VIRUS E STATISTICHE
Impennata di morti per Covid, ma i conti non tornano
Malgrado la vaccinazione degli ultra-ottantenni abbia raggiunto una buona percentuale, i dati ufficiali riportano un'impennata di decessi: le prime due settimane di aprile +38% rispetto al mese precedente. E solo nei primi tre mesi del 2021 si sarebbero raggiunti la metà dei decessi per Covid di tutto il 2020. Dato inverosimile, tanto più che anche i dati Istat sulla mortalità generale rendono impossibili le cifre fornite dal governo sui morti per Covid. Qualcuno evidentemente sta barando.
Che sui dati ufficiali dei decessi per Covid ci sia qualcosa che non quadra ormai sta diventando evidente. Nei giorni scorsi è stato addirittura il Washington Post a sollevare il problema: «L’Italia sta vaccinando le persone sbagliate?», si chiedeva nel titolo dello scorso 8 aprile. Il fatto è che, notava il giornale americano, malgrado i lockdown e l’avanzare delle vaccinazioni, i tassi di mortalità restano praticamente invariati rispetto a dicembre, cioè prima dell’inizio della campagna vaccinale. Per quanto sia in ritardo, per quanto abbia dei limiti la vaccinazione, tuttavia qualche segnale di inversione di tendenza doveva già essere ben visibile. L’ipotesi avanzata dal Washington Post è che vengano vaccinate troppe persone che non ne avrebbero bisogno o, perlomeno, che non sono nella fascia più a rischio. A danno delle persone più anziane e più fragili. Ma a guardare i dati delle vaccinazioni, e malgrado certe esternazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi, non sembra proprio che sia questo il caso.
Tenendo conto che l’età media dei deceduti per Covid, secondo i dati del ministero della Sanità, è di 81 anni (dati aggiornati al 30 marzo 2021), la popolazione maggiormente a rischio è ovviamente quella degli ultraottantenni, che costituiscono una parte ormai importante della popolazione italiana: oltre 4 milioni e 400mila persone, il 7.3% sul totale. Ebbene, di questi, 3 milioni e 436mila (il 78%) hanno ricevuto almeno la prima dose di vaccino, mentre 2.035mila hanno ricevuto anche la seconda dose. C’è ancora da fare ovviamente per una copertura completa, ma è incomprensibile come la vaccinazione finora svolta non incida affatto sul numero dei decessi che variano ancora quotidianamente tra i 350 e i 700.
Anzi, il dato clamoroso è che la mortalità, sempre stando ai bollettini ufficiali, è addirittura in aumento. Mettendo a confronto i dati delle ultime due settimane (1-15 aprile), con quelli del mese precedente (1-15 marzo) abbiamo dei risultati sconvolgenti: nelle prime due settimane di aprile sono morte 6.290 persone contro le 4.554 delle prime due settimane di marzo: un aumento del 38%!
E se andiamo a prendere i dati per regione, i risultati sono ancora più stupefacenti: il Veneto e la Lombardia, le regioni che hanno la maggiore copertura vaccinale (più dell’80% degli ultra-80enni ha ricevuto la prima dose e più della metà la seconda), hanno avuto un incremento di morti rispettivamente del 46 e del 34%. E anche il Piemonte, che segue a ruota per numero di vaccinazioni, ha avuto un incremento di morti nei periodi considerati da 307 a 525 (+71%).
Se poi consideriamo i primi tre mesi del 2021, abbiamo un totale di 35.187 morti per Covid, una cifra spaventosa considerato che si tratta di quasi la metà del totale dei deceduti nel 2020 per lo stesso motivo (al 31 dicembre il bilancio ufficiale era di 74.159 morti).
Davanti a questi dati si dovrebbe pensare che i vaccini non solo sono inutili ma addirittura dannosi. Il che però appare inverosimile: per quanto si possano avere dubbi sulla sicurezza e sulla reale efficacia, è impensabile che nell'insieme non difendano in certa misura dalla diffusione del contagio, non evitino le forme più gravi della malattia e quindi non riducano drasticamente i decessi.
