ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 20 novembre 2020

Un unico piano politico mondiale

Ambientalismo e globalismo, le ideologie più pericolose

L’ambientalismo è una grande bolla ideologica, il globalismo è un’etica dell’umanità con pochi e generici principi morali per una religione universale senza dogmi e dottrine. A questo progetto inquietante sta dando il proprio appoggio anche la Chiesa cattolica. Il dodicesimo Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân è dedicato a Ambientalismo e globalismo, le due ideologie più pericolose del momento, che puntano a convergere su un unico piano politico mondiale.


Ambientalismo e globalismo, secondo il dodicesimo Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân appena uscito per le edizioni Cantagalli (Siena, pp. 256, Euro 16), sono le due ideologie più pericolose del momento, tanto più perché convergono a tenaglia e fanno parte di un unico piano politico mondiale. Forse mai un Rapporto è stato così tempestivo, uscendo a trattare un vivo argomento di attualità proprio quando la sua realizzazione è in preoccupante fase avanzata. Tutti vedono, ma non tutti capiscono: il Rapporto serve a documentare, informare e mobilitare la resistenza.

L’ambientalismo di oggi è una grande bolla ideologica. Incubato da decenni, ora è giunto ad una fase programmaticamente pervasiva. L’idea di fondo è che l’ambiente è malato e la causa principale della malattia è l’uomo. Perfino il Covid, che con l’ambiente non ha niente a che fare, è stato proposto come sintomo della gravità del male che colpisce il pianeta. Siamo vicini alla catastrofe: il messaggio deriva non solo e non tanto da Greta Thunberg, davanti alla quale si sono prostrati interi parlamenti e Organismi internazionali, ma dalle agenzie ONU, dai centri di ricerca allineati, dalle grandi fondazioni, dai media del mondo intero e dagli opinions leaders del sistema. Andremo incontro ad un devastante riscaldamento globale causato dalle nostre emissioni di anidride carbonica, saremo travolti da catastrofi climatiche e dovremo familiarizzare con pandemie ricorrenti. Le risorse non rinnovabili si esauriscono, urge potenziare quelle rinnovabili e sostenibili e dare vita ad una green economy fondata sulla circolarità, la sostenibilità, l’equilibrio con la natura e su relazioni umane sobrie e solidali.

Questo nuovo ordine ambientalistico diventa però immediatamente politico. Bisogna collaborare tutti insieme, come anche il Covid ci avrebbe insegnato, e superare le barriere delle identità, le chiusure e i muri. Bisogna arrivare ad una società aperta globale dotata di una governance – quando non anche di un governo – mondiale in grado di far fronte alle minacce altrettanto globali all’ambiente e, di riflesso, alla convivenza solidale tra gli uomini.

Un globalismo politico, però, sarebbe impossibile senza una società globale, omogeneizzata culturalmente in un’etica dell’umanità con pochi e generici principi morali vagamente umanistici e in una religione universale senza dogmi e dottrine definite. L’etica naturale e la dottrina cattolica vanno semplificate nel dialogo interreligioso universalizzato in vista di una società multi-etnica e multi-religiosa, attuata anche tramite le immigrazioni. Ecco così collegati tra loro l’ambientalismo e il globalismo in un unico progetto politico universale. Le forze che lo perseguono sono all’opera e la realizzazione è ad uno stadio avanzato.

A questo progetto piuttosto inquietante sta dando il proprio appoggio anche la Chiesa cattolica, decisamente orientata sullo stesso percorso dell’ONU e delle forze economiche, sociali e politiche che hanno il culto dell’ambiente, illudono su soluzioni utopistiche delle disuguaglianze economiche, propongono una fratellanza universale piatta e puntano ad un programma educativo mondiale collettivistico e uniformizzante.


Puntuale arriva allora il Rapporto, che prende una ad una queste tesi sinteticamente presentate e le smonta: il quadro non tiene, i dati vengono deformati strumentalmente, la realtà viene mistificata. Il Rapporto è un vero e proprio manuale di controinformazione e di contrasto al nuovo regime che si vorrebbe imporre. Sette autorevoli saggi e quindici cronache dalle diverse aree del pianeta decostruiscono la favola che ci viene raccontata e ci riportano alla realtà. Le cose non stanno come ce le stanno narrando.

