ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 27 aprile 2021

La paura che uccide e il coraggio che manca

 I tempi della paura. Di Bernard Dumont


Pubblichiamo in una nostra traduzione dal francese, l’editoriale del numero 151 (Printemps 2021) della rivista “Catholica” (www.catholica.fr) a firma del suo direttore Bernard Dumond.

 

Nel 2009, Jaques Attali, che assume volentieri il compito di consigliere del principe, fece una affermazione che oggi acquista un rilievo particolare: “La storia ci insegna che l’umanità non si evolve in modo significativo se non quando ha veramente paura”.

La frase è ampollosa ma dietro la genericità della proposta nasconde una intenzione politica. Coloro che intendono approfittare di un’occasione come quella dell’attuale attacco virale mondiale possono orientare il corso delle cose nel senso che a loro conviene, ottenendo la sottomissione delle masse attraverso mezzi psicologici piuttosto che attraverso l’uso della sola forza. In questa visione che possiamo chiamare di economia, è del tutto naturale che l’utilizzo della paura sia un ingrediente privilegiato della fabbrica del consenso, dalla propaganda di guerra fino alla “comunicazione sociale”. Si tratterà quindi di alternare seduzione e minaccia, promesse di protezione e annuncio delle peggiori calamità in funzione dell’accettazione o del rifiuto delle costrizioni imposte.

Tra le numerose – e diversificate – analisi di manipolazioni che si sono moltiplicate dopo l’irruzione dell’ultimo coronavirus, un documentario belga fornisce l’estratto da una conferenza di un importante virologo, belga lui stesso, Marc Van Ranst, nel 2019, al Royal Institute of International Affairs, a Londra. Quest’altro consigliere del principe spiega con compiacenza come egli si fosse già mosso, dieci anni prima, per provocare una reazione di massa a favore della vaccinazione contro il virus HIB1. Prima di tutto aveva preso contatto con dei giornalisti per essere considerato come “l’esperto insostituibile” e sempre disponibile; in seguito fece in modo che si ripetesse con insistenza un messaggio allarmista sul tema: il vaccino o la morte, e contò su di essi affinché lo diffondessero con la drammatizzazione adatta. La paura viene quindi utilizzata non tanto per rompere le resistenze, quanto piuttosto per ottenere l’accettazione volontaria di ogni tipo di costrizione, comprese quelle che vengono declassate per essere sostituite da altre altrettanto imperative.  Che i processi possano servire a soddisfare interessi particolari o progetti di dominio sotto la copertura dell’esperienza, oppure che si tratti semplicemente di casi di fortuna propri di una società di massa sensibile alle emozioni più che alle argomentazioni elaborate… i fatti comunque rimangono questi.

La strumentalizzazione della paura è stata oggetto di studi scientifici, alla pari di altri elementi che rientrano nel campo della psicologia di massa. Serge Tchakhotine, discepolo di Pavlov, stima, nella sua principale opera Le viol des foules par la propagande politique, rieditato una prima volta nel 1952 (Gallimard), e adatto alla situazione del mondo di allora, che ”si vive su due elementi fondamentali aventi la stessa origine – la paura, la Grande Paura Universale. Da un lato c’è la paura della guerra […] la paura della bomba atomica; dall’altro la paura che è alla base dei metodi attuali di governo: lo stupro psichico delle masse”. Subito dopo, Tchakhotine precisa: “Oggi, lo stupro psichico delle masse è sul punto di divenire un’arma di estrema potenza e terribilmente pericolosa. Le scoperte scientifiche recenti alimentano questo pericolo in una misura finora sconosciuta. È la televisione che minaccia di diventare un veicolo terribile dello stupro psichico”.

