Green pass: la ragione finisce, ecco quel che resta
Ed eccoci qui, per l’ennesima volta, a constatare che la catastrofica solennità di una tragedia si percepisce nei dettagli comici che l’accompagnano inesorabilmente. Le schegge di imbecillità amano danzare divertite sugli abissi umani più oscuri come lucciole nella notte attorno agli escrementi, in uno sfarfallìo luminoso che vorrebbe trasmettere allegria e invece porta solo mestizia. Regola ferrea cui non fanno eccezione contenuti e contorni del decreto legge numero 105 del 23 luglio 2021 con cui è istituita la “certificazione verde” alias green pass.
Tragico e comico, ancora una volta, si danno la mano come sui manifesti che un tempo facevano bella mostra nelle bacheche dei teatri d’oratorio. Dramma in cinque atti, segue brillantissima farsa: dopo aver pianto con La sepolta viva, i nostri nonni si scompisciavano con La classe degli asini. E oggi non è cambiato nulla visto che la certificazione verde somministrata agli italiani dal signor Mario Draghi intende seppellire vivi i renitenti alla leva vaccinale in un tripudio di esilaranti asinerie. Signor Mario Draghi, è bene ricordarlo, che governa un popolo senza che il popolo lo abbia eletto o gli abbia consegnato un mandato. Recentemente glielo ha ricordato persino Erdogan, e lui, il signor Mario Draghi, non ha nemmeno potuto replicare “da che pulpito”.
IL TRIONFO DELLA SUPERCAZZOLA Ognuno può liberamente pescare dove vuole per trovare le peggio stramberie nel decreto numero 105. A me piace molto la norma applicativa, in gergo tecnosocial “app”, secondo cui per mangiare in un ristorante all’aperto non è richiesto il green pass, mentre per mangiare al chiuso serve esibire il certificato che comprovi l’inoculazione di una dose di vaccino.
La domanda che sorge spontanea è la seguente: se, come ci spiegano dalla cabina di regia, per essere immuni servono due, tre e poi forse quattro, cinque, eccetera dosi di vaccino, una sola somministrazione da che cosa mette al riparo chi mangia in un ristorante al chiuso? Forse che il virus circola lo stesso, ma più debolmente e dunque non ce la fa a passare da un tavolo all’altro nel tempo di una cena? Oppure, i bacilli trasportati dai commensali, educati da una sola dose di vaccino, mettono fuori la testolina, si guardano attorno, dicono buongiorno e buonasera e poi tornano al calduccio nell’organismo del rispettivo portatore senza importunare le altre persone in sala?
In subordine, trovo molto carina anche l’app secondo cui non serve il green pass se si consuma al banco mentre serve se si consuma seduti. E qui, lo confesso, porgo una domanda di interesse strettamente personale, ma utile a chi si trova nelle mie stesse condizioni. Da qualche tempo sono diversamente deambulante e non sempre riesco a mantenermi stabilmente in posizione eretta. Mi capita per esempio che, prendendo un caffè al banco di un bar, mi debba sedere improvvisamente per necessità biodinamiche. Ebbene, se indipendentemente dalla mia volontà, mentre sorbisco un caffè, sono costretto ad adagiarmi su una sedia, devo contestualmente esibire il green pass che prima non mi era stato richiesto? In tale evenienza, da cittadino ligio alle leggi divento potenziale nemico pubblico numero uno solo perché le gambe, come si dice dalle mie parti, mi hanno fatto Giacomo Giacomo? Anche i meno accorti, se non sono presi da furori ideologici, dovranno convenire che, finito il tempo della ragione, siamo giunti a quello della supercazzola.
CHI VUSA PÜSÉ LA VACA L’È SUA Se questa è la sua epifania suprema, non servono ponderosi tomi di politologia per comprendere che cosa sia veramente la democrazia che da qualche secolo ci sventolano sotto il naso per farci credere di essere liberi. Iter e trattative per giungere al decreto legge numero 105 del 23 luglio 2021 ce lo spiegano in breve e senza tanti giri di parole. La democrazia è un mercato delle vacche in cui ognuno cerca di gridare più degli altri solo per conquistare un po’ di consenso e un po’ di potere: “Per andare in pizzeria con la morosa servono tre dosi di vaccino”, “No, in pizzeria con la morosa il vaccino non serve”… Gridano, vanno sui giornali, in televisione e sul web con le facce truci, ma sanno sanno già tutti che si incontreranno a metà strada e, siccome trovarsi a metà strada con una dose e mezza in mano fa troppo ridere, vince chi grida di più e la vacca è sua: in pizzeria con la morosa e una dose di vaccino.
Non è un caso se la libertà di chi non intende farsi vaccinare dovrebbe essere “difesa” da sedicenti oppositori di lotta o di governo come la Meloni e Salvini: una che ha annunciato la sua vaccinazione prossima ventura e l’altro che si è messo subito in fila. Altrimenti all’una e all’altro non sarebbe concesso di “opporsi” legittimamente. Dal che si deduce come la legittima opposizione non può essere contro il veleno, ma solo contro una certa quantità del veleno stesso. Come si fa per l’inquinamento delle acque, non si diminuiscono le schifezze che vi si buttano, ma, con trattativa burodemocratica, si alzano i livelli della soglia di rischio. Insomma, chi fa il democratico avvelena anche te, eccetera eccetera.
