Lettera dal Grande Freddo
Cari amici di Duc in altum, un lettore mi segnala quanto segue. Su un sito italiano di articoli religiosi stava cercando alcuni oggetti per la sacrestia quando è rimasto incuriosito dal commento di un cliente, sia perché più lungo degli altri sia perché contrassegnato dalla bandiera della Finlandia. Lo pubblico qui sotto (mi sono solo permesso di sistemare un po’ l’italiano zoppicante). Mi sembra significativo non solo perché, a quanto pare, certi oggetti di carattere religioso nel progredito Nord Europa non si trovano più, ma perché segnala un Grande Freddo che non riguarda solo l’ambiente, ma le anime.
Ho appena ricevuto informazioni circa la spedizione, che arriverà a Dio piacendo già martedì. Vi ringrazio della vostra premura nel servire le necessità delle parrocchie. Vi confesso che non pensavo che [l’oggetto richiesto] sarebbe arrivato in tempo. E mi dispiaceva molto, perché volevo preparare dei regalini per i bambini e ci tenevo molto di poterli consegnare. Noi qui operiamo in una realtà completamente secolarizzata, dove i segni della fede non si vedono più, e per questo vi sono molto grato, perché con i vostri articoli mi state permettendo di rendere visibile ciò che per noi, cresciuti in un ambiente cattolico, è così scontato. Qui in Finlandia purtroppo il freddo non è solamente quello esterno, per via della neve e della mancanza di luce.
C’è un freddo interiore che riguarda le vite delle persone: la mancanza della fede le ha portate a vivere in una tenebra senza speranza. Proprio ieri mi è arrivata la notizia di una ragazza di quindici anni che si è tolta la vita. Che dire alle famiglie? La bellezza salverà il mondo! Annunciamo la bellezza dell’Amore di Dio per ogni creatura. Perdonatemi per questo commento lungo, ma mi sono sentito obbligato a mostrarvi quanto è importante l’opera alla quale state indirettamente partecipando. Vi ringrazio ancora per la vostra sensibilità e sollecitudine. Buon Santo Natale.
Rob Slane
theblogmire.com
Questo è il terzo dei cinque articoli di fine anno che passano in rassegna i vari aspetti del nostro nuovo Stato covidiano 2020. Questi articoli saranno pubblicati anche sul sito web The Conservative Woman dal 27 al 31 dicembre.
Quest’anno ha visto la nascita di quella che sembrerebbe essere una nuova religione. Potremmo chiamarla Covidianesimo. Ha i suoi Profeti (es. Neil Ferguson), il suo Sacerdozio degli esperti (es. Whitty e Vallance), la sua Soteriologia (es. il vaccino salvifico), i suoi Evangelisti (es. Piers Morgan), la sua Escatologia (es. La Nuova Normalità) e, naturalmente, i suoi eretici (chiunque metta in discussione i dati o la narrativa).
Non tutti quelli che hanno adottato le bizzarre pratiche del Covidianesimo sono Covidiani. Molti sono stati in qualche modo cooptati di malavoglia; molti sono stati attirati con l’inganno, magari inconsapevolmente e molti altri non sembrano aver riflettuto su ciò che viene loro fatto, tanto meno se è giusto, necessario o logico. Ma ci sono sicuramente dei veri Covidiani e li si può riconoscere dal loro insistere sul fatto che tutti dovrebbero inchinarsi davanti al culto e che quelli che si rifiutano di farlo andrebbero esposti al pubblico ludibrio.
In un certo senso, questa religione ci è venuta addosso a velocità folle. Eravamo tutti lì, all’inizio dell’anno, a farci gli affari nostri, senza sospettare che nel 2020 sarebbe successo qualcosa di particolarmente fuori dall’ordinario e, all’improvviso, bam! Si potrebbe anche dire che molti degli ingredienti erano presenti già prima di quest’anno e che sono stati semplicemente mescolati in un grande crogiolo per produrre un infuso tossico di paura, isteria e irrazionalità di proporzioni davvero epiche.
Questi ingredienti includono: una società che ha abbandonato la fede in un Dio Uno e Trino e non è riuscita a trovare un sostituto che ne riempisse il vuoto; una società ossessionata dalla cultura della sicurezza e dalla totale sterilizzazione della vita; una società incollata alla scatola della propaganda nell’angolo del salotto, con milioni di persone che trangugiano senza fiatare tutto quello che ne fuoriesce, quasi fosse un vero e proprio oracolo divino; una società che ha completamente dimenticato il significato della libertà.