Cosa direbbe oggi questo autore, dopo settant’anni di sviluppo esponenziale dell’universo della comunicazione? Perché se c’è tra quel periodo di inizio della guerra fredda e il nostro una certa continuità, al di là dei cambiamenti parziali degli attori, certi dati sono tuttavia fortemente cambiati. Da una parte, i mezzi tecnici hanno fatto un salto qualitativo evidente, che promette di respingere a breve scadenza ogni limite alla integrazione tra uomo e macchina; dall’altra, e simultaneamente, le forze economiche e ideologiche che tendono alla unificazione del mondo sotto un’unica “governance” sono più audaci che mai, e trovano nella malattia universale del Covid una eccezionale occasione per assicurare un grande balzo in avanti, più plausibile di quello che aveva sognato Mao. Infine, gli studi applicati si sono moltiplicati nel campo della psicologia sociale, disciplina che si definisce non come una ricerca teorica ma come una “ricerca-azione”, una scienza sperimentale applicata che serve da modello d’azione per tutti gli agenti dei cambiamenti funzionali all’espansione del capitalismo o di qualsiasi altro sistema di dominio sugli individui.

È sufficiente percorrere gli innumerevoli lavori in questo ambito, orientati principalmente a rivolvere i problemi di performance nell’impresa, ma anche aperti su vasti campi di ricerca, comprese le sette, il lavaggio del cervello ai tempi della guerra di Corea,  l’esperimento di Milgram di misurazione della sottomissione degli individui ecc., per constatare la grande attenzione riservata all’utilità sociale della paura. Un professore americano, Robert S. Baron, specialista riconosciuto nella materia, sostiene per esempio che la paura fa parte delle “emozioni eccitanti che tendono a diminuire lo sforzo che la gente dispiega per esaminare un contenuto persuasivo”. Comprendere: la paura obnubila il giudizio, il che permette di indebolire o annullare il senso critico, e quindi far passare le idee, o far accettare i comportamenti che si cerca di imporre. Sulla stessa linea, l’ansietà, questa forma indifferenziata dalla paura, è analizzata per verificare il suo ruolo nell’acquiescenza e nel conformismo di gruppo.

Tra le critiche, numerose anche se minoritarie, dirette contro l’attuale gestione della paura da Covid, il giornalista e saggista italiano Aldo Maria Valli ha pubblicato recentemente un piccolo libro intitolato Virus e Leviatano, ove vengono esaminati vari aspetti delle politiche attuali. Le sue parole sono incisive: “La narrazione funzionale al dispotismo terapeutico si concentra sulla paura della malattia. Più ha paura di perdere la salute, più la pubblica opinione è disposta a trasformarsi in una immensa sala di ospedale, ove l’autocrate svolge il ruolo di prete-medico officiante il rito necessario alla guarigione”. “Durante le settimane di confinamento, abbiamo visto che ciò che importa non è tanto l’ampiezza reale del pericolo, ma l’ampiezza percepita”. “Aldous Huxley, nella prefazione dell’edizione del 1946 di Brave New World, scrisse che ‘la rivoluzione veramente rivoluzionaria non si farà nel mondo esteriore, ma nell’anima e nella carne degli esseri umani’”.

Tutto questo è profondamente vero. In effetti, se le Viol del foules è soprattutto inteso come un’opera di asservimento dei popoli da parte di una minoranza decisa a sottometterli al proprio dominio, tutto ciò è nello stesso tempo il risultato, passata la sorpresa, della mancanza di reazione di queste vittime, quando non addirittura della loro acquiescenza e collaborazione. “I capitalisti ci venderanno le corde con cui li impiccheremo”. Questa affermazione attribuita a Lenin circola in forme varie, ma essa può servire molto bene ad illustrare la situazione che qui ci interessa. Il problema della paura come strumento di manipolazione delle masse sta prima di tutto nell’esistenza stessa delle masse, che facilita e richiama la manipolazione.