LA DITTATURA DEMOCRATICA Nei giorni scorsi, sepolti da una valanga di insulti perbene, Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno mostrato la gravità di quanto sta accadendo in un breve scritto intitolato A proposito del decreto sul green pass, di cui vale la pena di riportare alcuni passaggi: “La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosiddetto green pass, con inconsapevole leggerezza. Ogni regime dispotico ha sempre operato attraverso pratiche di discriminazione, all’inizio magari contenute e poi dilaganti. Non a caso in Cina dichiarano di voler continuare con tracciamenti e controlli anche al termine della pandemia. E varrà la pena ricordare il ‘passaporto interno’ che per ogni spostamento dovevano esibire alle autorità i cittadini dell’Unione Sovietica. Quando poi un esponente politico giunge a rivolgersi a chi non si vaccina usando un gergo fascista come ‘li purgheremo con il green pass’ c’è davvero da temere di essere già oltre ogni garanzia costituzionale.
Guai se il vaccino si trasforma in una sorta di simbolo politico-religioso. Ciò non solo rappresenterebbe una deriva anti-democratica intollerabile, ma contrasterebbe con la stessa evidenza scientifica. Nessuno invita a non vaccinarsi! Una cosa è sostenere l’utilità, comunque, del vaccino, altra, completamente diversa, tacere del fatto che ci troviamo tuttora in una fase di ‘sperimentazione di massa’ e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto. (…)
Tutti sono minacciati da pratiche discriminatorie. Paradossalmente, quelli ‘abilitati’ dal green pass più ancora dei non vaccinati (che una propaganda di regime vorrebbe far passare per ‘nemici della scienza’ e magari fautori di pratiche magiche), dal momento che tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi. Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire”.
QUANTO È LUNGO IL SECOLO BREVE? Non c’è un rigo dello scritto di Agamben e Cacciari che faccia una grinza e penso persino di poter comprendere e condividere il senso più profondo del concetto di “coscienza democratica”. Almeno se la si intende come senso nativo della libertà, radicata nel rapporto con l’altrettanto nativo desiderio di verità, che caratterizza l’essere umano e ha diritto di manifestarsi nell’agire pubblico e privato. E proprio qui si giunge al nucleo incandescente della disputa sull’imposizione globale del green pass, sulla cui origine temo che non si sia riflettuto abbastanza.
Il problema nasce dal fatto che le attuali democrazie, più o meno liberali e più o meno occidentali, sorgono dalla stessa radice illuministica dei totalitarismi novecenteschi: sono il tremendo, letale e inesorabile epilogo del concetto di stato onnipresente e onnivoro che ha dominato il secolo scorso. Il liberismo, l’ideologia che le sorregge, lungi dall’esserne il contraltare, è l’inveramento occidentale del progetto comunista fallito nei soviet e mostra una vocazione oppressiva nel pubblico e nel privato superiore a quella di qualsiasi mostro totalitario del passato. Dati la stessa origine e lo stesso fine, non deve stupire se, a una qualsiasi fase di emergenza le cosiddette democrazie sanno e possono rispondere solo con i criteri e i metodi utilizzati dagli stati totalitari: sono solo più efficienti.
Cambiano ambientazione e scenografia, in cui dominano toni bioingegneristici e hitech, più suadenti, persuasivi e graditi rispetto alle brutali maniere cekiste, ma l’esito finale e il luogo di destinazione è sempre lo stesso: l’arcipelago gulag in cui avviare i dissidenti. I reticolati sono divenuti informatici, carcerieri e capiblocco vestono abiti firmati e sono appena visibili, la minaccia è più sfumata, il senso di pericolo viene alitato con meno violenza, ma chiunque manifesti un pensiero difforme deve finire in un luogo in cui non può nuocere. Prima virtualmente, grazie al controllo telematico, ma poi anche fisicamente: è solo questione di tempo.
Basta aver letto qualche pagina di Solženicyn per rendersi conto che fra il totalitarismo novecentesco, in particolare quello sovietico, e il totalitarismo liberaldemocratico del terzo millennio non esiste soluzione di continuità. L’ulteriore tratto luciferino del tecnototalitarismo contemporaneo sta nell’aver messo a frutto il terrore della malattia e della morte tipica degli uomini che non credono più in niente. Così, al fine di rendere docili e soggiogare i sudditi, non si deve neppure minacciare morte e galera, ma serve presentarsi come dispensatori di salute e salvezza. C’è del genio, bisogna riconoscerlo, perché è bastato un piccolo virus per indurre la mandria a entrare volontariamente e di buon grado nei lager dai cancelli informatici spalancati. C’è del genio anche perché questi sono luoghi in cui, una volta entrati, si può continuare ad andare in vacanza, al ristorante, al pub, a fare shopping sicuro e non sembra neppure di essere in prigione. Anzi, i soli a non poter esercitare alcuna libertà sono coloro che intendono starne fuori.
A conti fatti, mi pare che questo mondo sia ancora in pieno Novecento e che il cosiddetto secolo breve si stia allungando ben oltre i suoi confini naturali mettendo in mora il concetto stesso di storia, uno dei tratti fondamentali che separano l’uomo dalla bestia.
LA CACCIA AL DIVERSO CORRE SUI SOCIAL. E NON SOLO Se servisse una conferma della connaturalità tra vecchio e nuovo totalitarismo, basta porre mente alla caccia al no vax in atto da mesi nelle famiglie, negli uffici, nei luoghi di ristoro, sui mezzi pubblici, nelle chiese e persino nei cimiteri. Nemmeno la caccia al fascista negli anni Settanta, che ho conosciuto personalmente, fu così capillare e inesorabile. A differenza del fascista, il no vax è percepito come una minaccia all’esistenza altrui per il solo fatto di respirare la stessa aria. Dunque ogni cittadino perbene si sente in dovere di vigilare e denunciarlo nel caso ne percepisca la presenza in pensieri, parole, opere e omissioni.
