La rinuncia del card. Sarah ed il giubilo dei buoni
La rinuncia del Cardinale Robert Sarah per motivi anagrafici (ha compiuto 75 anni a giugno del 2020), mentre viene accolta con tristezza dai settori più conservatori della Chiesa, sembra aver rallegrato alcuni giornalisti e teologi di stampo progressista e liberal che attendevano da tempo l’uscita di scena del porporato ghanese, nominato vescovo nel 1979 da Giovanni Paolo II e creato cardinale da Benedetto XVI nel 2010.
Infatti l’ormai ex Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti è da tempo nel mirino di coloro che consideravano la sua presenza in Curia troppo ingombrante e non adatta al nuovo corso di riforma voluto da papa Francesco e che hanno contribuito a caricaturare la figura del cardinale come un ultra-tradizionalista in costante contrasto col Pontefice.
«Ci rivedremo molto presto a Roma e altrove» ha scritto su Twitter il cardinale congedandosi dai suoi numerosi followers, ricevendo a sua volta centinaia di dimostrazione di affetto e stima sul social. In un’intervista rilasciata a Il Foglio il 10 marzo, il cardinale ha ribadito la sua intenzione di continuare a lavorare: “Continuerò a scrivere, a parlare, a viaggiare” perché “La Chiesa ha più che mai bisogno di vescovi che parlino chiaramente, liberamente e fedelmente a Gesù Cristo agli insegnamenti dottrinali e morali del suo Vangelo”. “Desidero sostenere la fede di tanti cristiani confusi disorientati dalle tante crisi che stiamo vivendo…”
Frasi che hanno infastidito chi le ha volute interpretare come una reticenza ad abbandonare la scena o, per lo meno, la Città Eterna. Il teologo italiano Massimo Faggioli, esponente di spicco dell Scuola di Bologna (ala teologica, per così dire “di sinistra”) si è riferito al tweet del cardinale in maniera ironica. “Una volta i cardinali sapevano congedarsi con stile” ha scritto il professore della Villanova University di Philadelphia e laudatore del presidente statunitense Joe Biden (recentissimo il suo libro sul presidente “Biden il cattolico” che curarerà “le ferite morali e corporali inflitte all’America da Trump”).
Non le manda a dire il sito romano “Faro di Roma” che in un articolo firmato dalla redazione chiosa “finalmente” nel commentare la rinuncia di Sarah. «Esce (finalmente) di scena il card. Robert Sarah, rimosso a 75 anni e sei mesi da prefetto della Congregazione del Culto divino e della disciplina dei sacramenti, da tempo in rotta di collisione con la riforma di Papa Francesco. Era scaduto dal suo incarico giù nel 2019 e non era stato rinnovato. Un trattamento analogo a quello riservato (giustamente) al card. Muller, non confermato prefetto della Dottrina della Fede. Sarah e Muller pur essendo stretti collaboratori del Papa hanno spesso assunto posizioni di aperta ostilità verso Francesco e la sua Riforma».
Eppure chi ha avuto modo di conoscere da vicino il cardinale Sarah può confermare che si tratta di un uomo di Dio, immerso nella preghiera e nella meditazione, lontano dalle logiche di potere che caratterizzano altri esponenti di curia e sulle quali si basano molte analisi dei cosiddetti vaticanisti e teologi.
Una visione opposta viene invece raccontata da chi (forse senza conoscere il cardinale) legge gli eventi ecclesiastici con la lente politica. Come lo stesso Faro di Roma che in un articolo del 20 febbraio, descrive il Cardinale come una sorta di “antipapa” che “non ha a cuore l’unità della Chiesa“; che, più volte “rimproverato” da Francesco, ha continuato ad adoperarsi alla ricerca della notorietà e del consenso al fine di farsi eleggere Papa in un prossimo Conclave (!). «Una contrapposizione cercata dal porporato tradizionalista in vista di un Conclave che grazie a Dio sembra ancora piuttosto lontano. E poi libri e interviste a difesa della “vera cattolicità”. La ricerca esasperata di una notorietà nell’opinione pubblica ecclesiale del tutto fuori luogo per un cardinale capo dicastero».
Ciò che questi signori non perdonano a Sarah è il suo rappresentare la difesa della tradizione (più volte lodata dal cardinale come pietra su cui fondare la Chiesa) e l’affetto dimostrato nei suoi confronti da molti giovani e da settori più conservatori; il tutto in contrapposizione con la disaffezione di per sé sempre più crescente (ma questo è un altro discorso) verso il Pontefice regnante. Una dinamica dalla quale il cardinale africano ha più volte preso le distanze riaffermando la sua filiale obbedienza e devozione a Francesco, nonostante siano evidenti le diversità di vedute su alcuni temi specifici (come ad esempio l’immigrazione dai paesi africani, su cui Sarah ha ritenuto opportuno prendere posizioni più vicine ai vescovi africani che a quelle di papa Francesco, o la stessa liturgia). Secondo alcuni Sarah avrebbe creato un vero e proprio “magistero parallelo” opposto a quello di Francesco. Una gravissima accusa arrivata in questi giorni dalle colonne del Tablet e riproposta ai lettori dal prof. Faggioli.