L’unica altra possibilità è che i dati sfornati ogni giorno dal nostro governo sui morti per Covid siano in qualche modo non veritieri. E il sospetto si rafforza guardando ai dati diffusi dall’Istat sulla mortalità totale in Italia. Il 30 marzo scorso infatti l’Istat ha pubblicato i dati aggiornati sulla mortalità del 2020 e i primi due mesi del 2021 (gennaio un dato già consolidato e febbraio una stima). Tenendo come confronto la media dei decessi del quinquennio 2015-2019 (come proposto dall’Istat) abbiamo che i primi due mesi del 2021, quanto a mortalità sono di poco superiori al 2015-2019: 126.866 contro 125.741. C’è invece uno scarto maggiore rispetto a gennaio-febbraio 2020 (i morti furono 118.029), ma si trattò l’anno scorso di un dato anomalo dovuto all’inverno fin lì molto mite rispetto alla media. Quindi, sebbene un’incidenza del Covid sulla mortalità totale sia ancora evidente, essa appare enormemente più ridotta di quanto i dati dei bollettini quotidiani diffusi dal ministero della Sanità facciano pensare. Lo dimostra anche il fatto che – rileva sempre la pubblicazione Istat del 30 marzo – il picco di mortalità si è registrato nel novembre 2020 (78470 decessi, +52.5% rispetto alla media del precedente quinquennio), dopodiché c’è una discesa che si fa ancora più netta nei primi due mesi del 2021 (vedi grafico).
Appare dunque inverosimile che a fronte di questa tendenza alla discesa ci sia invece un aumento dei morti per Covid. Anche perché se dal computo dei decessi per qualsiasi causa togliamo quelli che vengono attribuiti al Covid (23.540 nei primi due mesi del 2021) avremmo per gennaio e febbraio 2021 appena 103.326 decessi, ovvero un crollo della mortalità senza precedenti. E questo, quando oltretutto escono studi e stime che parlano di aumenti della mortalità per malattie oncologiche e cardiovascolari dovuti al venir meno dell’assistenza in ospedali egemonizzati dalla cura del Covid.
Chiunque può trarre le proprie conclusioni da questi dati, che sono pubblici e ufficiali. Certo è che è difficile sfuggire alla sensazione che le cifre sui morti da Covid siano in qualche modo truccate: visto l’atteggiamento dei governi che si sono succeduti in questo anno, è piuttosto alta la possibilità che si tratti di dati “politici” per giustificare la politica del lockdown e per esercitare pressioni sulla popolazione ai fini di una vaccinazione di massa.
E visto l’atteggiamento della stampa di regime, è altrettanto alta la possibilità che tali incongruenze vengano tenute accuratamente nascoste al grande pubblico.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/impennata-di-morti-per-covid-ma-i-conti-non-tornano
- CON LA PANDEMIA AUMENTA LA MORTALITÀ DEI FETI, di Tommaso Scandroglio
LO STUDIO CONTROVERSO
«Cure date tardi»: così uno tsunami abbatte il plasma
L'insuccesso di TSUNAMI, lo studio dell'Istituto Superiore di Sanità, è il risultato della solita somministrazione tardiva di plasma iperimmune su pazienti Covid già con polmonite e in ospedale. La denuncia arriva dagli stessi trasfusionisti che hanno lavorato su un protocollo nato "zoppo". «In Europa, Usa e Argentina il successo è in fase precoce a domicilio, lo studio italiano ha una colpa perché rischia di danneggiare il futuro delle terapie al plasma». Parlano alla Bussola Perotti (Pavia), Franchini (Mantova) e Focosi (Pisa).