Una comunità strutturata, di qualunque importanza sia, non è certo al riparo dall’errore collettivo, dalla caduta, per esempio sotto il fascino dei discorsi ingannevoli. Ma quanto in questi casi altro non è che un accidente, diventa un pericolo costante in una massa di individui che si presumono liberi, ma dove invece le condotte sono gregarie ed emotive, pronti ad accogliere le voci diffuse, disabituati tanto a comprendere una situazione quanto ad immaginare una risposta coerente – l’episodio dei Gilet Gialli l’ha ben dimostrato. Va ricordato che i media sono per definizione degli intermediari della comunicazione. Senza di essi, la conoscenza della realtà rimane possibile, ma corre il rischio delle situazioni individuali, del lavoro di ricerca (a volte fastidioso), della verifica caso per caso della attendibilità dei dati, i quali transitano attraverso gli organismi che costituiscono le strutture più adeguata al viol des foules. La stessa modalità di funzionamento di questi intermediari non permette ai loro stessi agenti di avere il tempo per riflettere su quanto dovrebbero trasmettere, e incita alla manipolazione dei montaggi in forma di narrazioni, che non sono più delle informazioni ma degli scenari ricostruiti a partire dalla selezione di elementi tratti da un flusso, tanto aleatori da venire orientati in funzione di pregiudizi ideologici, o di obbligato rispetto di una linea  predefinita da chi detiene il potere interno. Siccome i grandi media dipendono direttamente da interessi finanziari e politici, se la paura da suscitare è njell’agenda di questi ultimi non ci si deve stupire che essa costituisca la tela di fondo del discorso trasmesso. Inoltre, l’agitazione permanente e l’inflazione sensazionalista caratterizzano lo stile proprio dei media di massa, che funzionano in questo caso come moltiplicatori istituzionali della paura.

Quando si affronta il tema della manipolazione delle masse, si è indotti a concentrarsi sulla potenza dei mezzi utilizzati e sull’azione dei manipolatori verso i manipolati. Se fosse solo così, non si tratterebbe che di “modernizzare” lo studio della tirannia, per concentrare l’attenzione sui responsabili del viol de foules, riconosciuto o nascosto, sui canali che assicurano una grande capacità di dominio, sul loro metodo e sulla loro retorica. Ma questo significherebbe dimenticare che gli stessi destinatari sono di fatto i primi complici. Complici passivi, ma pur sempre complici.

Una società in cui l’autonomia personale – che dovrebbe basarsi sull’uso della ragione, sull’onestà e sull’esercizio della virtù della prudenza – è ridotta all’illusione della libertà, cade facilmente nell’angoscia quando i suoi membri si ergono tutti a giudici nel definire una condotta pratica. In qualche modo, l’uomo-massa sceglie da dentro un malessere che nasce dall’impossibilità di troncare la sottomissione. In questo senso si può capire che egli provi un bisogno di paura. Un confronto – alla lontana – si può fare con la situazione che ha fatto nascere la “pastorale della paura”, così come l’aveva analizzata, non senza apriorismi, Jean Delumeau con riferimento ad una predicazione che insisteva sui fini ultimi nei periodi critici della fine del Medioevo fino a quelli del XVIII secolo. Guillaume Cuchet, sociologo della religione che ha dedicato il proprio lavoro a questo argomento, ci dà il seguente commento: “In questo contesto generale molto buio, senza parlare delle condizioni ordinarie della vita quotidiana e in particolare della mortalità, la ‘pastorale della paura’ è stata paradossalmente  di volta in volta utile, perché essa compensava una angoscia diffusa, conseguenza di tensioni accumulate, con una serie di paure teologiche ben definite, segmentate e davanti alle quali si poteva fare qualcosa. Contro la paura della morte, non si poteva fare grandi cose, ma contro il diavolo, il peccato, l’inferno, con l’aiuto della Chiesa, non si rimaneva impotenti. Da questo punto di vista, la “pastorale della paura” si presentava come una “medicina eroica” […] là dove altrimenti non si sarebbe avuto che il vuoto, gli spiriti erranti e la morte”. Senza discutere qui lo sfondo storico di questa valutazione, ma considerando solamente l’analogia degli atteggiamenti psicologici osservati, la “paura della libertà” (ossia, per Erich Fromm, autore della formula, la paura della responsabilità) e la paura irrazionale che si constata oggi si incontrano, allo stesso modo che la doxa dice di liberare gli spiriti dalle limitazioni della morale cristiana.

