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sabato 11 settembre 2021

La dura vita dei cattolici non vaccinati

Le misure anti-Covid della diocesi ambrosiana e la musica sacra sull’orlo del burrone

Cari amici di Duc in altum, si moltiplicano le prese di posizione sul decreto dell’arcidiocesi ambrosiana in materia di misure anti-Covid. Dopo il commento del Giovane Prete e dell’associazione Iustitia in Veritate, vi propongo quello di “un organista ambrosiano indignato”.

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di Un organista ambrosiano indignato

Potremmo dire, con Cassiodoro, che «se continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza musica».  Questo monito – a distanza di quindici secoli – suona quanto mai attuale alla luce delle recenti disposizioni emanate dall’Avvocatura della Curia Arcivescovile di Milano: quanta giustizia c’è nelle nuove norme che hanno la pretesa di regolamentare anche le esecuzioni musicali in liturgia in relazione all’evolversi della situazione sanitaria?

Dal 20 settembre prossimo in tutte le chiese dell’Arcidiocesi Ambrosiana coristi e cantori dovranno essere in possesso della certificazione verde per poter svolgere il proprio ministero in liturgia. Non verrà richiesto di esibire il cosiddetto green pass ma una autocertificazione che attesti le ben note condizioni (guarigione dal Covid, almeno una dose di vaccino o tampone negativo).

Se da una parte questo provvedimento sembra ribadire la dignità del ministero del cantore, equiparando i membri delle formazioni corali agli accoliti e ai ministri straordinari dell’Eucarestia, dall’altra è sempre più palese il tentativo di dichiararsi più realisti del re, spianando la strada all’obbligo di certificato per assistere alle funzioni religiose. Mantenendo la mascherina e il distanziamento anche se provvisti di autodichiarazione, a ben vedere non vi è alcuna differenza fra i coristi collocati nello spazio loro deputato e i semplici fedeli che continuano a cantare al proprio posto.

La musica sacra, fortemente provata da oltre un anno e mezzo di chiusure e limitazioni, vede farsi ancora più prossimo il ciglio di quel burrone entro il quale più mani stanno cercando di farla precipitare. La recente tradizione delle scholæ cantorum, ove non già spenta dal fanatismo di qualche parroco o dallo zelo di sedicenti “animatori pastorali” mossi dalla smania suicida di strizzare continuamente l’occhio a ciò che sta fuori dal sacro perimetro delle chiese, ha subito una drammatica battuta d’arresto durante i recenti periodi di lokdown. Fra morti e feriti – è proprio il caso di dirlo – i cori liturgici che sono riusciti a ripartire, pur fra mille difficoltà, si sono ritrovati decimati; fioccano le defezioni e l’insofferenza per l’obbligo di indossare la mascherina mentre si canta mina anche le migliori predisposizioni dei coristi più volenterosi. La salita di questo calvario canoro si fa ancora più irta con questi ulteriori ostacoli che provocheranno, nel futuro più imminente, l’implosione di molti cori liturgici. Esulando da considerazioni di più ampio respiro sulla liceità dell’obbligo vaccinale, sui ricatti più o meno velati per inseguire la chimera dell’immunità di gregge e, non da ultimo, sul conflitto fra libero arbitrio e adesione incondizionata (recte, irrazionale) ad una narrazione univoca, non si può non prendere atto del momento di crisi profonda cui è giunta la musica sacra nelle nostre chiese.