Da questo punto di vista la tecnologia ha favorito un grande salto di livello attraverso l’uso dei social, la più grande bestialità che, fatto salvo il peccato di Adamo ed Eva, l’uomo abbia inventato dalla sua creazione a oggi. È grazie ai social che questa società è guidata dalle Selvagge Lucarelli e dai Fedez e trova i suoi oppositori istituzionali nei Salvini che si fanno fotografare ai Papeete con i Denis Dosio. In parole povere, anzi poverissime, viviamo nel tempo degli influencer, la razza più asservita a qualunque sistema mai comparsa sulla faccia della terra e la cui importanza si misura in clic e i follower, cioè in danaro.
È attraverso i social che viene propagata capillarmente la caccia al diverso e al dissidente, è attraverso i social che vengono distrutti uomini come il professor Giuseppe De Donno, reo di curare e guarire i malati di covid secondo protocolli non graditi al potere. È attraverso i social e poi i giornali, la televisione e tutto quanto sia anche blandamente informazione, che la chiacchiera al bar o in ufficio diventano sovente aggressione al presunto no vax, processato e condannato sul posto, in attesa che tutto avvenga “legalmente” per via giudiziaria.
Anche in questo caso il totalitarismo 2.0 segue ricalca fini e metodi di quello novecentesco. Scriveva Solženicyn in Arcipelago Gulag: “’Le finezze giuridiche non occorrono perché non occorre chiarire se l’imputato sia colpevole o innocente: il concetto di colpevolezza, vecchio concetto borghese, è stato adesso sradicato’. Dunque abbiamo sentito dire al compagno Krylenko che il tribunale non è quello di una volta. Altre volte gli sentiremo dire che un tribunale non è in generale una corte: ‘Un tribunale è un organo della lotta di classe degli operai diretta contro i loro nemici’ e deve funzionare ‘dal punto di vista degli interessi della rivoluzione… tenendo conto dei risultati più auspicabile per le masse operaie e contadine’”. Davvero il cosiddetto secolo breve, il Novecento, è ancora tra noi e non è uno spettacolo rassicurante.
DRAGHI E/O MUSSOLINI Non nel senso del Jefferson e/o Mussolini di Pound, ma per dare l’idea di quanto mi sia sembrata grave l’affermazione di Mario Draghi secondo cui, testualmente: “L’invito a non vaccinarsi è un invito a morire”. Ora si dà il caso che Mario Draghi sia il presidente del consiglio della repubblica italiana e, in quanto tale, si presume che dovrebbe, se non favorire la pacifica coesistenza, almeno scoraggiare l’odio e la divisione tra i cittadini. Ma, in proposito, sorge il dubbio che non si sia neppure chiesto quale ricaduta abbiano le sue parole nella vita quotidiana di tutti coloro che sono o passano per no vax. Se volesse posso testimoniarlo personalmente, ma potrei anche fargli avere racconti di aggressioni verbali e intimidazioni da parte di tanti altri malcapitati, in attesa che si passi presto alle vie di fatto. Oppure se l’è chiesto e si è anche dato una risposta?
È a questo proposito che mi è passato per la testa il paragone con un altro presidente del consiglio, Benito Mussolini, il quale, dopo il delitto Matteotti, il 3 gennaio 1925 andò in parlamento e disse: “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi“.
La frase di Draghi sull’invito a non vaccinarsi uguale invito a morire non è più o meno storpiata o più o meno storpiabile: vuole dire proprio quello che dice. Quando qualche vero o presunto no vax farà le spese di questa campagna di odio, qualcuno avrà il coraggio di prendersi la responsabilità morale del clima infame che si sta diffondendo? O bisognerà aspettare qualche decennio per vedere una lapide reticente appesa un muro di periferia come accade ora per i fascisti ammazzati come topi di fogna negli anni Settanta e Ottanta?
IL CORAGGIO, SE L’OCCIDENTE NON L’HA, NON SE LO PUÒ DARE Non è facile immaginare come si possa uscire dal folle turbinare di questa civiltà morente, se non sperare che giunga quanto prima la fine. O che sorga spontaneamente qualcosa di altro e di diverso, di cui è ancora presto per capire se le piazze riempite in questi giorni siano un germe o almeno un’avvisaglia. Sabato scorso io a Bergamo c’ero e qualcosa di sincero e pulito si percepiva. La città simbolo dei martiri del covid usata e abusata dal minculpop tecnomedicale si è popolata di gente viva e vera, sgombra da qualsiasi narrazione catastrofista: uomini, donne e bambini che hanno invaso pacificamente le vie del centro per esigere libertà invece che per fare shopping. Vedremo…
Intanto penso sia fondamentale ricordare una delle tante lezioni che Solženicyn ci ha lasciato nel discorso dell’università di Harvard dell’8 giugno 1978: “Il declino del coraggio è la caratteristica più sorprendente che un osservatore riscontra in Occidente. Il mondo occidentale ha perso il suo coraggio civico, sia nel suo insieme che separatamente, in ogni paese, in ogni governo, in ogni partito politico e, naturalmente, nell’ambito delle Nazioni Unite. Il declino del coraggio è particolarmente evidente tra le élite intellettuali dominanti, generando l’impressione di una perdita di coraggio dell’intera società. Vi sono ancora molte persone coraggiose, ma non hanno alcuna determinante influenza sulla vita pubblica. Funzionari politici e classi intellettuali manifestano questo declino, che si concretizza in passività e dubbi nelle loro azioni e nelle loro dichiarazioni. E ancor di più nel loro egoistico considerare razionalmente come realistico, ragionevole, intellettualmente e persino moralmente giustificato il poter basare le politiche dello Stato sul servilismo e sulla vigliaccheria”.
Insomma, non sappiamo cosa accadrà da qui in avanti, ma l’alternativa mi pare chiara: chi voglia almeno tentare di vivere senza menzogna trovi coraggio e si attrezzi per fare quanto può. Gli altri vadano in pizzeria.
