Lo stato di salute spirituale del popolo di Dio e della Chiesa di Cristo
Carla D’Agostino Ungaretti, Il Nuovo Arengario – 22 novembre 2020) Questo XXI secolo, che la fallace ideologia positivista di poco più di cento anni fa prediceva illuminato dalle “magnifiche sorti e progressive”, si è invece rivelato molto più vulnerabile di quanto avevano predetto i sapienti e presuntuosi scienziati di quell’epoca. Infatti, già nel secolo scorso non è bastata all’umanità l’esperienza di due sanguinose guerre mondiali e alcune dittature altrettanto nefaste per indurla a ritornare sui binari tracciati da Dio e ribaditi dalla Madonna a Fatima o, quanto meno per chi non è credente, a intraprendere, nel governo dei popoli, la strada del buon senso e della ricerca del bene comune. Neppure la Chiesa cattolica è riuscita a schivare questa sciagura.
Per di più, ai tristissimi avvenimenti di questi ultimi anni riguardanti molti sacerdoti cattolici, e perfino alcuni Cardinali di Santa Romana Chiesa tra i quali recentemente purtroppo anche un italiano, si è aggiunto l’imperversare di un virus che sta tormentando tutto il mondo e per il quale non si riesce ancora a trovare un antidoto adeguato.
Questi eventi sono dilagati nel mondo a mo’ di tzunami travolgendo uomini e coscienze ed hanno, a dir poco, annichilito una cattolica “bambina” come me. Infatti io sono stata educata a considerare i sacerdoti, le suore, le persone consacrate in genere come persone particolarmente scelte da Dio per essere ferrei sostegni spirituali, approdi sempre sicuri ai quali poter ricorrere nei momenti di difficoltà e di dubbio, non solo spirituale ma anche esistenziale e psicologico, nella certezza che la condizione di castità, da loro liberamente scelta e accettata, nonché il disprezzo evangelico per l’accaparramento dei beni terreni, li aveva resi immuni da interessi e affetti materiali ed era la migliore garanzia della loro totale disponibilità al servizio di Dio e dei fratelli.
Per non parlare poi dei Vescovi, dei Cardinali e addirittura del Papa! Gli alti vertici della Chiesa per la loro cultura, scienza e preparazione mi sono parsi sempre l’incarnazione delle migliori virtù spirituali e umane, persone scelte dallo Spirito Santo per essere di esempio perenne ai peccatori e ai deboli in genere (categorie della quale io faccio abbondantemente parte) nonché ai poveri ai quali si rivolgeva sempre Gesù, i primi destinatari della Buona Novella che, soprattutto nel mondo di oggi, non sono solo gli indigenti ma anche tanti miliardari, politici, scienziati e “maitres à penser” in genere, “poveri” senza rendersene conto, perché privi della Grazia da loro non desiderata e non ricercata.
Ero un’ingenua, come mi hanno detto in molti? A quanto pare sì, e lo sono ancora, nonostante la mia età non più molto verde. Ho vari amici che vivono da anni negli Stati Uniti e quando andai la prima volta a trovarli, circa vent’anni fa, furono proprio loro a cercare di “togliermi la benda dagli occhi”. Era l’epoca del primo grande scandalo della pedofilia nel clero e alcuni di loro, fino a quel momento cattolici osservanti, dissero di aver smesso di frequentare la S. Messa domenicale perché vedere il sacerdote celebrante faceva sorgeva in loro il sospetto che anche lui potesse essere un pedofilo. Cercai allora di dimostrare quanto fosse improprio, riduttivo e ingeneroso un simile giudizio che faceva di ogni erba un fascio, che la S. Messa e l’Eucaristia sono sempre valide e “vere” anche se il sacerdote è in stato di peccato, ma questi miei tentativi non servirono a nulla, a dimostrazione del fatto che la tragedia dell’omosessualità e della pedofilia del clero era già dilagata come una malattia mortale negli Stati Uniti infettando, con il virus della sfiducia e del sospetto, anche buona parte dell’opinione pubblica cattolica americana.
