ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 11 dicembre 2020

Per servire la Chiesa e il popolo, non il governo

Müller: i governi usano il coronavirus come pretesto

I politici non hanno il diritto di proibire la Santa Messa e la celebrazione dei sacramenti, ha detto il cardinale Müller a LifeSiteNews.com (10 dicembre).
Müller pensa che alcuni governi stiano usando il coronavirus come una "opportunità di sopprimere la Chiesa Cattolica".Per Müller, le misure contro il Covid-19 sono "incoerenti" perché gli incontri di massa e i mezzi di trasporto pubblici pieni di gente sono permessi, mentre le Messe nelle chiese grandi sono proibite. Il cardinale insiste che dobbiamo essere "molto fermi" nel dare la priorità al culto divino.

In moltissimi paesi, i vescovi hanno annullato o limitato le Messe, a volte persino prima che i politici li costringessero a farlo.

#newsRjhsreiovn
it.news 
https://gloria.tv/post/vNtMnq4tjtJL4nEi2vE8VDLZh
IL PUNTO IN EUROPA
Dalla Svizzera al Regno Unito, ancora battaglia per le Messe
In diversi Paesi europei proseguono le iniziative dei fedeli per chiedere che venga rispettata la libertà di culto in tempi di Covid. Differente l’atteggiamento dei vari governi. Negli ultimi giorni, grazie anche a denunce e ricorsi, sono arrivati buoni segnali da Spagna, Francia e Regno Unito. Rimane molto dura la situazione in Belgio, Irlanda del Nord e Svizzera.
Buone notizie nella battaglia per la libertà della Messa, ma non per tutti. Non per tutti i governi europei è lecito il bisogno dei cittadini di poter varcare con la propria comunità le porte delle chiese per partecipare all’evento che cambia il mondo, la celebrazione eucaristica. La scusa è sempre quella delle restrizioni sanitarie causate dal Covid-19, argomenti sempre più ridicoli viste le diffuse aperture e liberalizzazioni in Europa per tutti gli esercizi commerciali e le attività ludiche. In realtà ci si vuole tutti e solo uomini consumatori, prede di interessi economici e sradicati da quell’unico “Tu” che ci costituisce. Buoni segnali in Spagna, Francia e Regno Unito, battaglia dura in Belgio, Svizzera e Irlanda del Nord. La Madonna e san Giuseppe ci proteggano.
La Spagna in questi giorni ha deciso le nuove normative per le festività natalizie e una delle novità del regolamento natalizio rispetto al recente passato è l’estensione del coprifuoco della vigilia di Natale all’1:30, che permetterà ai credenti di partecipare alle Messe di mezzanotte per celebrare la nascita di Gesù. La notizia è stata accolta con sollievo dalla Conferenza episcopale, che temeva che il limite delle ore 00:00 avrebbe provocato maggiori tensioni nei rapporti con il governo sulla Messa della vigilia di Natale, una delle più importanti del calendario cattolico. Quello che i cattolici non possono o non dovrebbero fare nelle “cerimonie religiose in spazi chiusi” è cantare gli inni di Natale, o baciare immagini o statue del Bambinello. La lettera del Dipartimento della Salute sottolinea che i riti religiosi “seguiranno le regole di seduta stabilite in ogni comunità e città autonoma”, che sono quelle che segnano le restrizioni in ogni territorio.
Linea rispettosa della libertà di culto dei cristiani anche in Norvegia, dove il primo ministro Erna Solberg ha mantenuto le restrizioni che limitano le famiglie a non ospitare più di cinque ospiti esterni negli incontri e banchetti natalizi, ma ha concesso di raddoppiarne il numero (sino a 10 ospiti) nei giorni di Natale. Chiese aperte e distanziamento obbligatorio. Un segnale positivo proprio per i cristiani che vivono una fede radicata nella comunità e nelle relazioni sociali, non certo nel cantuccio privatistico, come pretenderebbero i nuovi padroni del mondo.
