Perché il latino alla Messa?
A dei dogmi immutabili serve una lingua immutabile
Come si dismettono gli abiti da lavoro per celebrare il culto divino, così è oltremodo conveniente che la lingua della santa liturgia non sia quella di tutti i giorni.
La lingua volgare non concorda con l’azione sacra. In Occidente, il latino è stato per secoli la lingua della liturgia. In altre parti della Chiesa ed anche in numerose religioni non cristiane vi è anche una lingua sacra. La fissità della lingua liturgica, a fronte dell’evolversi della lingua volgare, sembra una costante in tutta l’umanità.I Greci scismatici, nella liturgia usano il greco antico; i Russi usano lo slavo. Al tempo di Cristo, gli Ebrei usavano per la liturgia l’ebraico antico, che non era la lingua corrente (e né Gesù né gli Apostoli hanno biasimato questa usanza). La stessa cosa avviene nell’islam (l’arabo letterario, lingua per la preghiera, non è più compreso dalla massa) e in certe religioni orientali. Anche i pagani romani, per il loro culto avevano delle formule arcaiche divenute incomprensibili.
L’uomo ha per natura il senso del sacro: egli comprende d’istinto che il culto divino non dipende da lui e che deve rispettarlo e trasmetterlo così come l’ha ricevuto, senza permettersi di stravolgerlo. L’impiego di una lingua fissa e sacra nella religione è conforme alla psicologia umana al pari alla natura immutabile delle realtà divine.
Il senso del mistero
La Messa realizza dei misteri ineffabili che nessun uomo può comprendere perfettamente. Questo carattere misterioso trova la sua espressione nell’impiego di una lingua misteriosa, che non è immediatamente compresa da tutti (è anche per questo che certe parti della Messa vengono recitare a bassa voce). La lingua vernacolare, al contrario, dà l’impressione superficiale di una comprensione che in realtà non c’è.
Le persone pensano di comprendere la Messa perché è celebrata nella loro lingua madre. In effetti, esse generalmente non sanno alcunché dell’essenza del Santo Sacrificio.
Non si tratta di ergere un muro che maschera tutto, ma, al contrario, si fare apprezzare meglio le prospettive; e per far questo occorre tenere una certa distanza.
Per penetrare un po’ nel mistero della Messa, la prima condizione è riconoscere umilmente che in realtà si tratta di un mistero, qualcosa che ci supera.
L’impiego del latino nella liturgia comporta il senso del mistero anche per coloro che conoscono questa lingua. Il fatto stesso che si tratti di una lingua speciale, distinta dalla lingua madre e dalla lingua ordinaria (una lingua che, di per sé, non è immediatamente compresa da tutti, anche se, di fatto, è compresa) è sufficiente a dare una certa distanza, che incoraggia il rispetto.
Una minore comprensione?
Lo studio del latino cristiano deve essere vivamente incoraggiato. Lo sforzo che esso richiede contribuirà ad elevare verso il mistero – mentre la lingua volgare tende ad abbassare al livello umano. Il Concilio di Trento prescrive al sacerdote di predicare spesso sulla Messa e di spiegare i riti ai fedeli. I fedeli inoltre hanno il messalino in cui le preghiere latine sono tradotte. In questo modo, essi possono avere accesso alle belle preghiere della liturgia senza che i vantaggi del latino vadano perduti. L’esperienza dimostra inoltre che nei nostri paesi latini la comprensione del latino liturgico (se non in tutti i particolari almeno in maniera complessiva) è relativamente facile per chi si interessa.
Lo sforzo di attenzione richiesto favorisce la vera partecipazione dei fedeli alla liturgia: quella dell’intelligenza e della volontà. Mentre la lingua volgare rischia al contrario di incoraggiare la pigrizia.
Per vivere nello spirito di preghiera tutte le proprie attività, bisogna saper lasciare queste attività per un certo tempo per dedicarsi solo alla preghiera. È lo stesso qui: usare, di tanto in tanto, un linguaggio sacro per prendere coscienza della trascendenza di Dio, sarà un aiuto, e non un impedimento, alla preghiera in ogni momento.