Se negli anni scorsi venivano magnanimamente dispensati palliativi e zuccherini per cercare di tener in equilibrio il piatto della bilancia fra tradizionalisti e progressisti (penso, in Diocesi di Milano, alla proposizione sul più diffuso sussidio liturgico domenicale di semplici melodie in canto ambrosiano e alla contemporanea apertura di corsi di chitarra liturgica al Pontificio istituto ambrosiano di musica sacra), ora quel tatto e quel paternalismo tutto clericale secondo il quale ci sarebbe sempre spazio per tutti, purché non ci si calpesti i piedi a vicenda, sembra essere venuto meno in nome della nuova fede e della nuova morale. Qualche tempo fa andava di moda la riflessione sulla santità dei musicisti di chiesa e sulla loro più o meno convinta adesione sincera al Mistero che devono decantare con la musica nel loro ministero, altre volte si è disquisito sui titoli professionali e accademici – questione, invero, pelosa – che basterebbero tout court per avere un efficiente maestro di cappella o organista (in barba alla generalizzata ignoranza in materia liturgica e cerimoniale). Senza scomodare teologi, filosofi, liturgisti e musicologi si è ormai giunti al momento tanto temuto o desiderato, a seconda dei punti di vista, della prova: per cantare o fare musica in chiesa è necessario avere un titolo. Il conseguimento del certificato che fra dieci giorni sarà necessario esibire non assicura la bontà o la professionalità del servizio, non attesta il compimento di un percorso di studi e non apporta alcun arricchimento a livello celebrativo. La chiesa in uscita, specializzata nella costruzione di ponti e nell’allargamento di corridoi umanitari, sbatte la porta in faccia a tanti ministri che continuano a seguire la voce della propria coscienza, priva del proprio conforto e della propria comprensione quei figli che le sono più affezionati.

Nella babele del carnevale perenne delle nostre liturgie, dove canzonette discutibili fanno da colonna sonora alle performance sempre più stranianti cui si può assistere ogni domenica, si profila con sempre maggior chiarezza il fallimento dell’ermeneutica della discontinuità e dell’innovazione a tutti i costi. Buona parte della gerarchia ecclesiastica non vede (o non vuole vedere) la penuria dei frutti liturgici raccolti negli ultimi decenni. Il mondo ideale, musicalmente parlando, esiste ormai solo nella testa di chi lo vuole vedere: da una parte i musicisti di chiesa, fedeli a quella che è una vera e propria vocazione, che proseguono come tetragoni ai colpi di ventura consapevoli che nonostante tutto non prævalebunt, dall’altra i figli del Sessantoto che, da allora, vivono di fumose illusioni.

Quando i cori non avranno i numeri per garantire un buon servizio liturgico, quando le liturgie resteranno scoperte per mancanza di cantori “titolati”, qualcuno si ricorderà della profezia di Cassiodoro?

https://www.aldomariavalli.it/2021/09/11/le-misure-anti-covid-della-diocesi-ambrosiana-e-la-musica-sacra-sullorlo-del-burrone/

La dura vita dei cattolici non vaccinati



È sempre più difficile la posizione di coloro che mantengono qualche dubbio sulla possibilità di sottomettersi al vaccino Covid19 e sulla campagna politica e mediatica relativa all’obbligo vaccinale. Un’obbligatorietà non ancora sancita dalla legge (per ovvi motivi di opportunistica prudenza) ma de facto resa tale dai proclami giornalieri delle autorità politiche nonché dalle numerose limitazioni imposte a chi non si è munito della tessera verde.

Per coloro che prudentemente ritengono non ancora necessario sottoporsi, e sottoporre i propri figli, agli attuali vaccini immessi sul mercato difendere la propria posizione è ormai impossibile di fronte alla schiacciante pressione mediatica in corso e alle misure politiche messe in atto dal governo, assolutamente convinto della essenzialità del vaccino.

Eppure le notizie di decessi e di problemi di salute legati alla somministrazione del vaccino Covid19 sono sempre più numerose benché censurate dai media ufficiali che preferiscono – se inevitabile – parlare di “nessuna correlazione” o di “malattie pregresse” del malcapitato. In un modo tutto italiano (di rimpalli e di rimandi di responsabilità) di (non) fornire informazioni precise, l’AIFA ha recentemente eluso le domande dei giornalisti riguardanti un dato allarmante secondo cui in 211 giorni di somministrazione dei vaccini ci sarebbero stati “84.322 segnalazioni di evento avverso successivo alla vaccinazione”. 211 casi di morte, 2,4 al giorno. Dalla Agenzia del Farmaco nessuna risposta (fonte)

Eppure è nota la posizione del premier Mario Draghi secondo cui chi non si vaccina è destinato alla morte. Appellarsi alla propria libertà di scelta e di pensiero è stato recentemente stimmatizzato ed escluso dal Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, che ha parlato del vaccino come un dovere etico e civico. Il presidente Mattarella capovolge così la questione: sarebbero i non-vacinati a mettere in pericolo la libertà dei vaccinati, non le limitazioni senza logica imposte dal governo (lì Covid c’è, lì non c’è; a tale ora sì, a tale ora no; qui entri, qui non entri; qui siedi, qui stai in piedi; questo si tocca, questo non si tocca…).

