Caliari. “Ogni Uomo è un Inganno” è un’Estasi. Quante Estasi, nel 2020!
Carissimi Stilumcuriali, eccovi la seconda riflessione di Gian Pietro Caliari con cui Stilum Curiae chiude questo anno di attività, sofferenza, e preghiera. Arrivederci nel 2021….
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Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi?
di Gian Pietro Caliari
“Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi?”, “Che cosa renderò al Signore per tutto quello che mi ha dato?” (Salmo 115, 12).
Il salmista, appena scampato dall’esilio del popolo ebraico nella terra pagana di Babilonia, se lo chiede all’interno di un componimento di הַלְּלוּיָהּ (Hallelu-Yah).
Un espressione ebraica questa, che contiene lo stesso sacro tetragramma che indica Colui che si è rivelato a Mosè nel roveto ardente (cfr. Esodo 3, 14) e che, pertanto, ogni pio ebreo non può pronunciare, in stretto ossequio al secondo Comandamento della Legge Mosaica.
“Alleluia!”, traduce la tradizione cristiana; “Lode all’Eterno!” è più distintamente la più corrente traduzione ebraica.
Un grido di lode che apre il Salmo 115 e che precede immediatamente anche l’amara ma essenziale lezione che il popolo d’Israele ha appreso dalla sua storia antica: “Alleluia. Ho creduto anche quando dicevo: Sono troppo infelice. Ho detto con sgomento: Ogni uomo è inganno” (10-11).
Sant’Agostino d’Ippona definisce questa tristissima consapevolezza del salmista come un’estasi!
Il salmista – infatti – “parla di estasi nel senso di spavento: quello spavento che prova l’umana debolezza di fronte alle minacce dei persecutori e quando le piombano addosso le acerbità dei tormenti e la morte. […]
“Ci sarebbe, tuttavia, anche un’altra maniera di concepire questa estasi, e la si ha non quando l’anima è fuori di sé per la paura ma quando è investita da una ispirazione derivante da una qualche rivelazione. Io però nella mia estasi ho detto: Ogni uomo è mentitore” (Enarrationes in Psalmos, CXV, 3).
“Te Deum laudamus!”, si canta solennemente nella Chiesa Cattolica anche nell’ultimo giorno di questo anno civile 2020.
E ben a ragione il credente in ogni circostanza della Storia, fa propria l’estasi del salmista, che come scrive San Paolo ai Romani, è conscio dell’incrollabile verità di Dio e della menzogna dell’uomo: “Resti fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore” (Romani 3, 4).
Al termine di quest’anno, abbiamo più d’una ragione perché il nostro “Te Deum”sia ancor più vibrante e riconoscente, perché molte sono – come direbbe l’immenso Agostino – le “estasi” che quest’anno – se abbiamo occhi di Fede – la Provvidenza di Dio ci ha concesso.
Estasiati, abbiamo scoperto che i novelli Pastori che “dovevano essere pastori con l’odore delle pecore” (Francesco, Omelia, Missa Chrismatis, 28 marzo 2013)che “dovevano disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge” (Francesco, Discorso ai Vescovi italiani, 23 maggio 2013) appena le pecorelle loro affidate hanno puzzato di Covid-19, né in mezzo né dietro sono rimasti, ma pur di sfuggire l’esiziale fragranza del gregge se ne sono andati a gambe levate!
Estasiati, abbiamo visto che proprio la parte della Chiesa che si era proclamata bisognosa di avere “la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli”, che predicava “la vicinanza, la prossimità” e annunciava una “Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia” (Francesco, Intervista alla Civiltà Cattolica, 23 settembre 2013), appena la battaglia, questa sì in verità, del Covid-19 ha iniziato a infuriare, in fretta e furia, il suo ospedale da campo l’ha dismesso senza pudore ne vergogna; e vicinanza e prossimità sono svanite come in un batter d’ali!
Estasiati, abbiamo sentito – è il caso di dirlo – dall’alto dei cieli chi proclamava in riferimento ad altri: “Chi pensa solo a fare muri e non ponti, non è cristiano. Questo non è nel Vangelo” (Francesco, Intervista aerea, 18 febbraio 2016).
E la stessa persona non solo ha sbarrato le porte delle chiese nella sua Diocesi, ma ha vietato concretamente all’intera orbe cattolica l’esercizio del Culto e ai fedeli – persino, morenti – la ricezione dei Sacramenti.
Anche quando infine – seppur timidamente – i vescovi tentavano di far valere sul pandemonio pandemico regnante il sacro principio e il supremo diritto civile della Libertas Ecclesiae, non ha mancato di rinnovare l’appello “alla prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni” (Francesco, Omelia a Santa Marta, 28 aprile 2020).
Estasiati ancora – e in ben altri campi – abbiamo assistito a metamorfosi, poi, impensabili.