Riccardo Cascioli spiega che l’enfasi attuale sulla “sostenibilità”, cavallo di battaglia dell’ambientalismo dominante, ha origini eugenetiche in quanto considera l’uomo come il predatore di una natura originariamente equilibrata la cui presenza è da ridurre. Luis Carlos Molion illustra come il riscaldamento globale non è da nessun punto di vista prodotto dall’uomo, sgonfiando così con dati alla mano una gigantesca balla che è stata fatta penetrare nel sentire collettivo tramite una disinformazione sistematica che non può che essere pianificata. Gianfranco Battisti dimostra che la tesi dell’esaurimento delle risorse petrolifere è assolutamente insostenibile, per un motivo in particolare: nessuno conosce i dati in proposito perché le stime sono viziate in partenza dagli interessi delle multinazionali energetiche. Domenico Airoma e Antonio Casciano denunciano il programma verde dell’Unione Europea che vorrebbe azzerare entro il 2050 i gas serra immessi nell’atmosfera. Questo programma per i nostri autori avrebbe “poca scienza, molta ideologia, troppo dirigismo normativo”. Don Mauro Gagliardi ricostruisce correttamente la visione cattolica della creazione e la depura dalle sovrapposizioni ideologiche funzionali al nuovo ambientalismo. Mario Giaccio apre una porta che si vuole tenere ermeticamente chiusa, quella delle speculazioni finanziarie sulle quote di emissione tra i Paesi europei: la green economy non ha nessuna verginità da vantare dato che si fonda sulla speculazione finanziaria non meno dell’economia che si vorrebbe combattere. Infine Gaetano Quagliariello, con un ragionamento schiettamente politico, dice perché e come l’emergenza ecologista sia la via verso un nuovo ordine mondiale e di quale ordine (purtroppo) si tratti.

Nello stringente apparato disinformativo che ci fa vedere ciò che non è e desiderare quanto non ci conviene, la boccata d’aria di questo XII Rapporto dell’Osservatorio Van Thuân ci voleva proprio.

Per acquistare il Rapporto e riceverlo a casa senza spese di spedizione scrivere a info@vanthuanbservatory.org

Stefano Fontana

https://lanuovabq.it/it/ambientalismo-e-globalismo-le-ideologie-piu-pericolose

Bergoglio, e Simia Dei


Di certi libri è impossibile fare recensione.
 E’ il caso di Apostasia Verde di Matteo  d’Amico: un atto di accusa a   all’eco-Bergoglio, che va semplicemente letto.  Invece di una recensione, ecco qui un’antologia

Matteo D’Amico

“Inutile cercare nell’Instrumentum Laboris o nel Documento Finale il più piccolo riferimento al fine per il quale Nostro Signore ha istituito la Chiesa: la salvezza delle anime; ogni tensione escatologica è completamente assente; non si parla né di peccato, né di redenzione, né di giudizio di Dio, né di vita eterna.  Il cattolicesimo appare, nella migliore delle ipotesi, come una sorta di istituzione filantropica, di ONG completamente assorbita da obiettivi intramondani”.

“Stretto dovere della Chiesa sarebbe combattere contro l’allarmismo e le falsificazioni degli ecologisti e invece, con il Papa attualmente regnante, si assiste esattamente all’opposto: l’alta gerarchia cattolica che si sottomette e sostiene la peggiore ideologia ecologista e animalista, fino a sfociare nell’accettazione, almeno implicita, di una nuova forma di panteismo.

Il Sinodo dell’Amazzonia, insieme a tutto ciò che lo ha accompagnato,  dimostra più di ogni altra cosa il gravissimo stato di necessità in cui si trova oggi la Chiesa cattolica, con i vescovi e il Papa stesso impegnati a demolire il poco che restava di intatto a livello dottrinale, incuranti del bene delle anime a loro affidate, completamente sottomessi  alle ideologie ai poteri mondani più avversi alla religione cristiana”.

La rivoluzione eco-teologica di Bergoglio

  • L’enciclica è, per una sua parte molto ampia, una raccolta di incredibili banalità ecologiste prive, oltretutto, di ogni concretezza e di ogni, anche minimo, rigore scientifico. Ecco degli esempi:

La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura (…) Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura. Rendiamoci conto, per esempio, che la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non riciclata[1].

Non si può non notare lo stile approssimativo degli asserti, la mancanza di qualunque dato quantitativo rigoroso, l’improbabilità delle osservazioni: a parte i documentari degli ecologisti, chi potrebbe mai sostenere sinceramente che la terra “sembra trasformarsi in un enorme deposito di immondizia”?

2)

Francesco inizia una lunga lamentazione sul rischio che si estinguano delle specie animali in un paragrafo intitolato appunto “Perdita della biodiversità”.

