Benedizioni omosex. Il papa si rimangia il divieto, quando invece nell’anno 2000…
L’alt intimato il 15 marzo dalla congregazione per la dottrina della fede alle benedizioni delle coppie dello stesso sesso ha scatenato nella Chiesa un diffuso moto di ribellione, con il suo epicentro in Germania e Belgio, dove anche vescovi di primissimo piano hanno pubblicamente respinto e dileggiato la decisione di Roma.
Ma da domenica 21 marzo l’incognita maggiore è ormai un’altra. E riguarda il papa.
Francesco condivide o no questo “Responsum” della congregazione che vigila sulla retta dottrina della Chiesa?
Il documento porta le firme del cardinale Luis F. Ladaria, prefetto del dicastero, e dell’arcivescovo Giacomo Morandi, segretario del medesimo.
Ma vi si trova anche scritto che “il sommo pontefice Francesco, nel corso di un’udienza concessa al segretario di questa congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del suddetto ‘Responsum ad dubium’, con annessa ‘Nota esplicativa’”.
Già in questa formulazione, tuttavia, vi sono degli indizi che fanno pensare a un minore coinvolgimento di Francesco rispetto ai precedenti “Responsa” della stessa congregazione.
Nelle precedenti occasioni il papa aveva dato preliminarmente udienza non al segretario ma al cardinale prefetto del dicastero, e non per esserne semplicemente “informato” e “dare il suo assenso alla pubblicazione”, come in questo caso, ma per qualcosa di più impegnativo: per “approvare”, cioè per fare propria la decisione, e per “ordinare” che sia pubblicata.
Dal bollettino ufficiale delle udienze risulta che il segretario della congregazione Morandi è stato ricevuto da Francesco il 28 gennaio, mentre il cardinale prefetto Ladaria è stato ricevuto l’ultima volta il 18 marzo, tre giorni dopo la pubblicazione del “Responsum”, quando già la ribellione contro il divieto era scoppiata.
I ribelli, in realtà, non prendevano tanto di mira Francesco in persona. Scagliavano piuttosto i loro dardi contro la congregazione per la dottrina della fede, il Vaticano, l’istituzione ecclesiastica. Implicitamente, come già altre volte, tendevano a separare il papa dalla curia e ad esonerarlo da una responsabilità diretta.
E lui? È come stato al gioco. All’Angelus di domenica 21 marzo ha aggiunto a braccio un paio di glosse al testo che aveva in lettura, per marcare anche lui le distanze da quelle rigidità e aridità clericali, elitarie, che sono il suo bersaglio abituale, da papa che sta dalla parte del popolo contro l’istituzione.
Ecco il passaggio con le parole che Francesco ha aggiunto a braccio, sottolineate:
“Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi, non con condanne teoriche, ma con gesti di amore. Allora il Signore, con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali. Questo è terreno arido”.
Poche ore dopo, puntualmente, è arrivata la doppia conferma che proprio di questo si trattava, di un’allusione del papa, non certo benevola, al “Responsum” che vieta le benedizioni delle coppie omosessuali.
La doppia conferma è arrivata – con il rituale rimando a “fonti vaticane autorevoli che vogliono restare anonime” – da due vaticanisti di rilievo da tempo classificati tra i più vicini a Jorge Mario Bergoglio: l’irlandese Gerard O’Connell e sua moglie, l’argentina Elisabetta Piqué, rispettivamente sulla rivista dei gesuiti di New York “America” e sul quotidiano di Buenos Aires “La Nación”.
Il risultato di questa obliqua presa di distanza del papa è che da qui in avanti il “Responsum” contro le benedizioni delle coppie omosessuali sarà ritenuto da molti una mera “opinione”, esattamente come l’aveva liquidato fin da subito il presidente della conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, nella cui diocesi – come in altre, in tutto il mondo – quelle benedizioni sono praticate da tempo.
E non saranno di certo interrotte, con papa Francesco che lascerà fare tutto e il contrario di tutto senza mai dire con chiarezza che cosa vuole per davvero. Come è già avvenuto per la comunione eucaristica condivisa tra cattolici e protestanti, dopo quel suo memorabile “sì, no, non so, fate voi” che ha disarmato qualsiasi successivo intervento correttivo della congregazione per la dottrina della fede o del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.
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Questo è ciò che accade oggi. Ma c’è un precedente, molto simile ma di esito opposto, che è istruttivo richiamare.
Era l’anno 2000, con Giovanni Paolo II papa e con Joseph Ratzinger cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede.