Alessandro Gnocchi Luglio 30, 2021
I montoni di Panurgo
L’homo sapiens occidentale regredisce per mille motivi; uno è l’avanzata incontenibile di un’ignoranza di tipo nuovo, tronfia, soddisfatta di sé. L’uomo diventa un capo di bestiame e scende rapidamente gli scalini della civiltà che aveva salito con tanta fatica. Non si pone più domande, e, pago del progresso, inginocchiato alla religione apocrifa della Scienza, rinchiuso in un orizzonte da cui è espulsa la trascendenza, da cui lo spirito è fuggito e con esso il pensiero, vive ed aspetta. Arriveranno i pasti, somministrati dal padrone, le notizie ufficiali a cui attenersi, la soddisfazione degli impulsi. Il gregge procede compatto in un’unica direzione, decisa dal padrone.
Nel capolavoro di François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, poema dell’eccesso, della vitalità e della materia, è famoso l’episodio dei montoni di Panurgo, un astuto briccone amico di Gargantua. Durante un viaggio per mare alla ricerca dell’oracolo della Divina Bottiglia, Panurgo vuole acquistare da un esoso mercante un montone, il più bello di un gregge destinato al mercato. L’interminabile trattativa mostra la stoltezza dell’arroganza umana, l’attaccamento insensato ai beni materiali. A un tratto, Panurgo accetta il prezzo esorbitante stabilito dal mercante e compra il montone. La sorpresa viene subito dopo.
“Subitamente, e non saprei dir come perché tutto successe in un battibaleno e io non ebbi il tempo di rendermene conto, Panurgo, senza una parola di più, scaraventa in mare il suo montone urlante e belante. Tutte le altre pecore, montoni in testa, urlando e belando sullo stesso tono, cominciano a gettarglisi dietro, saltando in mare una dopo l’altra; perché, come sapete e come dice anche Aristotele, questo animale è il più stupido e il più inetto del mondo, ed è proprio della natura delle pecore seguire la prima ovunque vada. Così facevano ressa e spingevano a testa bassa per essere le prime a seguire il compagno.
Il mercante, preso dal panico nel vedere le sue pecore morire annegate così sotto i suoi occhi, faceva di tutto per frenarle e trattenerle, ma inutilmente. Tutte, una dopo l’altra, si buttavano giù. Alla fine agguantò per il pelo uno dei montoni più grossi sull’orlo della tolda, sperando di tirarlo indietro e salvare così tutto il resto del gregge. Ma il montone fu abbastanza forte per portare il mercante con sé; come i montoni di Polifemo, il Ciclope accecato nel sonno, quando portarono in salvo, fuor della grotta, Ulisse e i suoi compagni. E montone e mercante affogarono insieme. Anche i pecorai che, sull’esempio del mercante, s’aggrappavano alle bestie, chi per le corna, chi per i piedi, chi per il mantello, furono tutti travolti allo stesso modo e affogarono in mare miseramente. “
Poco vale, nei tempi ultimi, lottare contro la corrente: il gregge e i suoi guardiani non sfuggiranno alla loro sorte. Occorre tenersi in piedi tra le rovine, cercare di essere maestri a se stessi e seguire i pochi che rappresentano la tradizione, lo spirito, l’identità. Nella Commedia, Virgilio – la guida – rassicura Dante impaurito, poiché le anime del Purgatorio continuano a indicarlo e a far commenti su di lui, sorprese dalla sua condizione di vivente. “Vien dietro me e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti”. L’uomo che si perde in troppe divagazioni non raggiunge l’obiettivo che si è proposto, né incontra se stesso. E’ a sua volta gregge, non differente dai montoni di Panurgo.
Nel presente il gregge umano viene lasciato nell’ignoranza dell’essenziale, invisibile agli occhi, come insegna la Volpe al Piccolo Principe di Saint Exupèry. Il signorino soddisfatto – emblema del nostro tempo, tutto chiacchiere, comodità e progresso – non studia, non si sforza, non si impegna. Sa già tutto e per quello che non sa cerca le risposte su Internet, condensate in tre righe nel Bignami universale. Non c’è più istruzione, solo addestramento a compiere azioni e gesti strumentali previsti dal Dominio: “ciò che serve”. Perciò il gregge umano non ha più coscienza di sé. I montoni di Panurgo si gettano in mare dietro il primo di loro perché hanno rinunciato a vedere con i propri occhi.
In lingua francese “panurgismo” è sinonimo di natura gregaria, conformismo, incapacità di giudizio autonomo. Il vecchio homo sapiens è stato trasformato – e non ha battuto ciglio- in homo digitalis. Si tratta di un essere nuovo, mutato fisiologicamente e antropologicamente. L’aggettivo è la traduzione letterale, alquanto maccheronica, dell’inglese “digit”, cifra, a sua volta originata dal latino digitus, il dito che conta e misura. Digitale è ciò che tutto calcola, ma non sa più dubitare, immaginare, inventare. L’uomo digitale ragiona in termini binari, come il computer, una sequenza di zeri e di uno che sostituiscono la complessità della vita e dell’esperienza. Aperto, chiuso, sì, no: rassicurante, vero? Diventa incomprensibile il verso in cui Amleto afferma l’irriducibile molteplicità della vita: ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa comprendere la tua filosofia. Ma non c’è più filosofia: inutile la ricerca e il pensiero, vano esplorare il mondo, porsi domande, lambire il territorio inquietante della metafisica, quell’Oltre che il gregge non vuole conoscere e nemmeno immaginare.