A questa tragedia si è aggiunto l’imperversare mondiale del Covid19 in tutto il mondo,anche tra i sacerdoti più santi e dediti all’assistenza del loro gregge malato, facendo seriamente pensare che si tratti della punizione che, come avveniva nell’Antico Testamento, Dio voglia infliggere all’umanità smarrita nel peccato.
Dopo vent’anni il clima spirituale non è migliorato, anzi è evidente che certi veleni hanno contagiato anche l’Italia, dove la presenza della Sede del Vicario di Cristo avrebbe dovuto agire da potente antidoto. Invece, la situazione in cui versa la Chiesa universale in questi primi decenni del XXI secolo è sempre più deprimente perché ormai tutti gli stati del mondo occidentale tendono a imporre con la loro legislazione il pensiero unico dominante, decisamente anticristiano.
A questo punto io, cattolica “bambina” non posso fare a meno di domandarmi: “Che cosa accadrà nel mondo sinceramente cattolico fra tre o quattro decenni, quando io (grazie a Dio) non ci sarò più? Forse i giovani cristiani dovranno rinunciare a studiare medicina per non essere costretti dalla legge, come medici, a praticare aborti ed eutanasie? A studiare giurisprudenza per non essere costretti, da magistrati, a pronunciare sentenze di divorzio? A entrare in politica – definita dal Papa Paolo VI “la più nobile forma di servizio al proprio popolo” per non dover obbedire alle anticristiane direttive imposte dal proprio partito?” Non basta: che cosa accadrà se i confessori saranno obbligati per legge a denunciare all’autorità civile gli eventuali delitti di cui abbiano avuto notizia in Confessione, come pare che stia per avvenire in Australia? Forse non potremo più sperare nella conversione dei grandi peccatori, perché nessuno di essi, pur desiderandolo, andrà a confessarsi o forse avremo una grande fioritura di santi sacerdoti martiri del sigillo sacramentale? Ovviamente io non ho una risposta. Mi verrebbe da confidare sull’utilità dei Concordati stipulati dalla Santa Sede con gli stati laici, ma pare che non ci sia molto da sperare, data l’ostilità degli stessi stati moderni o, forse, dovremmo temere che questo genere di trattati dovranno essere estesi anche alle altre religioni incompatibili con il Cristianesimo, come il buddismo e l’islamismo, con le conseguenze prevedibili soprattutto in materia familiare.
Alcuni fanno risalire le avvisaglie di questo terribile degrado addirittura agli esiti del Concilio Vaticano II – che, per scelta opportunistica e politica, non certo teologica, volle essere solo pastorale e non dogmatico[1]. Questi sintomi già si avvertivano negli ultimi decenni del secolo scorso, ma nessun cattolico “bambino” come me avrebbe mai immaginato che dopo pochi anni il demonio si sarebbe scatenato con tale virulenza da confondere finanche i cuori e le anime dei vertici della Chiesa di Cristo. Finito il Concilio, come da una sorta di malefico vaso di Pandora sono usciti e hanno dilagato in Italia anzitutto il divorzio e l’aborto, poi il degrado della scuola, l’accettazione come comportamento normalissimo (oggi è di moda dire “sdoganamento”) dell’omosessualità, lo sfascio della famiglia, il crollo dei matrimoni e soprattutto di quelli sacramentali, le separazioni coniugali anche in età avanzata (inconcepibili fino a pochi decenni fa), l’aumento delle convivenze, senza contare l’approvazione dell’eutanasia che si va sempre più diffondendo.