Tutto questo ha portato ad una società alla perenne ricerca di un arche (primo principio) omnicomprensivo; una società che cerca di evitare la morte eliminando ogni rischio potenziale; una società che acriticamente aspetta che il governo, i media e gli esperti si riuniscano e dicano come ci si deve comportare; una società che si è dimostrata disposta a rinunciare alle libertà conquistate secoli fa con il sangue, il sudore e le lacrime. Insomma, siamo arrivati all’oligarchia pianificata e tecnocratica di cui C. S. Lewis ci aveva messo in guardia più di mezzo secolo fa:
“La nuova oligarchia deve sempre più basare il suo desiderio di pianificare le nostre esistenze sulla sua pretesa di conoscenza. Se vogliamo essere accuditi da una madre, la madre deve essere quella che ne sa di più. Questo significa che devono sempre più affidarsi ai consigli degli scienziati, finché, alla fine, i politici saranno solo i burattini degli scienziati. La tecnocrazia è la forma a cui deve per forza tendere una società pianificata.”
E poi c’era stato Dwight Eisenhower, che nel suo discorso di fine mandato del 1961, aveva detto più o meno la stessa cosa:
“Tuttavia, nel rispetto della ricerca e della scoperta scientifica, come dovrebbe essere, bisogna anche essere attenti al pericolo, uguale ed opposto, che la politica pubblica possa diventare essa stessa prigioniera di un’élite scientifico-tecnologica.”
Vi suona familiare?
L’ironia di quanto è successo quest’anno è che, nel nostro apparente tentativo di eliminare il rischio, abbiamo rinunciato alla vita. Abbiamo posto il concetto di sicurezza così in alto nella lista delle priorità che è diventato un dio, un dio che governa il nostro modo di vivere, di respirare e di essere noi stessi; che domina in modo così ossessivo la nostra esistenza quotidiana da rendere impossibile una vita normale, portandosi via gioia, significato e scopo. È, come diceva Lewis, un modo tragico di vivere:
“Ora mi interessa molto di più come vive l’umanità piuttosto che per quanto tempo. Il progresso, per me, significa incrementare la bontà e la felicità di ogni singola vita. Per la specie, come per ogni uomo, la mera longevità a me sembra un ideale spregevole.”
Si può capire come, con una pestilenza in corso, la gente accetterebbe, per un certo periodo di tempo, la sospensione della vita normale, dato che non si scherza con una malattia che potrebbe spazzar via qualcosa come il 60% della popolazione. Ma per un coronavirus con un tasso di mortalità infettiva di circa lo 0,2% – 0,26%? Per un virus che ha causato morti – in proporzione alla popolazione – per tornare a livelli mai visti da … ooh … quei giorni bui del 2000:
E sì, so che i logici del Covidianesimo sosterranno che i decessi non sono stati di più perché abbiamo fatto tutte quelle cose strane, come bloccare il Paese, indossare una pittoresca attrezzatura per il viso, fare in modo di non cantare ad alta voce e così via. D’altra parte, la logica covidiana sostiene molte cose non vere, ma il fatto è che non c’è alcuna prova che dimostri che queste misure abbiano, in qualche modo, portato ad una modifica dei tassi di mortalità.
Per l’illusione della sicurezza – un piatto di lenticchie – abbiamo svenduto le testimonianze e le libertà che ci erano state lasciate in eredità da coloro che ci hanno preceduto e che era nostro dovere preservare per coloro che verranno. Come ci ha insegnato Edmund Burke:
“La società è, a tutti gli effetti, un contratto… È una collaborazione in tutta la scienza, una collaborazione in tutta l’arte, una collaborazione in ogni virtù e in ogni perfezione. Poiché i fini di una tale collaborazione non possono essere ottenuti [che] in molte generazioni, essa diventa una collaborazione non solo tra coloro che sono vivi, ma tra coloro che sono vivi, coloro che sono già morti e coloro che devono ancora nascere.”
Abbiamo tradito i nostri antenati e i nostri discendenti, e l’idea che ci riprenderemo queste libertà è un triste fraintendimento di come funziona il mondo. In primo luogo, essendo la natura umana ciò che è, coloro che sono al potere e che hanno iniziato ad apprezzare l’autoritarismo, di solito non amano rinunciarvi. E, in secondo luogo, le libertà richiedono secoli di duro lavoro per crescere ma possono essere abbattute in brevissimo tempo, com’è successo a noi nel 2020. Purtroppo non esiste una formula magica per reintegrarle rapidamente.
Detto questo, forse c’è ancora tempo. Forse abbiamo ancora l’opportunità per fare un passo indietro dall’orlo dell’abisso di questa assurda tirannia medica, con le sue false promesse di sicurezza, e per riabbracciare vita e libertà. Ma questo significherebbe rifiutare senza ulteriori indugi questa schifezza del Covidianesimo e farsi una bella sorsata di ciò che si beveva a Rohan:
Eowyn: Non temo né morte né dolore.
Aragorn: Cosa temete, mia signora?
Eowyn: Una gabbia. Di restare dietro le sbarre finché abitudine e vecchiaia non le accettino e ogni possibilità di valore sia passata oltre il ricordo o il desiderio.
Rob Slane
Fonte: theblogmire.com
Link: http://www.theblogmire.com/2020-the-year-we-sold-our-liberties-for-a-medical-tyranny/
19.12.2020
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
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