Vaccino, Green Pass & il caso Didier Raoult: Le Carré insospettabile complottista con vent’anni d’anticipo
La notizia c’è, eccome: l’Intitute Hospitalo-Universitaire Méditerranée Infection di Marsiglia ha pregato il professor Didier Raoult di accomodarsi all’uscita. In altre parole: un importante istituto univesitario francese di medicina mette alla porta il suo direttore, il quale, dettaglio non trascurabile, è uno dei micorbiologi e virologi più importanti su scala globale.
Oppure bisogna dire che la notizia ci sarebbe, ma non vale più di venti righe in cronaca? Sorge questo dubbio dato che per il mondo dell’informazione mainstream sembra non sia accaduto nulla o, addirittura, che tutto stia procedendo come deve procedere anche se con qualche fastidioso fisiologico sussulto.
O, ancora, la notizia non c’è proprio? E forse per la vulgata vaccinista planetaria è davvero così, poiché il professor Raoult, pioniere della cura anticovid tramite idrossiclorochina, critico delle misure restrittive in atto nella Francia vaccinista e vaccinata, allergico al potere delle case farmaceutiche, non poteva sperare in altro epilogo della sua carriera. “Il suo profilo” ci informano le autorità competenti “non è più compatibile con le sue funzioni per le sue prese di posizione sul covid-19”.
Per quanto mi riguarda, ritengo che la notizia sia talmente grossa che nessun aspirante collega potrebbe negarla senza essere bocciato da un’onesta commissione d’esame di giornalismo. Ma, oggi più che mai, anche questo mestiere è costretto a vivere di paradosso e, se uno lo vuole fare bene e con coscienza, deve andare a caccia di non-notizie, di fatti che il potere vuole occultare all’intelligenza ancora in piedi tra le rovine.
Da questo punto di vista, il licenziamento del professor Raoult può essere considerato un caso di scuola poiché riassume tre elementi fondanti del totalitarismo sorto sulla narrazione di una pandemia quanto meno anomala: l’arbitrio assoluto del potere, la compiuta deriva religiosa della scienza, il denaro necessario a sostenere l’uno e l’altra. Tutto questo va poi collocato dentro al delirio di onnipotenza tecnologico e informatico, ma questo è un capitolo ulteriore che affronteremo in un altro momento.
L’impudica irruzione di potere, scientismo e denaro nella vicenda di un uomo che ha cercato di fare il suo lavoro di medico e ricercatore mi ha convinto definitivamente a trarre dallo scaffale un libro di cui avevo in animo di parlare da qualche tempo, Il giardiniere tenace. Si tratta di un romanzo di John Le Carré, il genio letterario che ha portato la scrittura spionistica dentro la speculazione metafisica sulla condizione dell’uomo contemporaneo e ne ha individuato la tragedia nella mancanza di strumenti, quand’anche vi fosse la volontà, per distinguere il vero dal falso. Le molteplici identità della spia, le sue molteplici appartenenze, le molteplici verità di cui si fa serva e spacciatrice costituiscono e insieme sono frutto di un generale quadro di menzogna in cui non vi è altra luce che quella gettata dalla potenza dell’arbitrio.
Il giardiniere tenace, da cui è stato tratto il film The Constant Gardener – La Cospirazione, è uscito nel 2001 e, anche se non è dichiarato dall’autore, trae spunto dal Contenzioso di Kano. La non complottista Wikipedia, che fornisce un ampio resoconto della vicenda, introduce la questione così:
Con l’espressione contenzioso di Kano si fa riferimento ad un insieme di casi giudiziari che vedono coinvolta la multinazionale farmaceutica Pfizer in seguito ad alcuni eventi accaduti nel 1996, quando – nel corso di una grave epidemia nella città di Kano, in Nigeria – diversi bambini furono oggetto di una sperimentazione umana non autorizzata. Tale sperimentazione non era stata preventivamente concordata né con le competenti autorità nigeriane, né con i genitori. Gli interventi riguardarono bambini malati di meningite da meningococco, cui fu somministrata trovafloxacina – un antibiotico sperimentale – invece della ben più documentata terapia a base di ceftriaxone. Secondo le accuse mosse alla Pfizer, i decessi e le lesioni gravi registratisi in seguito alla sperimentazione sarebbero imputabili al protocollo usato; a sua difesa, la multinazionale sostiene che il proprio farmaco è risultato efficace almeno quanto la migliore terapia disponibile all’epoca dei fatti. L’intera vicenda venne alla ribalta dell’opinione pubblica dopo un’inchiesta del Washington Post del dicembre 2000,[1] suscitando un notevole clamore a livello internazionale. Ad oggi il caso è oggetto di due controversie legali, una negli Stati Uniti ed una in Nigeria. Agli episodi di Kano è ispirata la trama del romanzo Il giardiniere tenace di John le Carré, dal quale è stato tratto anche un adattamento cinematografico.