Il primo interrogativo che mi si presenta quando rifletto su questi argomenti è: “Ma la Chiesa che cosa facendo per arginare questo tzunami?” e la sconsolata risposta è: “Nulla”. E’ vero che la Chiesa ha attraversato molte tempeste nella sua storia bimillenaria, come ha scritto il prof. Roberto de Mattei[2]. Essa ha dovuto fronteggiare scismi ed eresie, antipapi e pontefici deboli di carattere o addirittura indegni, tali da far dubitare che lo Spirito Santo fosse realmente presente al momento della loro elezione, ma nessuno di essi – neppure il famigerato Alessandro VI Borgia, che lo stesso cattolicissimo storico von Pastor definì “dalla vita privata indifendibile” – ha mai tralignato dalla Sana Dottrina, dalla Verità di Cristo, come sembra avvenire ora, seminando lo sconforto e il dubbio in tante anime, con il perverso sostegno dei moderni strumenti di comunicazione che non esitano a manipolare la verità (quando c’è) secondo la loro convenienza.
Molti anni fa, quando ero poco più che una ragazzina, un mio cugino molto più anziano di me, colto e intelligente ma agnostico e deista dichiarato, mi disse: “Carletta, la tua fede è sincera ed io ti auguro di conservarla sempre, ma vedrai che la chiesa cattolica perirà sotto le sue macerie prima che tu diventi vecchia. Il mondo va in un’altra direzione e non ci sarà santo, papa, vescovo o prete che potrà frenare questo inarrestabile processo”. Pochi anni dopo mio cugino morì in età ancora relativamente giovane e volle essere seppellito nella zona non consacrata del Cimitero romano di Prima Porta riservata ai non credenti e non volle nessun parente al suo cosiddetto “funerale” che si svolse solo con il trasporto e l’inumazione eseguita dall’agenzia funebre. Dopo tanti anni a volte sono tentata dal pensare che egli sia stato un profeta negativo ispirato dal “nemico” e non so se posso pregare o no in suffragio del mio povero cugino, dato il suo odium fidei dichiarato. Il mio stesso parroco non ha saputo cosa consigliarmi, ma spesso prego per lui perché non pregare affatto mi sembra quasi dare per scontata la sua perdizione eterna sostituendomi, in un certo senso, a Dio. Non mi resta che affidarmi alla speranza che nei suoi ultimi momenti di vita il poveretto si sia affidato all’infinita Misericordia del Signore; è un pensiero, questo, che ogni tanto mi assale e mi raggela perché vedo e sento che moltissimi cattolici la pensano come lui.
Un commentatore attento e puntuale come Ernesto Galli della Loggia scrisse un paio di anni fa che “il Bel Paese ormai è brutto”[3]. Con dolore devo riconoscere che aveva ragione: la maleducazione, l’ignoranza, la piccola corruzione, la furbizia spicciola ormai dilagano in ogni settore della nostra vita “perché nel costume degli italiani è intervenuta una frattura che ha inevitabilmente modificato anche la qualità della cultura civica … di tutta la nostra vita collettiva a cominciare dalla vita politica”. Io aggiungo che questa frattura non ha risparmiato neppure la scuola e la famiglia. Nella scuola, è evidente uno scadimento generale dell’insegnamento, rilevato dagli strafalcioni di ortografia in cui incappano spesso i giovani che partecipano ai test di ammissione alle facoltà universitarie; la famiglia è sempre più disorientata, perché anche i genitori più sani moralmente e spiritualmente non sono più sicuri che gli insegnamenti e gli esempi che essi impartiscono ai loro figli trovino conferma e sostegno in quello che i ragazzi vedono e sentono quando escono di casa. Il turpiloquio e la parolacce la fanno ormai da padroni ovunque, dal bar dello sport ai salotti cosiddetti eleganti, dalle trasmissioni televisive di intrattenimento ai dibattiti politici parlamentari e, data la capillare diffusione delle notizie, tracimano subito nel linguaggio comune soprattutto dei giovani. Per non parlare poi dell’odio sportivo di certi tifosi – scatenato dalla sconfitta subita ad un derby dalla loro squadra del cuore, come ha rilevato Massimo Gramellini – per il quale è meglio tacere[4].