L’unità della Chiesa
La fede immutabile richiede uno strumento proporzionato: una lingua che sia la più immutabile possibile, tale che possa servire da riferimento. Ora, il latino, che non è più una lingua corrente, non cambia più o quasi. Invece in una lingua corrente le parole possono subire rapidamente dei cambiamenti notevoli di significato e di registro (possono assumere una connotazione peggiorativa o ridicola che non avevano prima). L’uso di una tale lingua può dunque comportare facilmente degli errori o delle ambiguità, mentre l’uso del latino preserva sia la dignità sia l’ortodossia della liturgia (1).
Impiegata nella liturgia per quasi duemila anni, la lingua latina è stata come santificata. E’ confortante poter pregare con le stesse parole che i nostri antenati e tutti i sacerdoti e i monaci hanno usato per secoli. Così, unendo la nostra preghiera alla loro, sentiamo in maniera concreta la continuità della Chiesa attraverso i tempi. Il tempo e l’eternità si uniscono.
Il latino non manifesta solo l’unità della Chiesa attraverso i tempi, ma anche attraverso lo spazio (2). Favorendo l’unione con Roma (così è stata preservata la Polonia dallo scisma slavo) esso unisce tra loro tutte le nazioni cristiane. Prima del concilio Vaticano II, la Messa di rito romano era celebrata dappertutto con la stessa lingua. I fedeli ritrovavano sui cinque continenti la Messa della loro parrocchia. Oggi questa immagine dell’unità è distrutta. Non vi è più alcuna unità nella liturgia: né nella lingua né nei riti; al punto che chi assiste ad una Messa celebrata in una lingua che non conosce troverà molto difficile persino identificare le parti principali.
Manifestare cosa è la Chiesa
La nostra Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. La lingua latina contribuisce a suo modo ad ognuna di queste caratteristiche (3). Per la sua genialità (lingua imperiale), il suo carattere ieratico (lingua “morta), e soprattutto la consacrazione che ha ricevuto, insieme all’ebraico e al greco sul titulum della croce [4], serve in modo eccellente la santità della liturgia; per il suo uso universale e sovranazionale (non è più la lingua di alcun popolo), manifesta la sua cattolicità; per il suo legame vivo con la Roma di San Pietro, e con tanti Padri e Dottori della Chiesa che furono allo stesso tempo eco degli Apostoli e artigiani del latino liturgico (essi forgiarono non solo le orazioni, gli inni e i responsori, ma lo stesso latino cristiano, che è in molti modi un rinnovamento completo del latino classico), è il garante della sua apostolicità; Infine, attraverso il suo uso ufficiale, che ne fa la lingua di riferimento per il magistero, il diritto canonico e la liturgia, contribuisce efficacemente alla triplice unità della Chiesa: unità di fede, unità di governo e unità di culto.
NOTE
1 - «L’uso della lingua latina […] è una protezione efficace contro ogni corruzione della dottrina (Pio XII, Mediator Dei).
«A dei dogmi immutabili serve una lingua immutabile che garantisca da ogni alterazione nella formulazione stessa di questi dogmi. […] I protestanti e tutti i nemici della Chiesa cattolica le hanno sempre rimproverato il latino. Sentono che l’immobilità di questa armatura difende meravigliosamente da ogni alterazione quelle antiche tradizioni cristiane la cui testimonianza li schiaccia. Vorrebbero rompere la forma per raggiungere la sostanza. L’errore parla volentieri una lingua variabile e mutevole. (Mons. de Ségur).
2 – L’impiego della lingua latina, in uso in gran parte della Chiesa, è un chiaro ed evidente segno di unità […] (Pio XII, Mediator Dei).