E ora veniamo al Giardiniere tenace. La trama, a differenza di altri romanzi di Le Carré è lineare e semplice da seguire. Tessa Quayle, giovane avvocato, militante per la difesa dei diritti umani in Africa e moglie del diplomatico Justin Quayle in servizio presso l’Alto Commissariato Britannico in Kenya viene brutalmente uccisa in circostanze misteriose. Il marito, un appassionato di giardinaggio, applica la tenacia del suo hobby alla ricerca della verità sulla morte della moglie. Tessa aveva scoperto che la multinazionale farmaceutica KVH Karel Vita Hudson, grazie alla collaborazione dell’istituto medico universitario canadese Dawes Hospital, ha messo a punto un farmaco contro la tubercolosi denominato Dypraxa e, tramite la società inglese House of ThreeBees, lo sta testando tacitamente e abusivamente in Kenya corrompendo autorità locali e del Regno Unito. Per questo, capisce Justin Quayle, la donna è stata assassinata assieme al medico con il quale stava indagando.
Di seguito, evidenziati in corsivo e introdotti da brevissime spiegazioni, trovate alcuni brani del romanzo di Le Carré che di questi tempi sarebbe un peccato lasciare inoperosi sullo scaffale di una libreria. Siccome si tratta di fiction, mi sono permesso di nerettare i passi che mi hanno colpito con più violenza. Una libertà che baratto volentieri con l’invito a leggere e diffondere il libro, edito in Italia da Mondadori.
I VANGELI DELLA NUOVA RELIGIONE Nel corso delle ricerche, Justin Quayle, scopre nell’archivio della moglie Tessa documenti dai risvolti inquietanti:
Estratti da riviste mediche specializzate che, in termini più o meno oscuri e opportunamente obliqui, magnificano gli effetti del nuovo farmaco Dypraxa, la sua “assenza di mutagenicità” e “lunga emivita nelle cavie”. Estratti dall’“Haiti Journal of Health Sciences” che avanzano caute riserve sul Dypraxa, firmati da un medico pakistano che ha condotto prove cliniche sul farmaco in una clinica universitaria di Haiti. Sottolineata in rosso da Tessa la frase “potenzialmente tossico”, possibile comparsa di insufficienza epatica, emorragie interne, vertigini, lesioni al nervo ottico. Estratti dal numero successivo della medesima rivista, in cui una serie di luminari dalle lunghe e altisonanti qualifiche contestano l’articolo del medico pakistano citando trecento casi clinici, accusandolo di “scarsa obiettività” e “atteggiamento irresponsabile nei confronti dei malati” e scagliando generici anatemi su di lui. (Nota scritta a mano da Tessa: “Questi opinion-leader tanto obiettivi lavorano tutti per la KVH, che opera tramite ‘commissioni itineranti’ profumatamente pagate per individuare le ricerche più promettenti nel campo delle biotecnologie in tutto il mondo”).
IL DIO SCIENZA E I SUOI PROFETI Dagli appunti di Tessa Quayle:
Esiste una tendenza da parte degli studenti, nonché di molti medici, a trattare la letteratura medica con eccessivo rispetto e a dare per scontato che le notizie che appaiono su riviste importanti come “Lancet” e “New England Journal of Medicine” siano indiscutibili. Tale ingenua fede nei “vangeli clinici” è forse incoraggiata dallo stile dogmatico adottato da molti autori, in maniera tale che le incertezze intrinseche in qualsiasi lavoro di ricerca spesso non vengono messe sufficientemente in luce… (Nota di Tessa: “Gli articoli sono commissionati dalle case farmaceutiche, anche sulle cosiddette riviste prestigiose”). Per quanto concerne gli interventi delle case farmaceutiche ai congressi scientifici e la pubblicità, bisogna essere ancora più scettici… è troppo facile mancare di obiettività… (Nota di Tessa: “Secondo Arnold, le grosse case farmaceutiche spendono miliardi per comprarsi medici e ricercatori che pompino i loro prodotti. Birgit dice che la KVH ha recentemente donato cinquanta milioni di dollari a un’importante clinica universitaria statunitense, oltre a pagare stipendi e rimborsi spese per tre primari e sei ricercatori.