Va anche notata che nella cultura contemporanea l’esistenza di alcune impasse più specifiche. Giulio Meiattini, monaco benedettino e teologo italiano, ne ha rilevata una quando il confinamento era appena cominciato, in un testo intitolato ”La peur qui tue et le courage qui manque” (La paura che uccide e il coraggio che manca). Egli metteva in evidenza che se l’impreparazione politica all’arrivo di un virus distruttivo era evidente, l’impreparazione morale lo era anche di più. Tra le ragioni immediate, la società occidentale e occidentalizzata, è stata colpita da una inversione di valori tra corpo e anima, a esclusivo beneficio del primo. La carta dell’OMS afferma che “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solamente  in una assenza di malattia o di infermità”. Lungo gli anni questo principio è diventato un imperativo, lo scopo della vita su questa terra si riduce al possesso di un corpo ideale sempre più ricercato. Si dovrebbe rileggere a questo proposito l’pera molto significativa, e critica di questa sproporzionata promozione del corpo, di Lucien Sfez, La santé parfatte. Narcisismo di massa? Può essere, ma ancora meglio perdita delle aspirazioni collettive superiori e vuoto di ogni prospettiva futura. Quale causa merita ancora che si dia la vita per essa? Cosa si pensa del sacrificio dei martiri? Ci sono questioni diventate inaccessibili alla maggior parte delle masse odierne e oggetto di derisione da parte dei dotti. “Questo significa che non abbiamo più avvenire – la gloria immortale presso la posterità, o l’unità dalle patria, o una società di eguali, il progresso, il cielo e la vita eterna. La nostra cultura non ha che il presente, ciò che appare adesso, l’effimero. Noi desideriamo disperatamente di conservarlo, perché non ci sono alternative né possibile uscita di sicurezza”. Dom Meiattini osserva ancora che la speranza coltivata oggi è quella di una super-umanità situata in qualche modo tra l’animale e la macchina.: “Un essere umano, da una parte, regredito ad una istintività sfrenata, che soddisfa tutti i suoi bisogni senza scrupoli (emotività istantanea) e, d’altra parte, un uomo tecnologicamente trapiantato, dotato di protesi e di sofisticate applicazioni come in un assemblaggio meccanico”. Il teologo conclude, nel momento in cui le regole imposte prevedono la chiusura delle chiese con il consenso degli episcopati: “Ma la cosa più triste e inquietante  per l’avvenire è che la Chiesa, o piuttosto gli uomini di Chiesa, hanno dimenticato che la grazia di Dio vale più della vita presente. Per questo le chiese sono state chiuse e ci si è allineati su criteri di salute e di igiene. La Chiesa si è trasformata in una agenzia sanitaria invece di essere un luogo di salvezza”.

E tutto questo, non per prudenza, per un giudizio ponderato su quanto è ragionevole fare  o non si può fare nelle circostanze date, ma per pusillanimità. “Senza nulla togliere alla legittima prudenza, proporzionale e necessaria e alle misure di precauzione in materia sanitaria, l’idea […] è che il problema più grave che si pone è di ordine mentale, culturale, e, aggiungerei, spirituale. La verità è che le persone hanno paura, troppa paura. E come diceva Mounier circa un secolo fa parlando della crisi dell’Occidente, si tratta di una ‘piccola paura’, una paura miserabile”.

La paura è un mezzo di manipolazione. Essa è anche un rivelatore del livello di degrado di un’epoca. Ma la si può dominare.

Bernard Dumont

(Traduzione dal francese di Stefano Fontana)

https://www.vanthuanobservatory.org/i-tempi-della-paura-di-bernard-dumont/

Dopo la sentenza contro l’obbligo della maschera: le autorità perquisiscono l’appartamento e l’ufficio del giudice

Il  virus non è mai stato un problema sanitario…

da Deutsche Wirtschafts Nachrichten

Un giudice di Weimar aveva pronunciato una sentenza contro il requisito della maschera nelle scuole all’inizio di aprile 2021. Ora è stata effettuata una perquisizione nei suoi locali privati ​​e ufficiali. Il suo cellulare è stato confiscato.

Il tribunale distrettuale di Weimar ha stabilito l’8 aprile 2021 che il requisito della maschera, le distanze minime e i test rapidi non sono consentiti nelle scuole. Tutte queste cose “rappresenterebbero una minaccia per il benessere mentale, fisico o emotivo del bambino”.