Al di là delle posizioni personali, più o meno ragionate, negare il proprio assenso alla campagna vaccinale è diventato dunque sinonimo di cattivi cittadini. Mentre la tensione sociale sale di giorno in giorno, i media di stato contribuiscono a ripetere il mantra vaccinale e a diffondere un’immagine distorta e caricaturale di coloro che non si adeguano alla narrazione ufficiale, dipingendo i dubbiosi (così come i meno dubbiosi, risoluti a non adeguarsi al verbo vaccinista) come dei retrogradi terrapiattisti, negazionisti, complottisti e segnati dal marchio “no vax” (nonostante nella maggior parte dei casi i dubbi si concentrino su questi specifici vaccini e non sull’intera gamma di vaccini attualmente in uso). Le manifestazioni di dissenso, che si moltiplicano su tutto il suolo nazionale, vengono ignorate da TV e giornali o, nel migliore dei casi, descritte come “flop”, “violente” o “pericolose”. Anche medici, intellettuali e giornalisti, fino a ieri considerati competenti e seri professionisti (basti pensare al filosofo Massimo Cacciari o allo storico Alessandro Barbero) vengono ora insultati e ridicolizzati se espongono dubbi o perplessità sulla gestione politica della pandemia. I dati scientifici (quelli buoni, quelli ufficiali, quelli veri) vengono utilizzati per silenziare l’uditorio ignorante dei contestatori mentre i ricoveri e le morti per Covid dei non vaccinati vengono spudoratamente sbandierate sui social e giornali per corroborare la propria tesi. Un terrorismo mediatico che, assieme alle proibizioni e limitazioni delle libertà di movimento, contribuisce a sensibilizzare sempre più cittadini italiani a cedere alla vaccinazione, anche senza esserne del tutto convinti. Ragazzi che si vaccinano per avere il green pass, bambini che lo fanno per poter continuare a fare sport e uomini e donne (sanitari, docenti e altri professionisti…) che si sottopongono alla vaccinazione per non perdere il lavoro. Un obbligo de facto, dunque che porta la percentuale dei vaccinati in Italia a livelli altissimi (“L’Italia è ai primi posti nella classifica europea della popolazione completamente vaccinata, mentre prosegue l’obiettivo di arrivare all’80% entro il mese di settembre e ci si prepara anche a un’eventuale terza dose”. SkyTg24).

Ma la questione politica sfocia ora sul campo religioso, in modo speciale da quando Papa Francesco è intervenuto con fermezza definendo il vaccino come “un atto d’amore”, contribuendo così alla campagna vaccinale e indicando ai cattolici il vaccino come una via per realizzare l’amore cristiano. Dopo gli appelli del capo dello stato e del Sommo Pontefice il non vaccinato dovrà sentirsi allo stesso tempo un cattivo cittadino e un pessimo cristiano. (accomunato alla sorte dei mafiosi)

L’appello del Papa ha contribuito alla polarizzazione del mondo cattolico sempre più diviso tra una (perblo più minoritaria) percentuale di non vaccinati (che a questi livelli significa ormai non intenzionati a farlo) e vaccinati/vaccinisti. Forti di questo appello alcuni giornalisti cattolici, ritenuti fino a qualche mese fa voci indipendenti, si sono uniformati alla narrazione vaccinista deludendo la maggioranza dei propri lettori. Si tratta infatti di giornalisti considerati da sempre liberi da legami con il potere, sempre pronti a difendere la fede cattolica anche contro alcune storture manifeste all’interno della Chiesa, che negli anni sono diventati un riferimento per i cattolici perplessi e privi di punti di riferimento istituzionali. Antonio Socci, Assuntina Morresi e Giorgio Puccetti diffondono sui social la loro preoccupazione per i non vaccinati mentre rispondono a tono a coloro che affermano di “non riconoscerli più”.

