Mascarucci: Il Problema è il Vaticano II, più che i Due Papi Coesistenti.
Carissimi Stilumcuriali, il collega Americo Mascarucci ci offre questa riflessione sul dibattito che si è svolto anche su queste pagine relativamente alla presenza di due papi, evento certamente unico nella storia della Chiesa moderna. Buona lettura.
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Benedetto XVI o Francesco? La crisi della Chiesa va ben oltre i due papi
Nei giorni scorsi il collega di Libero Andrea Cionci è tornato a porre interrogativi in merito alla questione ormai dirimente su chi sia “veramente” il papa fra Benedetto XVI e Francesco. Cionci ha chiesto che sia fatta finalmente chiarezza per rispetto di 1.285.000.000 cattolici che hanno il diritto di avere risposte, dopo che da più parti è stata messa in dubbio la legittimità della Declaratio con cui Ratzinger si è dimesso e che illustri canonisti hanno giudicato “non valida” per una serie di vistosi errori in essa contenuti. In più ad accrescere dubbi si è aggiunta un’altra serie inquietante di circostanze che deporrebbero a favore della tesi secondo cui il papa tuttora in carica dal punto di vista canonico sarebbe Benedetto XVI.
In primo luogo resta da chiarire il ruolo giocato nel conclave del 2013 dalla cosiddetta “mafia di San Gallo” per far eleggere Bergoglio contravvenendo alle disposizioni della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis di San Giovanni Paolo II che sancisce: “I Cardinali elettori si astengano, inoltre, da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo; e fin d’ora commino la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto. Non intendo, tuttavia, proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione”.
Stando alle dichiarazioni rilasciate da un illustre componente di questa conventicola progressista e liberale, il cardinale belga Godfried Maria Jules Danneels, non soltanto il gruppo si sarebbe riunito prima del conclave accordandosi sul nome del porporato argentino, ma avrebbe anche fatto pressioni per costringere Benedetto XVI a dimettersi (a proposito, non si è mai saputo cosa si siano detti Ratzinger e Carlo Maria Martini quando si incontrarono a Milano il 2 giugno del 2012 due mesi prima della morte dell’ex arcivescovo di Milano e componente di spicco del gruppo di San Gallo.
E’ altamente probabile che in quell’incontro proprio Martini possa aver “consigliato” a Ratzinger di dimettersi palesando un’offensiva molto forte dei progressisti contro di lui). In più resta da chiarire perché Benedetto XVI sia rimasto in Vaticano, continui a vestire di bianco, continui a firmarsi “sommo pontefice”, si sia ritagliato il ruolo di “papa emerito” figura mai esistita nella storia della Chiesa e non abbia mai voluto chiarire pubblicamente i motivi della sua rinuncia, né rispondere mai in maniera diretta alle obiezioni circa l’illegittimità delle sue dimissioni. Le dichiarazioni in cui riconoscerebbe Francesco come papa legittimo ribadendo quel suo “il papa è uno solo”, sono giunte a noi attraverso dichiarazioni di stampa riportate dai media e di volta in volta fatte filtrare dal Vaticano col contagocce.
Da qui quindi le richieste di Cionci a che sia fatta definitivamente chiarezza. In che modo? “Bisogna indire SUBITO – scrive – una CONFERENZA STAMPA COL PRIMO PAPA, prima che lasci questo mondo. Che sia intervistabile LIBERAMENTE da giornalisti di TUTTE le testate (non solo da quelle amiche del secondo papa) per fornire RISPOSTE CERTE A DOMANDE CHIARE, di fronte alle TV e in diretta mondiale. Oppure, si apra immediatamente un SINODO fra i vescovi o un dibattito PUBBLICO fra canonisti per verificare se il primo papa si è dimesso legalmente o no”.
Invece pare che da questo orecchio in Vaticano non vogliono proprio sentire. Nel mio ultimo intervento alcuni sacerdoti amici di Stilum Curiae mi hanno fatto giustamente osservare che la scomunica di don Enrico Bernasconi era inevitabile nel momento stesso in cui il sacerdote ha rotto la comunione con il Santo Padre, ossia con Francesco che lui però considera illegittimo. Non sono un canonista, quindi come ho già scritto non intendo entrare nel merito delle questioni prettamente giuridiche; ritengo tuttavia che non possa la Chiesa risolvere il problema scomunicando chi lo solleva, indipendentemente dal fatto che dal punto di vista procedurale canonico la scomunica sia inoppugnabile.
Perché, se su milioni di cattolici una buona parte è convinta che Benedetto XVI sia ancora il vero papa e Francesco una sorta di “abusivo”, allora questo sospetto supportato da una serie di elementi giuridici che porterebbero a considerare certe ricostruzioni perfettamente legittime, deve essere confutato “senza se e senza ma”. Perché come ci insegna Gesù “sia il vostro parlare si, si, no, no, il di più viene dal Maligno”. E allora non si può che sottoscrivere e rilanciare l’appello di Andrea Cionci affinché al più presto sia fatta chiarezza. Dubito tuttavia che questa chiarezza possa arrivare direttamente dal “papa emerito” che diversamente da chi si ostina a raffigurarlo come perfettamente lucido, temo non abbia né la forza, né appunto la necessaria lucidità per farlo. Una convinzione che ho maturato ancora di più dopo aver letto l’ultima intervista di Massimo Franco e dalla quale traspariva evidente come ogni parola dell’emerito fosse filtrata e (liberamente) interpretata da padre Georg Gaenswein che i maligni dipingono come una sorta di “guardiano” di Ratzinger per conto di Bergoglio.
