. Ils ont imaginé que le Pape pourrait négliger les affaires ecclésiastiques pour s’adonner aux affaires temporelles, à la manière d’un Jules II, entreprendre de grands desseins politiques, faire la guerre, au point de ne plus du tout gouverner l’Église. Il y aurait schisme par rupture de l’ ‘unité de direction‘. Le Pasteur occupé ailleurs et d’autre chose que de son Troupeau, les brebis seraient dispersées. Ce cas n’est pas le Vôtre. Vous avez souvent déclaré, il est vrai, n’avoir aucun intérêt matériel, ne poursuivre aucune ambition temporelle, et Vous aimez rappeler que Vous n’êtes Chef d’État que d’apparence et de convention. Mais votre cas est beaucoup plus grave. Ce grand dessein que j’appelle MASDU, la formation d’un nouveau et gigantesque ‘Mouvement d’Animation Spirituelle de la Démocratie Universelle’, Vous crée un centre d’intérêt politique, si abstrait et chimérique que soit ce centre, et une ambition temporelle d’autant plus forte qu’elle n’est plus locale mais planétaire. Or, voilà l’inédit, ce projet englobe l’Église comme l’un de ses éléments. Il implique, non pas que Vous vous désintéressiez de l’Église, ce qui serait en somme un schisme mineur, mais que Vous asservissiez l’Église au Monde dont vous rêvez d’être Prince, Prince de la paix, et donc, pour tout dire en un mot, que Vous ‘ne discerniez plus le Corps du Seigneur’, selon le mot de Saint Paul”.

[2]
                  [2] Non sembra inutile aggiungere che ciascuno dei contendenti, all’atto dell’elezione, si era impegnato con giuramento a rinunciare, se questo fosse parso il modo più adatto, oppure l’unico (le formule variavano) per ristabilire l’unità.

[3]
                  [3] O fino all’ultima malattia, se era ancora vivo il Giovedì Santo del 1423: è discusso, infatti, se sia morto a Pentecoste di quell’anno oppure nell’autunno del 1422, ma negli atti del suo pontificato manca la bolla per il 1423.

[4]
Si rammenti che non tutto ciò che risale al tempo degli Apostoli è automaticamente di diritto divino, quindi immutabile: si suol distinguere, infatti, fra una Tradizione divino-apostolica ed una umano-apostolica.

[5]   J. de Torquemada, Summa de Ecclesia, Lib. IV, Cap. XI (Venezia 1560, fol. 369): “Papa potest separare se sine aliqua rationabili causa, sed pura voluntate sua a corpore Ecclesiae & collegio sacerdotum per non observantam eorum quae universalis Ecclesia ex traditione Apostolorum observat […] aut per non observantiam eorum quae per universalia Concilia aut Apostolicae Sedis auctoritatem sunt universaliter ordinata maxime ad cultum divinum, utputa nolendo observare in se ea quae universalem statum Ecclesiae aut universale ritum cultus ecclesiastici concernunt, ut q[uia] nollet celebrare in vestibus sacris aut locis sacratis aut cum luminaribus aut signare se signo crucis sicut residuum sacerdotum collegium facit & similia quae ad perpetuam generaliter ordinata videntur utilitatem”.

[6]   Cfr. Tommaso de Vio, Commento alla II-II, qu. 39 a. 1, §VI (nella Editio Leonina di S. Tommaso, t. VIII, Roma 1895, pag. 308): “Contingeret autem hoc [schisma] in animo quidem Papae, si nollet communicare cum Ecclesia ut pars illius, ut caput illius in spiritualibus; sed se habere tantum ut dominum temporalem. In opere vero, si facto hoc faceret; vel si excommunicare praesumeret Ecclesiam. Constat namque quod in huiusmodi mala posset persona Papae incidere: ac per hoc vere schismaticus esset. Ad primum autem in oppositum dicitur, quod persona Papae potest renuere subesse officio Papae, quod per accidens est pro tunc in ipso. Et si hoc in animo pertinaciter gereret, esset schismaticus per separationem sui ab unitate capitis. Ligatur siquidem persona sua legibus officii sui quoad Deum, ut in praecedenti Libro declaratum est. Ad secundum dicitur quod Ecclesia est in Papa quando ipse se habet ut Papa, ut caput Ecclesiae. Quando autem ipse nollet se habere ut caput eius, neque Ecclesia in ipso, neque ipse in Ecclesia esset.

[7]   “Secundus modus [schismatis] est, si ita se separet quis a reliquo corpore Ecclesiae, ut nolit cum illo communicare in Sacramentorum participationem […] Et hoc secundo modo posset Papa esse schismaticus, si nollet tenere cum toto Ecclesiae corpore unionem et conjunctionem, quam debet, ut si tentaret totam Ecclesiam excommunicare, aut si vellet omnes ecclesiasticas caeremonias apostolica traditione firmatas evertere, quod notavit Cajetanus, 2.2 qu. 39; et Turrecrem[ata] latius, lib. 4, cap. 11”. F. Suárez, De fide spe et caritate disputationes, tract. III, disp. XII, sec. I, n. 2 (Opera omnia vol. XII, Parigi 1858, pagg. 733-4).

[8]   Cfr. P. Guéranger, Institutions liturgiques, vol. I, Parigi-Bruxelles 1878, pagg. 268-80 e 315-9.


Marco Tosatti

10 Ottobre 2020 Pubblicato da  11 Commenti

https://www.marcotosatti.com/2020/10/10/ferro-canale-appunti-sulla-questione-del-papa-scismatico/

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