Ma il “peccato originale” di Sarah sarebbe quello di mantenere una stretta amicizia col papa Emerito. Assieme a lui pubblicò (a gennaio del 2020) un libro a difesa del celibato ecclesiastico, intitolato “Dal profondo dei nostri cuori“, proprio mentre ampi settori della Chiesa premevano affinché il sinodo dell’Amazzonia, allora in corso, aprisse alla possibilità dei “preti-sposati”. Una provocazione considerata irricevibile dai nemici del papa Emerito. L’occasione valse per denigrare e calunniare il cardinale anche attraverso delle vignette pubblicate da un sacerdote italiano dalla vocazione socialista prima ancora che artistica.
Il testo di Sarah e Ratzinger sulla difesa del celibato fu considerato una sorta di “complotto” contro papa Francesco (e addirittura contro Benedetto XVI “raggirato”, dicevano, dal Cardinale traditore) che, secondo alcuni, era pronto a riformare la disciplina sul celibato. Nulla di tutto questo. Francesco ha difeso il celibato ecclesiastico e non ha aperto in alcun modo alla possibilità di ordinare le donne, cosa che ha deluso i molti sostenitori di una riforma radicale in materia.
Si può in qualche modo capire il senso di frustrazione di coloro che, dal 2013, hanno contribuito a creare l’immagine di Francesco come papa rottamatore, castigamatti e fustigatore della tradizione, per approfittare dell’occasione per “far nuove tutte le cose”, tentazione da sempre presente tra gli ecclesiastici. Nell’entustiastico slancio verso una futura “nuova chiesa” sono riapparse le vecchie accuse (prima provenienti dalla periferia, ora anche dal centro) contro Giovanni Paolo II e il suo pontificato, accusato di conservazionismo e coperture, di diktat e di condanne (con Ratzinger alla Dottrina della Fede come braccio armato). Accusato di aver concesso troppo spazio a movimenti come Opus Dei e Legionari di Cristo (e di questi ultimi di aver “coperto” le malefatte del suo fondatore con la complicità del segretario personale Stanislaw Dziwisz), di aver richiamato all’ordine i teologi della Liberazione, di aver corretto i teologhi pluralisti e i moralisti dai buoni sentimenti con la pubblicazione dell’enciclica Veritatis Splendor, anche il papa polacco si prende oggi la sua parte di rancore. Tutto contribuisce alla riforma e alla rinascita della Chiesa.
Eppure, mentre danno sfogo al rancore su twitter e interviste, questi personaggi si presentano come interpreti e rappresentanti della “Chiesa della misericordia”, sostenitori della “rivoluzione della tenerezza”, nemici giurati del “chiacchiericcio” e dei “lamenti” (l’ormai celebre “Vietato lamentarsi” del dott. Noè affisso a Santa Marta), azionari della “Chiesa in uscita”, operatori spirituali della “Chiesa ospedale da campo”, sostenitori della svolta democratica, interpreti e custodi della “via sinodale”, campioni dell’ecumenismo e del dialogo a tutto campo.
Post scriptum. Presentare la rinuncia ai 75 anni è per i vescovi cosa dovuta secondo il diritto canonico, ma accettarla dipende dal Sommo Pontefice che può decidere di prolungare il mandato oltre l’età della pensione come ha fatto per altri porporati. Ad esempio, a capo della Congregazione per il Clero resta il cardinale Beniamino Stella coi suoi quasi 80 anni, mentre il card. Ravasi, coi suoi 78 anni, guida il Pontificio Consiglio per la Cultura e il card. canadese Ouellet, 76 anni, è prefetto della Congregazione dei Vescovi. Al contrario, nel 2017, il Papa ha accettato la rinuncia del card. tedesco Gerhard Muller (teologo di razza, allievo e, in qualche modo, erede della tradizione teologica di Joseph Ratzinger) allo scadere del suo mandato quinquennale alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede. Una sostituzione che ha molti è sembrata un “licenziamento” (poteva essere confermato). Eppure c’è da dire che Muller è stato sostituito dal teologo spagnolo Luis Ladaria, per anni docente di Dogmatica alla Gregoriana e insospettabile difendore della dottrina cattolica. Non di certo un guardiano della revolución. Basti vedere come ha risposto in merito alla “benedizione alle coppie gay”, provocando reazioni oltremodo scomposte dei suddetti novatori.
Il Papa è sovrano, ricorda Matteo Matzuzzi de Il Foglio: può decidere autonomamente a chi affidare i ruoli più importanti in Curia e ha il diritto di scegliere liberamente i propri collaboratori.
Di certo si potrebbe obbiettare che rinunciare a un teologo del calibro di Gerhard Muller, rinunciare oggi al Prefetto della Congregazione per il Culto a pochi settimane da una Pasqua a rischio loockdown e lasciare “vacante” la sede (addirittura “commissariata”), così come congedare il Cardinale Comastri che ha accompagnato milioni di italiani durante la Pandemia con la sua preghiera del rosario in tv (i suoi libri sono topseller nel settore e il cardinale era al punto massimo della notorietà e ben voluto da tutti) siano gesti quantomeno discutibili. Ma il Papa è il Papa, col suo stile (anche brusco) e le sue preferenze (anche discutibili). Questo discorso vale per Francesco, così come valeva per Giovanni Paolo II che affidò al cardinale Ratzinger, mal sopportato da chi ora occupa la scena, la guida della Congregazione per la Dottrina della Fede con buona pace di chi chiedeva una chiesa democratica mentre ora esulta per il papa sovrano dotato di pieni poteri. Dipende dal Papa, dipende dai collaboratori. Democratici (e buoni) al 50%.
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