3 - «Infatti, dal momento che essa raccoglie nel suo seno tutte le nazioni, che è destinata a vivere fino alla consumazione dei secoli e che esclude totalmente dal suo governo i semplici fedeli, la Chiesa, per sua stessa natura, ha bisogno di una lingua universale, fissata definitivamente, che non sia una lingua volgare» (Pio XI, Lettera Apostolica Officiorum omnium, 1 agosto 1922.
4 - «Gesù il nazareno, il re dei Giudei» […] l’iscrizione era in ebraico, latino e greco (Gv. 19, 20).
La lingua volgare non concorda con l’azione sacra. In Occidente, il latino è stato per secoli la lingua della liturgia. In altre parti della Chiesa ed anche in numerose religioni non cristiane vi è anche una lingua sacra. La fissità della lingua liturgica, a fronte dell’evolversi della lingua volgare, sembra una costante in tutta l’umanità.I Greci scismatici, nella liturgia usano il greco antico; i Russi usano lo slavo. Al tempo di Cristo, gli Ebrei usavano per la liturgia l’ebraico antico, che non era la lingua corrente (e né Gesù né gli Apostoli hanno biasimato questa usanza). La stessa cosa avviene nell’islam (l’arabo letterario, lingua per la preghiera, non è più compreso dalla massa) e in certe religioni orientali. Anche i pagani romani, per il loro culto avevano delle formule arcaiche divenute incomprensibili.
L’uomo ha per natura il senso del sacro: egli comprende d’istinto che il culto divino non dipende da lui e che deve rispettarlo e trasmetterlo così come l’ha ricevuto, senza permettersi di stravolgerlo. L’impiego di una lingua fissa e sacra nella religione è conforme alla psicologia umana al pari alla natura immutabile delle realtà divine.
Il senso del mistero
La Messa realizza dei misteri ineffabili che nessun uomo può comprendere perfettamente. Questo carattere misterioso trova la sua espressione nell’impiego di una lingua misteriosa, che non è immediatamente compresa da tutti (è anche per questo che certe parti della Messa vengono recitare a bassa voce). La lingua vernacolare, al contrario, dà l’impressione superficiale di una comprensione che in realtà non c’è.
Le persone pensano di comprendere la Messa perché è celebrata nella loro lingua madre. In effetti, esse generalmente non sanno alcunché dell’essenza del Santo Sacrificio.
Non si tratta di ergere un muro che maschera tutto, ma, al contrario, si fare apprezzare meglio le prospettive; e per far questo occorre tenere una certa distanza.
Per penetrare un po’ nel mistero della Messa, la prima condizione è riconoscere umilmente che in realtà si tratta di un mistero, qualcosa che ci supera.
L’impiego del latino nella liturgia comporta il senso del mistero anche per coloro che conoscono questa lingua. Il fatto stesso che si tratti di una lingua speciale, distinta dalla lingua madre e dalla lingua ordinaria (una lingua che, di per sé, non è immediatamente compresa da tutti, anche se, di fatto, è compresa) è sufficiente a dare una certa distanza, che incoraggia il rispetto.
Una minore comprensione?
Lo studio del latino cristiano deve essere vivamente incoraggiato. Lo sforzo che esso richiede contribuirà ad elevare verso il mistero – mentre la lingua volgare tende ad abbassare al livello umano. Il Concilio di Trento prescrive al sacerdote di predicare spesso sulla Messa e di spiegare i riti ai fedeli. I fedeli inoltre hanno il messalino in cui le preghiere latine sono tradotte. In questo modo, essi possono avere accesso alle belle preghiere della liturgia senza che i vantaggi del latino vadano perduti. L’esperienza dimostra inoltre che nei nostri paesi latini la comprensione del latino liturgico (se non in tutti i particolari almeno in maniera complessiva) è relativamente facile per chi si interessa.
Lo sforzo di attenzione richiesto favorisce la vera partecipazione dei fedeli alla liturgia: quella dell’intelligenza e della volontà. Mentre la lingua volgare rischia al contrario di incoraggiare la pigrizia.