Mi si ripresenta allora l’interrogativo più angoscioso: “E la Chiesa?” La risposta è sempre più angosciosa: la Chiesa non fa nulla, o meglio fa di tutto per piacere al “mondo”, per far sentire al mondo che anch’essa si è modernizzata, che anch’essa è partecipe della vita moderna in tutte le sue forme, credendo forse (voglio sperare in buona fede) di ricondurre in questo modo più anime a Dio. Ma non è questo il metodo giusto. Tutti sappiamo del crollo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che si è verificato dopo il Concilio Vaticano II, del capovolgimento liturgico e della prassi pastorale degli ultimi decenni, dell’allontanamento di tanti fedeli dalla Dottrina Cattolica, soprattutto dei giovani che non comprendono perché bisogna obbedire a certi precetti percepiti da loro come anacronistici e vessatori, soprattutto in materia sessuale, perché non hanno trovato nessuno, né genitori, né educatori, capaci di spiegare loro il significato profondo del sesso e del Sacramento del Matrimonio.
L’esempio più sconvolgente si nota, a mio giudizio, nella celebrazione della S. Messa. Andrea Zambrano descrisse alla perfezione gli abusi che si verificano durante la celebrazione[5]. I sacerdoti sono diventati “creativi”, ossia infarciscono spesso la liturgia di frasi ad effetto del tutto non pertinenti e spesso di battute di spirito allo scopo di attirare meglio l’attenzione dei fedeli[6]. Ma in questo modo essi dimenticano che il sacerdote è ontologicamente un “alter Christus”, quando celebra la S. Messa e consacra il pane e il vino. Possiamo immaginare Gesù Cristo che, per accattivarsi l’attenzione del popolo, pronunciava frasi scherzose mentre annunciava la Parola di Dio? O, peggio ancora, quando disse ai Dodici: “Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo; prendete e bevete, questo è il mio Sangue”?
Gesù, il Messia, il Figlio di Dio, non aveva bisogno di ricorrere a quei mezzucci per diffondere la Parola e perciò neppure i Suoi Ministri dovrebbero averne bisogno. A Gesù bastavano lo sguardo, la parola, il comportamento quotidiano concreto, la preghiera per far capire a tutti che Lui solo “aveva parole di vita eterna”, come bastavano a un grande Santo, Padre Pio da Pietrelcina, che non fu certo un “prete da strada”, come usa dire adesso e come si ritiene che per forza debbano essere i preti, né andò mai nelle “periferie”, perché definiva se stesso soltanto “un frate che prega”, ma viveva calato in Dio e perciò fu un vero “alter Christus” e non solo nella celebrazione della S. Messa e nel ricondurre i peccatori a Dio, ma in ogni momento della sua vita quotidiana.
La “creatività” è il sintomo più rivelatore dell’ignoranza teologica, liturgica e pastorale che alligna nel clero di tutto il mondo e questo analfabetismo di ritorno fa dimenticare a tutti, preti e laici, il significato di ciò che avviene sull’altare durante la S. Messa. In questo modo si depaupera il Sacramento del suo significato più profondo, che è rivivere nuovamente il Sacrificio della Croce, per farlo diventare solo un evento umano, un ricordo, una commemorazione, come avviene durante la celebrazione della Cena protestante, ed è il segno dell’allineamento al Protestantesimo che la Chiesa Cattolica sembra voler attuare con il beneplacito, più o meno palese, del Pontefice regnante e dei Vescovi da lui nominati. E il mio dolore è grande quando mi accorgo che perfino le parole triviali sono state “sdoganate” in casa cattolica. Ho sentito io stessa, lo scorso 24 giugno, giorno della festa di S. Giovanni Battista, durante l’omelia domenicale, il sacerdote chiamare Erodiade, la moglie adultera di Erode, con l’epiteto più in voga per quel genere di comportamenti, facendomi sobbalzare insieme a tutti i cattolici “bambini” presenti alla Messa.