IL DIO SCIENZA E I SUOI ADEPTI Sempre dalle nota di Tessa Quayle:
Nelle università corrompere è ancora più facile che negli ospedali: cattedre, laboratori, borse di studio per la ricerca e chi più ne ha più ne metta. ‘È sempre più difficile trovare opinioni scientifiche non comprate’ dice Arnold”.) Ancora Stuart Pocock: … c’è sempre il rischio che gli autori vengano convinti a dare maggior enfasi ai risultati positivi di quanto la realtà effettivamente giustifichi. (Nota di Tessa: “A differenza del resto della stampa mondiale, le riviste farmaceutiche non amano pubblicare cattive notizie”). Ove presentano i risultati negativi della sperimentazione, lo fanno su riviste specializzate sconosciute e non sulle testate più importanti… di conseguenza l’eventuale smentita di risultati positivi pubblicati precedentemente non ha la stessa diffusione.
Molti trial non hanno le caratteristiche strutturali necessarie a fornire una valutazione obiettiva della terapia. (Nota di Tessa: “Sono fatte apposta per dimostrarne la validità, non per metterla in discussione, e pertanto peggio che inutili”). Talvolta alcuni autori raccolgono appositamente dati atti a dimostrarne la validità… (Nota di Tessa: “Atti a distorcerne i risultati”.) Estratto dal «Sunday Times» di Londra dal titolo CASA FARMACEUTICA METTE A RISCHIO I PAZIENTI CON SPERIMENTAZIONI IN OSPEDALE pesantemente sottolineato da Tessa e presumibilmente fotocopiato o faxato ad Arnold Bluhm, visto che portava l’annotazione: Arnie, hai VISTO questo?! Una delle case farmaceutiche più importanti del mondo ha messo centinaia di pazienti a rischio di infezioni letali trascurando di fornire informazioni di importanza cruciale a sei ospedali coinvolti in una campagna di sperimentazione su scala nazionale”.
IL DIO SCIENZA VIVE DI MENZOGNA Dagli appunti di Tessa Quayle:
“Appunti personali di Tessa. Memorandum. Una scioccante citazione dalla rivista “Time”, circondata di punti esclamativi e con due buchetti agli angoli in corrispondenza delle puntine con cui l’aveva appesa in bacheca, in uno stampatello visibile dall’altra parte della stanza per chiunque avesse occhi per vedere e non distogliesse lo sguardo. Un terrificante universale per dargli ulteriore spinta nella sua ricerca del particolare: IN 93 TRIAL CLINICI I RICERCATORI HANNO RISCONTRATO 691 REAZIONI NEGATIVE, MA NE HANNO RIFERITE SOLTANTO 39 ALL’ISTITUTO NAZIONALE DELLA SANITÀ USA”.
IL DIO SCIENZA SI CIBA DI UMANITÀ Dagli appunti di Tessa Quayle:
Gran parlare di “Idra farmaceutica americana” e “Capitale abietto”, un articolo frivolo che arrivava da chissà dove intitolato L’ANARCHIA È TORNATA DI MODA. Justin clicca di nuovo e trova sotto accusa la parola “umanità”. Appena la sente pronunciare, Tessa va su tutte le furie. Le basta sentirla, confida a Bluhm via e-mail, evidentemente in vena di confidenze, perché le venga voglia di impugnare una pistola. Ogni volta che sento una casa farmaceutica giustificare le proprie azioni sulla base di Umanità, Altruismo, Doveri verso il genere umano, mi viene da vomitare e non perché sono incinta, ma perché nello stesso tempo leggo che i colossi farmaceutici statunitensi cercano di prolungare la durata dei loro brevetti in maniera da mantenere il monopolio e i prezzi da capogiro e usare il Dipartimento di stato per spaventare il Terzo Mondo, impedendogli di produrre gli equivalenti generici dei prodotti di marca a un decimo del costo.
IL DIO SCIENZA SI NUTRE DI DENARO Dagli appunti di Tessa Quayle:
Un suo amico ha in cura alcuni casi gravi nell’area di Brooklyn, e dice che le statistiche sono già spaventose. Negli Stati Uniti, nei quartieri sovrappopolati dove vivono le minoranze etniche, l’incidenza è in continuo aumento. O, in un linguaggio comprensibile alle borse di tutto il mondo: se l’andamento del mercato della TBC seguirà le previsioni, ci saranno da rastrellare milioni e milioni di dollari e ad accaparrarseli sarà proprio il Dypraxa, sempre che dalle prove generali condotte in Africa non emergano controindicazioni gravi.