Per vivere nello spirito di preghiera tutte le proprie attività, bisogna saper lasciare queste attività per un certo tempo per dedicarsi solo alla preghiera. È lo stesso qui: usare, di tanto in tanto, un linguaggio sacro per prendere coscienza della trascendenza di Dio, sarà un aiuto, e non un impedimento, alla preghiera in ogni momento.
L’unità della Chiesa
La fede immutabile richiede uno strumento proporzionato: una lingua che sia la più immutabile possibile, tale che possa servire da riferimento. Ora, il latino, che non è più una lingua corrente, non cambia più o quasi. Invece in una lingua corrente le parole possono subire rapidamente dei cambiamenti notevoli di significato e di registro (possono assumere una connotazione peggiorativa o ridicola che non avevano prima). L’uso di una tale lingua può dunque comportare facilmente degli errori o delle ambiguità, mentre l’uso del latino preserva sia la dignità sia l’ortodossia della liturgia (1).
Impiegata nella liturgia per quasi duemila anni, la lingua latina è stata come santificata. E’ confortante poter pregare con le stesse parole che i nostri antenati e tutti i sacerdoti e i monaci hanno usato per secoli. Così, unendo la nostra preghiera alla loro, sentiamo in maniera concreta la continuità della Chiesa attraverso i tempi. Il tempo e l’eternità si uniscono.
Il latino non manifesta solo l’unità della Chiesa attraverso i tempi, ma anche attraverso lo spazio (2). Favorendo l’unione con Roma (così è stata preservata la Polonia dallo scisma slavo) esso unisce tra loro tutte le nazioni cristiane. Prima del concilio Vaticano II, la Messa di rito romano era celebrata dappertutto con la stessa lingua. I fedeli ritrovavano sui cinque continenti la Messa della loro parrocchia. Oggi questa immagine dell’unità è distrutta. Non vi è più alcuna unità nella liturgia: né nella lingua né nei riti; al punto che chi assiste ad una Messa celebrata in una lingua che non conosce troverà molto difficile persino identificare le parti principali.
Manifestare cosa è la Chiesa
La nostra Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. La lingua latina contribuisce a suo modo ad ognuna di queste caratteristiche (3). Per la sua genialità (lingua imperiale), il suo carattere ieratico (lingua “morta), e soprattutto la consacrazione che ha ricevuto, insieme all’ebraico e al greco sul titulum della croce [4], serve in modo eccellente la santità della liturgia; per il suo uso universale e sovranazionale (non è più la lingua di alcun popolo), manifesta la sua cattolicità; per il suo legame vivo con la Roma di San Pietro, e con tanti Padri e Dottori della Chiesa che furono allo stesso tempo eco degli Apostoli e artigiani del latino liturgico (essi forgiarono non solo le orazioni, gli inni e i responsori, ma lo stesso latino cristiano, che è in molti modi un rinnovamento completo del latino classico), è il garante della sua apostolicità; Infine, attraverso il suo uso ufficiale, che ne fa la lingua di riferimento per il magistero, il diritto canonico e la liturgia, contribuisce efficacemente alla triplice unità della Chiesa: unità di fede, unità di governo e unità di culto.
NOTE
1 - «L’uso della lingua latina […] è una protezione efficace contro ogni corruzione della dottrina (Pio XII, Mediator Dei).
«A dei dogmi immutabili serve una lingua immutabile che garantisca da ogni alterazione nella formulazione stessa di questi dogmi. […] I protestanti e tutti i nemici della Chiesa cattolica le hanno sempre rimproverato il latino. Sentono che l’immobilità di questa armatura difende meravigliosamente da ogni alterazione quelle antiche tradizioni cristiane la cui testimonianza li schiaccia. Vorrebbero rompere la forma per raggiungere la sostanza. L’errore parla volentieri una lingua variabile e mutevole. (Mons. de Ségur).
2 – L’impiego della lingua latina, in uso in gran parte della Chiesa, è un chiaro ed evidente segno di unità […] (Pio XII, Mediator Dei).