In Svizzera, dove la Chiesa Cattolica lamenta un impressionante calo dei fedeli, a riprova che non è la resa alla mentalità mondana che evangelizza, la Corte di Ginevra nei giorni scorsi ha dato ragione alle chiese cristiane che chiedevano la riapertura al pubblico delle celebrazioni. La Corte Costituzionale del Cantone di Ginevra ha sospeso il divieto totale di celebrare funzioni ed eventi religiosi a Ginevra, ma è ovvio che l’impatto positivo si estenderà a tutto il territorio confederato. Il tribunale non ha ancora deciso se il divieto sia una violazione del diritto alla libertà di religione, dopo che un gruppo di cittadini preoccupati ha presentato un’impugnazione legale contro di esso. La sospensione dei divieti non è una decisione definitiva, ma indica che il divieto non è proporzionato e significa che le funzioni e le riunioni religiose sono ora consentite fino a quando non sarà emessa una sentenza definitiva.
Il divieto delle celebrazioni religiose è comunque riconosciuto come una grave violazione dei diritti fondamentali che la Svizzera si impegna a tutelare in diversi accordi internazionali in materia di diritti umani. Favorire gli esercizi commerciali rispetto alle funzioni religiose non solo è discriminatorio, ma ignora la solida protezione che esiste nel diritto nazionale e internazionale per la libertà religiosa. Il divieto totale di Ginevra era valido per tutti gli incontri religiosi, tranne i piccoli funerali e i matrimoni. Nei prossimi giorni dovrebbe essere emessa la sentenza definitiva.
Male, molto male invece il governo dell’Irlanda del Nord, dove da fine novembre le chiese possono celebrare solo matrimoni e funerali con un massimo di 25 persone presenti. Decisione presa senza alcun dato scientifico che provi quanto e come le celebrazioni nelle chiese diffondano il virus. Ovviamente, il dio Bacco si può continuare ad onorare, e infatti le enoteche possono rimanere aperte fino alle otto di sera circa. Quindi l’alcol è essenziale, ma l’incontro con Dio no. Le settimane di chiusura totale delle chiese per le celebrazioni religiose terminano il 12 dicembre; le chiese per ora sono aperte solo per la preghiera individuale e le funzioni da “drive-in”, ma in questi giorni il clima è diventato incandescente e il Servizio di Polizia dell’Irlanda del Nord (PSNI) sta preparando un’azione penale per la presunta violazione delle restrizioni da Covid-19 da parte di una chiesa battista della contea di Armagh. Il caso riguarda la chiesa battista di Tandragee, dove circa 80 persone potrebbero aver partecipato alla funzione religiosa. Il pastore David Patterson non è per nulla intimorito da polizia e giudici, e ha ribadito sui giornali che il “culto pubblico di Dio non deve essere messo da parte da nessun potere terreno, né trascurato dal vero popolo di Dio”.
Nel resto del Regno Unito, dopo che un enorme numero di leader religiosi di tutte le confessioni cristiane e non cristiane avevano sporto denuncia contro il governo nelle scorse settimane, il 10 dicembre l’esecutivo ha emesso nuove linee guida che consentono, nel rispetto delle norme sanitarie di base (mascherine, igienizzazione etc.), la ripresa delle celebrazioni religiose purché ci sia una distanza tra i fedeli di 2 metri quadrati e comunque in modo che ci si possa accomodare in sicurezza. Sono consentiti gli inni e i canti religiosi. Una vittoria per la Messa e per la libertà religiosa che la Chiesa di Inghilterra ha voluto ‘celebrare’, dando la piena disponibilità al governo e al servizio sanitario pubblico nel collaborare, anche attraverso l’uso delle proprie strutture, alla vaccinazione dei cittadini.
In Francia, al momento, le nuove regolamentazioni sembrano soddisfare fedeli e governo, in attesa delle nuove decisioni condivise che verranno prese in vista delle celebrazioni natalizie.
In Belgio, dopo la chiusura totale decisa dall’esecutivo sino al prossimo 15 gennaio, un gruppo di fedeli cattolici ha denunciato il governo per le restrizioni verso la libertà di culto. A seguito di un decreto ministeriale del 29 novembre, i circa 6,5 milioni di cattolici del Paese saranno obbligati a celebrare il Natale in casa. Oltre ad un gruppo di laici, anche singole parrocchie (insieme al parroco e ad uno o più parrocchiani) intenteranno la causa, con la prospettiva di accrescere il numero di cause e indurre tribunali e governo a riconoscere il diritto di culto cristiano e cattolico, ma allo stesso tempo di tutti i credenti di qualunque religione.