L’erosione del linguaggio a cui assistiamo è l’effetto del declino del senso e dell’insignificanza diffusa: conta solo adesso, qui e ora. La realtà digitale è una sequenza infinita di calcoli che restituisce un panorama irrigidito, che restringe le possibilità e – ahimè- fa dimagrire i pensieri. Mancano – sequestrate, vietate, comunque sconosciute- le parole con cui descrivere la complessità, le possibilità, i sentimenti, i dissensi. Non si discute più, si ingiuria l’altro senza ascoltarlo. Al gregge digitale preme esclusivamente la sicurezza, in cambio della quale offre volentieri la vita spirituale, di cui non sa che fare. Dov’è lo spirito, a che serve, si può mangiare, lo si può compravendere sul mercato? – chiedono muti gli occhi inespressivi dell’homo digitalis.
Profetica è la figura del Grande Inquisitore di Dostoevskij che rimprovera Gesù Cristo: “tu non sei disceso dalla croce quando ti gridavano: scendi dalla croce e crederemo che sei tu. Non sei disceso perché non volevi convincere l’uomo con il miracolo, preferivi una fede libera e non una vincolata al miracolo”. I montoni di Panurgo sono indifferenti alla libertà. Seguono chi sta davanti e credono ciecamente a miracoli chiamati Scienza e Progresso. Per questo, la maggioranza odia con tanto accanimento chi non si sottomette alla volontà del pastore. Ne sono prova gli accadimenti di queste settimane, la divisione – assai gradita al potere, come tutte quelle che contrappongono il popolo-gregge- tra una maggioranza di credenti nella virtù delle misure governative in materia di Covid 19 e una minoranza ribelle.
La prima questione è l’enorme tempesta monotematica che ci ha colti dal febbraio del 2020: si parla, si discute, si ha paura, solo del virus cinese. Ha messo sottosopra le nostre vite e ogni concezione del mondo. Ha prodotto un terremoto nel potere, nei rapporti interpersonali, ci ha modificato, formattato e resettato, come bisogna dire oggi con il linguaggio “digitale” dell’informatica. Eppure, c’è vita – e morte- oltre la Sars-Cov-2. Pare tutto cancellato: la dittatura finanziaria e quella tecnologica, la guerra di classe vinta dagli iper ricchi, la precarietà del lavoro e dell’esistenza, il crollo dei principi morali, la morte di Dio, l’immigrazione sostitutiva, le guerre, gli interessi, la mortalità di tutte le altre malattie, eccetera, eccetera. Sarebbe ora di scrollarci la polvere di dosso e riprendere una vita – personale e comunitaria- non scandita esclusivamente dal virus. Difficile, non solo per le varianti (alfa, beta, delta: sarà lunga sopravvivere sino alla variante Omega!) ma soprattutto per la pressione formidabile del potere, al quale il virus trasmesso per le vie aeree è giunto come il cacio sui maccheroni. Chi vivrà, scoprirà nel tempo se si trattò di una fuga accidentale da un laboratorio riservato – un luogo dove si sperimenta l’indicibile lontano da occhi indiscreti- o un programmato atto criminale.
Intanto, tutto è cambiato e non riusciamo a vivere fuori dalla bolla di cellophane in cui ci ha cacciato l’insignificante esserino. Rancori, timori, contrapposizioni, conditi da un linguaggio violento, carico di odio, si sono impadroniti di milioni di persone. Nessuno è immune, la tempesta è sempre più vicina. La perdita di libertà concrete – movimento, lavoro, azione – lo stringersi delle maglie della sorveglianza di una società che ha mostrato il suo vero volto disciplinare, di controllo e dominio su ex cittadini tornati sudditi, alimenta nuove divisioni.
Si guardano con odio irriducibile una maggioranza di terrorizzati disposti a tutto per paura del contagio e una minoranza sorprendente di resistenti, decisi a rifiutare la nuova condizione di corpi da controllare, immunizzare, trasformare in dati, non solo sanitari. Due mondi che si detestano e non comunicano. Il primo, quello dei convergenti, vive di conformismo e paura, con robuste attenuanti: la potenza e continuità dei messaggi, l’evidenza ripetuta sino all’estenuazione che il virus persiste, la convinzione infondata che scienza e progresso risolveranno tutto. E’ il messaggio unico dell’ultimo mezzo secolo: l’uomo a una dimensione.
Gli altri, i divergenti, hanno ottime ragioni per sospettare del potere e invocare la libertà del corpo conculcata. Eppure, anche loro hanno riflessi condizionati negativi: qual è in concreto la libertà che invocano? Tornare a febbraio 2020, come se il mondo di ieri fosse stato un paradiso, esigere solo il diritto a farsi i fatti propri, la libertà come assenza di responsabilità, indifferenza alle ragioni altrui, l’individualismo menefreghista del consumo? Auspichiamo anche noi il successo delle manifestazioni contro il passaporto sanitario, ma dopo? Sotto il vestito niente, se non un’accusa stucchevole di nazismo rivolta al potere. Ci preoccupa la reductio ad hitlerum (Leo Strauss), l’accusa infamante, l’etichetta definitiva applicata a chi non la pensa in un certo modo, da qualunque parte provenga. In queste condizione, i due eserciti – l’un contro l’altro armati- lavorano inconsapevoli per il re di Prussia, ovvero per il Dominio che avanza e regna sulle macerie di popoli ridotti a greggi. Le navi dei due gruppi di montoni di Panurgo seguono rotte opposte, ma il destino è uguale: l’annegamento.