3 - «Infatti, dal momento che essa raccoglie nel suo seno tutte le nazioni, che è destinata a vivere fino alla consumazione dei secoli e che esclude totalmente dal suo governo i semplici fedeli, la Chiesa, per sua stessa natura, ha bisogno di una lingua universale, fissata definitivamente, che non sia una lingua volgare» (Pio XI, Lettera Apostolica Officiorum omnium, 1 agosto 1922.
4 - «Gesù il nazareno, il re dei Giudei» […] l’iscrizione era in ebraico, latino e greco (Gv. 19, 20).
di Don Matthias Gaudron, FSSPX
Pubblicato su La porte Latine
sito della Fraternità San Pio X in Francia
Fonte: Don Matthias Gaudron, FSSPX, Catechismo della crisi della Chiesa, Edizioni Piane, https://edizionipiane.it/prodotto/catechismo-della-crisi-nella-chiesa/
sito della Fraternità San Pio X in Francia
Fonte: Don Matthias Gaudron, FSSPX, Catechismo della crisi della Chiesa, Edizioni Piane, https://edizionipiane.it/prodotto/catechismo-della-crisi-nella-chiesa/
Glorifica Dio, Insegna la Verità, Salva Anime, Crea Santi: i Doveri della Chiesa.
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, un caro amico del nostro blog ci offre – e lo ringraziamo di cuore – la traduzione di un articolo molto interessante apparso su One Peter Five, un portale cattolico USA che ben conoscete. Buona lettura.
§§§
Gli scopi della nostra Chiesa locale
“Grida, non fermarti, alza la tua voce come una tromba e mostra al mio popolo le loro azioni malvagie”
(Isaia 58:1 [DRB]).
Una recente dichiarazione del Consiglio parrocchiale della Chiesa della Santissima Trinità nel Distretto di Columbia afferma in modo ottenebrato e truculento che la loro chiesa “non negherà l’Eucaristia alle persone che si presenteranno per riceverla”.
Ho scritto quanto segue al suo pastore, un sacerdote gesuita:
[30 giugno] – ricorrenza dei Primi Martiri di Santa Romana Chiesa
Buongiorno, padre Gillespie:
Il pastore, come a vostra conoscenza, è responsabile davanti a Dio della salvezza delle anime a lui affidate. Tale responsabilità include, naturalmente, l’educazione morale dei parrocchiani e la volontà di farsi avanti, come sacerdote (e pastore) di Cristo, rifiutandosi di pensare e di agire per la causa del male ed entro di essa, o di intimidirsi quando altri lo pensano e lo attuano.
Il nostro pensiero, infatti, deve conformarsi alla Santa Eucaristia (CCC #1327, Rm 12,2), non contaminarla accettando consapevolmente e volontariamente l’accoglienza spudorata di Nostro Signore da parte di coloro che pubblicamente e insistentemente si fanno beffe dell’insegnamento immutabile della Chiesa (che è l’insegnamento di Cristo).
L’annuncio del Vangelo ci richiede (cfr Eb 12,12) di dire la verità con coraggio e con amore, e non di ricercare la popolarità (cfr, ad es. Gv 12,43 e Gal 1,10).
Caro Padre, incoraggiare, in qualsiasi modo, chi compie, o applaude, alla mostruosità morale dell’aborto è un male grave: è sacrilegio, ed è scandalo.
Per favore, padre, risponda alla triste domanda del salmista:
“Chi sorgerà per me contro i malvagi? Chi starà con me contro i malfattori?” (Sal 94,16), rispondendo da sacerdote di Cristo: «Eccomi, Signore. Manda me [come tuo fedele testimone sacerdotale contro lo sterminio di massa degli innocenti]”.
Possano i Primi Martiri di Santa Romana Chiesa pregare per voi e per tutti coloro che vi sono affidati.
In Cristo,
Il diacono James H. Toner
Padre Gillespie non ha risposto alla mia email.