L’INDUSTRIA FARMACEUTICA DIMENTICA DIO (QUELLO VERO) Birgit, responsabile della Hippo, organizzazione che denuncia gli abusi compiuti dalle case farmaceutiche, soprattutto nel Terzo Mondo, parla con Justin Quayle:
Fece una pausa, rendendosi conto che stava parlando troppo, ma Justin non desiderava che cambiasse argomento. “La moderna industria farmaceutica ha solo sessantacinque anni. Vi lavorano anche persone per bene e ha compiuto miracoli dal punto di vista umanitario e sociale, ma la sua coscienza collettiva non è ancora sviluppata. Lorbeer scrive che le case farmaceutiche hanno voltato le spalle a Dio. Fa molti riferimenti biblici che io non capisco. Forse perché non capisco Dio”.
SOVVENZIONE & REPRESSIONE Da un colloquio tra Justin Quayle e Amy, archivista del Dawes Hospital e amica di Lara, la studiosa che ha messo a punto il Dypraxa e si è poi opposta alla sua diffusione avendone scoperto gli effetti collaterali:
Amy: “La Karel Vita imperversa e la Dawes ubbidisce ciecamente. Ha dato un primo contributo di venticinque milioni di dollari per un nuovo laboratorio di biotecnologia e gliene ha promessi altri cinquanta. Non sono bruscolini nemmeno per una massa di imbecilli senza cervello ma pieni di soldi come la Karel Vita. E, se fanno i bravi, chissà quanto li foraggeranno ancora. Come si fa a resistere?”. “Be’, almeno si prova” disse Amy. “Se non provi neanche, ce l’hai nel culo”. “Ce l’hai nel culo sia che ci provi, sia che non ci provi. Se apri bocca, ti tolgono lo stipendio, ti cacciano dal lavoro e dalla città. Parlare liberamente qui può costare moltissimo, caro il mio signor Quayle, più di quanto la maggior parte di noi si può permettere”
CORRUZIONE & FALSIFICAZIONE Dal colloquio tra Justin Quayle e Lara, la ricercatrice che ha messo a punto il Dypraxa:
“Dopo due anni ho fatto una brutta scoperta. La sperimentazione della KVH era una truffa. I trial non erano studiati in maniera scientifica, ma apposta per poter lanciare sul mercato il farmaco il prima possibile. Alcuni effetti collaterali erano deliberatamente nascosti. Se ne trovavano, riscrivevano immediatamente il protocollo in maniera che non comparissero più”. “Quali erano questi effetti collaterali?”. Tono professorale, caustico e arrogante. “Nel periodo della sperimentazione scorretta, ne sono stati osservati pochi. Questo anche per via dell’entusiasmo della Kovacs e di Lorbeer e del fatto che i centri medici e gli ambulatori del Terzo Mondo volevano a tutti i costi risultati positivi. Dei trial parlavano bene anche le riviste mediche, per bocca di stimati professori che si guardavano bene dallo sbandierare i propri lucrosi rapporti con la KVH. In realtà gli articoli venivano scritti a Vancouver o a Basilea e soltanto firmati dagli illustri luminari. Accennavano al fatto che il farmaco avesse controindicazioni per una percentuale trascurabile di donne in età fertile. Si erano verificati disturbi della vista e qualche decesso, ma grazie a un’abile manipolazione delle date non rientravano nel periodo della sperimentazione”. “Ci sono mai state lamentele?”. Quella domanda la fa arrabbiare. “E di chi? Dei medici e paramedici del Terzo Mondo che facevano soldi con la sperimentazione?”.
UOMINI & CAVIE Dal colloquio di Justin Quayle con Lara:
“No, non mi sono lamentata. Ho protestato. Con forza. Quando ho scoperto che il Dypraxa veniva dato per sicuro e non in fase di sperimentazione, sono intervenuta a un meeting scientifico dell’università denunciando nei dettagli la posizione immorale della KVH. E questo non mi ha resa popolare. Il Dypraxa è un buon farmaco, il problema non è questo. Il problema è triplice”. Alza tre dita affusolate. “Uno: gli effetti collaterali vengono deliberatamente nascosti per motivi di lucro. Due: le popolazioni più povere del mondo vengono usate come cavie da quelle più ricche. Tre: un dibattito scientifico legittimo su questi problemi è impossibile a causa delle intimidazioni delle case farmaceutiche”.
LUCRARE NECESSE EST Dal colloquio di Justin Quayle con Lorbeer, addetto alla diffusione del Dypraxa in crisi di coscienza. Qui Lorbeer usa l’esempio di un vecchio farmaco contro la malaria per mostrare come viene utilizzato a scopo di lucro.