Materia del contendere fu una dichiarazione, la “Dominus Iesus”, firmata da Ratzinger e dall’allora segretario della congregazione Tarcisio Bertone, che riaffermava un caposaldo assoluto della fede cristiana: che la salvezza di tutti viene da Gesù e da lui solo.
Vi era anche scritto che Giovanni Paolo II aveva “ratificato e confermato” la dichiarazione “con certa coscienza e con la sua autorità apostolica”.
Ma ciò non impedì che si levasse anche allora un’ondata di ribellione, anche da parte di vescovi e cardinali di prima grandezza.
E anche allora il bersaglio esplicito non fu il papa, quanto piuttosto la congregazione per la dottrina della fede e il suo cardinale prefetto.
Addirittura ci fu chi – come lo storico del Concilio Vaticano II Alberto Melloni – attribuì la stesura della “Dominus Iesus” all'"incompetenza" di non precisati "collaboratori della congregazione" che lo stesso Ratzinger “in colloqui diretti mostrava di non apprezzare e di non conoscere”, e tutto questo al fine di sabotare il papato di Karol Wojtyla “per il suo atteggiamento ecumenico e le sue tesi sul Dio del Corano”.
Ma non accadde affatto che Giovanni Paolo II prendesse poi pubblicamente le distanze da quel documento, in un Angelus successivo. Anzi, accadde tutto il contrario.
Per cominciare, vista l’entità delle proteste, papa Wojtyla convocò per discuterne e decidere il da farsi il cardinale Ratzinger. Esattamente come pochi giorni fa papa Francesco ha convocato in udienza il cardinale Ladaria.
Ma che cosa accadde in quella riunione? E poi all’Angelus di domenica 1 ottobre 2000? Lasciamo la parola allo stesso Ratzinger e a come ne ha scritto – da papa emerito – in un libro del 2014:
“A fronte del turbine che si era sviluppato intorno alla ‘Dominus Iesus’, Giovanni Paolo II mi disse che all'Angelus intendeva difendere inequivocabilmente il documento. Mi invitò a scrivere un testo per l'Angelus che fosse, per così dire, a tenuta stagna e non consentisse alcuna interpretazione diversa. Doveva emergere in modo del tutto inequivocabile che egli approvava il documento incondizionatamente.
“Preparai dunque un breve discorso; non intendevo, però, essere troppo brusco e così cercai di esprimermi con chiarezza ma senza durezza. Dopo averlo letto, il papa mi chiese ancora una volta: ‘È veramente chiaro a sufficienza?’. Io risposi di sì.
“Chi conosce i teologi non si stupirà del fatto che, ciononostante, in seguito ci fu chi sostenne che il papa aveva prudentemente preso le distanze da quel testo”.
Si noti l’ironia tutta ratzingeriana di queste due righe finali. Certo non applicabili a papa Francesco, che nel suo Angelus di questo 21 marzo le distanze dal “Responsum” contro le benedizioni delle coppie omosessuali le ha prese davvero.
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(Nella foto in alto, del 28 novembre 2020, papa Francesco in visita dal papa emerito Benedetto XVI).
Settimo Cielo
di Sandro Magister 24 mar
“Al contrario, noi assumiamo che la vita e l’amore delle coppie dello stesso sesso non hanno meno valore davanti a Dio della vita e dell’amore di qualsiasi altra coppia”, hanno detto più di 200 professori di teologia del mondo di lingua tedesca hanno firmato una dichiarazione che critica il rifiuto del Vaticano di benedire le coppie dello stesso sesso.
Un articolo dello staff del Catholic News Agency, nella mia traduzione.
Più di 200 professori di teologia del mondo di lingua tedesca hanno firmato una dichiarazione che critica il rifiuto del Vaticano di benedire le coppie dello stesso sesso.
La dichiarazione, redatta presso l’Università di Münster, ha descritto il chiarimento della Congregazione vaticana per la dottrina della fede come privo di “profondità teologica, comprensione ermeneutica e rigore esplicativo”.
“Se le scoperte scientifiche vengono ignorate e non accolte, come nel caso del documento, il Magistero mina la sua stessa autorità”, hanno detto i professori, secondo CNA Deutsch, il partner di notizie in lingua tedesca della CNA.
“Il testo è caratterizzato da un gesto paternalistico di superiorità e discrimina le persone omosessuali e i loro progetti di vita”.
La Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha emesso un “Responsum ad dubium” il 15 marzo rispondendo alla domanda: “La Chiesa ha il potere di dare la benedizione alle unioni di persone dello stesso sesso?” La congregazione dottrinale ha risposto: “Negativo”, spiegando il suo ragionamento in una “nota esplicativa” e nel commento di accompagnamento.