Nei giorni scorsi la Prof.ssa Morresi, chimica e bioeticista nota per le sue posizioni scomode pubblicate sull’Occidentale e le sue battaglie pro-life (ha pubblicato un libro sul caso del piccolo Charlie Gard intitolato “Eutanasia di stato”), ha ingaggiato un “duello” a distanza col sacerdote missionario don Antonello Iapicca, molto seguito su Facebook. Partendo da un articolo pubblicato dalla Morresi sulle aperture dell’OMS riguardo alla manipolazione genetica (“che consente di intervenire sul Dna con una precisione senza precedenti”) la discussione è presto scivolata sul tema dei vaccini dando l’occasione alla prof.ssa di stimmatizzare i cattolici dubbiosi come una “setta irrilevante persa dietro al delirio no-vax, che si oppone a tre papi per seguire Belpietro”. La durezza delle affermazioni aumenta di messaggio in messaggio per ridicolizzare e canzonare i cattolici non allineati che, afferma, “si affidano ai rosari” e che “finiranno male”. La delusione dei lettori che emerge nei commenti al post (qui) è la stessa dei lettori di Socci. Un pensatore libero che ha più volte assunto posizioni scomode per difendere la vita e il cristianesimo e condannare la cultura di morte e il relativismo del mondo contemporaneo. Il suo libro sull’aborto “Il genocidio censurato” fu un caso editoriale e il suo “Non è francesco” sull’elezione di Papa Bergoglio aprì una voragine tra l’opinione pubblica facendogli guadagnare l’accusa di pazzia (ma non il rogo). Ora Socci pubblica appelli ai cattolici affinché si vaccinino “perché papa Francesco lo ha chiesto e Benedetto XVI (94 anni e mezzo, ndr) lo ha fatto”. Inoltre riporta sulla sua pagina i post del dott. Burioni, il virologo televisivo che recentemente ha sfilato sul red carpet del festival cinematografico di Venezia con un insolito smoking. Quello, per intenderci, che ha auspicato che i “no vax” venissero rinchiusi in casa “come Sorci”. Comprensibile la delusione di chi vedeva nello scrittore toscano un punto di riferimento per la sua fede e le sue posizioni politiche spesso ragionevoli e dettate dal buon senso.

Dall’inizio della pandemia il dottor Renzo Puccetti ha dimesso l’abito dell’apologeta prolife per vestire o ri-vestire il camice bianco. Dati alla mano e fornendo complesse letture delle statistiche da mesi la sua pagina Facebook è diventata un canale di informazioni che offre il bollettino completo di morti, feriti, infetti sintomatici e asintomatici divisi per fasce di età e sui benefici del vaccino. Oggi, riferendosi ai non vaccinati parla di posizioni “anarcoidi” e chiede alle autorità politiche l’obbligo vaccinale come unica soluzione alla pandemia da Covid19.

A rendere ancora più difficile la vita dei cattolici non vaccinati è la svolta delle parrocchie che ora, in osservanza delle indicazioni ministeriali, chiedono il green pass per ogni riunione che non sia la Celebrazione Eucaristica. Obbligando molti gruppi a esibire i certificati o a dirottare verso altre sale del quartiere da affittare al miglior prezzo.

Finalmente, mentre scriviamo, la presidenza della CEI ha preso posizione a favore del vaccino come “atto d’amore” da fare “come atto di risposta al mandato del Signore di servirci gli uni gli altri“, chiedendo a tutti i sacerdoti e agli operatori pastorali di vaccinarsi per poter continuare a lavorare nelle parrocchie. Nessuna parola riguardo all’accoglienza di quei fedeli che in coscienza hanno al momento rifiutato l’ipotesi di sottoporsi al siero vaccinale. Il documento dei Vescovi vede, di fatto, in costoro dei disobbedienti non solo delle norme politiche relative al green pass (i vescovi citano il Presidente Mattarella e delegano alle autorità sanitarie ogni decisione in materia negli ambienti parrocchiali) ma anche del mandato di Nostro Signore di amarci gli uni agli altri, facendo così del vaccino maestra una via per vivere fedelmente il Vangelo. Un nuovo articolo di fede? Eppure non è passato molto tempo da quando la Chiesa ha ricordato il suo ruolo di fronte alla coscienza dei fedeli: la Chiesa è chiamata «a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» si diceva a riguardo della morale sessuale e familiare. Ora, il vento sembra essere nuovamente cambiato e si chiede di obbedire ad una norma politica in osservanza al mandato del Signore. Ai cattolici non vaccinati non resta che recitare il “Mea culpa”.

https://testadelserpente.wordpress.com/2021/09/11/la-dura-vita-dei-cattolici-non-vaccinati/#more-9727

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