Le denunce presentate in Belgio durante questa settimana potrebbero essere decise prima di Natale, nella speranza di liberare la Messa e la celebrazione della Nascita di Gesù. Una lettera aperta al primo ministro belga, scritta dopo il decreto del 29 novembre e pubblicata sul sito web “Per la Messa”, è stata già firmata da più di 10.000 persone. Nel testo si ricorda che mentre i fedeli sono privati di ciò che “hanno di più caro”, Gesù Cristo, ogni persona può continuare liberamente a frequentare centri commerciali, piscine e musei. Cosa c’è di più essenziale per l’uomo? Le compere natalizie, che aiutano l’economia ma ci riducono a uomo consumista, o la libertà di culto e la Messa che ci riporta alla nostra vera e unica essenza di persona umana e al senso religioso del nostro “io”, anzi all’incontro reale con quel “Tu” che ci fa esser “io”?
Luca Volontè
https://www.lanuovabq.it/it/dalla-svizzera-al-regno-unito-ancora-battaglia-per-le-messe
LOCKDOWN
Irlanda, sulle Messe braccio di ferro tra cattolici e governo
Sono appena riprese le Messe con popolo in Irlanda dopo sei settimane di divieto imposto dal governo. Ma una parte di vescovi e laici hanno reagito con forza accusando il governo di azioni incostituzionali. E ora, per evitare nuove chiusure è stato fatto ricorso all'Alta Corte, di cui si aspetta ora la sentenza.
I cattolici in Irlanda sono frustrati per le restrizioni alle messe imposte dal  governo irlandese, e ne hanno ben ragione. In Irlanda, per il Covid c’è un sistema di allarme a cinque livelli molto simile al resto d’Europa, che va da 1 (pochissime restrizioni) a 5 (blocco completo). Dove ci si differenzia dall'Europa è che le Messe sono bandite fin dal livello 3 e non al livello più alto. C’è stato un momento in cui l’Irlanda era uno dei soli tre paesi al mondo in cui le Messe con popolo erano vietate.
Abbiamo recentemente concluso il nostro periodo di isolamento di sei settimane. Grazie alle pressioni degli Arcivescovi e alla pressione politica dei laici, le messe sono consentite di nuovo e lo saranno durante il periodo natalizio. Ci sono delle restrizioni, ovviamente: la cosa più importante è che la partecipazione del popolo sarà limitata. Le chiese possono avere settori di un massimo di 50 persone, tanti quanti possono rispettare la distanza sociale di sicurezza. Ciò significa che le chiese più grandi possono ospitare centinaia di fedeli. Sebbene si tratti comunque di una significativa riduzione della capacità, è ben diverso da ciò che è accaduto in altri paesi come la Francia, dove una presenza massima è stata applicata a prescindere dalle dimensioni della Chiesa.
Alle restrizioni in Irlanda ci sono state reazioni diverse. Alcuni, come un prete a Cavan e un prete a Cork, hanno celebrato le messe nonostante il divieto. Entrambi sono stati minacciati di sanzioni dal Gardaí (la polizia irlandese, ndr), incluse multe che possono arrivare a 2.500 euro e/o una condanna a sei mesi di reclusione. Questo ha riacceso il dibattito su una controversa serie di nuove leggi introdotte dal governo che, sebbene i funzionari del governo lo negassero, sembrava rendere la celebrazione pubblica della messa un reato penale.
Il sacerdote di Cavan, padre P.J. Hughes, ha paragonato il suo trattamento a quello di uno "stato di polizia", sostenendo che si trattava di una violazione del diritto costituzionale del popolo di partecipare alla Messa. "Sono qui per servire la Chiesa e il popolo, non il governo", ha detto al Clare Byrne Show. "È come dire alle persone che non possono praticare la loro fede. Ci stiamo trasformando in uno stato comunista o cosa? So che c’è il virus, ma allo stesso tempo dobbiamo vivere". Padre Hughes sentiva di non aver infranto la legge e ha detto che avrebbe continuato a dire messe pubbliche, ma RTE (l'emittente statale) ha riferito che in seguito è stato sanzionato dal suo vescovo e ha accettato di non dire altre messe pubbliche.
All'altro estremo, l'ACP (Associazione dei sacerdoti cattolici), un organo di rappresentanza non ufficiale in Irlanda, ha chiesto di "porre la sicurezza e la scienza come la nostra massima priorità". Sostengono che “avere una Messa pubblica in ogni chiesa di ogni parrocchia può essere un prezzo troppo alto da pagare. Nelle circostanze attuali dobbiamo sbagliare dalla parte della prudenza e della saggezza". Alcuni dei loro membri suggeriscono che non celebreranno messe pubbliche la vigilia o il giorno di Natale poiché temono che arrivi un numero esagerato di partecipanti, e si sono lamentati della pressione esercitata sui sacerdoti e sui consigli parrocchiali per celebrare le Messe.