Più seria ci pare la tesi che da un anno e mezzo sta sviluppando un anziano filosofo studioso del sacro, Giorgio Agamben, ossia che l’appello alla “salute“ sia una trappola per rubarci lo spirito. La pandemia si fa politica e la constatazione dell’uomo di pensiero è che la casa comune brucia. Dopo aver teorizzato la distanza irriducibile tra la vita tutta intera – corpo, anima e spirito – e la semplice esistenza materiale a cui si è ridotto l’Occidente, Agamben parla di cecità, “tanto più disperata perché i naufraghi pretendono di governare il proprio naufragio, giurano che tutto può essere tenuto tecnicamente sotto controllo, che non c’è bisogno di un nuovo Dio e di un nuovo cielo, soltanto di divieti, esperti e medici. Panico e furfanteria. “
L’autoritarismo sanitario è la malattia senile dell’ex mondo libero. Una cultura che si sente alla fine, senza più vita, cerca di governare la sua rovina attraverso uno stato di eccezione permanente. Vi è qualcosa di jungeriano, ma malato, in codesta mobilitazione totale scandita da regole che normano i minimi particolari di ogni istante. La mobilitazione di ieri avvicinava gli esseri umani, quella odierna li separa, li distanzia, li mette l’uno contro l’altro. Ridotti a macchine, prodotti di serie, siamo impegnati spasmodicamente a preservare l’esistenza biologica, il mero funzionamento dell’apparato-uomo, costi quel che costi. “E’ come se il potesse cercasse di afferrare la nuda vita che ha prodotto e tuttavia, per quanto si sforzi di appropriarsene e controllarla con ogni possibile dispositivo, non solo poliziesco, ma medico e tecnologico, essa non potrà che sfuggirgli perché è inafferrabile”
Gli uomini ridotti ad esistenza biologica non sono più umani, mentre governo delle cose e governo degli uomini coincidono. L’evaporazione dell’umano si intuisce all’istante: basta guardarsi in faccia. Scrive Agamben: “il volto è la cosa più umana, l’uomo ha un volto e non un muso o una faccia, perché dimora nell’aperto, perché nel suo volto si espone e comunica. Il volto è il luogo della politica. Il nostro tempo impolitico non vuole vedere il volto, lo tiene a distanza, lo maschera e copre. Non devono esserci più volti, ma solo numeri e cifre.” L’homo digitalis suddito di un tiranno senza volto è costretto all’esistenza delle pecore.
L’emergenza interminabile, malattia essa stessa, diventa il punto terminale, l’anello di congiunzione di un processo avviato da decenni, basato sull’ossessione per la sicurezza, la previsione, la conservazione del corpo, il tutto nella cornice di una religione senza salvezza, la fede nella tecnica che illude di misurare, controllare, sconfiggere anche ciò che non è commensurabile. Il giapponese Yukio Mishima, che si dette la morte del samurai, chiese nel suo ultimo discorso pubblico: avete tanto cara la vita da sacrificarle l’esistenza dello spirito? La risposta occidentale è un sì fragoroso in nome del quale abbiamo scelto un’esistenza sicura, ovvero un’illusione, un miraggio, come dimostra il presente. Abbiamo perduto più della libertà: è fuggito lo spirito.
Lo spirito non è un terzo incomodo tra l’anima e il corpo: è “la loro inerme, meravigliosa coincidenza. La vita biologica è un’astrazione, ma è questa astrazione che si pretende di governare e curare. Sono sempre i poeti a pronunciare le parole definitive”, sottolinea Agamben. Per Schiller, “in un cerchio ristretto lo spirito si restringe. L’uomo cresce con il crescere dei suoi scopi. “E viceversa, naturalmente. Hanno vinto i peggiori e più falsi maestri. L’umanità ha sempre saputo fin troppo bene di avere lo spirito, lamentava Sigmund Freud, mentre si vantava che “era necessario che io le mostrassi che esistono anche gli istinti”. Lo sapeva bene Panurgo. L’istinto gregario è una pulsione di morte anche quando si maschera, come nella narrazione ufficiale “covidiana”, da istinto di conservazione.
https://www.maurizioblondet.it/i-montoni-di-panurgo/
Il Greenpass: un Esperimento Sociologico Riuscito? Un riflessione…
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, un caro amico del nostro blog, Vincenzo Fedele, che avete conosciuto finora in veste di traduttore, ci ha inviato questa riflessione, di cui lo ringraziamo, sul Greenpass, che offriamo alla vostra attenzione e lettura.
§§§
Green Pass. Riuscito esperimento sociologico.
Personalmente ritengo evidente che il “fenomeno” green pass sia un esperimento sociologico, peraltro perfettamente riuscito, anche se non sapremo mai chi lo abbia ideato e i risultati ottenuti.
Mi sembra tanto evidente che ho cercato sul web delle riflessioni in merito, ma non ne ho trovate, se non qualche aspetto, ma slegato dal contesto che, solo, può darci una idea del quadro generale in cui si stanno muovendo ed in cui siamo costretti a muoverci noi.
Per valutare il movimento occorre conoscere il punto di partenza per valutare poi, o ipotizzarlo, il punto di arrivo.
Il punto di partenza, per ragionarci sopra, è lo stesso “green pass” che, prima ancora di essere incostituzionale, è un controsenso.
Essendo un controsenso, oltretutto incostituzionale, occorre chiedersi perché lo hanno comunque attuato contro ogni logica razionale. Guardiamo il contesto.
Tutti dovrebbero avere un telefonino di ultima generazione idoneo a scaricare questa app. Tutti dovrebbero avere le risorse economiche per poterlo acquistare. Tutti dovrebbero saperlo usare. Siccome nessuna di queste tre pregiudiziali è realistica, allora il castello costruitoci sopra è, già in partenza, più labile di un castello di carta. Come si può pensare ad obbligare un Popolo a muoversi a fronte di una ipotetica certificazione quando detta certificazione non è fruibile dal popolo stesso ?
