TRADITIONIS CUSTODES? MINIME, TRADITIONIS SANDAPILARII
Oltre sessant’anni fa. Nella chiesa parrocchiale ticinese di Giubiasco dedicata a Santa Maria Assunta, che si affaccia sulla grande piazza (dalle decine di tonalità di verde, come nel 1984 osservò ammirato il maestro mons. Pablo Colino)….
Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat iuventutem meam. Adiutorium nostrum in nomine Domini. Qui fecit coelum et terram. Confiteor…. La voce decisa prima di don Martino Imperatori, poi quella schiva di don Enrico Masa hanno accompagnato la nostra infanzia. Spesso alle sette del mattino noi chierichetti eravamo già là, per poi raggiungere la vicina scuola elementare dove ci attendeva la voce tonante del maestro Ugo Martignoni.
Eravamo già là nei giorni feriali… e la domenica era festa grande, curiosi di sapere a chi sarebbe stato affidato l’ambitissimo turibolo (niente però a che vedere noi con i noti turiferari che appestano l’aria ecclesiale specie da qualche anno a questa parte). In chiesa i fedeli pregavano e cantavano in latino … ed è vero che non pochi storpiavano le parole (basti pensare al povero Tantum ergo sacramentum orrendamente straziato). Ma era bello lo stesso, si sentiva la presenza del Sacro, anche se il Pedrin e il Pedrun talvolta stonavano nei vespri, vanamente istradati dalla frizzante Francesina, l’organista di origine francofona.
Poi venne la ‘messa in italiano’ e noi l’abbiamo frequentata e la frequentiamo senza problemi: ce ne sono di molto intense, spiritualmente edificanti, ben partecipate (e a tale proposito abbiamo più volte lodato la parrocchia romana di Sant’Ippolito a piazza Bologna) e ce ne sono di tanto sciatte (per non dire di peggio, cioè politicamente corrette) da consigliare ai malcapitati l’approdo ad altri lidi.
TRADITIONIS CUSTODES?
In questi giorni siamo invece confrontati – con tanta amarezza – con un atto papale del 16 luglio, un Motu proprio che porta un titolo promettente: Traditionis custodes. Dopo averlo ben letto e meditato è lecito invece chiedersi se non sarebbe stato meglio intitolarlo Traditionis sandapilarii ovvero becchini della tradizione. I sandapilarii tra l’altro erano i becchini per il popolo e i malfattori. E più o meno da malfattori sono trattati nel Motu proprio i cattolici che scelgono di partecipare alla Messa di rito romano secondo l’edizione tipica di Giovanni XXIII del 1962, originata da quella di Pio V del 1570 (noteremo che sia Giovanni XXIII che Pio V sono stati canonizzati da Santa Madre Chiesa…).
Il 16 luglio eravamo a Terracina, dove abbiamo preso nota dell’atto e della Lettera accompagnatoria… poi abbiamo cercato subito di dimenticare quanto letto tuffandoci nella festa della Madonna del Carmelo, che nella città pontina è tenuta in grande onore. Anche stavolta (nonostante le note restrizioni) la Madonna è stata onorata con gran concorso di popolo – presente il vescovo mons. Mariano Crociata - e una lunga processione l’ha accompagnata al porto, dove è stata secondo tradizione posta su una barca per l’uscita in mare. E’ stato bello, è stato anche commovente confrontarsi con questa chiara, semplice e gioiosa manifestazione di fede popolare.
Ben diverse le sensazioni derivate dalla prima lettura del Motu proprio che si può ben definire anche liberticida, in perfetta consonanza con il politicamente corretto che in tante parti del mondo riduce sempre più i margini della libertà personale (si vede che il ddl Zan fa scuola anche a Santa Marta).
ALCUNE NOSTRE CONSIDERAZIONI
Prima di evidenziare qualche commento speziato da parte di un ateo e di un cardinale, non si può non rilevare come sia dal Motu proprio che dalla Lettera ai vescovi di tutto il mondo emergano toni ben distanti da quelli predicati incessantemente in questi anni da Jorge Mario Bergoglio. Dove sono finiti rispetto, ascolto, accoglienza, inclusione, verità dei fatti? Prendiamo atto che tali termini sono stati sostituiti dai loro opposti a beneficio (si fa per dire) dei cattolici affezionati al Vetus Ordo.