Il giudice distrettuale responsabile di questa sentenza , Christian Dettmar, è stato poi aspramente criticato dai media e dai politici. Il giudizio si basa su tre relazioni del Prof.Dr. med. Ines Kappstein, Prof.Dr. Christof Kuhbandner e il Prof.Dr. rer. biol. ronzio. Ulrike Kämmerer.

Il 26 aprile 2021, gli investigatori hanno esaminato l’ufficio, l’abitazione e l’auto del magistrato su ordine del pubblico ministero. Secondo l’ufficio del pubblico ministero di Erfurt, vi è il sospetto di una perversione della legge. Il BILD: ‘ Vi è un sospetto iniziale che il giudice non fosse competente e quindi non autorizzato a emettere un tale ordine – il tribunale amministrativo, tuttavia, era responsabile. Secondo Grünseisen, vi è un primo sospetto se esiste la possibilità di un reato penale. Anche la perversione della legge è una violazione molto grave “.

Il “Deutschlandfunk” riporta: “La scorsa settimana il tribunale amministrativo di Weimar ha dichiarato legale   l’obbligo  della maschera in classe. I giudici hanno indicato di considerare la controversa sentenza del giudice di famiglia “manifestamente illegale”. I tribunali familiari non hanno il potere di emettere ordini alle autorità”.

Le organizzazioni per i diritti umani e vari paesi vogliono una sospensione temporanea di alcune regole per la protezione della proprietà intellettuale in modo che i vaccini corona possano essere prodotti in modo rapido ed economico. Ma la lobby farmaceutica lo sta impedendo con tutti i mezzi.
…. oltre 100 lobbisti sono stati mobilitati per contattare i legislatori e i membri del governo Biden…
(Graffito di Salvatore Benintende)




          



Il clima è il nuovo Covid


Le misure che un tempo sarebbero servite per combattere il Covid19, ora vengono riconvertite per “salvare il pianeta.”

Pochi giorni fa si è celebrata la “Giornata della Terra.” Durante questa tradizionale ricorrenza, gli hashtag ambientalisti fanno tendenza su tutti i social media, almeno per un po’. E quest’anno non è andata in modo molto diverso, se non che si è avvertita più distintamente la presenza di un’agenda politica.

La narrativa della “pandemia mortale da virus” sta lentamente perdendo slancio. Non è chiaro se questo sia da imputarsi ad una “stanchezza post virale” (per chiamarla così) della gente, o piuttosto ad un cambiamento intenzionale del discorso da parte dei media. Quel che è certo è che, rispetto all’anno scorso, in questo periodo la narrativa sta perdendo energia.

Detto questo, è anche palese che i governi di tutto il mondo non sono particolarmente desiderosi di rinunciare ai loro “poteri di emergenza” da poco acquisiti e che le presunte “misure anti-Covid” non se ne andranno tanto presto.

Specialmente i lockdown, che ora vengono pubblicizzati come “ottimi per il pianeta.”

La narrativa secondo cui i lockdown “aiuterebbero la Terra a guarire” risale, in realtà, allo scorso marzo, quando tutti i notiziari del mondo avevano riportato la notizia che solo poche settimane di lockdown avevano contribuito a ripulire l’acqua nei canali di Venezia, tanto da permettere ai delfini di nuotare all’interno della città.

Questa storia si era poi rivelata completamente falsa, ma la cosa non aveva scoraggiato decine di testate dal riprenderla e ripubblicarla.

Nel corso dell’ultimo anno, il Covid è stato più volte spacciato come dotato di un impatto ambientale positivo. Compresa l’idea che, potenzialmente, sarebbe in grado di “salvare il pianeta.”

Proprio il mese scorso, il Guardian aveva pubblicato un pezzo dal titolo: “Occorre un lockdown globale ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi relativi alla CO2 – secondo uno studio.”

Che si tratti solo di marketing e di controllo dell’opinione è ulteriormente evidenziato dal fatto che, già dopo poche ore, avevano modificato il titolo rimuovendo il riferimento al lockdown, tanto che il nuovo titolo recitava: “L’equivalente del calo di emissioni durante il Covid è necessario ogni due anni – secondo uno studio

Più o meno contemporaneamente, avevano pubblicato un altro articolo, avvertendo che le emissioni sarebbero aumentate a “livelli pre-pandemici” con il termine dei lockdown. In un altro pezzo si leggeva che l’isolamento ci ha insegnato ad “amare la natura.” E un altro ancora sosteneva che, grazie ai lockdown, il “numero delle stelle” visibili dal Regno Unito era aumentato.