I ragionamenti sono analoghi guardandoli dal lato di chi dovrebbe fare i controlli per evitare che persone senza “green Pass” accedano surrettiziamente a locali loro interdetti per Legge. Anche i “controllori” devono essere muniti di telefoni di ultima generazione, avere l’app, saperla usare, dovrebbero avere il tempo di fare i controlli ai clienti prima dell’accesso nei locali, dovrebbero trasformarsi in Pubblici Ufficiali senza averne il diritto, e tanto meno il dovere di farlo. Dovrebbero bypassare montagne di privacy grandi più delle montagne di roccia.
Dovrebbero dedicare tempo e risorse, costi non remunerati, per sostituire lo Stato in controlli virtuali che oltretutto, in buona sostanza, non certificano nulla perchè l’evidenza che si è inoculato il vaccino non preserva dal contagio e non evita di contagiare gli altri. Quindi è anche assodato che il vaccino non è una cura.
Sempre in merito ai controlli, come si farà a controllare gli accessi ai treni, soprattutto quelli per i pendolari sempre superaffolati, agli autobus, alle metropolitane, ecc. ?
Ma ancora prima di questo: che senso ha designare il 6 agosto quale data d’ inizio di validità del “lasciapassare” (vogliamo chiamarlo con il nome che compete?), quando per inoculare le due dosi di quello che chiamano vaccino, occorrono almeno 40 giorni. Se io, con tutta la buona volontà del mondo, volessi sottopormi alla punturina, per oltre un mese dovrei comunque stare chiuso in casa come un “sorcio”, come ci ha garbatamente catalogati il massimo esponente dei virago (che è categoria diversa dai virologi) nostrani. E quando, fra qualche mese, scadrà la validità del periodo “immune” per coloro che hanno avuto la prima dose a gennaio ? Una parte della popolazione, inoltre, non può neanche fare il vaccino per motivi sanitari, per patologie o altri validi motivi.
Quindi, pur cercando di adempiere pienamente alla Legge, saremo fuorilegge.
Quindi, di nuovo la domanda: esperimento sociologico ?
Come si può obbligare a sottostare ad un dictat impositivo quando la base di questa imposizione è una somministrazione che impositiva non può essere e non è ?
La somministrazione non può essere impositiva, e si guardano bene dal renderla tale, perchè è sperimentale, perchè ci sono molti effetti collaterali potenzialmente dannosi da mettere in conto, perchè è un controsenso che, per farla, si debba firmare un foglio di liberatoria che scagioni totalmente chi ha praticato l’iniezione, chi ha prodotto il siero e chi ha organizzato e disposto tutto l’ambaradan del ciclo di inoculazione. Teniamo anche conto che, a monte di tutto questo, Big Pharma è già de-responsabilizzata, per contratto, per tutti gli effetti più o meno deleteri che dovessero verificarsi a fronte dell’utilizzo del siero inoculato.
Non può essere impositiva ( ma vogliono renderla tale per altre strade) perchè un siero sperimentale si dovrebbe usare solo come extrema ratio quando la malattia sia terribilmente pericolosa e “non ci sono altre cure” da praticare. Sul “terribilmente pericolosa”, basterebbero i numeri, con percentuali da zero virgola, per declassare il tutto al livello di una influenza molto aggressiva. Sulla mancanza di cure basta citare l’idrossiclorodichina, gli anticorpi monoclonali, il siero autoimmune, ecc. unite alle vitamine C e D come attenuanti del processo, tutti aspetti studiati ed applicati con successo in decine di migliaia di casi. Studiati, però, dopo i colpevoli ritardi dovuti al divieto di eseguire autopsie, cosa indispensabile per studiare ogni nuovo virus sconosciuto se si vuole comprendere come agisce, quali organi attacca, come opera, come reagisce, ecc. Inutile dire che queste terapie, pur applicate con successo, sono vietate da tutti i protocolli ufficiali, forse (o proprio per questo) per essere obbligati a cercare rifugio nel cosidetto vaccino, anche se è solo sperimentale.
E’ da ingoiare anche il fatto, chiarissimo, che lor signori sono ben al corrente di tutto questo.
Anche su questo fronte basti citare un solo elemento di prova: l’imposizione del “Green Pass” è arrivata tramite un DPCM, di contiana memoria, invece di un Decreto Legge o un Disegno di Legge. Chi ha disposto e firmato il DPCM, infatti, sa bene che, in base a quanto sopra, un Decreto Legge sarebbe stato palesemente contro Legge, allora si è ripiegato su un atto amministrativo (tale è ogni DPCM) per togliere ai cittadini diritti costituzionalmente garantiti. Cioè un atto legislativo di infimo livello, senza controllo parlamentare, per cancellare diritti inalienabili garantiti al livello massimo.
Detto questo, e chiarito che stanno imponendoci qualcosa che è incostituzionale, non è applicabile e non è controllabile con sicurezza, torniamo, quindi, al punto iniziale. Perchè hanno comunque ritenuto di andare avanti con questa imposizione ?
Vogliono fare qualcosa ai limiti della legalità (oltrepassandoli ampiamente) e vedere come reagisce la gente. Jannacci diceva : e vedere di nascosto l’effetto che fa!
La reazione c’è stata ed è stata importante. Al solo annuncio del lasciapassare le prenotazioni sono più che raddoppiate. In molti casi si è arrivati ad oltre il 300 %. Si sono formate di nuovo le code. Nel Friuli Venezia Giulia si è toccato il 6.000 % (seimila percento).
E’ bastato l’effetto annuncio, pur se incostituzionale, inapplicabile e incontrollabile per smuovere i recalcitranti e ricondurli docilmente al macello mediatico, ma in buona parte anche reale.
I dubbi sono spariti. Le remore sono state rimosse. Le paure indotte hanno annullato gli steccati logici che ognuno dei reprobi si era creato a propria difesa ed i bastioni imprendibili si sono dissolti davanti all’esercito di ologrammi impalpabili, creato dal nulla e nel nulla destinato a finire.