Se dovessi parlare con questo parroco e il suo consiglio parrocchiale (della cui educazione morale padre Gillespie è responsabile, anche se con scarso successo), potrei ricordargli Jacques Maritain, che ci ammoniva dall’inginocchiarsi davanti al mondo – e il vescovo Fulton Sheen, che ci ricordava che “La cosa peggiore del mondo non è il peccato; è la negazione del peccato da parte di una falsa coscienza”.
Se ascoltiamo Maritain e Sheen, siamo ben istruiti e saggiamente formati sui pericoli della mondanità e sulla relativa cura: una coscienza cattolica debitamente formata (vedi CCC #1713-1714, 1733, 1740).
Alla Holy Trinity Catholic Church nel Distretto di Columbia, troviamo questa dichiarazione di missione: “Siamo una parrocchia cattolica gesuita che accoglie tutti per—Accompagnarsi l’un l’altro in Cristo, celebrare l’amore di Dio e trasformare la vita”.
Questo linguaggio e la piattaforma progressista da cui si sviluppa possono contribuire a realizzare una coscienza cattolica adeguatamente formata? Quella chiesa – e la sua arcidiocesi – avranno autentici pastori per guidarli, custodirli e governarli, o ci sono solo quelli che “si prendono cura di se stessi ma non pascolano mai le pecore”? (Ezechiele 34:2; cfr. 2 Pietro 2:1, Giuda 1:4).
——–
Alcuni anni fa, mi sono lamentato, con gentilezza, facendo presente al nostro pastore che la “dichiarazione di missione” della parrocchia suonava più come una autopromozione, da verbosa pubblicità commerciale di una società, che un meticoloso compendio di ciò che la Chiesa cattolica ha essenzialmente predicato dalla sua fondazione da parte di nostro Signore. Un’indagine su tali “dichiarazioni di missione” (soprattutto nelle autoproclamate “comunità di fede” – piuttosto che nelle “chiese cattoliche”) suggerisce un problema diffuso: l’accento è spesso posto sull’orgogliosa autocelebrazione e sulla teologia orizzontale (“È tutto su di noi !”) piuttosto che sul nostro sacro dovere di adorare Dio, adempiere fedelmente e preservare le responsabilità dottrinali a noi affidate (2 Tm 1,13-14, CCC #857).
Ho detto al mio pastore che potevo dargli una buona dichiarazione di missione parrocchiale in otto parole (“Glorifica Dio, salva anime, fai santi, insegna verità”).
Mi ha detto di scriverlo e darglielo, insieme a qualche “motivazione”.
L’ho fatto, e alla fine abbiamo scelto sei parole che, di fatto, sono diventate la dichiarazione della missione parrocchiale.
La “motivazione” che ho offerto è stata successivamente stampata nel bollettino della chiesa. Ecco il testo completo di tutte e quattro le frasi:
Glorifica Dio. . .
Glorificare significa adorare. Dalle parole del Gloria: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Queste parole, recitate in quasi ogni santa Messa, sono angeliche (cfr Lc 2,14). Lodano Dio Onnipotente e la preghiera di lode ci dice il Catechismo , “abbraccia le altre forme di preghiera e le porta verso [il Dio Uno e Trino]” (CCC#2639, #2789). Come cattolici, siamo incaricati di glorificare Dio con ciò che pensiamo (2 Cor 10:5), con ciò che diciamo (Ef 5:4) e con ciò che facciamo (Giacomo 2:17, 24). “Glorificare Dio” è una frase che incorpora i Dieci Comandamenti, le Otto Beatitudini e le opere di misericordia spirituale e corporale, invitandoci ad amare Dio e, in quello spirito di carità, a servire il prossimo. “Glorificare Dio”, inoltre, è una frase che comunica il nostro anelito a Dio (cfr Sal 63 e 42) e che annuncia pubblicamente il nostro desiderio, per grazia di Dio, di essere testimoni di Cristo ovunque siamo (cfr Mt 28 :20, Atti 1:8, Gaudium et Spes , #43, par. 4).
