Dietro il tracollo del San Raffaele non c’è la pia frode, c’è Faust
La verità è che don Verzé ha razzolato esattamente come ha predicato, ed è sulla natura delle sue prediche superomistico- religiose che ci si dovrebbe soffermare per capire che cosa è successo.
L’ospedale avveniristico voluto da don Verzé, centro di eccellenza di livello europeo, all’avanguardia nelle terapie e nella strumentazione e pensato come un Grand Hotel della guarigione, va considerato in pendant con la fucina di idee che porta il nome di Università Vita-Salute, e che don Luigi Verzé fondò nel 1996 con l’ambizione di “superare la contrapposizione moderna fra sapere scientifico-tecnico e sapere umanistico-filosofico”. Protagonisti dell’impresa, ha scritto il direttore di questo giornale all’indomani della morte di Mario Cal, “biologi faustiani, filosofi del nulla, una melassa di libertarismi pseudoagostiniani, con qualche concessione a un giro accademico più largo di buoni storici della filosofia tenuti al guinzaglio dell’ideologia fondatrice. Da Cristo a MicroMega, un volterrianesimo alla Paolo Flores, un caso di cattiva ateo-devozione”. Una schiera di bei nomi dell’accademia italiana – Massimo Cacciari, tuttora figura preminente dell’istituzione, il filosofo Emanuele Severino, il genetista Edoardo Boncinelli – schierati accanto a pensatori cattolici d’orientamento variamente progressista. Sempre eterodossi, per non dispiacere all’immagine d’avanguardia culturale e religiosa che il San Raffaele ama offrire di sé. Personaggi come Vito Mancuso e Roberta De Monticelli, profeti gemelli di un cristianesimo antidogmatico e antichiesastico, campioni nella lotta contro le gerarchie che tanto piace a don Verzé – perché in fondo è quella la sua vera cifra – e perfetti per il salotto catodico e anti cattolico di Corrado Augias, oltre che per le classifiche dei libri più venduti.
E’ noto che la squadra della filosofia modello San Raffaele sia stata e sia tuttora ben tarata su un paradigma a senso unico di benevolenza verso le ragioni della scienza, possibilista nell’esplorazione delle nuove frontiere, per definizione sciolta da qualsiasi forma di ossequio alla dottrina. Fa tuttavia impressione leggere oggi, alla luce degli sviluppi delle vicende del San Raffaele, quello che lo stesso don Verzé diceva della sua creatura universitaria: “L’ho chiamata Vita-Salute intendendo che ‘vita’ è il tutto Essere, e ‘salute’ è l’equilibrio delle componenti che fanno di un essere un vero uomo: il fisico, l’intelletto e l’anima. Ogni deficit delle tre componenti rende l’uomo meno uomo… L’uomo divenne un essere vivente in forza dell’alito di vita divino che Dio, traendolo da sé, soffiò nelle sue narici: l’essere dell’uomo, inconfondibile con il resto del creato. E a quell’essere l’uomo non può rinunciare. Lo dimostrano la comune esigenza di un fisico sempre più perfetto, agile, elegante e vigoroso, insieme alla brama del conoscere, della beltà, della scienza e dell’ascesi, atti a replicare l’armonia che, all’origine, lasciò ammirato lo stesso Dio creatore”.
In quell’“uomo meno uomo”, riferito all’individuo carente in una delle “tre componenti” (come se il malato o il povero di spirito fossero meno umani: ci ricorda tristemente qualcosa) c’è l’inconsapevole autodenuncia del gigantismo velleitario di don Verzé, del sogno superomistico che lo ha nutrito e perduto. Inconsapevole, poi, fino a un certo punto. “Certo che l’uomo di cui parlo è un superuomo, tutti tendiamo a essere superuomini”, diceva don Verzé a Gianluca Nicoletti, che nel febbraio del 2009 lo aveva intervistato per Wired.
Ora che molte maschere sono cadute e che la rovina incombe sul prete visionario al quale si rimproverano troppi affari in nome di Dio e del miglioramento genetico della specie umana, rimane in evidenza la tragica, e a suo modo immensa, caricatura del benefattore mescolato a un personaggio da fantascienza scadente, allo scienziato invasato che si crede padrone della vita, della morte e delle leggi di natura, al santone tecnologico dotato di Challenger. Fondatore di un culto autoreferenziale e inquietante, con i suoi rituali e il suo ordine di iniziati: i Sigilli, i fedelissimi che abitano con don Verzé nella cascina accanto all’ospedale, e che vengono ordinati con una spada sulla spalla “come facevano i Templari” (lo racconta sempre il sacerdote nell’intervista a Nicoletti, intitolata “La fine della morte”).
Non vedere oggi il legame che corre tra l’avallo dato da alcuni bei cervelli a un progetto fatto di megalomania e folclore titanici, che punta all’immortalità fisica, magari per via di clonazione e di uso di embrioni per la ricerca, e il rovinoso risveglio fatto di libri mastri tutti da decifrare, di debiti tutti da interpretare, di voragini nei conti tutte da spiegare, non vedere e non parlare con franchezza di quel legame sarebbe, ammettiamolo, un torto anche per Verzé.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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