|
||||||
|
Non è una fiaba, è una notizia! Buon Natale!
Il Natale è una verità:
la verità di Dio che sorprendentemente ci ama
ed è venuto a farsi uno di noi.
Dio ormai non ci lascia più;
non siamo più soli: i compagni, gli amici, i parenti
ci possono abbandonare.
Ma il Dio che ha tanto amato il mondo
da dare il suo unico Figlio,
unito personalmente per sempre alla nostra natura
di creature fragili e dolenti,
non ci abbandonerà mai alle nostre tristezze,
alla nostra inquietudine,
al nostro peccato.
Non è una fiaba, è una notizia,
cioè l’informazione su un fatto avvenuto;
non è un bel sogno,
è una realtà ancora più bella
di ciò che desidereremmo sognare.
Nessun uomo ormai può sfuggire al suo Creatore,
che lo insegue,
lo vuol raggiungere e legare a sé.
Non possiamo sfuggirgli,
perché il suo amore corre più veloce di noi.
Cardinale Giacomo Biffi, Un Natale vero?
Nella foto: Giotto, Natività (particolare) Cappella degli Scrovegni, Padova
Confesso che negli anni passati alla vigilia di Natale sognavo d’ibernarmi e poi farmi scongelare dopo la Befana. Non sopportavo le feste, le case ripiene di tutto, anche di gente; i consumi, i dolciumi, i regali, i pranzi infiniti, le grandi panzate, i giochi, i veglioni, le luminarie, i babbi natali, i botti e le fiaccole. Il Natale stucchevole, di glassa e di ovvietà, il festival domestico delle banalità rituali.
Quest’anno pur di riavere il Natale mi sottoporrei alle più insopportabili torture: alle tavolate lunghe, larghe e infinite, ai parenti e amici più molesti, a mangiare il viscido capitone, alle luci a intermittenza tra le palle, a giocare a tombola, come minacciava ogni Natale mia figlia, a girare tra le bancarelle di piazza Navona (che erano lì per le feste ma si protraevano poi per due mesi), a posare con Babbo Natale, a sparare i botti e perfino ad accodarmi come un fesso al trenino di fine anno…
Capisci quanto è bello Natale quando viene a mancare, quando non puoi festeggiarlo, quando ti impongono di non celebrarlo come Dio comanda. E capisci i tuoi genitori da vecchi, i nonni in generale, che non sopportavano il chiasso, le corse e gli schiamazzi dei nipoti ma poi li cercavano quando erano lontani, li aspettavano, li mimavano, ne avvertivano la mancanza.
La nostalgia è il dolore più dolce per tutto ciò che sentiamo vicino e patiamo lontano. Questo sarà il Natale della Nostalgia.
Non voglio polemizzare con nessuno, almeno nei giorni stretti di Natale. Da questo Natale in penitenza (o in penitenziario), così dimesso e decimato, spero solo che resti una cosa, in forma di lezione: che impariamo a distinguere l’importante dal superfluo, le cose che davvero ci mancano dalle cose di cui possiamo fare a meno, che ci rendono anzi migliori proprio quando non ci sono.
Non ci mancheranno, del resto, i regali e i consumi, non ci mancherà il panettone. Non ci mancherà nulla di tutto quel che è riproducibile, ossia prodotto e riprodotto in serie, acquistabile ovunque, intercambiabile e trasportabile. Nulla dell’oggettistica di Natale ci sarà proibita, a volerla; ce la porteranno gli angeli salariati di Amazon e i re magi a contratto dei corrieri.
Ci mancherà invece tutto ciò che è irriproducibile, intrasferibile, irripetibile e insostituibile. Unico. Ci mancheranno le persone, i luoghi più cari, i riti in famiglia, le facce, le voci, gli abbracci di chi ami davvero.
Ci mancherà il paese d’origine, a cui in tanti tornavamo, perché Natale è la festa del ritorno. Ci mancheranno i suoi scorci paesani e marini, i suoi inconfondibili odori di festa e di forno, le persone che incontri allo struscio della festa, anche quelle più moleste e prolisse che un tempo scansavi. Ci mancheranno il lungo pranzare, ozioso e vociante, le solite voci che dicono le solite cose dei giorni di festa, gli amarcord familiari che sono in fondo l’appello degli assenti; gite in famiglia alla ricerca del tempo perduto. Perché Natale sapeva essere, tra le banalità e le leccornie, anche il tempo dei bilanci e dei legami, in cui per un momento sospendi il travaglio e vedi la vita che ti scorre davanti, con le sue luci e le sue ombre, come le intermittenze delle luminarie.