Nel precedente intervento inoltre diversi lettori mi hanno rimproverato di aver difeso don Enrico Bernasconi dimenticando don Alessandro Minutella che di scomuniche ne ha prese due. Premesso che ritengo don Minutella un degno sacerdote indipendentemente dalle scomuniche che gli sono state inflitte, molto più degno sicuramente del sacerdote che rifiuta di benedire le palme per protesta contro il mancato riconoscimento delle nozze gay da parte della Chiesa, o del prete della mia diocesi di Civita Castellana che si è messo la fascia da sindaco per sposare civilmente una coppia omosessuale, fatico a riconoscermi nell’idea cara allo stesso Minutella del papa legittimo difensore della tradizione (Benedetto XVI), contro l’”antipapa” modernista che sta portando il disordine nella Chiesa. E questo perché, come sostiene da anni lo storico Roberto De Mattei, il problema non sta in chi fra i papi sia più o meno tradizionalista dell’altro (come nei secoli passati si discuteva su quale papa fosse più filo-francese o filo-spagnolo) ma nel Concilio Vaticano II, causa e origine del disordine che alberga nella Chiesa di oggi.
De Mattei contesta la tesi cara a parte del mondo cattolico conservatore secondo cui gli errori del Concilio Vaticano II che hanno devastato la Chiesa, debbano essere considerati “una patologia in un corpo sano”, ragione per cui sarebbe possibile risolvere il problema limitandosi a curare la malattia. E’ ciò che ha inteso fare Ratzinger facendosi interprete e capofila della cosiddetta “ermeneutica della continuità”, contrapposta alla discontinuità proposta da Karl Rehner, Léon-Joseph Suenens, Hans Kung, Giacomo Lercaro e i principali teorici del progressismo cattolico, dell’ecumenismo e dell’abbraccio con il mondo moderno.
Ma non si può separare il Concilio dai suoi errori, dal momento che proprio il Vaticano II con i suoi documenti ha rappresentato il trionfo del “ma anche”, formula tanto cara ai modernisti e liberali che hanno tentato di far rientrare dalla finestra quelle tesi che erano uscite dalla porta. Quel “ma anche” che ha portato per esempio ad affermare che c’è salvezza anche nelle altre chiese cristiane perché Cristo è la via comune per la salvezza; che l’ateismo è da condannare quando imposto con la forza ma che anche gli atei sono “cristiani anonimi” (termine questo coniato da Rahner) se hanno una retta coscienza che li porta ad agire per il bene comune; che il magistero della Chiesa resta la bussola da seguire ma che il cattolico impegnato nella società è soprattutto libero di agire secondo coscienza, fatto questo che ha legittimato parte del mondo cattolico a sostenere battaglie in aperto contrasto con la dottrina, dal divorzio all’aborto, o ad abbracciare la rivoluzione in nome e per conto di quell’opzione preferenziale dei poveri che in America Latina è stata confusa con la lettura in chiave cristiana del marxismo.
Benedetto XVI ha tentato di correggere gli errori del Concilio, e di questo gli va dato sicuramente atto, riaffermando la continuità fra il Concilio Vaticano II e il Concilio di Trento, ovvero la culla del contro riformismo cattolico, anche con il pur nobile tentativo di ricondurre sotto l’autorità del papa la Comunità san Pio X liberalizzando il messale antico di San Pio V e affiancandolo con pari dignità al Novus Ordo Missae. Ma il problema della Chiesa di oggi non si risolve in una gara fra conservatori o progressisti, nel dire che Benedetto è il vero papa perché dice no alla comunione ai divorziati risposati, alle coppie di fatto, alle unioni gay, all’abolizione del celibato sacerdotale, alle donne prete, mentre Francesco non lo è perché ha una visione aperta e non pone paletti alla discussione.
Come ha chiaramente spiegato monsignor Carlo Maria Viganò è piuttosto giunto il momento che la Chiesa rifletta sui frutti prodotti dall’albero del Vaticano II, sugli errori, le eresie, le molteplici contraddizioni che ne sono scaturite per tornare alla “sana dottrina”, alla verità di fede che non deve essere inventata ma che è scritta, nero su bianco, nei Vangeli. Ammettendo una volta per tutte che il tentativo conciliare di abbracciare il mondo ha finito con il secolarizzare la Chiesa e sincretizzare la fede in nome di quell’ecumenismo religioso che è iniziato molto prima di Bergoglio (vedi i raduni interreligiosi di Assisi). Anche grazie ai conservatori di ieri che non hanno fatto abbastanza per impedire l’affermazione e il trionfo delle idee liberali facendo del Concilio un luogo di mediazione, di trattativa e di compromesso. Il luogo appunto del “ma anche”. Certo, è oggettivamente impossibile farlo oggi con un papa come Bergoglio che ci appare come il miglior interprete delle teorie di Rahner , ma ciò potrà avvenire soltanto con l’ausilio dello Spirito Santo e l’elezione di un pontefice consapevole di questa necessità e dell’urgenza di estirpare i semi velenosi della stagione conciliare. Ratzinger non lo ha fatto, limitandosi a contrastare i progressisti su un mero piano di differente interpretazione del Concilio ma mantenendo la fedeltà ad esso e proseguendone le derive in campo ecumenico (vedi il dialogo molto intenso con il mondo luterano culminato con l’incontro di Erfurt del 2011 con tanto di elogi alla spiritualità “perfettamente cristocentrica” di Lutero). Discutere dei due papi alla fine è un po’ come puntare il dito invece che la luna.
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