Insegna Verità. . .
Laddove e quando il mondo secolare nega categoricamente la verità oggettiva, la Chiesa, come testimone di Dio, testimonia la verità e vuole che tutti la conoscano (cfr 1 Tm 2,4).
La verità non è qualcosa; la verità è Qualcuno, che è Gesù Cristo, nostro divino Signore (Giovanni 14:6).
“La Chiesa cattolica è, per volontà di Cristo, maestra di verità. È suo dovere proclamare e insegnare con autorità la verità che è Cristo e, nello stesso tempo, dichiarare e confermare con la sua autorità i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” (Dignitatis Humanae #14, CCC # 2105). Genitori (CCC#2223) e parrocchia insieme, quindi, devono insegnare la verità ed educare la coscienza, cosa «indispensabile per gli esseri umani che sono soggetti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti autorevoli» (CCC #1783) . La coscienza educata nella pienezza della verità “garantisce la libertà e genera la pace del cuore” (CCC #1784; #1696; #1742; #2526).
Salva anime. . .
Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato che “Tutta la storia dell’uomo è stata la storia di un aspro combattimento con le potenze del male . . . dall’alba della storia fino all’ultimo giorno” (Gaudium et Spes, #37, paragrafo 2). La “Preghiera di Fatima” ripetuta nel Santissimo Rosario chiede a nostro Signore di “salvarci dal fuoco dell’Inferno”. Il Canone Romano (Preghiera Eucaristica I) prega “che siamo liberati dalla dannazione eterna”. Allo stesso modo la Scrittura ci consiglia di operare la nostra salvezza «con timore e tremore» (Fil 2,12), non perché Dio ci abbandoni, ma perché noi abbiamo il potere disordinato di rifiutare la grazia di Dio e il Suo disegno di salvezza (Mt 7: 13, Rm 2:8, Fil 3:19, Ap 21:8). Come Andrea che portò Simone, poi chiamato Pietro, a Cristo, siamo incaricati di pensare, parlare e agire in modo tale che anche noi portiamo le persone a Cristo, che è il nostro Redentore. Come cattolici battezzati e cresimati, abbiamo «l’obbligo, e anche il sacro diritto, di evangelizzare tutti gli uomini» (CCC#848, #1122). Come ci insegna san Giacomo: «Chi convertirà un peccatore dall’errore della sua via, salverà l’anima sua dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati» (5,20). Salus animarum suprema lex: la salvezza delle anime (non l’attivismo politico, economico o sociale) è la legge suprema (e il fine) della Chiesa (Vedi Canone 1752, CCC #849).
Crea [o rafforza] santi . . .
La Sposa di Cristo, la Chiesa (vedi CCC #796), non fa i santi; li riconosce e li sostiene. La clausola “confermiamo i santi” (cfr Fil 4,13; Col 2,8; Eb 12,12), quindi, significa che la Chiesa ci aiuta a crescere nella santità (cfr Lc 22,32), che a sua volta , significa “il possesso della grazia divina e . . . la pratica della virtù” (Padre John Hardon, SJ). Siamo chiamati ad essere santi in tutto ciò che facciamo (cfr 1 Pt 1,15), a formare le nostre coscienze alla luce della verità (CCC #1959, #2039), e a crescere nella virtù (Fil 4,8 , CCC # 1803), secondo il modello della santità, che è Gesù il Cristo (CCC#459). Come spiega sinteticamente san Paolo, Gesù «ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare un popolo puro, che Gli appartenga, zelante nelle opere buone» (Tt 2,14, 1 Gv 3,3). La Chiesa cattolica universale e, come parte della Chiesa cattolica universale, la nostra parrocchia, sono “totalmente ordinati alla santità delle membra di Cristo” (San Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, n. 27). Ci sforziamo, per grazia di Dio, di crescere nella fede, nella speranza e nell’amore (1 Cor 13,13; cfr Sap 8,7) perché siamo chiamati ad essere santi (Mt 5,48; Gd 3, CCC # 2842).