In tale paragrafo si sprecano osservazioni molto discutibili, ad esempio viene detto:

Ma non basta pensare alle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in se stesse. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto. Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microrganismi[2].

Dunque, in primo luogo ci viene detto che   le specie animali hanno un valore “in se stesse”: un’affermazione che implica un grave errore teologico, in quanto nessuna realtà creata, neppure le intelligenze angeliche più elevate, può avere valore in se stessa, in quanto esiste ed è stata creata per la maggior gloria di Dio, e, subordinatamente a questo fine, con riferimento alle realtà naturali, per l’uomo. In secondo luogo, appare davvero stupefacente vedere il capo della Chiesa Cattolica dolersi in questo modo della (presunta) sparizione di alghe, insetti, vermi   e microrganismi, in un mondo dove imperversano le piaghe dell’aborto, del matrimonio omosessuale, della pornografia, e dove, soprattutto, si perdono le anime immortali, una sola delle quali, agli occhi di Dio, vale più di tutto l’universo materiale”.

3)

Primato della natura sull’uomo e sulla civiltà

Le strade, le nuove colture, le recinzioni, i bacini idrici, e altre costruzioni, vanno prendendo possesso degli habitat e a volte li frammentano in modo tale che le popolazioni animali non possono più migrare, né spostarsi liberamente[3].

Sembra quasi che la civiltà debba regredire e, come nella peggiore tradizione ecologista e neomalthusiana, l’uomo sia il problema e non la risorsa fondamentale per affrontare e risolvere le difficoltà che si presentano”.

 4)

 L’ombra del panteismo

Tutto il documento è pervaso dall’idea che uomo e mondo naturale siano un tutt’uno e che non ci sia più spazio per riconoscere la trascendenza dell’uomo, in quanto soggetto spirituale, sull’ecosistema: “Poiché tutte le creature sono connesse fra loro, di ognuna deve essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri[4].  Questa parificazione spaventosa fra l’uomo e l’animale, fra l’uomo e il mondo naturale non c’è bisogno di dire che è la negazione formale della Rivelazione trasmessaci da Genesi 1, 25-29:

 

5) rischio panteismo

Il rischio del panteismo è fortissimo, come dimostrano anche altri passi della Laudato Si’, dove, ad esempio, leggiamo:

I Vescovi del Brasile hanno messo in rilievo che tutta la natura, oltre a manifestare Dio, è luogo della sua presenza. In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante che ci chiama a una relazione con Lui. La scoperta di questa presenza stimola in noi lo sviluppo delle «virtù ecologiche»[5].

Nel passo Dio sembra essere pensato come immanente al mondo naturale, quasi come l’anima mundi della tradizione neoplatonica”.

In un altro passo il pontefice afferma la sua convinzione che “essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile. Voglio ricordare che “Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie, come fosse una mutilazione[6].

7) Teilhard de Chardin

Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale. In tal modo aggiungiamo un ulteriore argomento per rifiutare qualsiasi dominio dispotico e irresponsabile dell’essere umano sulle altre creature.

Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto. L’essere umano, infatti, dotato di intelligenza e di amore, e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore[7].

Un passo inquietante e pieno di gravi errori che, in effetti, si possono spiegare come una ripresa del pensiero di Teilhard de Chardin

La Chiesa apre al governo mondiale unificato.

A partire da Giovanni Paolo II sono innumerevoli i luoghi in cui i papi hanno manifestato a più livelli di ritenere ammissibile, ed anzi auspicabile, la creazione di forti istituzioni centralizzate in grado di garantire la pace o l’equilibrio finanziario del mondo.  Ebbene, come a partire dagli anni Sessanta si è utilizzato il mito della “bomba demografica” per invocare un controllo e una regolamentazione centralizzata delle nascite, così ora la scusa che i poteri forti utilizzano per spingere verso il governo mondiale è l’allarmismo ecologico e climatico.  Poiché l’inquinamento e il global warming sono fenomeni per definizione transnazionali, rappresentano degli argomenti perfetti per manipolare l’opinione pubblica e per convincerla ad accettare la prospettiva di un governo mondiale, o comunque sovranazionale.    È noto del resto come i centri di potere anticristiano da sempre aspirino al governo mondiale, il cui embrione più importante è l’O.N.U. stessa. La cosa grave è che sia la Chiesa Cattolica ad assecondare un progetto così perverso, quello cioè della massonica respublica universalis.  Nella Laudato Sì vi sono infatti chiari accenni in tal senso:

Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia[8].