La risposta del governo alle domande riguardanti il divieto della messa pubblica è stata simile. In risposta a una domanda al Dail (Parlamento), il Taoiseach (capo del governo irlandese) Micheal Martin ha affermato che all'inizio della pandemia le chiese erano associate a focolai del virus. Non ha fornito alcuna spiegazione su come ciò si sarebbe verificato nel contesto irlandese, o perché questa elemento giustificasse un approccio più rigoroso che praticamente in qualsiasi altra parte del mondo.
Analogamente, anche il ministro della Salute Stephen Donnelly ha risposto (24 novembre) a una domanda riguardante le prove scientifiche per sostenere il divieto di messa pubblica, con una risposta blanda e poco convincente. Ha spiegato che l'approccio del governo si basa sulla pratica internazionale e sulla guida di esperti di salute pubblica e cerca di bilanciare i rischi di diversi tipi di riunioni. "COVID-19 si diffonde quando individui e gruppi entrano in stretto contatto tra loro, consentendo al virus di spostarsi da una persona all'altra", ha detto. “COVID-19 è contagioso in una persona senza sintomi o per il periodo di tempo prima che si sviluppino i sintomi. Per questo motivo, ci viene chiesto di prestare la massima attenzione quando socializziamo e lavoriamo con gli altri". Quest ova bene, ma continua a non spiegare il caso specifico del culto pubblico.
In sostanza, l'approccio della Chiesa irlandese - arcivescovi, vescovi, sacerdoti e laici - è stato quello di utilizzare i processi democratici per contestare il divieto totale del governo sul culto pubblico. Recentemente, l'imprenditore cattolico irlandese Declan Ganley ha avviato una causa legale contro le restrizioni che è arrivata dinanzi all'Alta Corte l'8 dicembre u.s.. Ha spiegato la motivazione per l'avvio della sua causa, in un articolo per The Irish Catholic, sostenendo che il divieto è incostituzionale: "Le uniche circostanze in cui lo Stato sarebbe nel suo diritto costituzionale di imporre un divieto sarebbe se ci fossero prove chiare, inequivocabili, che l'ordine pubblico fosse minacciato dallo svolgimento di servizi religiosi", ha scritto. "Nessuna prova del genere è mai stata resa pubblica, probabilmente perché non esiste alcuna prova del genere."
La posizione di Declan Ganley è simile a quella dell'arcivescovo Eamonn Martin, primate d'Irlanda. Scrivendo su The Irish Catholic, l'Arcivescovo ha affermato che non ci sono prove che le riunioni della Chiesa stiano contribuendo alla diffusione dell'infezione da Covid-19. Ha scritto anche dell'incontro degli arcivescovi irlandesi con il Taoiseach. "Abbiamo sottolineato che le parrocchie hanno tenuto al sicuro i fedeli e promosso i messaggi chiave della salute pubblica", ha scritto. "L'approccio della Chiesa è stato in sintonia con la nostra etica di vita coerente e con la salvaguardia del bene comune".
È stato alla luce di questo impegno e dell'incertezza che circonda il virus che la Chiesa ha preso la dolorosa decisione di sospendere la messa pubblica durante il primo blocco, ha spiegato. Tuttavia, ha sostenuto che da allora non ci sono state prove sufficienti per suggerire che le chiese rappresentassero una seria minaccia per il bene comune e che, al contrario, sembravano essere sicure e ben gestite. Allo stesso modo, ha affermato, il governo deve riconoscere che per i cattolici la Messa non è un "extra facoltativo - è una profonda espressione di chi siamo come esseri spirituali individuali e come Chiesa".
Allo stato attuale, il cattolico attende che il caso del signor Ganley venga giudicato dall'Alta Corte. Si spera che questo fornirà maggiore chiarezza riguardo al rapporto tra la Chiesa e lo Stato e le loro rispettive responsabilità. È ancora una questione aperta se e quando torneremo a un livello rigoroso 3 dopo Natale se la messa pubblica sarà ancora consentita.
* Giornalista del The Irish Catholic
Ruadhán Jones*
IL RITO ZAIRESE