Prima dello scoppio della pandemia, nella mia parrocchia, alla S. Messa delle 11 e al termine della distribuzione dell’Eucaristia, il parroco chiamava a raccolta i bambini presenti, che ancora non si fossero accostati alla Prima comunione, per benedirli e accarezzarli. I cari frugoletti, che interpretavano il gesto come un gioco, correvano davanti all’altare sotto lo sguardo compiaciuto degli orgogliosi genitori. Il gesto era molto carino, ma non si sarebbe potuto fare prima, o dopo la fine del rito per non alterare la liturgia? No, mi rispose il parroco: non prima, perché molti arrivano alla Messa in ritardo (si sa che chi ha figli piccoli ha tanto da fare … );non dopo, perché appena il diacono ha pronunciato le parole conclusive, tutti si precipitano fuori perché è quasi ora di pranzo. Allora è meglio interrompere la liturgia che ora è stata interrotta per colpa del coronavirus. Chissà cosa avrebbe detto o fatto Padre Pio?
Potrei continuare all’infinito citando i preti che non usano più l’abito talare, ma vestono in chiesa in jeans e maglione[7], come se si vergognassero del loro status, potrei piangere sul rifiuto di Papa Francesco di rispondere ai “Dubia” e alla “Correctio Filialis” indirizzatagli dal popolo di Dio sconvolto e turbato da questo stato di cose, ma a che servirebbe? C’è solo da invocare lo Spirito Santo perché illumini questa Chiesa accecata dalle lusinghe del modernismo e pregarLo perché ci faccia riconoscere e cambiare le cose che possono essere cambiate, distinguendole da quelle che devono essere accettate perché non sono modificabili, secondo la famosa preghiera di Tommaso Moro, il grande Santo particolarmente attuale in questo nostro tempo, perché fu il Martire dell’indissolubilità del S. Matrimonio.
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[1] Ma su questo argomento io non mi pronuncio perché ritengo di non avere i titoli né la competenza per farlo. Mi limito a prendere atto di quanto hanno scritto Mons. Brunero Gherardini e il Prof. Roberto de Mattei sull’ultimo Concilio Ecumenico della Chiesa.
[2] Cfr LA CHIESA FRA LE TEMPESTE, Voll.I e II, Sugarco Edizioni.
[3] Cfr. CORRIERE DELLA SERA, 9.9.2018
[4] Cfr. CORRIERE DELLA SERA, 13.9.2018
[5] IL TIMONE, settembre 2018.
[6] La prima volta che mi capitò di sentire una cosa simile, lasciandomi esterrefatta, fu molti anni fa a New York mentre ascoltavo la S. Messa domenicale nella Cattedrale di S. Patrizio. Il celebrante, un Vescovo ausiliario dell’Arcidiocesi, “arricchì” la liturgia con diverse frasi spiritose che fecero ridere a crepapelle i fedeli presenti, quasi tutti latino – americani. Altrettanto avvenne la domenica successiva a Washington nel grande Santuario dell’Immacolata Concezione, il più grande degli USA dedicato alla Madonna. L’America ci precorre sempre, ma forse più nel Male che nel Bene.
[7] Una volta domandai ingenuamente a un prete: “Padre, perché non indossa l’abito talare o almeno il clergyman?” Mi rispose: “Sono affari miei!”. Trovai il coraggio, io cattolica “bambina” di replicargli: “No, sono anche affari miei, perché se mi sentissi in punto di morte e cercassi un confessore, vorrei poterlo riconoscere subito!” Non ricordo cosa mi rispose, ma sono stata tormentata dal senso di colpa per avergli forse mancato di rispetto. Forse questo piccolo episodio allungherà la mia permanenza in Purgatorio. Comunque su questo argomento si è espresso molto chiaramente Mons. Francesco Cavina, vescovo emerito di Carpi. Cfr IL TIMONE, novembre 2020, pag. 57.