Tutto ciò ha avuto un’ulteriore accelerazione con la Giornata della Terra, il cui tema è “Restore Our Earth”TM [“Risaniamo la nostra Terra”]. Con la dicitura “TM” perché si tratta di un marchio registrato. No, non scherzo.

Alcune mattine fa mi sono svegliato e ho trovato una notifica sul mio telefono, secondo cui per la Giornata della Terra avremmo dovuto “rallegrarci di quanto il pianeta fosse migliorato durante i lockdown.”

Più tardi, ho visto la pubblicità per un nuovo documentario intitolato “The Year the Earth Changed” [“L’anno in cui la Terra è cambiata”], dove vengono illustrati i vari modi in cui la natura si è rinvigorita durante i lockdown, e quanto la “Terra è guarita.”

Permettetemi di citare una recensione [grassetto mio]:

…il lockdown offre agli scienziati un’opportunità unica nella vita per osservare la portata dell’impatto umano sul comportamento animale, semplicemente eliminandoci dall’equazione.”

“Secondo loro, potremmo usare ciò che impariamo per valutare e modificare le nostre abitudini, invece di tornare, senza pensarci, alla vita del mondo pre-pandemico.”

E aggiunge, prima di concludere:

“[Il documentario] vede la cosa in modo positivo; non tanto per l’idea che ‘noi siamo il virus’, ma piuttosto perchè la sofferenza di questi ultimi 12 mesi non è stata del tutto vana. E offre anche una via d’uscita dal disastro ambientale che, indubbiamente, stiamo ancora affrontando.”

Un articolo su Forbes esorta la gente ad “abbracciare la lezione della pandemia”:

“il pianeta ha avuto una lunga pausa durante la pandemia e ha avuto la possibilità di ripararsi e rigenerarsi. Il pianeta non è il problema, il problema siamo noi. Dunque, come possiamo ora portare avanti alcuni di quegli sforzi positivi che avevamo già iniziato ad adottare con l’improvviso distanziamento sociale e la minaccia del Covid-19?

L’Evening Standard sostiene che la pandemia avrebbe prodotto un “calo del 70% delle emissioni veicolari” nella città di Londra.

Un comunicato stampa del Dipartimento della Salute dello Stato di Washington sostiene che “il telelavoro potrebbe salvare il mondo.”

Sky News riporta che l’impronta di carbonio del Regno Unito è scesa del 17%, in quanto la “pandemia costringe la gente ad adottare stili di vita ecologici.”

E così via, ancora e ancora.

In sostanza, i lockdown, che, ricordiamo, non hanno mostrato avere alcun impatto sulla trasmissione del “virus,” vengono ora riconvertiti in mezzi non soltanto “efficaci per la salute pubblica,” ma anche salutari per il pianeta.

Prima di arrivare al perché di tutto ciò, concentriamoci sull’asserzione vera e propria: l’isolamento è stato un bene per l’ambiente?

La risposta è “probabilmente no” o “sicuramente no,” a seconda delle vostre priorità.

Tanto per cominciare, ci sono le mascherine usa e getta in fibre plastiche che, vi ricordiamo, non fanno assolutamente nulla per prevenire la diffusione di virus. Centinaia di migliaia di queste mascherine oggi ricoprono le spiagge, finiscono per essere raccolte dalla fauna selvatica, e intasano le fogne di tutto il mondo.

E le emissioni?” vi sento dire, “non si sono ridotte?”  Beh, forse. Ma, anche se fosse, non di molto.

I lockdown sono stati spacciati dalla stampa come il blocco totale di tutte le attività umane. Tuttavia, a ben vedere, si tratta principalmente della chiusura di piccole imprese e dell’isolamento di un sacco di persone, dai ruoli altisonanti ma spesso improduttive, che ora fanno riunioni su Zoom.

