Il Papa resta un enigma: dopo gli annunci, dolorose retromarce
(Marco Marzano, Ilfattoquotidiano.it – 15 novembre 2020) Sono passati quasi otto anni dall’elezione a papa del cardinal Bergoglio. È il tempo di due mandati presidenziali americani, ampiamente sufficiente per stilare un bilancio del pontificato.
Sul piano dell’iniziativa riformatrice, della capacità di cambiare gli orientamenti di fondo della sua organizzazione, i risultati ottenuti da Francesco sono semplicemente inesistenti, nulli. Negli otto anni del regno di Bergoglio, non è cambiata di una virgola la disciplina del celibato obbligatorio del clero, non è stato modificato il ruolo marginalissimo delle donne, non sono mutati gli equilibri di potere tra centro e periferia (Roma regna e governa in modo sempre più accentrato e imperiale) né si è attenuata la rigidità della dottrina morale ufficiale.
Questo risultato, l’assoluto immobilismo, non è stato però ottenuto in modo lineare e programmatico, come era invece avvenuto per altri pontefici. Al contrario, Francesco ha dato spesso l’impressione di voler intraprendere una svolta riformatrice per poi alla fine ogni volta ripensarci: lo ha fatto sul diaconato femminile quando ha istituito una commissione che ha accesso molte speranze poi andate deluse, lo ha fatto di nuovo sulla riforma della curia che sembrava, a leggere l’Evangeli Gaudium, dover condurre allo smantellamento della centralità di Roma e ha partorito una modestissima riorganizzazione degli uffici vaticani, lo ha rifatto in modo davvero clamoroso più di recente quando, dopo aver incoraggiato in tutti i modi l’organizzazione di un sinodo, quello amazzonico, dal quale è giunta prepotente la richiesta di ordinare sacerdoti uomini sposati, ha raggelato le speranze dei riformatori aderendo di fatto alle posizioni di Sarah e Ratzinger.
Io, al pari di altri, ho sempre immaginato che tutte queste mosse apparentemente contraddittorie, questi continui andirivieni, corrispondessero ad un sottile disegno strategico, a una finezza politica squisitamente gesuitica volta a tentare di conciliare l’inconciliabile e a tener alto il consenso delle tante frazioni in cui è divisa la Chiesa.
Leggendo il bel libro di Massimo Franco, L’enigma Bergoglio. La parabola di un papato (Solferino), mi è venuto più di qualche dubbio sulla validità di questa ipotesi interpretativa. Al termine della lettura ho dovuto ammettere a me stesso che quel procedere per avanzate e retromarce, quell’illudere i fans delle riforme per poi deluderli clamorosamente potrebbe anche non essere solo o tanto il riflesso di un’accorta strategia, ma più semplicemente il sintomo della totale assenza di una strategia, del procedere a tentoni da parte di un uomo divenuto inaspettatamente pontefice a quasi ottant’anni, probabilmente privo di un qualunque progetto di riforma della Chiesa e assai incerto e balbettante non solo sui “grandi temi teologico-politici”, ma anche sul modo in cui gestire l’ordinaria amministrazione della Chiesa. E’ questo che emerge con nitore negli undici densi capitoli del libro di Franco.
Si prenda la delicata gestione degli affari finanziari. Inizialmente, ricorda Franco con dovizia di particolari, il papa ha affidato pieni poteri all’energico cardinale australiano Pell (e al finanziere Milone), senza però poi tentare nemmeno di difenderlo quando sul capo di costui è giunta l’accusa infamante, forse costruita ad arte nei palazzi vaticani, di aver molestato due chierichetti ai tempi in cui era vescovo di Melbourne. Dopo Pell, Bergoglio si è rivolto a Becciu, diventato talmente potente da ottenere un paio d’anni fa il cardinalato. Sappiamo come è finita.
