OLTRE LA DECADENZA
Una chiesa provvisoria, in una piccola contrada di campagna, una specie di capannone a forma di croce greca al posto della chiesa in restauro. Sono qui perché un prete “normale”, forse l’unico della mia diocesi, celebrerà la messa. Una decina di persone in attesa sulle poltroncine imbottite da aula di formazione, che conversano amabilmente di raccolto, della pioggia che non viene mai, de “lu porcu da scannà”.
Di solito mi vado a cercare un posto dove arrivi poco la luce accecante dei riflettori, in questo caso sostituiti da illuminatori industriali, del tipo di quelli che si usano nei supermercati. Lo avevo trovato in fondo ad uno dei tre ambiti, dove comunque c’era una luce con cui, se non mi turbassero la prima e l’ultima pagina del foglietto, avrei potuto tranquillamente leggerlo. Il sacerdote, vedendo occupare anche quella zona della chiesa, forse per un atto di cortesia, come quando si riceve un ospite a casa, ordina alla assistente di turno di accendere la luce. In un baleno uno sfolgorio, come fari abbaglianti, ci colpisce e ci espone sul palcoscenico dell’assemblea nella quale vorremmo, invece, sentirci nulla davanti a Dio. Avevo l’interruttore vicino ed è stato un gesto quasi automatico spegnerlo e cercare, finalmente, un po’ di raccoglimento. Solo che, iniziata la lettura del Vangelo, il prete, bruscamente si interrompe e, richiamato da qualcosa evidentemente più importante, punta il dito verso di noi e fa: “ma state al buio, accendete quella luce….”. Avrei voluto dirgli, ma non l’ho fatto, per rispetto dell’atto liturgico, che non era necessario perché non eravamo lì per un ricevimento ma per una Luce che nessun faro artificiale può rimpiazzare, che neanche il sole può sovrastare.
Questo episodio, solo apparentemente banale, perché rappresentativo di un disegno già realizzato, mi ha fatto venire in mente la più struggente, ma anche profetica, poesia del mio conterraneo, Leopardi. Un po’ sprovveduto, pensando di trovare “la luna” nel girovagare alla mercé di amici scriteriati e opportunisti, dopo aver rinunciato alla sua terra bellissima ma arcaica, luminosa ma “oscurantista”, si ritrova su un casolare alle pendici del Vesuvio, malato ma ispirato. Qui, componendo il suo testamento poetico, “La Ginestra”, la fa precedere da una perifrasi che non ci si aspetta: «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» (Giovanni, III, 19). Si potrebbe pensare, ad una prima affrettata valutazione, che il poeta si fosse convertito, sentendo approssimarsi la fine. Solo che, invece, molto astutamente e in senso anticristiano, ribaltava il significato della “LUCE” con quello che noi intendiamo per “TENEBRE”: “gli uomini vogliono piuttosto LE TENEBRE della superstizione religiosa piuttosto che la LUCE della presa di coscienza della verità”. È profonda ed incolmabile la sua delusione nei confronti degli intellettuali del suo tempo, che avevano “snaturato” i principi dell’illuminismo per orientarli verso “le magnifiche sorti e progressive” invece di avvalersi della consapevolezza del proprio stato per realizzare la “social catena” (fratellanza ?) tra tutti gli uomini.
“La Ginestra”, per il suo appello senza speranza, per il suo richiamo malinconico ad un passato perduto, per la sua consapevole incongruenza, può essere considerata un inno sconsolato alla DECADENZA. La perifrasi, tratta dal Vangelo di Giovanni, scaltramente capovolta, è coerente con la rappresentazione di una decadenza alla quale, pur inconciliabile con il nostro credo, si può concedere l’onore delle armi, anzi una decadenza nobile e ineluttabile insieme, perché rivela la fedeltà ai valori della tradizione, come nel colloquio, amaro e disilluso, del Principe di Salina con il messo piemontese nel Gattopardo.
Ora, invece, si respira un’aria di disfacimento, come uno stagno di alghe e rane in decomposizione, un tanfo insopportabile con il quale hanno ricalibrato le cellule olfattive della gran parte della popolazione. La decadenza ha i toni tenui, come i colori dell’autunno, che avverte della fine della buona stagione, come quelli del crepuscolo che anticipa la notte. Nella decadenza c’è una speranza, la speranza del giorno nuovo, la speranza di una nuova età dell’oro. Nel disfacimento c’è il NIENTE.
Mi è capitato di leggere, per un caso fortuito e bizzarro, perché non me lo vado a cercare, un brano della lettera di auguri ai “Fratelli Indù” da parte del segretario della CEI: «la “vostra festa”… simboleggia la vittoria della luce sulle tenebre, della verità sulla menzogna, della vita sulla morte..». Bene, ma la CEI, portavoce dei vescovi italiani e, quindi, della chiesa, non dovrebbe ribadire, costantemente, con forza, quello che Gesù ha detto «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» ? Pertanto, la VITTORIA DELLA LUCE SULLE TENEBRE non spetta solo a Gesù ?.
Siamo tenuti ad applicare la logica ferrea del «SI - SI, NO - NO», la logica inconfutabile della proprietà transitiva: se A la pensa come B e B la pensa come C allora A la pensa come C.
Se “Avvenire” che è il portavoce della CEI e quindi della chiesa sostiene fortemente lo sdoganamento del peccato di sodomia e della omosessualità allora vuol dire che i vescovi italiani e la chiesa pensano che la sodomia vada sdoganata e la omosessualità accettata.
Se i vescovi statunitensi appoggiano manifestamente e fervidamente il candidato ultra-abortista e delegittimatore della famiglia allora vuol dire che la chiesa, ovviamente quella visibile, è a favore dell’aborto, delle famiglie omo e della pratica scellerata dell’utero in affitto. Se la maggioranza dei religiosi italiani da il proprio “consenso elettorale” ad un partito che propone la pillola abortiva, le unioni civili delle coppie anormali, la diffusione della pazzesca “teoria gender” nelle scuole, allora vuol dire che la chiesa è favorevole alla pillola abortiva, alle famiglie anormali, alla “teoria gender”.
Se si dichiara che è “PAROLA DI DIO” allora deve essere letta e pronunciata così come è scritta. Questo vale, ad esempio, per il termine greco originale “eisénkēs”, tradotto sapientemente e correttamente da San Girolamo con “inducas” e poi, in volgare, con “indurre”. La nuova traduzione, che ci stanno imponendo, per motivi di metamorfosi ideologica, di perversa esegesi storicistica, di buonismo strumentale al nuovo corso è pura mistificazione diabolica.
Ora la chiesa visibile ha di nuovo ribaltato la sublime affermazione di Giovanni, perché sono ATEI, credono solo alla luce della loro ragione e dei loro istinti o alle “ragioni” che il pensiero corrente vuole imporre al mondo intero. Il risultato non è la DECADENZA ma il DISFACIMENTO.
La nuova chiesa si inchina ai poteri forti del mondo, come, nella poesia, le ginestre delle pendici del Vesuvio rinsecchite dal vento infuocato eruttato dalla bocca del vulcano, direttamente comunicante con i recessi sconfinati dell’averno.
avevo già pubblicato:
https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2020/01/la-vera-luce-le-vere-tenebre.html
https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2018/11/cambiato-anche-il-padre-nostro.html
FRAGMENTA di Claudio Gazzoli
https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2020/11/oltre-la-decadenza.html
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