+++
Non c’è niente che sappia di pubblicità, commercio, mode o fantasie ideologiche, meteorologia militante (cambiamenti climatici) o ingegneria sociale. La “dichiarazione di missione” di una parrocchia dovrebbe essere radicata e fondata sull’incarico di nostro Signore agli Apostoli e a noi: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, . . . insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20; cfr At 1,8).
La radice del nostro problema morale contemporaneo sta in questo: non sappiamo più chi sono — anche confondendo maschio e femmina — perché non sappiamo più Chi siamo (1 Cor 6,19-20; Rm 14,8). O siamo di Dio (nell’originale è sottolineato “notare l’apostrofo” – in inglese è una evidenza della stretta appartenenza – N.d.T.); o pensiamo di essere dei (senza apostrofi e senza appartenenza se non a noi stessi – N.d.T.). Riconosciamo umilmente di essere fatti a immagine e somiglianza di Dio (cfr CCC #2333), oppure cerchiamo con prepotenza di fare Dio a immagine e somiglianza di noi stessi (cfr Gen 3,5; Is 14,14-15 , 2 Tess 2:4).
Il mondo secolare nega frequentemente e con veemenza Dio, rifiuta la verità oggettiva e ridicolizza le idee sia delle anime immortali che dei santi (cfr CCC #387).
In questa dichiarazione di missione di sei (o otto) parole, una parrocchia testimonia che Dio esiste e che Lo adoriamo; che insegniamo la Verità di Cristo (il motivo per cui anche il sostantivo è in maiuscolo) – una Verità alla quale (a Chi!) dobbiamo conformarci (Romani 12:2); professiamo che le anime che rifiutano consapevolmente quella verità sono gravemente in pericolo (CCC #1696); e riconosciamo di essere chiamati, per grazia di Dio, ad essere santi (1 Cor 1:2, CCC #1695).
Quando diedi al mio ex pastore questa breve dichiarazione di missione, gli dissi che la nuova dichiarazione era “gocciolante di cattolicesimo” e che, proprio per questo motivo, poteva aspettarsi critiche da alcuni ambienti. (Questo è troppo spesso il mondo della vita parrocchiale di oggi.) Il nostro nuovo parroco, adottando anche lui la breve dichiarazione, in realtà l’ha blasonata sulle buste delle donazioni parrocchiali.
Questa dichiarazione di missione di sei o otto parole può essere interessante o utile. Se è così, gridalo con coraggio dai tetti (Mt 10:27, Lc 12:3). Si ricorda il versetto di Marco: “Se uno si vergogna di me e del mio insegnamento davanti a questa generazione adultera e peccatrice, allora il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” (8:38; Luca 9:26). Una dichiarazione della missione parrocchiale, e la sua giustificazione, dovrebbero testimoniare che questa particolare parrocchia è fermamente cattolica e che i suoi sacerdoti avranno il discernimento pastorale (Eb 5,14) e la virile forza d’animo (cfr Eb 12,2-3; Is 35 :3, CCC #1808) per proteggere l’Eucaristia da coloro che pubblicamente, con insistenza e orgoglio (Vedi CCC#1866) negano, insultano o ignorano il sacro e immutabile insegnamento della stessa Chiesa che ci offre il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Cristo Re.
Traduzione di Vincenzo Fedele
Il diacono James H. Toner (MA, William & Mary; Ph.D., Notre Dame) è professore emerito di leadership ed etica presso l’US Air War College, ex ufficiale dell’esercito americano e autore di numerosi libri, articoli, recensioni, e monografie. Ha insegnato a Notre Dame, Norwich, Auburn, alla US Air Force Academy e all’Holy Apostles College & Seminary. Ha collaborato a numerose rubriche per The Catholic Thing , Crisis Magazine , One Peter Five e The Wanderer, oltre a una miriade di periodici accademici e militari. Lui e sua moglie Rebecca hanno tre figli e undici nipoti.
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