In un altro passo dell’enciclica, Francesco, facendo riferimento al Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992, afferma:

Benché quel vertice sia stato veramente innovativo e profetico per la sua epoca, gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze. I principi enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili mezzi di realizzazione pratica[9].

Richiesta governo mondiale

Poco più oltre la Laudato Sì insiste nel chiedere un governo mondiale capace di dominare completamente gli stati nazionali e, di fatto, di dissolverli:

In questo contesto diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi fra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare. Come ha affermato Benedetto XVI nella linea già sviluppata dalla dottrina sociale della Chiesa, «per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi; per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio predecessore, Giovanni XXIII»[10].

Dunque, il papa chiede, nei fatti, un governo mondiale, limiti inviolabili e sanzioni agli stati inadempienti; in pratica sembra che egli chieda che sia abolita ogni autentica sovranità nazionale a favore di anonimi e burocratici centri decisionali mondialisti che è lecito temere che  possano opprimere i popoli in modo sempre più grave.  Infatti, il paradosso è proprio questo, che il papa chiede che sorgano le istituzioni il cui primo scopo sarà, inevitabilmente, di combattere la Chiesa cattolica e la sua dottrina morale. Essendo l’unica religione vincolata a difendere la legge naturale e, quindi, a condannare contraccezione, aborto, unioni omosessuali, sarà facilmente attaccata come istituzione che, impedendo di regolare le nascite, concorre a favorire l’esplosione della cosiddetta “bomba demografica”, con tutte le conseguenze che questo avrebbe sull’ambiente. La Chiesa sarebbe obbligata dal governo mondiale, che Bergoglio follemente auspica venga instaurato, a rinunciare alla immutabile morale da sempre predicata.

 (continua)

 

[1] Op. cit., p.38

[2][2] Op. cit., p.45

[3] Op. cit., p. 47

[4] Op. cit., p. 52

[5] Op. cit., p. 94

[6] Op. cit., p. 95

[7]  Op. cit., p. 89, sottolineature nostre.

[8] Francesco, Laudato Si’, op. cit., p. 63 (Par. 53)

[9]  Op. cit., p. 166 (Par. 166)

[10] Op. cit., p. 172 (Par. 175)

https://www.maurizioblondet.it/papa-greta-soros-primo/

Bergoglio: adorare Pachamama

di  Matteo D’Amico

ECOLOGIA INTEGRALE: IL GRIDO DELLA TERRA E DEI POVERI

La seconda parte dell’Instrumentum Laboris, come si intuisce anche dal suo titolo, è tutta dedicata a un lungo e lamentoso elenco di tutti i mali che affliggerebbero l’Amazzonia, a partire da quella che viene chiamata “distruzione estrattivista”. A questa distruzione, vera o presunta, si oppone l’esigenza di una “conversione ecologica”. Ci limitiamo a sottolineare solo i punti più critici.

In un paragrafo sulla famiglia, ad esempio, si dice: “Insomma, è nella famiglia che si impara a vivere in armonia: tra i popoli, tra le generazioni, con la natura, in dialogo con gli spiriti[1] (p. 93). Torna l’inammissibile accettazione di non si sa bene quale religiosità spiritistica o animistica come valore positivo: ma per duemila anni ovunque giungessero i missionari la prima lotta era proprio contro “gli spiriti” e i falsi dèi dei popoli pagani.  Come osano dei teologi cattolici, dei vescovi vedere come un valore positivo il “dialogo con gli spiriti” degli indios che dovrebbero evangelizzare? E poi, al di fuori della fede in Nostro Signore Gesù Cristo, con quali spiriti mai potrà “dialogare” un indio fermo ancora al paganesimo? Non sta forse scritto che “Gli dèi dei pagani sono tutti demoni”?

La questione della salute integrale

Il capitolo comunque più surreale di questa seconda parte è forse il settimo, intitolato “La questione della salute integrale”. Ecco alcuni dei passi più controversi:

La regione amazzonica contiene oggi la più importante diversità di flora e di fauna del mondo e la sua popolazione autoctona ha un senso integrale della vita non inquinato dal materialismo economico. L’Amazzonia è un territorio sano nella sua lunga e fruttuosa storia, anche se non sono mancate malattie[2]. Purtroppo, però – continua il testo – lo sfruttamento economico intensivo dell’Amazzonia ha fatto apparire nuove patologie, ha compromesso l’equilibrio e la salute sia della foresta, che dei suoi abitanti:              “Il danno affligge non solo la salute fisica, ma anche la cultura e la spiritualità dei popoli, è un danno alla loro “salute integrale”. Gli abitanti dei villaggi amazzonici hanno diritto alla salute e a “vivere in salute”, il che presuppone un’armonia con ciò che la “Madre Terra” ci offre (…). I rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita umana e della natura. Creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo. Proteggono la vita dai mali che possono essere causati sia da esseri umani che da altri esseri viventi. Aiutano a curare le malattie che danneggiano l’ambiente, la vita umana e altri esseri viventi[3].

