Un grande vuoto dopo il culto della pachamama a San Pietro: l’altare papale inutilizzato da mesi
In Vaticano è accaduto un fatto di cui nessuno ha parlato. L’altare maggiore della basilica di San Pietro, l’altare usato per le cerimonie presiedute dal papa e che si trova proprio sopra la tomba di Pietro, è inutilizzato ormai da molti mesi.
Sottolineando la circostanza su Twitter, il professor Armin Schwibach, che vive a Roma da più di trent’anni, lo descrive come un “vuoto simbolico”. Schwibach fa notare che l’altare è rimasto inutilizzato in seguito alle restrizioni introdotte per il Covid, ma anche dopo che papa Francesco, nell’ottobre 2019, contro le regole liturgiche, vi collocò una ciotola contente terra e pianticelle dell’Amazzonia, dedicate alla falsa dea detta pachamama.
Armin Schwibach, professore di filosofia e corrispondente da Roma del sito cattolico austriaco Kath.net, ha pubblicato su Twitter il 17 dicembre una foto dell’altare con questo commento: “L’altare papale svuotato e oggi inutilizzato. Una specie di vuoto percettibile al centro della basilica”.
LifeSiteNews ha contattato il professor Schwibach, chiedendogli di spiegare il significato del suo commento e della foto. Ha riferito che dal lockdown anti-Covid il papa non ha più offerto il sacrificio della Santa Messa su questo altare. Papa Francesco ha invece celebrato la Messa, ad esempio nella Pasqua di quest’anno, sull’altare della Cattedra di San Pietro, che si trova dietro l’altare maggiore della basilica, e solo con un piccolo gruppo di persone presenti. In un video è possibile verificare che l’altare maggiore è inutilizzato, mentre viene usato quello dietro di esso. Anche il 12 dicembre, festa della Madonna di Guadalupe, papa Francesco ha celebrato la Messa sull’altro altare, dietro l’altare maggiore, e quando è passato accanto all’altare papale non si è inchinato. Idem per quanto riguarda la Messa in occasione del concistoro per i nuovi cardinali, il 28 novembre. Per tutti questi mesi, dice Schwibach, l’altare papale è rimasto abbandonato: un vuoto simbolico.
Interpellato da Duc in altum, il professor Schwibach ha confermato quanto scritto su Twitter ed ha aggiunto: “È innanzitutto una questione di simboli e di sentimenti. La scelta dell’altare della Cattedra secondo me è assai incomprensibile, e strumentale. A ciò si aggiunge lo scempio dell’anno scorso con la pachamama. Ricordo poi che ancora oggi è a dimora nei giardini vaticani quella famosa quercia piantata con gli sciamani. Sono coincidenze? Secondo me, no. A San Pietro si respira il grande vuoto. La tomba di san Pietro abbandonata. Durante la seconda guerra mondiale Pio XII non usò l’altare maggiore per mesi, ma quello era l’uso preconciliare, mentre era molto più utilizzata la Cappella Sistina, anche per le canonizzazioni”.
Lo scorso anno, per la Messa della veglia natalizia del 24 dicembre 2019, papa Francesco celebrò sopra l’altare maggiore, con la basilica gremita di fedeli. Quest’anno celebrerà la Messa di mezzanotte alle 19:30, alla presenza di poche persone, e utilizzando l’altare della Cattedra di San Pietro.
L’altare papale, detto anche altare della Confessione (da confessio: perché Pietro testimoniò la sua fede con il martirio), è il fulcro della basilica di San Pietro. Sovrastato dal baldacchino realizzato da Gian Lorenzo Bernini, fu consacrato da papa Clemente nel 1594 ed è situato in perpendicolare sopra la tomba di Pietro.
Il 10 marzo la basilica di San Pietro venne chiusa a causa delle restrizioni contro il Covid e fu utilizzata solo dal cardinale Angelo Comastri, fino a maggio, per la preghiera del rosario.
La ciotola con la terra e le piante, consegnata al papa durante l’offertorio e poi posta sopra l’altare maggiore in occasione della Messa di chiusura del sinodo amazzonico, il 27 ottobre 2019, in precedenza era stata data al papa da una “sacerdotessa” amazzonica nei giardini vaticani durante una cerimonia pagana il 4 ottobre 2019, all’inizio del sinodo.
Non molto tempo dopo questo evento, papa Francesco decise di non essere più chiamato, nell’Annuario pontificio 2020, con l’appellativo di Vicario di Cristo, attribuendo a questa espressione il carattere di mero “titolo storico”.
All’epoca il professor Schwibach commentò su Twitter: “Sembra che continuino a smantellare tutto”.
DECISIONE DISCUTIBILE
Assoluzione generale, i criteri che oggi mancano
I Vescovi del Nord-Est e del Nord-Ovest (vedi qui e qui) si sono ritrovati concordi nel promuovere per le prossime festività l’assoluzione generale. Mentre i Vescovi di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige hanno in mente soprattutto la possibilità di raggiungere le persone, ormai ridotte alla stregua di detenuti, presenti nelle case di riposo e negli ospedali, quelli di Piemonte e Valle d’Aosta intendono estenderla anche agli adulti, ragazzi e bambini.