Ci sarebbe da piangere a constatare che la larghissima maggioranza dei nuovi prenotati è sotto i 30 anni, cioè appartiene alla fascia praticamente immune, coinvolgendo anche ragazzi e ragazze totalmente immuni.
Oggi siamo ancora qui a chiederci come sia stato possibile che i campi di concentramento abbiano lavorato a tempo pieno falciando centinaia di migliaia di vittime innocenti (6 milioni è una cifra palesemente inventata, ma entrata ormai nell’immaginario collettivo), quando anche una sola vittima sarebbe stata da considerare una vittima di troppo.
Ecco. Il meccanismo è proprio questo.
Alcuni aspetti sono già stati ampiamente illustrati da Hannah Arendt nel suo celeberrimo “La banalità del male”. Ma questo non è ancora sufficiente. Non è solo la banalità del male. E’ l’assuefazione. E’ l’adeguamento acritico, E’ l’indifferenza verso le piccole cose, i piccoli sopprusi, nella vergognosa speranza che l’accettazione di un soppruso piccolo ci preservi da uno più grande, senza comprendere, invece, che ne è solo la premessa e l’inizio di un percorso perverso che porterà, inevitabilmente, al male maggiore per approdare, infine, al male assoluto.
Stanno anche cercando di coprire tutte le altre incongruenze ed i ritardi che puntualmente, a settembre, torneranno sulla breccia. Non si è fatto nulla per le scuole. Non si è fatto nulla per i trasporti. Non si è fatto nulla per la sanità, (anzi per la salute dei cittadini) se non dedicarsi male all’unica malattia che imperversa sovrana, il COVID, visto che nessuno parla più di oncologia, cardiologia ed altre malattie che ormai sono antichità e sono scomparse dai radar.
L’esperimento sociologico punta anche a questo alibi da spacciare sui media 24 or al giorno?
Ed a proposito di media: potremmo farci mancare uno sguardo su di loro ? Certo che potremmo, ma nel nostro scavo interiore non vogliamo privarci di nulla.
Allora due parole su giornali e TV sono inevitabili, perchè anche su di loro abbiamo qualche domandina che ci rode.
Come mai, di punto in bianco, i giornaloni e le TV main stream hanno scoperto le manifestazioni “anti green pass” in tutt’Italia ? Come mai hanno iniziato a parlare delle analoghe manifestazioni oceaniche in Francia, in Inghilterra, in Germania, Danimarca, ecc. di cui prima non c’era traccia ? Eppure i francesi manifestavano contro Macron da quando si era ventilata la possibilità di introdurre in quel Paese il “Green Pass”. Solo che, all’epoca (sembrano anni ed è solo una settimana), si discuteva sulla bontà di adottare anche da noi un provvedimento “virtuoso” quale quello francese.
Anche le dichiarazioni della Signora Merkel, contraria a simili provvedimenti, erano state tacitate.
Adesso il regime (corrierone e TG1 in testa) non solo pubblicizza le manifestazioni “anti Green Pass”, ma pubblicano in anticipo i prossimi appuntamenti città per città con orari e luoghi di ritrovo.
Non vi sembra strano ? Vogliamo chiederci il perchè ?
Nessuno si domanda come mai, da quando il Corriere della Sera ha pubblicato il primo resoconto su una manifestazione spontaneista a Torino giovedì 22 luglio, parlando di 5.000 presenti, che la questura, al solito, stimava in 2 – 3 mila (ma loro stavolta, che strano, non hanno dato credito alla questura), il silenzio pregresso si è trasformato in un tam tam divulgativo ?
Come mai le manifestazioni contrarie che prima non esistevano, adesso sono strombazzate come se fossero (come lo sono) il sale della libertà ?
Perchè su manifestazioni molto più importanti dei mesi e degli anni pregressi si è colpevolmente taciuto ed ora si pubblicizzano anche le 2 – 300 persone che manifestano ad Aosta o Alessandria ?
Non vorremmo scomodare gli incontri oceanici del passato, come i famili day, con oltre 2 milioni di persone e passati sotto impenetrabile silenzio, come anche molti altri più ridotti, ma il panorama era quello sino a pochi giorni fa.
Non è ozioso domandarsi il perché.
Non abbiamo, al momento, risposte concrete da dare. Abbiamo solo tanti dubbi.
E’ difficile dare risposte corrette, ma ancora più complicato è fare, e farsi, le corrette domande.
Iniziamo a farcele queste benedette domande, iniziamo ad ipotizzare dove vogliono andare a parare quando dicono qualcosa. Iniziamo a chiederci perchè la dicono. O perchè non la dicono. Esagerando potremmo dire, a questo punto, che ha anche poca importanza scoprire se quello che viene detto dai grandi network sia la verità. Anche se affermano che 2 + 2 è uguale a 4, chiediamoci perchè lo dicono, visto che sino a ieri lo tacevano o lo negavano.
Anche dire la verità potrebbe essere un esperimento sociologico ?
Diffidare della verità per essere obbligati a convivere con il caos ?
Diffidare delle notizie, dei propri vicini, ma anche dei propri famigliari, dei colleghi di lavoro, degli amici ?
Ognuno si dia la risposta che ritiene, in base alla propria esperienza ed al proprio sentire, ma soprattutto impariamo a stimolare la nostra curiosità, a farci domande, a guardare dietro le apparenze che raramente sono lo specchio della vera realtà.
Non è vero che la Verità non esiste e che tutto è relativo. Solo che occorre cercarla molto più in alto rispetto ai pennivendoli di turno. Soprattutto occorre cercarla dentro di noi.
Vincenzo Fedele
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