Il responso è stato approvato per la pubblicazione da Papa Francesco e firmata dal prefetto della CDF, il cardinale Luis Ladaria, e dal segretario, l’arcivescovo Giacomo Morandi.
Il documento ha provocato forti reazioni nei paesi di lingua tedesca, dove un certo numero di vescovi hanno espresso pubblicamente il loro sostegno alla benedizione delle unioni dello stesso sesso. Essi includono il vescovo Georg Bätzing, il presidente della conferenza episcopale tedesca.
Bätzing ha detto il 15 marzo che la risposta della CDF riflette “lo stato dell’insegnamento della Chiesa come espresso in diversi documenti romani”.
Egli ha commentato: “In Germania e in altre parti della Chiesa mondiale, ci sono state discussioni per qualche tempo sul modo in cui questo insegnamento e lo sviluppo dottrinale in generale possono essere avanzati con argomenti validi – sulla base delle verità fondamentali della fede e della morale, della riflessione teologica progressiva, e anche nell’apertura ai risultati più recenti delle scienze umane e alle situazioni di vita delle persone oggi. Non ci sono risposte facili a domande di questo tipo”.
Alcuni sacerdoti cattolici hanno detto sui social media che avrebbero continuato a benedire le unioni omosessuali, mentre diverse chiese cattoliche hanno esposto bandiere arcobaleno, tra cui la cattedrale della diocesi di Rottenburg-Stuttgart.
Ma altri vescovi tedeschi hanno accolto con favore il chiarimento del Vaticano, tra cui il vescovo Rudolf Voderholzer di Regensburg e il vescovo Stefan Oster di Passau.
Nella loro dichiarazione, i professori di teologia hanno preso “fermamente” le distanze dall’intervento della CDF.
“Al contrario, noi assumiamo che la vita e l’amore delle coppie dello stesso sesso non hanno meno valore davanti a Dio della vita e dell’amore di qualsiasi altra coppia”, hanno detto.
“In molte congregazioni, sacerdoti, diaconi e altri ministri pastorali riconoscono le persone gay, anche offrendo celebrazioni di benedizione per le coppie dello stesso sesso e riflettendo su forme liturgiche appropriate per tali celebrazioni. Accogliamo con forza queste pratiche affermative”.
Nella sua nota esplicativa, la CDF ha detto: “La comunità cristiana e i suoi Pastori sono chiamati ad accogliere con rispetto e sensibilità le persone con inclinazioni omosessuali, e sapranno trovare i modi più appropriati, coerenti con l’insegnamento della Chiesa, per annunciare loro il Vangelo in pienezza.”
“Allo stesso tempo, esse devono riconoscere la genuina vicinanza della Chiesa – che prega per loro, le accompagna e condivide il loro cammino di fede cristiana – e ne accolgano con sincera disponibilità gli insegnamenti.”
Di Sabino Paciolla
Benedetto come “Kathecon” e la dissoluzione dei tempi
Pubblichiamo alcuni estratti dal libro “Capire Benedetto XVI – Tradizione e modernità, ultimo appuntamento”, di Stefano Fontana, appena uscito per le edizioni Cantagalli.
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Di fronte alla ingenerosità dei tempi, Benedetto XVI svolse una azione da Kathecon, di trattenimento di processi dissolutori. Dopo la fine del suo pontificato, il 28 febbraio 2013, la Chiesa cambiò volto e lo stesso papa Francesco ha parlato di un cambio di paradigma. La tesi di una continuità tra Francesco e Benedetto è insostenibile.
Come vedremo, Benedetto XVI non diede una sistemazione definitiva a tutti gli appuntamenti della storia nei quali fu coinvolto, e questo ha lasciato aperte delle fessure. Ma l’impianto del suo pensiero e del suo pontificato non ha nulla a che fare con quello di Francesco. Infatti del pontificato di Benedetto XVI nella Chiesa ufficiale di oggi rimane poco. Il tentativo di dimostrare la continuità è tuttora in corso e perfino a proposito della religione del Logos si sostiene che le posizioni dei due papi sono convergenti. Ma si tratta di forzature.