La Penitenzieria Apostolica, consultata dai Vescovi, avrebbe concordato sul fatto che l’attuale pandemia in corso rientri nella «grave necessità» prevista dal n. 31 del Rito della Penitenza, che richiama il can. 961 § 1, il quale, a sua volta, incorpora le Norme pubblicate nel 1972 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Sacramentum Paenitentiae, 3. A ben vedere, però, il testo in questione non sembra confortare l’interpretazione data dalla Penitenzieria, a giudicare almeno dalla linea scelta dai Vescovi. Cerchiamo di capirne la ragione.
Paolo VI, rivolgendosi ad un gruppo di Vescovi degli Stati Uniti (vedi qui), aveva insistito sull’interpretazione restrittiva della possibilità dell’assoluzione generale, prevista in Sacramentum Paenitentiae: «Nella vita della Chiesa l’assoluzione generale non si deve usare come normale opzione pastorale, o come mezzo per affrontare qualsiasi situazione pastorale difficile». Altro è far fronte a situazioni complesse e difficoltose, altro è trovarsi in «situazioni straordinarie di grave necessità».
Come delineare queste ultime? In occasione delle due guerre mondiali, i Pontefici concessero ai cappellani militari la facoltà di assolvere collettivamente i soldati in procinto di entrare in battaglia (cf. AAS 7 (1915), 72 e AAS 31 (1939), 712). L’Istruzione Ut dubia del 25 marzo 1944 confermava, a sua volta, la possibilità dell’assoluzione generale in pericolo di morte, estendendola ai casi in cui si presenti «un’altra necessità manifestamente grave ed urgente, proporzionata alla gravità del precetto divino dell’integrità della confessione». È infatti diritto divino, e perciò non dispensabile, che il penitente confessi integralmente i propri peccati; anche il documento del 1972 richiama questo precetto divino, chiaramente insegnato dal Concilio di Trento. Questo significa che l’assoluzione generale può essere concessa solo quando non è ragionevolmente possibile assolvere individualmente e a patto che i fedeli, non appena possibile, si confessino personalmente.
Il Rito della Penitenza e il Diritto Canonico si mettono in questa scia e non lasciano indeterminate quelle situazioni nelle quali ricorra una grave necessità tale da richiedere l’assoluzione generale. Infatti viene specificato, con un videlicet (“cioè, vale a dire”), che tale gravis necessitas, distinta dall’imminente pericolo di morte, si verifica «quando, dato il numero dei penitenti, non si ha a disposizione un numero sufficiente di confessori per ascoltare come si conviene ed entro un congruo periodo di tempo, le confessioni dei singoli penitenti, i quali di conseguenza sarebbero costretti, senza loro colpa, a rimanere a lungo privi della grazia sacramentale o della santa Comunione». Si tratta dunque dell’impossibilità oggettiva di avere un congruo numero di sacerdoti per ascoltare ed assolvere individualmente, al punto che i penitenti sarebbero costretti a rimanere per lungo tempo senza la grazia sacramentale. Il Rituale precisa ulteriormente che, qualora si avessero «a disposizione dei confessori, non è lecito servirsi di questa concessione per la sola ragione di una grande affluenza di penitenti».
Come si possa ritenere che l’attuale pandemia rientri all’interno di questa grave necessità, si fa veramente fatica a comprenderlo. La stragrande maggioranza delle persone è assolutamente sana e, pur con le dovute precauzioni, è in grado di andarsi a confessarsi. Chi è in quarantena, non lo è in eterno, e non si trova perciò nella situazione di rimanere a lungo privo della grazia di Dio; in ogni caso, non potrebbe nemmeno recarsi in chiesa per l’assoluzione generale. Nemmeno si può pensare che ci si trovi in una situazione collettiva di imminenza della morte, nonostante gli sforzi terroristici persuasivi di alcuni virologi da tv. Peraltro, il limite di tempo di questa concessione, precisato dai Vescovi - ossia dal 16 dicembre al 6 gennaio -, la dice lunga sul fatto che si stia forzando il testo normativo di riferimento: perché la situazione del 16 dicembre dovrebbe essere grave e urgente, mentre quella del 15 no? Perché all’Epifania si dovrebbe essere considerati tra coloro che rischierebbero di rimanere a lungo senza la grazia di Dio, mentre il giorno successivo, improvvisamente, la grazia di Dio è di nuovo “a disposizione”?
Che dire della situazione di quei fedeli rinchiusi in case di riposo, RSA o in reparti ospedalieri, nei quali non sia consentito al sacerdote entrare per amministrare i sacramenti? Anzitutto i Vescovi facciano valere quei diritti che il Concordato, all’art. 11, riconosce, e che non di rado vengono violati dalle direzioni di queste strutture, che fanno di tutto per evitare l’accesso dei sacerdoti: «La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici», assicurando perciò «l’assistenza spirituale ai medesimi». Dunque, anche in queste situazioni, il sacerdote può e deve prestare il suo servizio ed è dovere dei Vescovi richiamare lo Stato italiano ai principi sottoscritti, qualora un po’ di amnesia ne abbia favorito la dimenticanza. E sarebbe il caso di farlo quanto prima, visto che ci sono moltissime persone nelle case di riposo che non vedono un sacerdote da mesi.