Ci mancherà soprattutto la processione per le stanze di casa, con i bambini che portano il Bambinello, quel rito santo e demente che attraversa tutta la casa cantando, con una candela tra le mani e una sequenza fraterna e filiale di passi. E tu che spii le loro facce e le vedi uguali e cambiate, scopri nei loro volti la tua vecchiaia, ma tutto è più tenero e rassicurante quando è fatto insieme, in comunanza di sorte. Quel che ci mancherà di Natale non sarà la tv accesa, il Papa, il Presidente, il concerto di Capodanno e il brindisi; ma quel clima intimo di casa tua, perfino quell’odore tipico del vostro Natale, quel modo famigliare di tradurre il Natale nel gergo domestico degli affetti di casa. A volte le poltrone vuote raccontano la nostra anima più delle stanze piene, farcite di tutto.
La dolcezza del presepe, i suoi personaggi, anche i più buffi e risaputi, lo stupore della Natività, la tenerezza della Madre, l’universo che si fa grotta, la stella che indica la via, la soavità degli angeli, il calore degli animali, il prodigio dell’avvento, la comunità che si fa famiglia, la preghiera insieme, inter nos; nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. È tutto universale, lo so, riguarda l’umanità; ma nel presepe tutto ha senso se è tradotto nel lessico di famiglia, con i personaggi di casa tua, negli angoli consueti di casa tua, la carta da presepe e l’ovatta di casa tua e l’architettura tipica che gl’impresse la regista domestica del vostro presepe.
Questo Natale latitante, in contumacia, agli arresti domiciliari ma senza casa, questo Natale con le famiglie troncate, magari ci farà capire cos’è importante a Natale e cosa no, cos’è superfluo e cos’è necessario, vitale o spirituale che sia. Sarà la mancanza a farci capire com’è importante la presenza. Perché non esistono le cose senza le persone, non esistono i regali senza la festa degli sguardi di chi dona e di chi riceve, non esistono doni senza il pacco degli affetti che li accompagnano. E sono più spenti i riti senza comunità di anime e di corpi; anche la santità ha bisogno che si incarni, non si può vivere da remoto, non si ama in smart working. Non c’è Natale senza baci e senza abbracci; quel che pensavamo fosse il contorno o la cornice era invece l’essenza e il cuore natalizio. Giro intorno per dire la parola chiave: a Natale lo spirito si fa carne. Questo Natale dimezzato ci serva almeno a scoprire che la metà più preziosa e luminosa di Natale è quella in ombra, quella che non si vede.
MV, La Verità 24 dicembre 2020
http://www.marcelloveneziani.com/articoli/nostalgia-di-natale/
Presepefollia: ora i Magi portano in dono il vaccino
A Trento e Orvieto i Re Magi sono muniti di vaccino, così Gesù diventa un bambino qualsiasi, da proteggere dal Covid-19. Quando la Chiesa pensa che la tradizione non basti a parlare al cuore dell'uomo e dimentica che il suo compito è annunciare la salvezza dell'anima e non del corpo.
- E PER AVVENIRE IL REGALO E' L'ANTIDOTO di Gianfranco Amato
Chi ci salverà, Gesù Bambino o il vaccino? No, non è il verso di una filastrocca ma un dubbio che sorge spontaneo alla luce dei nuovi presepi allestiti a Trento, davanti alla chiesa del Santissimo, e a Orvieto, davanti all'ingresso del Pozzo della Cava. Sì, perché queste Natività rappresentata divergono in modo notevole da quella canonica dal momento che, non lontani da Gesù, Giuseppe, Maria - fortunatamente risparmiati, almeno loro, da trovate creative -, ci sono figure bizzarre.
Nel presepe di Trento, per esempio, si scorgono i manichini di un uomo e di una donna con in testa uno scatolone recante le scritte dei tre principali vaccini per la lotta al Covid-19: Astrozeneca, Moderna e Pfizer. Da com’è stato allestito il presepe, sembra quindi che questi due figuri rappresentino una sorta di reinterpretazione dei Re Magi, raffigurati come scienziati o emissari giunti a Betlemme per debellare la pandemia. Ora, a parte che se l’intento era quello di fare pubblicità ai vaccini in arrivo, l’effetto ottenuto è in realtà opposto (in effetti, l’assenza del terzo dei Re Magi potrebbe far sospettare che sia rimasto vittima del vaccino), non si può non rimanere fortemente perplessi da questa iniziativa da parte dell'associazione dell'oratorio, che ci avrà messo sicuramente della buona volontà, ma certo ha una visione singolare del presepe.