Un’altra osservazione immediata, spontanea riguarda il trattamento ostile riservato non solo al Motu proprio Summorum Pontificum del 2007, ma anche de facto al suo autore papa Benedetto XVI, delle cui considerazioni si dà un’interpretazione perlomeno ardita (per essere generosi). In ogni caso a tale proposito insistere sulla presunta ‘continuità’ tra i due pontificati apparirà da qui in poi un vero e proprio sproloquio (era già chiaro prima, ma oggi diventa chiarissimo, salvo che per i turiferari di corte).
Un’ultima nostra riflessione rimanda a ciò che ha scritto Andrea Riccardi nel suo saggio molto stimolante sulla ‘Chiesa che brucia” (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/1010-la-chiesa-brucia-le-sorprese-di-andrea-riccardi.html ). A proposito del conclave del 2005 Riccardi ha osservato che il cardinal Martini “non era favorevole all’elezione del gesuita Bergoglio” (un’affermazione fatta in una conversazione tra Riccardi e Martini). Più che probabilmente il giudizio del gesuita arcivescovo di Milano derivava dalla sua conoscenza del carattere tutt’altro che lineare e non raramente aspro del confratello (caratteristica del resto nota nell’ambiente). Un vero peccato poiché papa Bergoglio possiede anche indubbie qualità: non l’abbiamo nascosto ad esempio riferendo della Lettera sul presepe, della preghiera del 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta, sull’indizione dell’anno di San Giuseppe, su iniziative a largo raggio come quella recente riguardante la situazione libanese, su altre di carattere interreligioso mondiale, sugli appelli contro la cultura dello scarto, per i diritti economico-sociali. Abbiamo dissentito invece quando si è schierato sostanzialmente per l’accoglienza ad ogni costo dei migranti (pur ogni tanto con qualche cautela) e dunque a fianco di ‘buonisti’, ong e de facto dei trafficanti. Due passi avanti e uno indietro (ipse dixit ) sui principi ‘non negoziabili’, dove le sue contraddizioni pubbliche restano clamorose. In più, purtroppo – ormai è evidente – alcune asprezze del suo carattere lo danneggiano fortemente, intaccando anche la credibilità e l’unità della Chiesa. Ne sanno qualcosa perfino suoi fedelissimi come il cardinale Becciu, fratel Enzo Bianchi, i vertici dell’amico Dicastero per la Comunicazione (umiliati pubblicamente il 24 maggio scorso), perfino i movimenti ecclesiali che vuole omogeneizzare, riducendone la varietà dei carismi. Immaginiamoci come tratta quelli che non riesce a sopportare: i preti e i seminaristi ‘rigidi’ (che secondo lui spesso hanno “problemi psichici”), le suore ‘zitellone’, vescovi e cardinali di cui non ha visto e non vede l’ora di liberarsi (come il card. Müller o il card. Sarah), Stati ‘cattivoni’ come l’Ungheria… difatti a settembre farà solo uno scalo ‘tecnico’ a Budapest per la messa di chiusura del Congresso eucaristico internazionale (e ci tiene a ripeterlo in tutte le salse in modo che suona offensivo), poi per tre giorni sarà nella vicina Slovacchia: non sia mai che debba respirare se non per qualche ora la stessa aria pestifera di Orban…
Ora i suoi fulmini sono caduti su quella minoranza di cattolici che preferisce legittimamente la messa nel rito romano, nella versione della “forma straordinaria” (per restare a quanto ha decretato Benedetto XVI). Se è vero che qualcuno in quella minoranza è tanto esasperato da dire peste e corna di Bergoglio, è anche vero che molti in essa sono cattolici esemplari e ferventi. Questo comportamento papale non è un bel vedere, perché da cattolici essere umiliati dal Papa è molto doloroso e può portare sia a rafforzare la fedeltà alla Tradizione che alla rivolta. O anche alla disaffezione verso il cattolicesimo.
UN PUNTO IMPORTANTE DELLA ‘SACROSANCTUM CONCILIUM’
E’ bene ricordare ancora un punto fondamentale della Costituzione sulla liturgia “Sacrosanctum Concilium” del 4 dicembre 1963.
(4):
Infine il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera come uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati; desidera infine che, ove sia necessario, siano riveduti integralmente con prudenza nello spirito della sana tradizione e venga loro dato nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo.
LE RIFLESSIONI DEL FILOSOFO FRANCESE MICHEL ONFRAY…
Sul Motu proprio Traditionis custodes riproduciamo ora alcune brevi riflessioni (su cui si possono naturalmente nutrire opinioni anche in parte o del tutto dissonanti… in ogni caso il contributo è meritevole di approfondimento) dapprima di Michel Onfray, filosofo e scrittore francese, ateo già comunista, anarchico, libertario, ma oggi approdato a un’altra visione della vita. Leggiamo su Le Figaro del 18 luglio…( nostra traduzione).