I militari di tutto il mondo viaggiano ancora, le Marine solcano ancora i mari. I trasporti pubblici funzionano ancora, pur se con limitazioni in alcune zone.

I veicoli di emergenza continuano ad circolare. La spazzatura viene ancora raccolta. Le navi portacontainer, gli aerei cargo, i camion a lunga percorrenza e i treni merci trasportano ancora i loro carichi verso ogni angolo del pianeta.

I grandi rivenditori, come WalMart, Tesco, CostCo, Amazon ecc., sono ancora tutti aperti e le loro catene di approvvigionamento sono attive in tutto il mondo.

L’idea che tutte le attività umane si siano semplicemente fermate è una bugia molto conveniente che viene data da bere a quelle persone che ancora comprano i giornali e credono che proprio tutti (o, almeno, tutti quelli che contano) facciano un lavoro che a) implica il pendolarismo urbano, b) può essere svolto altrettanto facilmente da casa.

Questo è ovviamente falso e la maggior parte dei lavori veri e fondamentali, quelli che servono per far funzionare la società, non si sono mai fermati.

Miniere, stabilimenti e impianti industriali esistono ancora. Centrali elettriche, dighe e depuratori continuano a funzionare. Anche l’economia dei servizi è ancora in funzione, solo con persone diverse che guidano in direzione opposta. Deliveroo, Uber e JustEat fanno ancora muovere i loro mezzi ed ogni calo di clienti che vanno al ristorante è controbilanciato da un aumento delle consegne a domicilio.

Le fabbriche in Cina continuano a produrre tutte quelle merci che vengono spedite in giro per il mondo e poi consegnate direttamente al nostro domicio; semplicemente non siamo più noi ad andarle a prenderle. È davvero un gran cambiamento per le emissioni?

Che sia voi a guidare fino a Waitrose [N.d.T. un supermercato inglese di alimentari e alcolici], o che Waitrose guidi fino a voi, verrà consumata la stessa quantità di carburante. Ordinare online un disinfettante per le mani, una cyclette o delle batterie di ricambio non è in alcun modo più ecologico che fare due passi in città per comprarli di persona.

E questo non tiene nemmeno conto del maggior consumo di elettricità e di gas causato dal fatto che (alcune) persone passano più tempo in casa. O dal fatto che molti Paesi non hanno mai adottato i lockdown.

Lo studio citato dal Guardian ammette addirittura che le minori emissioni di CO2 per il 2020 sono, in realtà, soltanto “proiezioni.”

In breve, no, non c’è nessuna evidenza pubblicamente disponibile che i lockdown abbiano giovato all’ambiente.

E, in realtà, l’idea stessa non ha molto senso, se ci si pensa un attimo.

La cosa interessante è che sono in circolazione un sacco di articoli che lo ammettono candidamente. Come questo di National Geographic, o quest’altro della BBC. E se ne trovano altri ancora.

Tutti questi articoli sostengono che le chiusure per il Covid-19 non aiuteranno a fermare il cambiamento climatico, o che avranno anche solo un piccolo impatto sulle emissioni, oppure che potrebbero addirittura peggiorare la situazione nel lungo periodo.

Perché? Perché sono l’altra faccia della propaganda. Il proverbiale bastone, presentato assieme alla carota de “il pianeta sta guarendo.” Si dice alla gente che questo lockdown non migliorerà il pianeta perché non è abbastanza severo, o perché quando sarà finito torneremo alla normalità.

Titoli spaventosi e catastrofici che lasciano uno spazio vuoto, aspettandosi che siano i lettori a riempirlo mentalmente: “beh, allora suppongo che non dovremmo mai smettere di avere i lockdown.”

Questo non è l’unico esempio di politiche “anti-pandemiche” o di “salute pubblica” modificate fino ad includere il cambiamento climatico.

L’estate scorsa avevo commentato un articolo accademico che proponeva un “rafforzamento morale” per i “disertori del coronavirus.” Sosteneva la necessità di immettere sostanze chimiche nell’acqua potabile per rendere la gente più obbediente alle mascherine e ai vaccini, e continuava suggerendo che la stessa tecnica potrebbe essere usata per combattere la “sofferenza associata al cambiamento climatico.”