Così Ratzinger stroncò Obama: “Idee che non possiamo condividere”
Dicono che Joseph Ratzinger si annoiasse ad avere tutte quelle interlocuzioni con i politici. Però un Papa non può non averle. La nuova biografia, forse l’opera più completa che sia mai stata scritta sulla vita dell’ex pontefice tedesco, si sofferma anche sui giudizi che Ratzinger ha distribuito verso alcuni esponenti della classe politica internazionale. E ci sono parecchie sorprese. In “Benedetto XVI, Una Vita”, che è un’opera di Peter Seewald edita da Garzanti, c’è anche una carrellata di nomi altisonanti, ma il passaggio che stupisce di più è quello riservato all’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Barack Obama, oltre a rappresentare una speranza per i progressisti di tutto il mondo, è stato anche uno strenuo difensore dei “nuovi diritti”, ossia delle aperture legislative verso la concessione di possibilità che Ratzinger bocciava in quanto “relativiste”. E l’emerito, in virtù delle numerose battaglie condotte per evitare che l’Occidente abbracciasse quell’agenda, non poteva mettere da parte le differenze. In una delle ricostruzioni riguardanti la critica mossa da certi ambienti tedeschi all’ex successore di Pietro, viene fatto presente come, almeno in una occasione, Obama venisse utilizzato alla stregua di un controcanto di Joseph Ratzinger: un quotidiano di Monaco ha scritto che l’ex presidente Usa “irradia speranza”, mentre non ha riservato le medesime parole al “mite teologo di Tubinga”, che invece era “preso dalla paura” e “vuole limitare il più possibile la libertà delle persone al fine di imporre una “era di restaurazione””.
Queste erano alcune delle idee che circolavano sulla stampa dell’epoca. Un po’ com’è successo, ma al contrario, nell’opposizione quadriennale tra papa Francesco e Donald Trump, con il primo elevato da sinistra al ruolo di proiezione entusiastica dell’avvenire ed il secondo associato all’oscurantismo di ritorno. Sempre nel capitolo intitolato “Punto di rottura”, vengono rivelate le preferenze di Ratzinger. Non esistono personalità verso cui Benedetto XVI ha nutrito astio o ferma contrarietà, ma di certo l’emerito deve aver preferito alcuni ad altri durante il suo regno. Sembra essere il caso del dualismo tra Barack Obama e Vladimir Putin. In buona sostanza, Ratzinger aveva apprezzato la disposizione all’ascolto ed alla dialettica di Obama, ma aveva anche rimarcato – il virgolettato di riferimento è presente pure in un’altra opera di Seewald, ossia “Ultime Conversazioni” – come il presidente Usa portasse avanti idee che il Papa non poteva “condividere”.
Un discorso diverso, invece, vale per il presidente della Federazione russa. Ratzinger definisce Vladimir Putin un “realista”, ponendo qualche accento pure sulla dimensione spirituale dello Zar. Dimensione che ovviamente fa parte di una visione complessiva. Chi vuole individuare simpatie ed antipatie, magari forzando un po’ la mano, può insomma procedere. Ma in “Una Vita”, in relazione agli esponenti politici, c’è dell’altro. Scopriamo così quanto Benedetto XVI apprezzasse il presidente israeliano Shimon Peres, ma c’è spazio pure per l’alta considerazione riservata dall’ex vescovo di Roma a politici di sinistra come il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e la presidente cilena Michelle Bachelet. Nessun pregiudizio, dunque, ma tanta volontà di tessere rapporti più fruttuosi possibile per un dialogo maturo anche tra forze discordanti.
Di sicuro erano tempi molto diversi rispetto a quelli odierni. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla bagarre tra il segretario di Stato Mike Pompeo e i vertici del Vaticano sull’accordo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese per la nomina dei vescovi: il primo è arrivato a dire che, in caso di rinnovo del patto, la Santa Sede perderebbe in “autorità morale”. Ma in misura maggiore si può ragionare sull’impegno che tanti ecclesiastici americani hanno messo in campo per l’elezione di Joe Biden, l’ex vicepresidente di Obama cui Bergoglio ha da poco telefonato per le congratulazioni relative alla vittoria delle presidenziali. Gli auspici tra i due? Stando al comunicato del presidente eletto, Vaticano e Stati Uniti lavoreranno su clima, migranti e povertà.
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