Pericolo inculturazione: la liturgia non nasce a tavolino

È in uscita il Messale romano in rito zairese, il primo Messale inculturato, che può preludere al prossimo rito amazzonico. Ma in questa operazione si intravedono due rischi: introdurre elementi pagani e produrre una nuova liturgia con obiettivi di politica ecclesiastica più che di missione.  Ma su questo Benedetto XVI ammoniva: «Una liturgia non nasce per mezzo di decreti»


L’inculturazione della liturgia è un grosso problema. Bisogna partire dalle culture o dalla liturgia della Chiesa? Rispondere “da tutte e due” non è una soluzione ma una scappatoia. Tra i due elementi uno solo deve essere quello ordinatore, altrimenti si ottiene un accostamento solamente esteriore. Ma su questo Benedetto XVI ammoniva: «Una liturgia non nasce per mezzo di decreti».

Il tema, tipicamente postconciliare, torna ora alla ribalta con la liturgia in rito zairese. È infatti in uscita il libro sul Messale romano in rito zairese, il primo Messale inculturato. Il primo ma non certo l’unico né l’ultimo. Nella prefazione al libro, papa Francesco annuncia un ulteriore prossimo passo con quello in rito amazzonico: “Il caso del rito zairese suggerisce una via promettente anche per l’eventuale elaborazione di un rito amazzonico”. Nell’Esortazione Querida Amazonia, infatti, egli aveva scritto che bisogna “raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli”. La cosa è quindi sicura: questo del rito zairese è solo un primo step di un processo a lunga gittata.

È facile vedere i due forti pericoli che stanno dietro a queste inculturazioni. Il primo è che “raccogliere nella liturgia elementi propri dell’esperienza degli indigeni” significa imbarcare anche elementi pagani. Il secondo è che una simile operazione puzza da commissione che lavora a tavolino e che produce una nuova liturgia adatta ai propri obiettivi di politica ecclesiastica più che alla missione.

Della questione si era occupato anche Joseph Ratzinger il quale, però, proponeva un percorso molto diverso da quello che ora sembra iniziato con il rito zairese e proseguirà con altri riti fino all’esito finale di una liturgia per ogni cultura. Nel 1977, in una intervista alla rivista “Communio”, poi confluita nell’opera Das Fest des Glaubens, Ratzinger toccava proprio questo tema. Anche allora molti sostenevano l’adattamento della liturgia alle culture locali nelle terre di missione. Si pensava che una liturgia che contenesse al proprio interno forme espressive o preghiere di origine locale potesse avvicinare quelle popolazioni alla fede cattolica.

Ratzinger però diceva il contrario: “Una liturgia non nasce per mezzo di decreti, e una delle lacune della riforma liturgica postconciliare va indubbiamente cercata nello zelo professionale con cui si è costruito a tavolino ciò che presupporrebbe una crescita nella vita. Solo quando e nella misura in cui nei Paesi di missione si è formata una solida identità cristiana, si può in base a essa passare cautamente a cristianizzare le forme preesistenti, a fondere l’elemento cristiano con le forme della vita quotidiana”.

Si tratta di osservazioni di fondamentale importanza. Se prevale l’intento immediatamente pastorale si cercherà di mutare la liturgia per incontrare le popolazioni native. L’urgenza pastorale premerà perché si faccia presto e quindi commissioni di esperti interverranno a tavolino sulla liturgia, trasformandola in strumento pastorale mentre essa è l’incontro tra la terra e il cielo. Il pensiero non può non andare allo stesso processo verificatosi non nelle terre di missione ma qui, nelle terre di antica religiosità cristiana dopo il Concilio. Lo schema è uguale, con la differenza che qui l’intento pastorale era rivolto verso l’uomo moderno e là alla popolazione autoctona pagana.

La proposta di Ratzinger suggeriva di non abbandonare la liturgia romana anche nelle terre di missione e di procedere – con grande cautela! – a “cristianizzare le forme preesistenti” solo quando l’identità cattolica di quelle comunità fosse ben formata.

Va notata la diversa impostazione di papa Francesco e Ratzinger su questo punto specifico. Francesco parla di “raccogliere” nella liturgia molti elementi preesistenti nella cultura locale. L’espressione invita a chinarsi e raccogliere quello che c’è così come è. Ratzinger, invece, parlava di “cristianizzare” le forme preesistenti. Nel primo caso le abitudini culturali entrano nella liturgia così come sono e in quanto sono così, nel secondo caso vengono eventualmente assunte ma dopo essere state rivivificate dall’annuncio cristiano. La prima posizione presuppone l’idea che esse siano già in qualche modo cristiane, la seconda assume gli elementi naturali delle culture non cristiane, ma dopo averli depurati dagli elementi idolatrici e pagani che vi si siano sovrapposti.

Ritornare a riflettere oggi su questi problemi, significa anche ritornare con il pensiero alla riforma liturgica postconciliare. In essa, come Ratzinger ebbe a dire in molteplici occasioni, si misurarono proprie queste due visioni. Quella secondo cui la liturgia doveva fare i conti con la storia, l’esperienza, il linguaggio, l’espressività del mondo e a tutto ciò adattarsi accogliendolo come buono dentro di sé. E quella secondo cui, invece, la liturgia poteva illuminare la vita concreta e situata in un certo contesto storico proprio se la investiva con un raggio trascendente, non per schiacciarla, ma per illuminarne l’interna verità e farla quindi rinascere.

Stefano Fontana

https://lanuovabq.it/it/pericolo-inculturazione-la-liturgia-non-nasce-a-tavolino

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