Si noti nel brano appena citato l’aberrante difesa dei culti e dei rituali religiosi pagani ancora praticati dagli indios, culti di fatto strettamente connessi a pratiche magiche di varia natura. Qui non solo non si parla di evangelizzazione, ma siamo alla più sfacciata apologia della magia e della religiosità india. È oggettivamente una vergogna per l’intera Chiesa Cattolica che sette conferenze episcopali abbiano potuto concorrere a scrivere un documento simile, come è una vergogna che i dicasteri romani lo abbiano accettato e approvato.

Verso una Chiesa “discepola”

Come è già emerso, il cuore dell’eterodossa concezione di Francesco della Chiesa è basata sull’idea che la Rivelazione non si è conclusa, che il Depositum Fidei non è stabile e immutabile, ma in continua evoluzione. La Chiesa, quindi, non deve più essenzialmente e innanzitutto insegnare ciò che custodisce, tradere ciò che ha ricevuto da Nostro Signore, ma farsi discepola e imparare i nuovi elementi della “rivelazione” che Dio dà oggi essenzialmente attraverso le periferie, gli ultimi, gli “scartati”, i poveri, per usare il lessico del Papa.  La nuova “rivelazione” viene così a coincidere modernisticamente con le attese e i bisogni dei popoli, ai quali non si può rispondere con dottrine “pietrificate”. Ecco allora che abbiamo nuovi e del tutto inediti “luoghi teologici”, come appunto la foresta amazzonica, che si tratta di ascoltare.

Attraverso l’ascolto reciproco dei popoli e della natura, la Chiesa si trasforma in una Chiesa in uscita, sia geografica che strutturale; in una Chiesa sorella e discepola attraverso la sinodalità. Come ha espresso Papa Francesco nella Costituzione Apostolica Episcopalis Communio«Il Vescovo è contemporaneamente maestro e discepolo (…). È discepolo quando, sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero popolo di Dio» (Episcopalis Communio, 5). Egli stesso è diventato un discepolo a Puerto Maldonado quando ha espresso la sua volontà di ascoltare la voce dell’Amazzonia[4].

Si noti, nel passo citato da Episcopalis Communio, la gravità dell’errore del Papa: nel suo pensiero, poiché lo Spirito è dato ad ogni battezzato, Cristo parla e aggiorna o modifica la Rivelazione data agli Apostoli, dal basso in alto, attraverso la voce dei singoli o dei popoli. Ecco perché la Chiesa è discepola: non ha più da insegnare, ma deve inseguire l’incessante modificarsi della “rivelazione”, ponendosi in ascolto dei popoli e, addirittura, della natura!  La Chiesa e il Papa sono discepoli, ad esempio, sono “chiesa in uscita”, se si pongono in ascolto dell’Amazzonia, perché attraverso l’Amazzonia è Dio stesso che parla. Siamo all’essenza stessa del modernismo più spinto e sfacciato e siamo, soprattutto, umanamente parlando, di fronte alla fine della Chiesa Cattolica, perché non si riesce a immaginare una teologia più miserevole e schizofrenica.  Fra l’altro non è chi non veda che l’enorme frode della “chiesa in uscita”, che abbiamo appena descritto, in null’altro si risolva se non nell’offrire la possibilità a teologi, vescovi o papi senza più la fede cattolica di spacciare per “dottrina”, “insegnamento” o “rivelazione” i loro sogni e deliri personali, un po’ come nelle rivoluzioni, dove una minoranza organizzata in nome del popolo impone la sua ideologia e opprime la maggioranza dei cittadini.

Sulla base delle premesse fatte finora è facile comprendere quale tipo di catechesi o di apostolato si immagini adatto all’Amazzonia. Un breve passo ce lo spiega fin troppo bene:

L’educazione in Amazzonia non significa imporre ai popoli amazzonici parametri culturali, filosofie, teologie, liturgie e costumi estranei[5].