Plasma, si fa presto a dire flop, ma la realtà porta ancora una volta alle cure precoci a domicilio. Sono stati resi pubblici i dati dello studio TSUNAMI, promosso e coordinato da Istituto Superiore di Sanità e AIFA. E i dati riportano i risultati di uno studio non all’altezza delle aspettative: «TSUNAMI non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni», è il giudizio impietoso che emerge dal comunicato di AIFA, che ha gelato le aspettative di molti e dato fiato alle trombe dei detrattori della cura che la primavera scorsa era stata esaltata come la cura “democratica” anti-COVID.
Lo studio però, che ha coinvolto 27 centri clinici e arruolato 487 pazienti (di cui 324 in Toscana, 77 in Umbria, 66 in Lombardia e 20 da altre regioni) andrebbe analizzato partendo non dai suoi risultati, quanto piuttosto dalla genesi del protocollo, messo a punto dal professor Francesco Menichetti dell’Università di Pisa.
Una genesi di metodo che non poteva funzionare fin dall’inizio a causa della somministrazione tardiva del plasma, arruolando pazienti che, probabilmente avevano già sviluppato da soli una quantità di anticorpi significativa. Tutto questo ha fatto naufragare l’unico trial clinico randomizzato italiano col bollino dell’ISS.
Ma se i risultati sono stati fagocitati in modo acritico dall’opinione pubblica, secondo il solito schema che tende a gettare nel cestino delle convenienze le terapie anti-COVID, nessuno si è chiesto il perché di questo fallimento e, magari, se qualcosa non sia andato storto. È quello che ha fatto la Bussola andando a intervistare i principali trasfusionisti che hanno partecipato a TSUNAMI e possono, prima e meglio di molti leoni e medici da tastiera, spiegare i motivi del fallimento.
Il più titolato è sicuramente Daniele Focosi (in foto), responsabile della produzione presso l’Officina Trasfusionale di Pisa, struttura che ha fornito a TSUNAMI plasma per oltre la metà dei pazienti arruolati. Nessuno, meglio di lui, può commentare i risultati e spiegare il perché di questo risultato negativo: «Pur contenendo le sacche di plasma usate in TSUNAMI moltissimi anticorpi, è mancato l’altro fattore chiave: la precocità d’uso. TSUNAMI è stato “disegnato” per trasfondere plasma iperimmune su pazienti con una diagnosi di polmonite di fino a 10 giorni prima. Era troppo tardi, ancora più tardi se si considera che la diagnosi di polmonite arriva solitamente dopo giorni e giorni dai primi sintomi e dal tampone».
Il ritardo – spiega il medico – ha investito l’appropriatezza del trattamento: «Un paziente dopo 10 giorni di polmonite, infatti, sta già sviluppando anticorpi da solo. Per similitudine, nessuno trasfonderebbe globuli rossi ad un paziente che non è anemico».
Ma se questi sono i risultati, che cosa si sarebbe dovuto fare? «L’efficacia clinica si manifesta solo se si tratta il paziente entro 44-72 ore dalla comparsa dei primi sintomi e questo limite temporale è lo stesso dei monoclonali, che guarda caso sono stati “ritarati” in corsa per un uso precocissimo dopo che avevano fallito negli usi tardivi. Questo non è accaduto per il plasma, il cui studio è stato disegnato ad aprile 2020, ma è partito praticamente a settembre. A quel punto c’erano già evidenze che gli usi tardivi non servivano. Alla domanda sui risultati negativi di TSUNAMI rispondo con una similitudine: se durante un GP viene a piovere si corre ai box a cambiare le gomme, non si continua a girare con le gomme da asciutto».