“Quei bastardi vendono questo stesso farmaco da trent’anni, ormai. A che cosa serve? Per la malaria. E sa perché ha trent’anni, Peter? Dovrebbe venire la malaria a qualcuno di New York, uno di questi giorni: allora vedrà se non troveranno una cura in fretta!”. Prende un’altra scatola con le mani che, come la voce, gli tremano di sacra indignazione. “Questa generosa e filantropica industria farmaceutica del New Jersey ha regalato il suo prodotto ai paesi poveri e affamati del mondo, okay? Le case farmaceutiche hanno bisogno di essere amate, perché altrimenti si spaventano e diventano tristi”. E pericolose, pensa Justin, ma non ad alta voce. “Perché l’ha regalato? Glielo dico io, va’: perché siccome adesso ne producono uno migliore, questo è diventato inutile. Così regalano agli africani quello vecchio a sei mesi dalla scadenza e per la loro generosità ottengono uno sgravio fiscale di qualche milione di dollari. A parte il fatto che risparmiano qualche altro milione di dollari sui costi di magazzino e di distruzione di vecchi farmaci che non possono più vendere. E tutti gli dicono: ‘Ma guarda che bravi”. Azionisti compresi’”.
IL DENARO ALIMENTA IL POTERE E IL POTERE ALIMENTA IL DENARO Sandy Woodrow, dell’Alto Commissariato Britannico spiega a Justin Quayle perché l’inchiesta condotta da sua moglie doveva essere insabbiata e il documento prodotto distrutto:
Justin riformulò la domanda come se dovesse farsi capire da uno straniero o da un bambino. “Hai pensato di chiedere a Pellegrin perché bisognava distruggere il documento?”. “Due ordini di motivi, secondo Bernard. Tanto per cominciare erano in gioco degli interessi britannici. Dobbiamo difendere ciò che ci appartiene”. “E tu gli hai creduto?” chiese Justin e di nuovo dovette aspettare che Woodrow arginasse un’altra ondata di lacrime. “Ho creduto alla storia della ThreeBees. Certo che ci ho creduto. Punta di diamante dell’imprenditoria inglese in Africa. Gioiello della Corona. Curtiss, cocco dei leader africani, che distribuisce tangenti a destra, a sinistra e al centro ed è una delle grandi risorse del paese. Per di più è nella manica di metà del governo di Sua Maestà, il che non guasta”. “E l’altro ordine di motivi?”. “La KVH. Quelli di Basilea hanno avanzato l’ipotesi di aprire un grande stabilimento chimico nel Galles meridionale e un altro in Cornovaglia nel giro di tre anni. Più un terzo in Irlanda del Nord. Per portare benessere e prosperità nelle nostre zone depresse. Ma se partiamo in quarta sul Dypraxa, si tirano indietro”. “Partiamo in quarta?”. “Il farmaco era ancora in fase di sperimentazione. E lo è tuttora, in teoria. Se avvelena gente che sarebbe morta comunque, che problema c’è? Nel Regno Unito il Dypraxa non aveva ancora l’autorizzazione ministeriale, quindi su quello si poteva stare tranquilli, no?”. Woodrow era di nuovo battagliero. Stava facendo appello a un professionista, a un collega. “Voglio dire, Cristo, Justin. Su qualcuno i farmaci bisogna ben sperimentarli, no? Voglio dire, chi si sceglie, perdio? La Harvard Business School?”. Stupito di non ottenere l’appoggio di Justin su quella bella argomentazione, ne azzardò un’altra. “Voglio dire, Gesù, non spetta al ministero degli Esteri britannico pronunciarsi sulla sicurezza dei farmaci non autoctoni, ti pare? Deve agevolare l’industria britannica, non anadre in giro a raccontare che una società inglese sta avvelenando i suoi clienti in Africa. Conosci le regole del gioco. Non siamo pagati per avere il cuore tenero. In un modo o nell’altro quella gente morirebbe comunque”.