Il passo è coerente con il concetto di “chiesa in uscita”: stabilito che è l’Amazzonia che ci dà oggi la rivelazione di Cristo (ed è sottinteso che la dà per tutti gli uomini, non solo per gli indios, tutti gli uomini infatti vedremo che devono avere una “conversione ecologica”), che Cristo parla oggi attraverso il grido dell’Amazzonia, non si tratta né di insegnare, né di portare nulla agli amazzonici, né teologie, né liturgie, né costumi estranei, ma di imparare da loro che volto debba assumere oggi il cristianesimo. Infatti, la superiore cosmovisione degli indigeni, che vede la realtà in modo non frammentato (ma come un tutto panteisticamente animato) può fare da fondamento a una nuova pedagogia universale (valida cioè per tutti) e a un “nuovo” cristianesimo: “L’Amazzonia ci invita a scoprire il compito educativo come servizio integrale per tutta l’umanità in vista di una «cittadinanza ecologica»[6].

Se pensiamo all’uso politico sempre più violento da parte delle élites mondialiste dell’allarmismo ecologista per soggiogare i popoli, si potrebbe pensare che vi siano altre forze, altri poteri, oltre ai vescovi del Sud America, che si compiacciono che la Chiesa cattolica si avvii a farsi araldo non più di Nostro Signore Gesù Cristo, crocifisso per noi e per la nostra salvezza, ma della “cittadinanza ecologica”.  E qui non possiamo non ricordare, ad esempio, la grande presenza e il grande potere che in tutti gli stati sudamericani ha sempre avuto la massoneria. L’Inghilterra prima, da inizio Ottocento, gli Stati Uniti poi, hanno favorito lo sviluppo di una rete di logge massoniche in tutto il Sud America spagnolo e brasiliano, nella quale reclutare le élites con cui scalzare il controllo degli stati iberici: ciò è tanto vero che la larga maggioranza degli “eroi” della liberazione e dell’indipendenza del Sud America, come dei dittatori, era per lo più costituita da massoni.

Anche in questo caso, come in molti altri casi di politica internazionale (Ucraina, Siria, Birmania, etc.) il pontefice sembra sempre allineato ai poteri forti anglosassoni e, in particolare, molto in sintonia con l’agenda della politica estera statunitense.

Come formare i futuri sacerdoti?

Sulla base delle premesse delineate fino a questo punto è importante adesso vedere come l’Instrumentum Laboris delinea i percorsi di formazione del clero. Innanzitutto, nei seminari bisogna “integrare la teologia indigena e l’ecoteologia, in modo che siano preparati all’ascolto e al dialogo aperto dove avviene l’evangelizzazione[7]. A parte il fatto che nessuno sa cosa siano la “teologia indigena” e “l’ecoteologia”, perché di fatto il documento in 110 pagine non le ha comunque definite, si noti l’enfasi sul fatto che il futuro sacerdote deve essere pronto a un “dialogo aperto”, locuzione che indica un dialogo dove la ragione potrebbe stare dalla parte dell’indio.

Più interessante un secondo passo dove “Si propone la riforma delle strutture dei seminari per favorire l’integrazione dei candidati al sacerdozio nelle comunità[8].  Tradotto ciò significa evitare ogni separazione fra seminari e villaggi o città, ma immergere i seminaristi, anche nel pieno del loro processo formativo, all’interno delle comunità indigene.  Ciò viola un’esperienza plurisecolare sulla formazione dei chierici e impedisce di far nascere in loro l’abitudine al raccoglimento, alla preghiera, a un’intensa e raccolta vita spirituale.

È importante però notare, perché la cosa viene dichiarata esplicitamente, che i futuri sacerdoti, in pratica, non devono prepararsi ad annunciare, insegnare e predicare il Vangelo, non devono conoscere quindi il dogma e la morale cattolici, perché a loro:

Si chiede di approfondire una teologia india amazzonica già esistente, che permetterà una migliore e maggiore comprensione della spiritualità indigena per evitare di commettere gli errori storici che hanno travolto molte culture originarie.  Si chiede, ad esempio, di prendere in considerazione i miti, le tradizioni, i simboli, i saperi, i riti e le celebrazioni originarie che includono le dimensioni trascendenti, comunitarie ed ecologiche[9].