Chi si era presentato come “l’avvocato difensore del popolo italiano” (Giuseppe Conte, 23 maggio 2018) ha, poi, fatto carta straccia proprio di ciò che di più caro dovrebbe avere una Nazione e un Popolo: la sua Carta Costituzionale, insieme alla sua millenaria cultura e tradizione!
O chi si era – in epoca diversa e sotto diverse sembianze, – ripresentato come il costruttore di “un Paese con la prospettiva di un nuovo umanesimo” (Giuseppe Conte, 5 settembre 2020) ha impunemente divelto e annullato quei supremi diritti della Persona, che proprio l’essenza unica e irripetibile dell’Umanità definisce e sancisce.
“La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Questi principi, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all‟essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana ed hanno, quindi, una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale” (Corte Costituzionale, Sentenza 1146 del 1988).
Estasiati, di nuovo, abbiamo assistito all’infinita schiera dei paladini di ogni nuovo e fantomatico diritto rispondente ad ogni voglia individuale e alle pretese dei singoli, conformemente al relativismo dilagante, unirsi a coorte per fare a pezzi quei diritti di un’intera comunità civile che sono – questi sì! – “per loro natura indisponibili, irrinunciabili, imprescrittibili e pertanto non soggetti alla potestà del legislatore” (cfr. Corte Costituzionale, Sentenza 18 del 1982, Sentenza 170 del 1984 e Sentenza 366 del 1993).
Estasiati, infine, abbiamo scoperto che la scienza medica – come ogni scienza – non si fonda più sull’incertezza del sapere, non progredisce per ipotesi da verificare “by trial and error” (per tentativi ed errori), ma è verità assoluta che s’impone, impedendo ogni informazione o dibattito complementare a colpi di insulti, minacce ed anatemi.
Una vera e propria deriva “scientista” che già il fisico teorico Carlo Rovelli denunciava, dieci anni fa, criticando “il relativismo culturale oggi tanto di moda”; definendo il nostro “un periodo in cui ci sono segni di oscurantismo strisciante” e difendendo appassionatamente “la libertà del pensiero dove scienza e democrazia, hanno come base l’incertezza del sapere” (cfr. Che cosa è la scienza? La rivoluzione di Anassimandro, Milano, 2011).
Estasiati sì! Perché ogni uomo è inganno!
In quest’ultimo giorno dell’anno 2020, allora, abbiamo ancor più motivi di un anno fa di compiere il gesto del salmista: “Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo. Vota mea Domino reddam coram omni populo ejus” Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Adempirò i miei voti al Signore, davanti a tutto il suo popolo (Salmo 115, 13-14).
San Basilio Magno così commenta la domanda e la risposta posti dal Salmo: “Il Salmista ha compreso i moltissimi doni ricevuti da Dio: dal non essere è stato condotto all’essere, è stato plasmato dalla terra e dotato di ragione… ha poi scorto l’economia di salvezza a favore del genere umano, riconoscendo che il Signore ha dato se stesso in redenzione al posto di tutti noi; e rimane incerto, cercando fra tutte le cose che gli appartengono, quale dono possa mai trovare che sia degno del Signore. Che cosa dunque renderò al Signore? Non sacrifici, né olocausti… ma tutta la mia stessa vita” (PG XXX, 109).
Mentre si spengono le luci di questo anno 2020, potremmo, infine e ancora estasiati, chiederci cosa altro ci attende.
Thomas S. Eliot, nel suo celebre Assassinio nella Cattedrale, mette sulle labbra del santo vescovo e martire Tommaso Becket, queste parole: Noi non sappiamo molto del futuro / Se non che di generazione in generazione / Sempre accadono, ripetendosi, le stesse cose. / Gli uomini apprendono poco dall’esperienza altrui. / Ma nella vita dell’uomo non ritorna / Mai lo stesso tempo. Soltanto / Lo sciocco, fisso nella sua follia, può pensare / Di poter far girare la ruota sulla quale egli gira”.
Chi crede – anche alla fine di quest’anno ma anche di ogni prossimo – sa che la ruota su cui il mondo gira e sempre girerà la indica l’ultima invocazione di questo Te Deum dell’anno 2020.
“In Te Domine speravi! Non confundar in aeternum”, “Tu sei la nostra speranza, o Signore! Non saremo confusi in eterno”.
Marco Tosatti
https://www.marcotosatti.com/2020/12/31/caliari-ogni-uomo-e-un-inganno-e-unestasi-quante-estasi-nel-
GEOPOLITICA E GEOPANDEMIA?
Dalla geopolitica alla geopandemia: le nuove dimensioni del potere globale
di Roberto Bonuglia
La mondializzazione attuata sotto l’egida regia delle élite economiche dalla caduta del muro di Berlino al diffondersi ‒ globalmente e simultaneamente ‒ del Covid-19 ha, tra le altre cose, contribuito al sorgere di una serie di neologismi.