D’altra parte, non è la prima volta che sotto Natale, fuori dalla chiesa del Santissimo, a Trento, sono comparse creazioni spiazzanti. Basti pensare al 2018 (anno in cui, a ben vedere, gli sbarchi risultavano molto più contenuti degli attuali) quando Giuseppe, Maria e Gesù erano a bordo di una zattera in solidarietà ai migranti, oppure al 2019, con la sacra famiglia che, alle spalle, aveva le fotografie di dormitori per senzatetto e residenza per disabili ed anziani, a testimoniare la loro vicinanza alle condizioni più difficili.
Venendo invece ad Orvieto, in quel caso i Magi del presepe sono tre ma, per così dire, presentano anch’essi chiare contaminazioni con il periodo attuale. Infatti, pur avendo abiti antichi e conformi alla tradizione, i tre indossano le mascherine e la visiera protettiva davanti al viso e insieme ai loro classici doni, oro, incenso e mirra, ne portano altri tre; in particolare, insieme all'oro, che è il dono più prezioso, portano il vaccino contro il virus. Ora, apparentemente accattivante, tutto ciò risulta nei fatti grave, o almeno dovrebbe risultarlo agli occhi del cristiano.
Sì, perché nella misura in cui si ritiene di arricchire o rivisitare un presepe, significa che esso, allestito in modo tradizionale, avrebbe poco da dire e da dare all’uomo contemporaneo; il che è un oltraggio bello e buono a Gesù Bambino. Un oltraggio che rischia di essere ancora più lampante con i Re Magi ridotti a corrieri di Astrozeneca, Moderna e Pfizer. Questo tipo di allestimento, infatti, può comunicare un messaggio sbagliato, quello secondo cui la salvezza arriverà dal vaccino. Cosa che può pure essere possibile, nel caso della pandemia: vedremo.
Il punto, però, qui è un altro e cioè quello della pericolosa sovrapposizione di piani che presepi come quelli allestiti a Trento o a Orvieto favoriscono: quello della salvezza dalla pandemia e quello della salvezza dell’anima, che solo il Salvatore – Gesù Bambino, appunto – può assicurare. Ma se ci si dimentica di questo, se si arriva a ridurre il vero Protagonista del Natale a semplice personaggio di una rappresentazione di cartapesta dell’umanità di oggi, l’intero presepe perde il suo significato e l’impalcatura teologica su cui si fonda la fede cristiana, ecco, va a farsi benedire.
Insomma, anche senza voler entrare nel merito del gusto artistico – che pure pare assai dubbio – di questi presepi allestiti a Trento e a Orvieto, ciò che di simili iniziative colpisce è il sostanziale ridimensionamento della figura di Gesù, che da Figlio di Dio diventa un bambinello qualsiasi, da proteggere dal Covid-19; come se oltretutto, nascendo sotto Erode in un alloggio di fortuna, per finire poi crocifisso sotto Ponzio Pilato, il Signore non ne avesse patite abbastanza: no, ci voleva pure una sorta di ammonimento pandemico.
Sfortunatamente, il presepe modello Star Wars allestito in piazza San Pietro, a Roma, dimostra che il problema del fraintendimento della Natività e della sua rappresentazione non è certo solo trentino o umbro, anzi. Non resta quindi, quest’anno, che aggiungere alle già tante preghiere nei confronti di Gesù Bambino una richiesta molto semplice ma, pare di capire, piuttosto urgente: quella di illuminare le menti, ricordando che cosa davvero sia un presepe.
Giuliano Guzzo
https://lanuovabq.it/it/presepefollia-ora-i-magi-portano-in-dono-il-vaccino
di Silvio Brachetta
C’è un equivoco molto comune attorno al concetto di metafisica. La metafisica non è il mondo dell’al di là, o una qualche altra dimensione, o una seconda realtà parallela al nostro mondo. La metafisica è il fatto che il significato, il senso di tutte le cose si trova oltre le cose.