QUESTA È FICTION. E LA REALTÀ? Al termine del romanzo, nella “Nota dell’autore”, Le Carré tiene a dire che l’Alto Commissariato Britannico di Nairobi non è come lo ha descritto nella sua storia, che il Dypraxa non è mai esistito, cosi come anche la KVH e i vari altri istituti citati. Riferimenti a persone e fatti realmente accaduti sono del tutto casuali.. Ma poi dice anche:
La BUKO Pharma-Kampagne di Bielefeld, in Germania – da non confondere con la Hippo del romanzo – è un’organizzazione finanziariamente indipendente e a corto di personale i cui componenti si battono con lucidità e competenza per denunciare gli abusi che le case farmaceutiche compiono, soprattutto nel Terzo Mondo. Se siete in vena di generosità, vi invito a mandare loro un contributo per aiutarli a proseguire nella loro opera. La sopravvivenza della BUKO è resa ancora più necessaria dal fatto che le opinioni in campo medico vengono insidiosamente e metodicamente corrotte dai colossi farmaceutici. E la BUKO non solo mi ha aiutato moltissimo, ma mi ha invitato a tessere le lodi delle case farmaceutiche corrette. (…)
Sia il dottor Paul Haycock, veterano dell’industria farmaceutica internazionale, sia Tony Allen, grande conoscitore dell’Africa e consulente farmaceutico dotato di occhi e di cuore, mi hanno aiutato e dato consigli, informazioni e allegria, sopportando con buona grazia i miei attacchi contro la loro categoria – come peraltro l’ospitalissimo Peter, che preferisce rimanere modestamente nell’ombra. Alle Nazioni Unite ho ricevuto una mano da parecchie persone schiette. Nessuna di loro sapeva che cosa cercavo, ma credo sia opportuno non farne i nomi. (…)
Nel descrivere le tribolazioni di Lara nel capitolo diciotto, mi sono ispirato a numerosi casi, avvenuti in particolare nel continente nordamericano, di ricercatori medici di grande competenza che hanno osato dissentire dalle opinioni dei loro finanziatori e che per questo hanno subito umiliazioni e persecuzioni. Il punto non è se i loro scomodi risultati fossero corretti o meno. In gioco c’è il conflitto tra coscienza individuale e interessi delle società, il diritto elementare dei medici di esprimere opinioni scientifiche autonome e il loro dovere di informare i pazienti sui rischi che ritengono associati ai trattamenti prescritti.
FINE
O è solo l’inizio?
Alessandro Gnocch
Il primato del bene comune non giustifica la “sanitocrazia”
I due presupposti dell’attuale politica sanitaria
La drastica politica sanitaria contro il virus cinese, ormai messa in atto da un anno e mezzo da molti Governi nazionali, specialmente da quello italiano, spesso viene giustificata in base a due presupposti, il primo di fatto, il secondo di diritto.
Primo presupposto: la sopravvivenza della popolazione mondiale è messa in pericolo dalla più pericolosa pandemia della storia, quella da CoViD-19, dalla quale dobbiamo salvarci ad ogni costo. possiamo salvarci solo.
Secondo presupposto: la salvezza del bene comune globale esige che le autorità nazionali e internazionali impongano per legge ai popoli le più severe, invasive e capillari misure, sia preventive che repressive, non solo nel campo sanitario ma anche in tutti gli altri settori vitali, anche a costo di sospendere le libertà civili e costituzionali.
Non avendo competenza in campo sanitario, tralascio qui il primo presupposto, sul quale peraltro la stessa classe medica è discorde, e resto convinto che la politica sanitaria in corso miri a imporre il great reset e la “transizione ecologica” della società.
Mi preme invece di esaminare il secondo presupposto, ormai sostenuto anche da ambienti cattolici in nome della coerenza con la dottrina sociale della Chiesa. Infatti, secondo loro, negarlo comporta pretendere che i diritti individuali debbano prevalere sul bene comune – o, come oggi si dice, sulla “solidarietà sociale” – scivolando quindi in una forma di permissivismo o liberalismo. Ma è proprio così? Vediamo.
Il bene comune ridotto alla sopravvivenza fisica
Innanzitutto, bisogna notare che il secondo presupposto citato non si limita ad affermare che il bene comune di una società debba prevalere sul bene e sui diritti individuali dei suoi membri – il che sarebbe ovvio e pacifico – ma afferma qualcosa di molto più preciso.
Infatti, quel presupposto pretende che il supremo bene comune di una società consista in quella integrità sanitaria che assicura la sopravvivenza fisica della cittadinanza; l’antico motto romano “salus reipublicae suprema lex” viene così inteso come “la pubblica sanità è la suprema esigenza dello Stato”. Pertanto, alla pubblica sanità bisognerebbe sacrificare tutto, perfino quei valori spirituali che caratterizzano la civiltà di un popolo (ossia santità, saggezza, moralità, giustizia, libertà e fedeltà); la salute corporea avrebbe diritto di prevalere su tutti gli altri elementi che compongono il bene comune di una nazione, compresi quelli spirituali (ossia religiosi, morali, giuridici, politici, artistici e educativi).
Di conseguenza, rovesciando il saggio ammonimento di Giovenale (Satire, III, 8, vv. 83-84), la sopravvivenza fisica imporrebbe di perdere le ragioni e i fini per cui si vive; rovesciando il sacro ammonimento evangelico (Lc IX, 25), la salvezza dell’anima non varrebbe il mettere in pericolo la salute del corpo; si vada pure in rovina e all’Inferno, purché si abbia vissuto immuni da malattie!