Uno di questi è, senza dubbio, quello di ‘geopandemia’ che riassume l’insieme di dinamiche narrative, biocratiche, biopolitiche e ‒ non da ultimo in ordine di importanza ‒, geopolitiche, che il mondo post pandemico sta imponendo, ormai da mesi, a miliardi di persone.
A ben guardare, gli effetti delle rigorose strette imposte ‘per arginare il contagio’ traggono linfa vitale da modelli di gestione comunitaria che mirano ‒ almeno ufficialmente ‒ alla salvaguardia della salute. In che, in linea di massima, dovrebbe rappresentare un fatto positivo.
Peccato, però, che «la relazione tra amministrazione parcellizzata dei corpi e gestione globale della vita» abbia consentito la formazione «di quella complessa rete di saperi che ha generato la nuova forma di assoggettamento dei corpi e la nuova forma di controllo della vita delle popolazioni» (V. Marchetti, Biopolitica e biostoria, in «Contemporanea», a. XVII, n. 2, 2014, pp. 317-318).
Nel mondo forzatamente globalizzato le nuove dimensioni del potere fanno leva su ‘saperi’ che le élite di cui sopra ‒ schermate dall’univoca verità della vulgata sanitaria dalla quale è impossibile dissentire ‒ non propongono, ma impongono.
Le decisioni prese a livello globale ‒ dal lockdown alle vaccinazioni di massa ‒ sono infatti tutte motivate da considerazioni prese ‘a monte’ e dalle quali è sempre più complicato (sia negli assunti sia nelle conseguenze) misurarsi in modo simmetrico.
La ‘volontà di sapere’ ‒ per dirla con Michel Foucault ‒ se ciò miri realmente al bene o meno delle popolazioni, non può essere esercitata. Si rimane col dubbio che l’esercito di virologi e specialisti del Covid-19, continuando ad asserire tutto e il contrario di tutto, lo faccia sapendo perfettamente che ciò che essi dicono spesso risulti un ‘non-senso’ per la maggioranza delle persone.
Il che attualizza le riflessioni di Eric Voegelin quando, in una conferenza tenuta a Milano il 18 maggio 1967 polemizzando con Jean-Paul Charles Aymard Sartre, sostenne: «la gente che vive in malafede sa di vivere in malafede e ha coscienza di tutti i problemi che tuttavia vuol ignorare e di cui non vuole ammettere l’esistenza» (E. Voegelin, Apocalisse e rivoluzione).
La quasi totalità delle loro esternazioni, infatti, si poggiano su nozioni mediche e biologiche che la gente a cui sono dirette non ha gli strumenti per decriptare. E ciò non è mai un bene perché «se tutto si riduce alle pratiche ‘magiche’ per l’avvento del mondo nuovo, il problema metafisico esistenziale della verità-in-sé e del bene-in-sé viene eluso» (F. Gianfranceschi, Il sistema delle menzogne, Milano, Rusconi, 1977).
È quel che accade quando un regime a base ideologica ‒ oggi sanitaria ‒ sviluppa speciali tecniche ‒ lo scientismo ‒ per non far conoscere i fatti della storia provando a distruggere la memoria dei popoli mediante la falsificazione delle fonti e dei documenti che permettono agli uomini di ricostruire la loro vera identità e scoprire, quindi, la loro reale missione.
Ciò si verifica quando, come di questi tempi, vige il divieto di far domande: sull’altare del distanziamento sociale il settarismo medico-sanitario ha sostituito quello gnostico eliminando anche le occasioni concrete possibili ‒ convegni, conferenze, dibattiti, semplici cene di Natale ‒ che potrebbero spingere l’uomo a porre domande ‘imbarazzanti’ sulla verità o sulla falsità impedendo, così, lo sviluppo della coscienza critica e incoraggiandone l’alienazione.
Una di queste domande è se la realtà fattuale imposta in questi mesi di geopandemia sia mossa dalla buona o dalla cattiva fede: questione esiziale poiché, nel secondo caso, potrebbe anche succedere che le verità supposte celino invece «menzogne rivelate come tali solo quando l’iniziato sarà disposto psicologicamente e moralmente ad accertarle» (L. De Poncins, Christianisme et Franc-Maçonnerie, Versailles, L’Ordre Français, 1969).
Non sorprende, dunque, che la sfida geopandemica farà sì che nell’era della post-globalizzazione «la conflittualità non si manifesterà solo nella vecchia dimensione spaziale/istituzionale, ma anche attraverso una verticalizzazione delle contrapposizioni all’interno di ogni singola realtà statuale» (S. Santangelo, Geopandemia, Roma, Castelvecchi, 2020).
E, soprattutto, che tal contrapposizione trascenda gli stessi confini statuali in considerazione del fatto che lo Stato ‒ quello tradizionalmente inteso sacrificato sull’altare delle organizzazioni internazionali ‒ pare ormai già da tempo superato dallo stesso mondialismo e dal connesso neoliberismo.
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