Se poi questo fatto rimandi a un al di là o a un paradiso, è qualcosa di conseguente. La metafisica si limita a sostenere che la realtà non si esaurisce nella percezione delle cose. Non solo, ma le cose visibili o, comunque, esperibili sono insufficienti a spiegare se stesse. Il mare non è sufficiente a spiegare il mare, nemmeno quando se ne conoscessero tutte le qualità e tutte le quantità. Il cielo azzurro non è sufficiente a spiegare il cielo. Le piante non sono sufficienti a spiegare se stesse. E così per tutto, fino all’uomo.
L’altrove, la trascendenza, dunque, prima di essere un luogo, è una necessità di ragione. Si vedono le cose, ma non se vedono tutte le ragioni seminali, figure delle ragioni eterne, delle eternidee. Si vedono le cose, in quanto effetti, ma non se ne scorge la causa efficiente, né la causa finale, almeno non sino a quando venga coinvolta la religione e la fede. Si vede il mare, ma non si percepisce chi lo ha fatto (il Fattore, la causa efficiente), né perché lo ha fatto (il Fine, la causa finale).
Lo percepirono, invece, i Progenitori – sant’Agostino docet – prima del peccato mortale. Essi potevano leggere il libro della natura e intuirne tutte le cause: non solo la formale e la materiale, ma anche l’efficiente e la finale. Adamo ed Eva conoscevano il mare, non solo nella sua conformazione fisica e chimica. Era loro concesso di giungere – se solo lo avessero voluto – a chi aveva creato il mare e, soprattutto, perché.
Ma non vollero e l’uomo non fu più in grado di leggere quel libro, se non parzialmente e con la fatica dello studio. L’uomo divenne analfabeta, anche se conservò la capacità di rimediare all’ignoranza, nella quale si era volontariamente annegato.
Platone e Aristotele solo apparentemente sono in disaccordo. Platone fonda la metafisica ed esprime con argomenti formidabili il concetto di trascendenza. Le cose hanno un senso – sostiene – ma il senso è fuori dalle cose. Il senso è nell’Eternidea del Nume. Platone non riesce a concepire il Nume: si ferma prima, concepisce appena un Demiurgo. Si arresta: concepisce una pianura delle idee, delle eternidee, ma non concepisce Colui che le pensa. Non giunge ad affermare il Logos-Persona.
Aristotele, al contrario, afferma il Motore immobile – il Nume – ma non lo ipostatizza, non ne fa una Persona. Aristotele polemizza con Platone: le idee non sono nell’iperuranio, non sono altrove, non hanno dimora nell’al di là. Le idee sono nelle cose, sono l’essenza delle cose. L’idea è eterna, è l’eternidea platonica, immutabile, perfetta in se stessa, ma la sua dimora è nell’al di qua.
Hanno ragione entrambi, perché vedono la realtà secondo due prospettive opposte, ma entrambe vere. Anzi, vere al punto, da costituire le fondamenta razionali di tutta l’apologetica cristiana e di tutta la teologia ortodossa.
Ha ragione Platone, poiché l’uomo non può fermarsi qui, non può fermarsi alle cose, al tempo, allo spazio, al limite, alla storia, alla finitezza. Il suo destino è altrove, nell’eterno, nel non-finito.
Ha ragione Aristotele, poiché l’uomo non può e non deve fuggire dalle cose, ma è tramite le cose che si salva. L’uomo si salva attraverso la storia, la conoscenza delle cose, la bontà delle cose, la fatica, l’umiliazione, la finitezza del vivere.
Le cose sono la figura del Creatore. Nelle cose vi è il germe della sapienza. Nell’al di qua è già presente l’al di là, ma come lievito che deve fermentare. Questo intuirono, ma non poterono affermare, Aristotele e Platone, perché non sostenuti dalla Rivelazione e dalla grazia.
L’Eternidea appartiene al Nume. L’Eternidea è il Nume. Il Nume è il Verbo, il Logos, che ha preso dimora nelle cose. L’Eternidea sussiste nelle cose e le cose esistono e sussistono a causa del Logos. Il Logos è la ragione eterna delle ragioni seminali, che sono nelle cose e regnano sulle cose. Il Nume è la Persona, che sta nel mezzo, che è il Pensiero del Padre. Dal Padre e dal suo Pensiero – che è generato ab eterno – procede lo Spirito. Ma i Tre sono l’identico e unico Nume.
Egli regna dal Trono altissimo, dalla Capanna di Betlemme e dalla Croce.
Buon Natale.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.