I beni spirituali sacrificati a quelli materiali
Questa riduzione del bene comune alla pubblica sanità è oggi giustificata dalla cultura dominante e particolarmente dal cosiddetto salutismo, secondo il quale la salute fisica è il sommo bene e quindi il fine ultimo dell’uomo. I valori spirituali e perfino religiosi devono essere posti al servizio della suprema esigenza di assicurare salute e sopravvivenza fisiche della comunità. Pertanto, paradossalmente, la “qualità della vita” promossa dalla cultura materialistica si riduce a una “vita senza qualità”, ossia senza ideali, fini e beni che la rendano degna di essere vissuta.
Il salutismo tende, da una parte, a sacrificare l’identità spirituale e la coscienza civile di un popolo alla sua mera sopravvivenza fisica; dall’altra parte, tende a dividere la società tra i puri, ossia tra gli eletti che si adeguano al modello di risanamento sociale, e gl’impuri, ossia i reprobi che vi si sottraggono favorendo la contaminazione sociale.
Il salutismo porta all’estremo il processo di artificiosa medicalizzazione della vita umana e favorisce quella “socializzazione della corporeità”, avviata dai circoli sessantottini, che ieri ha giustificato le pratiche del pansessualismo e del trapiantismo e domani giustificherà quelle del transumanesimo.
Un celebre motto di Chesterton affermava: “il vero pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma colui che ha perso tutto tranne la ragione; parallelamente, oggi si potrebbe provocatoriamente affermare: “il vero malato non è colui che ha perso la salute, ma è colui che ha perso tutto tranne la salute”.
I doveri e diritti civili subordinati alla salute fisica
Orbene, se la salute fisica costituisce il summum bonum e una epidemia costituisce il summum malum da evitare ad ogni costo, la società deve adeguarsi a un astratto modello salutista che impone di sacrificare beni, libertà e attività spirituali alle esigenze della sicurezza sanitaria.
I sacerdoti del salutismo si ritengono incaricati della missione di salvare il mondo in pericolo mediante un esperimento globale di purificazione sociale realizzato dalle tecniche mediche, farmaceutiche ed ecologiche. Pertanto, essi pretendono che l’autorità politica, in quanto suprema tutrice della pubblica sanità, imponga di sospendere, anche a tempo indeterminato, l’esercizio di tutte quelle facoltà e attività che contrastano con quell’esperimento purificatore. Inoltre, nella preoccupazione di “proteggere il cittadino da sé stesso”, essi pretendono che lo Stato gli proibisca di fare tutto ciò che potrebbe diventare occasione di diventare impuro e di contagiare i puri.
Bisogna notare che questi divieti sospendono il concreto esercizio non solo dei diritti civili di libertà, ma anche di quei doveri di solidarietà sociale e di quei legami sociali vitali (nazionali, locali, familiari, assistenziali, docenti, economici) che assicurano non solo la tenuta delle relazioni comunitarie, ma anche il mantenimento della identità culturale, della dignità morale e della unità politica di una nazione.
Alcuni obiettano che, nonostante tutto questo, l’autorità pubblica – bontà sua! – concede ancora ai cittadini di esercitare alcuni diritti, come quelli di comunicare, circolare, visitare, studiare, lavorare, divertirsi, insomma vivere; ma queste libertà vengono sottoposte alle sempre più severe restrizioni dettate da esigenze non solo sanitarie ma anche di ordine pubblico.
Il regime politico della sanitocrazia
L’idolo della salute fisica impone il rito dell’assoluta sicurezza sanitaria alla quale bisogna sacrificare ogni certezza, bene, valore e diritto; di conseguenza, l’ideologia salutista si concretizza nel sistema politico e giuridico della sanitocrazia, producendo notevoli conseguenze sociali all’insegna del motto “salus corporum suprema lex”.
Il regime sanitocratico tende a organizzare un panopticon statale, ossia un invasivo e capillare controllo alla cui vigilanza tutto sarà sottoposto e al cui intervento nulla sarà sottratto, nemmeno la vita privata famigliare e individuale. Non c’è quindi da stupirsi se oggi la propaganda salutista proponga il totalitarismo cinese come modello di previdenza sanitaria, efficienza terapeutica e solidarietà sociale.
Le facoltà e i relativi permessi burocratici necessari per conservare molti diritti civili al fine di vivere una vita normale saranno riservati ai soli “cittadini coscienziosi e responsabili”, ossia agli eletti che avranno accettato di essere immunizzati, risanati e controllati come minorenni posti sotto perenne tutela.