Focosi si basa su studi diversi: «Anche lo studio RECOVERY inglese, che ha arruolato 11 mila pazienti, è stato fallimentare per lo stesso motivo, mentre altri studi in giro per il mondo hanno dato risultati diversi. Sul New England Journal of Medicine è comparso lo studio argentino di Libster. Ebbene: somministrato entro 72 ore, il plasma ha dimezzato la progressione di malattia, quindi la necessità di ospedalizzazione. E poi ci sono molti altri studi negli USA, che hanno dimostrato un dimezzamento della mortalità, come il programma Expanded Access dell’FDA ”». Si tratta di trials citati da Focosi in un articolo pubblicato sulla rivista dell’International Society of Blood Transfusion e scritto col collega del centro trasfusionale di Mantova, Massimo Franchini, che ha partecipato a TSUNAMI con una trentina di pazienti e che alla Bussola ha condiviso le stesse osservazioni di Focosi: «Lo studio TSUNAMI è partito già con delle criticità in ordine all’arruolamento. I problemi emersi sono stati la tempestività d'azione e il livello di anticorpi dei pazienti».
Tutto da buttare? No, e Focosi insiste sulla bontà del plasma iperimmune: «Non è contestabile l’efficacia degli anticorpi, ma solo le tempistiche di somministrazione – aggiunge –. Il rischio è che TSUNAMI possa aver fatto un danno per gli anni a venire: se arrivasse domani una nuova pandemia, il plasma risentirebbe di questa “pubblicità” negativa, quando invece la risposta sarebbe nel trattamento tempestivo. Certo, non si tratta di “vendere” il plasma come un olio miracoloso in stadi terminali o ventilati, questo sarebbe scorretto. Ma ribadire che in condizioni precoci i risultati sono completamente diversi e soddisfacenti smentisce la faziosità di tanti “esperti” che in tv hanno pontificato contro il plasma».
Chi punta tutto sul plasma somministrato a domicilio è anche il “padre” della plasmaterapia anti-COVID, il professor Cesare Perotti (in foto) del San Matteo di Pavia.
In un dialogo con la Bussola, Perotti ha annunciato l’imminente conclusione di uno studio molto importante che ha coinvolto 300 pazienti, quasi quanto lo TSUNAMI e che sta dando invece «ottimi risultati».
Perotti, paradossalmente co-investigator del trial dell’ISS, non ha però partecipato granché: «Abbiamo fornito un solo paziente – spiega – e ci siamo concentrati sul nostro studio che punta sulla precocità di intervento, anche a domicilio, laddove possibile perché la somministrazione del plasma è più semplice a farsi che a dirsi. Ma le perplessità sullo TSUNAMI e le criticità sui risultati preferisco tenermele per me».
Detto questo, il professore del San Matteo, al pari dei colleghi, ha detto di voler proseguire con la strada della somministrazione tempestiva «esattamente come stanno facendo in Danimarca, Germania e Inghilterra».
In conclusione, chiediamo a Perotti che cosa sarebbe successo se si fosse puntato sul plasma iperimmune fin da subito della pandemia e con una somministrazione adatta. Avremmo raccontato un’altra storia?
«Credo di sì, ma in Italia ci sono lacci e lacciuoli e un sistema che definirei farraginoso. E poi, diciamo, il plasma costa pochissimo, ma questa è un’espressione elegante per dire altre cose…».
Andrea Zambrano
- MASCHERINE E BAMBINI: C'È UN GIUDICE IN GERMANIA di Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/cure-date-tardi-cosi-uno-tsunami-abbatte-il-plasma
Il sabotaggio di fatto dello studio Tsunami dell'ISS mi ha richiamato alla mente il caso di un amico, accaduto ai tempi dell'infuriare delle polemiche sul Metodo innovativo anticancro dott. Di Bella.
RispondiEliminaQuesta persona aveva un mieloma, seguito da un ospedale di Milano, di cui taccio il nome per più di un motivo.
Venne sottoposto a più di una terapia ufficiale - tutte con esito zero quanto alla remissione del male - e quando fu quasi prossimo alla morte venne inserito nel "Protocollo Di Bella" che era stato attivato in ospedale. Mi pare di ricordare che fece in tempo a ricevere due somministrazioni del cocktail Di Bella prima di spirare.
Morale: nei registri della sperimentazione Di Bella fu registrato (al 120%) come un CASO FALLITO della terapia.