Onfray/1: Sono ateo, lo si sa, ma la vita della Chiesa cattolica mi interessa perché dà il polso della nostra civiltà giudaico-cristiana. Poiché, se Dio non è del mio mondo, il mio mondo è quello che ha reso possibile il Dio dei cristiani.
Onfray/2: Papa Francesco non è del livello teologico di papa Benedetto XVI, ne è ben distante. Ma non manca di quell’astuzia gesuitica che fa che, venuto dalla Compagnia di Gesù, ha scelto come nome, Francesco d’Assisi, quello di colui che si situa il più lontano possibile maggiore degli intrighi e delle anticamere di potere, laddove ai gesuiti piace ritrovarsi.
Onfray/3: Ai miei occhi l’atto più importante di Benedetto XVBI è stato il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 (…) L’atto più importante di papa Francesco è, sempre secondo me, di essersi fatto fotografare davanti a un crocifisso su cui Gesù indossa il giubbotto di salvataggio arancione dei migranti. Qui troviamo l’icona trionfante del Vaticano II che si congeda da ogni forma di sacro e di trascendenza a beneficio di una piccola morale di impronta planetaria.
Onfray/4: Nel ‘Summorum Pontificum’ Benedetto XVI liberalizzava la messa detta di Pio V. In ‘Traditionis custodes’ Francesco cancella tale gesto generoso. Benedetto XVI voleva lasciarsi alle spalle lo scisma con i tradizionalisti, Francesco invece lo fa riemergere, con il pretesto, naturalmente, gesuita un giorno, gesuita sempre, che intende in tal modo riunire ciò che per contro separa. Le vocazioni precipitano con il Vaticano II. Ma i religiosi che conservano il rito latino non conoscono la disaffezione, meglio… riempiono i seminari. Papa Francesco preferisce le chiese vuote grazie alle sue tesi rispetto a quelle piene, che si nutrono del pensiero di Benedetto XVI.
Onfray/5: Ciò che è in gioco in questa vicenda è il seguito del Vaticano II, detto in altre parole l’abolizione del sacro e della trascendenza. (…) Ma si può preferire il canto gregoriano senza per questo essere nostalgico della Repubblica di Vichy.
... E QUELLE DEL CARDINALE MUELLER
Concludiamo con alcuni passi dell’intervento che il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della fede, ha pubblicato su The Catholic Thing del 19 luglio 2021 (nostra traduzione).
Müller/1: Il documento della Congregazione per la Dottrina della fede sull’impossibilità di rendere legittimi il sesso omosessuale ed extraconiugale mediante lo strumento della benedizione è beffeggiato da vescovi, preti e teologi tedeschi (e non solo tedeschi) come semplice opinione di burocrati curiali un po’ ignoranti. Su questo punto è chiara la minaccia per l’unità della Chiesa nella fede rivelata, il che richiama alla memoria lo scisma protestante del XVI secolo. Eppure la risposta romana ad attacchi così pesanti all’unità della Chiesa portati all’interno del ‘Sinodo tedesco’ (…) è assai modesta, non paragonabile nelle proporzioni alla repressione disciplinare contro la minoranza legata al Vetus Ordo. A questo punto non si può non pensare al pompiere mal consigliato che – invece di salvare la casa in fiamme – si occupa prima di spegnere le fiamme nel piccolo fienale accanto ad essa.
Müller/2: Senza la minima sensibilità umana si trascurano i sentimenti religiosi dei partecipanti (di frequente giovani) alle messe celebrate secondo il messale di Giovanni XXIII del 1962. Insomma, invece di apprezzare l’odore delle pecore, il pastore qui le bastona senza pietà. Appare poi un’ingiustizia abrogare le celebrazioni del Vetus Ordo soltanto perché alcune persone problematiche le frequentano: abusus non tollit usum.
Müller//3: C’è da sperare che la Congregazione degli Istituti di Vita consacrata e quella per il Culto divino, con le loro nuove facoltà, non siano travolte dall’ebbrezza del potere e prefigurino una campagna di repressione contro le comunità legate al Vetus Ordo, magari pensando scioccamente di giovare alla Chiesa, promuovendo nel contempo il Vaticano II.
TRADITIONIS CUSTODES? MINIME, TRADITIONIS SANDAPILARII – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 luglio 2021
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