Né il gran numero di persone presenti nelle case di riposo o la mancanza di tempo possono essere giustificazioni adeguate: è a loro, più di tutti, che dev’essere dato un occhio di riguardo nella cura pastorale, a motivo della fragilità della loro condizione. Visto che nel periodo natalizio le Curie sono vuote, si avranno a disposizione molti confessori straordinari...
Un’ultima osservazione: è vero che il Diritto canonico riconosce che spetti al Vescovo diocesano «giudicare se ricorrano le condizioni richieste a norma del § 1, n. 2» e determinare così «i casi di tale necessità» (can. 961 § 2); ma, appunto, lo deve fare secondo i criteri dell’articolo menzionato e non a propria discrezione. Paolo VI, nel già citato discorso ai Vescovi statunitensi, ricordava infatti che «gli Ordinari non furono autorizzati a cambiare le condizioni richieste, a sostituirle con altre condizioni, o a determinare la grave necessità secondo i loro personali criteri, comunque degni».
Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/assoluzione-generale-i-criteri-che-oggi-mancano
Mons. Ics Sogna: Vescovo Affigge In Vaticano Tesi Contro Le Nuove Indulgenze.
19 Dicembre 2020 4 Commenti
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, le singolari alleanze che la Chiesa di papa Bergoglio sembra allacciare con i più strani compagni di letto hanno colpito mons. Ics, che ci ha racconta di un suo sogno – o visione – dei giorni scorsi. Buona lettura.
§§§
Caro Tosatti, leggendo quanto riportato da questo link, ho avuto una “visione paradossale”.
Ho visto un Vescovo italiano (che mi pare di aver riconosciuto, ma non ci giurerei) compiere un gesto simbolico equivalente a quello di Lutero nel 1517,quando affisse le 95 tesi sulla porta del duomo di Wittemberg.
Lui le affiggeva a porta Sant’Anna–Vaticano.
Lutero fece la Riforma con la scusa della vendita delle indulgenze necessarie a costruire San Pietro nel 1515. Oggi si direbbe che si stiano vendendo (o scambiando, o regalando) indulgenze per distruggere San Pietro.
Le indulgenze che oggi sembrano esser concesse gratuitamente, non riguardano certo i peccati commessi, sono la “legittimazione morale” che la nostra Chiesa sta oggi garantendo a progetti, ma soprattutto a persone, che perseguono obiettivi opposti a quelli dichiarati e mirano da tempo a distruggere la Chiesa, le sue verità, i suoi valori.
Il link qui sotto riportato non lascia dubbi in proposito, grazie all’ultima alleanza sul Global Compact on Education per educare il mondo alla eguaglianza di genere e ad altre nobili aspirazioni.
Ma questo progetto è confondente, non tanto per gli obiettivi dichiarati, quanto per le persone con cui viene fatto, cioè noti nemici della chiesa cattolica. Da Ban-Ki-Moon (ex segretario Onu, che spiegava le migrazioni per realizzare sincretismo religioso), a UNESCO (la Vaticano gnostica), con il solito “prezzemolo” gnostico, abortista, malthusiano, ambientalista, amico del capo della Pontificia Accademia delle Scienze (mons. Sanchez Sorondo) Jeffrey Sachs, ecc.
Alcune informazioni su quanto avvenne nel 1515, dovrebbero incuriosire, vediamo.
Il Papa che decise e realizzò la vendita di indulgenze nel 1515 fu Leone X, figlio di Lorenzo de Medici, la cui fama di esser sodomita (con tutti i sospetti del caso sulle persone di cui si circondava) non era neppure messa in dubbio.
Tutti i giorni, il maggior blog dell’epoca (lo Stilum Curiae del 1515 per intenderci), che si chiamava “pasquinate” (le informazioni di blog venivano affisse sulla statua di tal Pasquino), parlava delle “performance” di Leone X e dei suoi compagni di giochi.
Indagando poi come Leone X vendeva indulgenze si scopre che solo un 30% degli incassi andava a sostenere la costruzione di San Pietro; molto andava a finanziare i fasti rinascimentali del suo pontificato e ad aiutare amici di famiglia (il babbo Lorenzo era il maggior banchiere italiano).
Infatti l’appalto per vendere le indulgenze (soprattutto in Germania) lo diede agli amici di papà, i banchieri Fugger, che si professavano cattolici, ma dal punto di vista di esercizio del potere e ricchezza equivalevano a dei Soros o Bill Gates, di oggi. Curiosa similitudine di alleanze, no?
La grande differenza forse sta nel fatto che Leone X non cadde in eresie e non fece apostasia.
Spero di riavere la visione del vescovo italiano che affigge le nuove tesi sulla nuova vendita (o scambio) di indulgenze, a porta sant’Anna…
Assicuro che è consolante.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.