 

Il passo appena citato da un lato sembra deplorare che siano tramontate, soppiantate dal Vangelo, le tradizioni culturali e religiose degli Aztechi, degli Incas e dei Maya, e dall’altro sembra ritenere corretto che i futuri sacerdoti studino e imparino a rispettare – o a far proprie – queste stesse credenze. In pratica l’episcopato cattolico del Sud America sembra aver perso la fede, per tornare a cosmovisioni primitive e pagane ritenute evidentemente migliori e più fruttuose del Vangelo. Si capisce anche che fondamento abbia questa apostasia generalizzata: la religiosità tribale india è fondamentalmente panteista e divinizzando la natura e le forze naturali è ritenuta, evidentemente, più adatta a fondare una nuova cultura ecologica. Il fine della Chiesa per i vescovi sudamericani non è più salvare le anime, evidentemente, ma salvare la foresta amazzonica e l’ecosistema, ed ecco diventare comprensibile la loro nostalgia per il paganesimo panteista.

 

La conversione ecologica

Ecco il vero grande obiettivo di tutto l’Instrumentum Laboris. E se è necessario che si produca una “conversione ecologica”, occorre prima ammettere un “peccato ecologico”.  Così l’Instrumentum Laboris corregge la fede cristiana nel suo dogma più delicato, quello appunto del peccato originale.  Sappiamo che il cristianesimo e tutta l’economia della salvezza stanno o cadono col dogma del peccato originale; alterarlo equivale quindi a manomettere tutto l’edificio della fede.  Ecco come nel documento preparatorio al Sinodo sull’Amazzonia viene reinterpretato, o meglio completamente alterato:

 

Un aspetto fondamentale della radice del peccato dell’essere umano sta nello staccarsi dalla natura e non riconoscerla come parte di se stessi, sfruttarla senza limiti, rompendo così l’alleanza originaria con la creazione e con Dio (cf. Gen 3,5)”[10].

 

Nelle pagine successive viene ribadito essenzialmente lo stesso concetto: il peccato è un rompere la trama di rapporti che lega l’individuo al tutto e un arrogarsi il diritto di dominare la natura. Pertanto, la conversione da questo peccato contro la natura e il tutto, che sembra cancellare completamente

ciò che veramente il peccato é: ribellione a Dio e alla sua legge e, quindi, violenza contro l’altro uomo, dovrà essere una “conversione ecologica”.  Dio è come evaporato e al suo posto c’è il nuovo dio pagano: la Natura divinizzata, la Gaia degli ecologisti. La Chiesa per prima deve convertirsi e “bisogna fare un viaggio interiore per riconoscere gli atteggiamenti e le mentalità che impediscono la connessione con se stessi, con gli altri e con la natura” (p. 117). Se la conversione è a un nuovo rapporto con la natura, possono ammaestrare la Chiesa nella sua conversione ecologica proprio gli indios amazzonici; siamo così al rovesciamento completo dei concetti di apostolato, di evangelizzazione, di conversione: non sono più  i pagani a doversi convertire al Vangelo e a entrare nella Chiesa per salvare la propria anima, ma è la Chiesa a doversi convertire al culto panteista della natura proprio dei pagani:  idee come queste dovrebbero guidare e ispirare un sinodo di vescovi cattolici!

Ma leggiamo l’ennesima descrizione idealizzata e idilliaca degli indios amazzonici:

 

Questo processo si lascia ancora sorprendere dalla saggezza dei popoli indigeni. La loro vita quotidiana è testimonianza di contemplazione, cura e rapporto con la natura. Loro ci insegnano a riconoscerci come parte del bioma e corresponsabili della sua cura oggi e nel futuro. Dobbiamo quindi rimparare a tessere legami che assumano tutte le dimensioni della vita e ad assumere un’ascesi personale e comunitaria che ci permetta di «maturare in una felice sobrietà» (Laudato Sì 225)” (p.117).

 

Si noti l’appello nel brano appena letto al tema della “decrescita felice” (felice sobrietà).

 

Il nostro sguardo credente sulla realtà amazzonica ci ha fatto apprezzare l’opera di Dio nella creazione e nei suoi popoli, ma anche la presenza del male a diversi livelli: colonialismo (dominio), mentalità economico-mercantilista, consumismo, utilitarismo, individualismo, tecnocrazia, cultura dello scarto” (p.117).

 

Ancora una volta il peccato è pensato nei termini distorti da un lato dell’ideologia ecologista, dall’altro della teologia della liberazione, come peccato sociale.  Il vero male è il colonialismo secondo il documento, senza distinzioni e senza precisazioni, senza ricordarsi che la Provvidenza se ne è servita per far giungere il Vangelo nelle Americhe, dove i conquistadores hanno lentamente portato un grado di civiltà straordinariamente superiore a quello delle civiltà precolombiane. Quello che emerge dal testo è, in sintesi, un profondo odio per la tradizione cristiana, per la civiltà occidentale, per tutto ciò che la Chiesa ha portato in secoli di eroico e faticosissimo apostolato ai territori amazzonici e sudamericani, dove prima dell’arrivo degli spagnoli regnava ovunque il sacrificio umano come supremo atto di culto religioso. L’Instrumentum Laboris appare così come una sintesi velenosa di teologia della liberazione, marxismo, modernismo ed ecologismo, amalgamate in senso panteistico.