Per contro, i reprobi che resteranno dissidenti o refrattari od oppositori alla sanitocrazia subiranno una sorta di apartheid mediante discriminazioni, declassamenti ed emarginazioni; gl’irriducibili verranno perseguitati violentemente, ad esempio internandoli in “campi di rieducazione alla solidarietà” per subire trattamenti psico-sanitari obbligatori al fine di guarire dalla loro “asocialità”.
I vari “comitati tecnico-medici”, emanati al fine di dare un’apparenza scientifica all’esperimento sociale già in corso, sono eredi di quel Comitato di Salute Pubblica che imperversò al tempo della Rivoluzione Francese, o di quegl’istituti di rieducazione psicologica che imperversarono al tempo dei regimi comunisti. Se l’antico motto di san Paolo era “chi non lavora non mangi” e quello di Lenin era “chi non obbedisce non mangi”, la sanitocrazia oggi afferma: “chi non s’immunizza non viaggi, non studi, non lavori, non mangi, insomma non viva”.
Il bene comune non è sacrificabile alla sanità pubblica
Gli errori della teoria salutista e gli orrori della pratica sanitocratica ci permettono di ricuperare il vero concetto di bene comune della società, oggi corrotto sia dall’individualismo liberale-libertario che dal collettivismo socialista ed ecologista.
Sappiamo che l’uomo è “sociale per natura”. Ciò significa che l’uomo non è accidentalmente sociale, altrimenti gli uomini potrebbero fare a meno della società, riducendola a una convenzione artificiosamente stabilita dagl’individui per loro convenienza. D’altra parte, però, l’uomo non è sostanzialmente sociale, altrimenti la società potrebbe fare a meno degl’individui, riducendoli a una manifestazione accidentale della collettività. Invece l’uomo è naturalmente sociale, ossia è necessariamente componente di una qualche società, a partire da quella familiare che lo procrea, alleva e educa, per finire con la Chiesa, che lo santifica e lo salva.
Il bene comune non è una somma di beni particolari né un compromesso tra quelli individuali, ma è quel bene globale che è condizione necessaria per armonizzare e ordinare gerarchicamente i beni particolari e individuali, al fine di ottenere l’umana perfezione e felicità. Pertanto, essendo superiore ai beni dei suoi componenti e delle sue parti, il bene comune di una società deve prevalere su di loro e anzi metterli al proprio servizio, per quanto possibile, altrimenti la società scivola nel conflitto permanente e rischia di dissolversi.
Tuttavia, «il bene comune non può essere determinato da concezioni arbitrarie, né può ricevere la sua norma primaria dalla prosperità materiale della società, ma piuttosto dall’armonico sviluppo e dalla naturale perfezione dell’uomo, alla quale la società è destinata, quale mezzo, dal suo Creatore» (Pio XII, Summi pontificatus, enciclica del 20 ottobre 1939).
Il bene comune risulta dalla gerarchica composizione degli elementi che lo compongono, ossia quando tutti i beni materiali sono posti al servizio di quelli spirituali e questi al servizio di quelli soprannaturali al fine di favorire la salvezza eterna, come stabilisce la Legge divina (cfr. E Colom, Scelti in Cristo per essere santi, vol. IV, Morale sociale, Pontificia Università della Santa Croce, Roma 2008, p. 120).
Insomma, il bene comune fa sì che «tutti i membri della vita associata possano vivere secondo le esigenze della norma morale di condotta e quindi raggiungere il proprio fine soprannaturale e la felicità eterna» (G. B. Guzzetti, La morale cattolica, Marietti, Torino 1965, vol. III, p.125).
In concreto, nel loro settore di competenza e secondo le loro possibilità, le umane associazioni hanno il dovere di facilitare la salvezza delle anime dei propri componenti, al fine di rendere gloria a Dio come summum bonum in quanto Creatore, Redentore e Santificatore dell’umanità.
In conclusione: se una pubblica autorità, sia essa politica o ecclesiastica, pretende di sacrificare un bene spirituale o soprannaturale a un bene materiale o naturale, fosse pure quello sanitario, essa viola sia il diritto e l’ordine naturale che quello rivelato e cristiano. Pertanto, la legittimità morale, giuridica e politica di quell’autorità può e deve perlomeno essere messa in questione.
di Guido Vignelli
Fonte: vanthuanobservatory.org
https://www.aldomariavalli.it/2021/08/26/il-primato-del-bene-comune-non-giustifica-la-sanitocrazia/
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