Ci sono molti titoli di giornale, interviste e articoli che cercano chiaramente di creare nell’opinione pubblica un’associazione tra “Covid” e “cambiamento climatico.”

Covid19 e crisi climatica sono parte della stessa battaglia”, titolava il Guardian a dicembre. O ancora: “Il Covid ci dà la possibilità di agire sul clima.”

In un’intervista originariamente andata in onda durante la “Giornata della Terra,” il Principe William ha esortato il mondo intero ad applicare al cambiamento climatico lo stesso “spirito di inventiva” utilizzato per i “vaccini” Covid19.

Tutto ciò si collega al programma “Give Earth a Shot” [Date una possibilità alla Terra] dei Reali, che era stato lanciato nel dicembre 2019, PRIMA che la pandemia (o i vaccini) diventassero un argomento di discussione.

Un opportuno promemoria, questo, che molte delle soluzioni proposte per fronteggiare la “pandemia” erano già state suggerite per combattere altre cose, prima ancora dell’esistenza della pandemia stessa. Una società senza contanti, la diminuzione dei viaggi aerei, il controllo della popolazione, la sorveglianza di massa e la riduzione della produzione di carne, insieme ad altri, erano già all’ordine del giorno molto prima che il Covid facesse la sua apparizione. E tutti ci sono stati venduti come modi per combattere questa pandemia (o le “pandemie future”).

Anche il cosiddetto Grande Reset, in realtà, predata la pandemia.

Dopo tutto, che cos’è il tanto chiacchierato “Green New Deal” se non un prototipo del piano di Grande Reset del World Economic Forum?

Mark Carney, l’ex-governatore della Banca d’Inghilterra, in un articolo del dicembre 2019 per il sito internet del Fondo Monetario Internazionale, aveva invocato un reset economico e “un sistema finanziario nuovo di zecca” per “combattere il cambiamento climatico.” Anche questo accadeva solo poche settimane PRIMA che la “pandemia” si materializzasse magicamente.

Questo è il messaggio di fondo: il piano rivelato nell’ultimo anno di propaganda pandemica era già lì, da sempre, solo non in modo così sfacciato. C’era prima del Covid, e sarà ancora lì quando (o se) di Covid non parleranno più.

Il “Grande Reset” e la “Nuova Normalità” sono obiettivi politici che precedono il Covid e sono molto più importanti di tutti i mezzi impiegati per perseguirli. La “pandemia” non è altro che un mezzo creato per un fine specifico. Potrebbero mettere da parte o terminare del tutto la narrativa del virus, potrebbero cambiare la trama per qualche mese, o smettere di usare certe parole per un po’. Ma questo non significa che il loro programma principale sia cambiato di una virgola.

Ci hanno mostrato le loro carte. Ci hanno detto apertamente cosa vogliono veramente ottenere.

Controllo economico totale, forte riduzione degli standard di vita, annullamento della sovranità nazionale e radicale erosione delle libertà individuali.

Questo è l’obiettivo finale. L’hanno detto loro stessi.

È nostra responsabilità conservare questa conoscenza e usarla. Tenersi stretta ogni convinzione e guardare tutto con occhio scettico. Tutto. Ogni articolo di giornale. Ogni notizia alla televisione. Ogni dichiarazione del governo o atto legislativo.

Virus o vaccini. Povertà o prosperità. Discriminazione o diversità. Guerra o pace nel mondo. L’agenda politica non cambia.

Chiunque stia parlando. Di qualunque cosa stiano parlando. Qualunque cosa dicano di volere. L’agenda politica non cambia.

Repubblicano o Democratico. Conservatore o Laburista. Rosso o blu. L’agenda politica non cambia.

Il colore non conta. Nemmeno quando è verde.

Buona “Giornata della Terra” a tutti.

Kit Knightly

Fonte: off-guardian.org

Link: https://off-guardian.org/2021/04/23/climate-is-the-new-covid/
23.04.2021
Scelto e tradotto da ernestW per comedonchisciotte.org

https://comedonchisciotte.org/il-clima-e-il-nuovo-covid/

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