Non stupisce in un contesto ideologico così degradato considerare che cosa deve diventare la Chiesa e che cosa deve fare nel suo apostolato secondo gli estensori del documento:

Favorire una chiesa come istituzione di servizio non autoreferenziale, corresponsabile nella cura della Casa Comune e nella difesa dei diritti dei popoli”.(p. 119)

Oltre al solito untuoso omaggio al Papa fatto condannando una Chiesa “autoreferenziale” (si noti poi il “chiesa” minuscolo nel testo e “Casa Comune” maiuscolo), ecco la Chiesa Cattolica ridotta da “arca di salvezza” a ONG che si occupa dell’ambiente e dei diritti degli indigeni, come un grande sindacato rurale.

 

(…) Promuovere modelli di comportamento, di produzione e di consumo, di riciclaggio e di riutilizzo dei rifiuti”.PAG?   Anche qui spicca l’assenza di ogni finalità soprannaturale. Dalla cura per le anime e per la vita di grazia dei fedeli attraverso la Santa Messa e i sacramenti, attraverso la vita di pietà, si è passati a una Chiesa il cui fine primario sembra essere il riciclaggio e il riutilizzo dei rifiuti!  Nessuna preoccupazione per il dilagare del peccato e della corruzione morale, il problema è la raccolta differenziata.

 

La Chiesa deve poi “recuperare i miti e attualizzare i riti  e le celebrazioni comunitarie che contribuiscono in modo significativo al processo di conversione ecologica” PAG?:  come abbiamo già messo in luce precedentemente, qui si ha proprio l’inversione del fine della Chiesa, che non è più la salvezza delle anime, ma diventa la “conversione ecologica”; e la Chiesa si auspica che recuperi i miti e le religioni tradizionali che sono, evidentemente, più adatte del cristianesimo per favorire l’imporsi della nuova cultura di morte ecologista. Il passo appena letto non è solo folle, insensato, ma costituisce un atto formale di apostasia. Dei teologi e vescovi cattolici non hanno il diritto di proporre alla Chiesa di recuperare miti e credenze religiose pagani per fini, oltre tutto, che nulla hanno a che fare con il mandato che Nostro Signore ha assegnato alla Chiesa stessa. Gli estensori del documento inoltre sembrano ignorare che solo una vera e piena conversione a Cristo, solo la pienezza della Regalità Sociale di Cristo, il trionfo del Vangelo nelle leggi, nella famiglia, nel lavoro, nella politica può lentamente migliorare tutto, incluso l’ambiente e il rispetto di esso. Ma Gesù per altro ci ha ammonito: “Senza di me non potete fare nulla”, e quindi nessuna “conversione ecologica”, per quanto fanaticamente attuata, porterà ad alcun risultato senza una vera conversione all’unica vera religione.

 

Infine, deve essere dato un “riconoscimento formale, da parte della Chiesa particolare, dell’agente pastorale come ministero speciale che promuove la cura della Casa Comune” (p. 120).

Come in tutte le rivoluzioni, così anche nella rivoluzione che sta profilandosi con il Sinodo sull’Amazzonia, modificare il linguaggio è l’operazione più importante; ed ecco così che il sacerdote o il religioso diventa un “agente pastorale” che ha “il ministero speciale” di promuovere la cura della Casa Comune (eretta, con questo insistito uso della maiuscola a entità pagana semi-divina a cui rendere culto).

[1] Op. Cit., p. 93  (Par. 75)

[2] Op. Cit., p. 102  (Par. 84)

[3] Op. Cit., p. 104  (Par. 87). Sottolineature nostre

[4] Op. cit., pp. 107 (Par. 92). Sottolineature nostre.

[5]  Op. cit., p. 109 (Par. 94)

[6] Op. cit., p. 110 (Par. 96)

[7] Op. cit., p. 112 (Par. 98)

[8] Op. cit., p. 112  (Par. 98)

[9] Op. cit., p. 113  (Par. 98)

[10] Op. cit., p. 114  (Par. 99)

https://www.maurizioblondet.it/bergoglio-adorare-pachamama/

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