C’è una chiesa che invita i fedeli a bere
Cosa sia la fede e dove la si possa trovare sono probabilmente gli interrogativi che dagli albori della storia hanno impegnato maggiormente l’uomo nel suo perenne confronto tra il trascendente e l’immanente. Teologi e filosofi hanno condotto la loro indagine spirituale e i loro studi orientandosi proprio con questi due interrogativi. E sebbene una risposta univoca ancora, forse, non è possibile dire che sia stata trovata, quello che è certo è che, dagli albori dei monoteismi e degli studi della Patristica e della Scolastica ad oggi, la ricerca di queste risposte ha visto nascere una galassia di chiese e correnti spirituali. E all’interno di questo mondo non mancano di certo comunità che hanno attirato fedeli offrendo risposte attraverso la percorrenza di strade alquanto singolari e talvolta al limite dell’ eretico.
Se negli Usa ci sono Chiese pentecostali all’interno delle quali vengono celebrate funzioni maneggiando serpenti velenosi per un’interpretazione esasperata di un versetto del Vangelo di Marco, e in Brasile i predicatori evangelici invitano i fedeli a danzare durante le funzioni, mai però si era visto quanto sta accadendo in Sudafrica dove è nata una Chiesa che benedice gli alcolici e invita i fedeli a ubriacarsi.
Tsietsi Makiti ha 54 anni, si è autoproclamato vescovo, si è cucito un abito che ricorda in tutto e per tutto quello dei cardinali cattolici, con la sola differenza che sulla mitra sono appese due bottigliette mignon di Johnnie Walker, ha dato origine a una chiesa che invita i fedeli a bere birra e liquori in modo gargantuesco e in soli tre anni ha raccolto centinaia di adepti e seguaci in Sudafrica e ora sta aprendo anche filiali in Canada, Svizzera e Brasile. Nel vangelo c’è scritto che Gesù ha trasformato l’acqua in vino, non capisco quindi cosa ci sia di scandaloso nella nostra chiesa”, ha raccontato il prelato alla rivista Africa, aggiungendo poi che “i sacerdoti cattolici durante l’eucarestia innalzano la coppa di vino. L’alcool è parte integrante della fede”.
Gabola in lingua setswana significa bevitore, la chiesa del prelato sudafricano è quindi la Gabola Church e per rendersi conto delle funzioni religiose che il fondatore e pastore celebra nei pub e nelle taverne di Johannesburg basta osservare alcuni video su Youtube.
Fedeli dagli occhi vitrei e dall’equilibrio precario rispondono agli appelli del sacerdote alzando lodi al Signore incitati dall’alcol che hanno in corpo. Alcuni uomini biascicano l’Hallelujah, altre donne invece faticano a muoversi a ritmo di musica e rimangono sedute gonfie di gin e birre. Tsietesi intanto benedice gli alcolici, esorta i partecipanti ad ubriacarsi e amministra il sacramento del battesimo con la birra al posto dell’acqua.
Tutto potrebbe sembrare estremamente folkloristico e bizzarro se non ci fosse però un retroscena dai tratti estremamente drammatici, e a rivelarlo è il Consiglio delle Chiese sudafricano che ha condannato il proselitismo licenzioso del predicatore che, a detta di molti, si arricchisce facendo leva su una piaga sociale del Sudafrica: l’alcolismo appunto. ”Io predico in pub e taverne perché lì trovo tanti reietti, figli di Dio ripudiati dalle altre Chiese”, è stata la giustificazione del presbitero di fronte alle accuse di chi lo taccia di fare leva sulle dipendenze e i drammi della popolazione. Ma i dati forniti dall’Oms sembrano però contraddire e ridurre a retorica pretestuosa l’argomentazione di Tsietsi Makiti. La nazione arcobaleno è infatti il Paese africano in cui si registra il maggior consumo di bevande alcoliche e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità un bevitore su quattro, in Sudafrica, ha problemi di dipendenza. E il dramma della dipendenza da alcol è così capillare che durante la prima ondata del Covid il governo di Cyril Ramphosa ha vietato la vendita di alcolici per ridurre il numero di ricoveri ospedalieri e alleggerire così gli ospedali già sotto la pressione degli ammalati di coronavirus. Una manovra che si è rivelata efficace dal momento che prima della legge restrittiva erano circa 35mila i sudafricani che ogni settimana venivano portati all’ospedale per problemi correlati al consumo legato agli alcolici, dopo l’entrata in vigore della legge il numero è sceso a 10mila casi.