Sono state fatte molte analisi del pensiero di papa Francesco, anche diverse tra loro, ma alla fine tutte confluiscono in un pensiero storicista e antimetafisico. Nella sua visione della ragione Benedetto XVI recupera in modo originale la tradizione patristica e scolastica, talvolta la contamina con altre derivazioni, comunque si deve riconoscere che assegnò sempre all’ontologia e alla metafisica un ruolo fondativo del sapere anche teologico. Di orientamento molto diverso Francesco. Lo stesso riferimento al concetto di “opposizione polare” di Romano Guardini su cui molti insistono, testimonia un atteggiamento esistenziale e vitale più che metafisico: tra l’essere e il non-essere, tra il bene e il male non ci può essere “opposizione polare”. La cosiddetta “teologia del popolo”, che ha caratterizzato la formazione teologica e pastorale di Francesco, è pure di impianto storicistico. Essa si configura come una «teologia a partire dal popolo», perché il popolo non va evangelizzato ma «si evangelizza».
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Il dogma cattolico ha delle esigenze epistemiche. Esso per virtù propria incontra la ragione e non ogni tipo di ragione. La religione del Logos esprime essenziali pretese di verità che costituiscono un appello anche per la ragione naturale. In questo appello la ragione naturale è chiamata, nel senso pieno della parola vocazione, ad essere se stessa fino in fondo e a comprendere così di non potere stare senza la fede, anzi di esservi essenzialmente ordinata. Nell’enciclica Spe salvi, Benedetto XVI dice che la volontà umana ha bisogno della ragione che le faccia da guida, ma poi anche la ragione ha bisogno della speranza cristiana perché si possa rimanere fedeli alla verità anche quando c’è un prezzo da pagare. Questo è uno dei tanti spunti dagli scritti di Benedetto XVI dai quali risulta come la ragione abbia bisogno della fede, non per diventare altro da sé, ma per essere veramente se stessa. Questo si intende quando si parla di bisogno “essenziale” della fede da parte della ragione.
Questa sua pretesa ed esigenza di verità qualifica il cristianesimo come la religio vera e, proprio per questo, anche “dal volto umano”. Questa espressione, pronunciata da Benedetto XVI nel discorso al Convegno nazionale ecclesiale italiano di Verona del 2006 significa che quando la ragione umana si incontra con Cristo ne vede accolte, confermate e purificate tutte le proprie esigenze naturali – san Tommaso direbbe le proprie “inclinazioni” – comprese quelle della recta ratio. Quando accoglie la fede cristiana, l’uomo non deve rinunciare a nessuna verità della sua ragione rettamente condotta. Si tratta di un aspetto decisivo dell’apologia. La ratio, però, per essere recta, non deve rinunciare al rapporto con la fede. L’appello di verità della fede cristiana non si rivolge quindi ad una ragione pura, ma ad una ragione naturalmente disposta ad accoglierla e che quindi già gode della relazione con essa e della sua «protezione». La religio vera interpella la recta ratio e questa è tale perché accoglie la religio vera.
Questo quadro è entrato in crisi nella modernità, quando c’è stata una «autolimitazione della ragione» cui abbiamo già accennato, frutto della sua presunzione di assolutezza: una ragione assoluta non può che essere limitata. A quel punto la ragione ha preso la strada del positivismo, ossia di una «razionalità puramente funzionale», secondo cui «razionale è soltanto ciò che si può provare con degli esperimenti». Qui per positivismo non si intende solo una corrente filosofica della seconda metà dell’Ottocento, ma in generale una filosofia appiattita sul misurabile. Benedetto XVI la chiama anche «illuminista radicale» e dice di essa che tende ad estendersi in tutto il mondo. Con l’estensione del positivismo, egli nota, è come se all’uomo «venisse strappato il cielo da cui sembra provenire e gli venisse lasciata in mano soltanto la terra dei fatti; quella terra in cui egli cerca ora, con la sua misera vanghetta, di decifrare la faticosa vicenda del suo divenire». Ratzinger ha ben messo a fuoco la dittatura della tecnica, che egli chiama positivismo, secondo la quale «ciò che si sa fare, si può anche fare». Egli aveva da tempo seguito lo sviluppo della tecnica e nell’opera Introduzione al Cristianesimo ne aveva descritto la genealogia. Secondo lui i passaggi sono stati tre: Cartesio ha trasformato il sapere in calcolo, Vico ha individuato la verità nel factum; Marx l’ha vista nel da farsi. Questa adesione al novum inteso come faciendum ha comportato di intendere l’alienazione come persistenza del passato (tradizione) e del trascendente (metafisica).
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Il libro può essere ordinato all’Osservatorio Cardinale Van Thuan, scrivendo all’email info@vanthuanobservatory.org, per riceverlo senza spese postali.
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