Da settembre però le restrizioni sono state tolte e il pastore della Gabola Church non ha perso occasione per celebrare l’evento con una ”messa” in grande stile invitando i fedeli a inebriarsi e stordirsi di alcool e lasciando così le risposte che può dare la sua finta chiesa nell’unico posto deputato ad accoglierle: il fondo delle bottiglie.
https://it.insideover.com/societa/ce-una-chiesa-che-invita-i-fedeli-a-bere.html
L’iniziativa pilota nella chiesa di Cicognara dove è stato installato un pos. Don Spreafico: «I soldi sono al riparo dai malintenzionati e si evita di contagiarsi»
Sandro Mortari
Gazzettadimantova.gelocal.it
VIADANA (Cicognara). D’ora in poi la parrocchia di Cicognara, nel Viadanese ma sotto la Diocesi di Cremona, non sarà più conosciuta solo come la palestra dove don Primo Mazzolari imparò a fare il sacerdote. Da una settimana è diventata la prima parrocchia, tra quelle di Mantova e Cremona, a sperimentare le offerte con il pos, il dispositivo di pagamento elettronico. Nella chiesa di Santa Giulia è entrato in funzione da lunedì scorso un sistema di pagamento digitale come in tanti negozi. Il fedele potrà fare offerte utilizzando la carta di credito. L’iniziativa è della Diocesi di Cremona ma a concretizzarla è il parroco di Cicognara, don Andrea Spreafico.
Lui è l’incaricato diocesano per il sostentamento del clero e ha lavorato assiduamente per essere pronto con il “bussolotto elettronico” come lo chiama, per giornata dedicata al sostentamento del clero che si è celebrata ieri. Non solo. Ha trovato anche il tempo di preparare un video, pubblicato sul sito della Diocesi cremonese, con cui spiega che cosa è e come funziona il dispositivo digitale, al momento una sperimentazione che non è escluso, se troverà il gradimento della comunità, possa essere estesa ad altre parrocchie, anche di altre Diocesi. Quella di Mantova, tanto per sgomberare il campo da inutili attese, per ora non ha in programma nulla di simile. «Però – dice don Andrea – potrebbe arrivare nelle nostre chiese di Viadana e Bozzolo. In una settimana a Cicognara abbiamo ricevuto 40 offerte, segno che la comunità ha accolto bene la novità».
Le norme anti-Covid suggeriscono di toccare il meno possibile il denaro, che potrebbe essere veicolo di contagio. E infatti, don Spreafico, nel video, spiega che la «novità, fra l’altro, è in linea con le disposizioni anti-Covid». C’è, però, un’altra motivazione che potrebbe spingere le parrocchie ad adottare il pos, i cui costi di installazione, peraltro, sarebbero a carico della Diocesi: «Le offerte sono al riparo dai malintenzionati che frequentemente visitano le nostre chiese» sottolinea il sacerdote.
Come funziona il pos? Innanzitutto è facilmente individuabile appena si entra in chiesa. Basta buttare lo sguardo verso l’altare e a destra, contro una colonna, c’è un piedistallo nero che sostiene una specie di contenitore giallo (assomiglia a una mini poltrona) su cui poggia il pos. Usarlo è facile. Basta inserire il bancomat o la carta di credito e scegliere tra le tre opzioni che compaiono sul display: fare una donazione alla comunità, alle opere di carità o ai nostri preti: nel primo caso le offerte finiranno alla parrocchia, nel secondo alla Caritas di Cremona e nel terzo all’istituto per il sostentamento del clero. Viene garantito l’anonimato del donatore, che potrà utilizzare l’estratto conto per scaricare dalle tasse la somma donata. Insomma, dice don Andrea, «un sistema comodo, sicuro e trasparente per sentirsi corresponsabili nei confronti della chiesa e dei nostri preti».
https://comedonchisciotte.org/bancomat-in-chiesa-per-le-offerte/
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