Chi sono i cattolici pronti a tradire Obama e la sua guerra laicista
In America il voto cattolico non esiste, ma fino a un certo punto. I cattolici, che costituiscono il 27 per cento dell’elettorato, in passato hanno contribuito all’elezione del correligionario democratico Kennedy, del quacchero Nixon, si sono spesi per Clinton, hanno preferito il battista Al Gore al metodista Bush, salvo poi scegliere quest’ultimo quando la sfida era con John Kerry. Il cattolico John Kerry. Nel 2008 il 54 per cento dei fedeli di Roma ha votato per Barack Obama, e curiosamente è la stessa percentuale che due anni più tardi ha massacrato il suo partito alle consultazioni di midterm. Se dunque esiste in America un elettorato fluido, eterogeneo, pragmatico, non allineato e sensibile ai tratti personali dei candidati è quello cattolico. A ogni tornata elettorale gli strateghi si interrogano intorno all’impostazione politica dei rapporti con la chiesa e spesso finiscono per scoprire che l’alleanza con l’istituzione non garantisce il voto dei fedeli comuni e viceversa. Obama ha saputo dragare i voti nella comunità mentre la gerarchia era divisa fra il fronte dei vescovi che lo accusava di essere un liberal infanticida e le suore con l’adesivo del candidato democratico sulla porta del convento, infatuate dalle sue promesse di giustizia sociale. Alla Casa Bianca Obama ha messo in campo una strategia di appeasement del mondo cattolico che in parte ha funzionato, ma adesso il presidente rischia che a forza di tirare verso il paradigma della secolrizzazione, la corda si spezzi.
Quella che Obama ha lanciato per interposto dipartimento della Salute è conosciuta come “la guerra al cattolicesimo”e i suoi tratti sono noti: le linee guida della riforma sanitaria di Obama impongono che gli ospedali offrano gratuitamente servizi per la contraccezione e il controllo delle nascite, una pratica che viola la libertà religiosa dei cattolici (e di altre confessioni cristiane). Per far apparire meno draconiano il decreto, il segretario della Salute, Kathleen Sebelius – una cattolica a cui vari vescovi hanno intimato di non accostarsi alla comunione, date le sue posizioni pro choice – va in giro a rassicurare gli animi inquieti dicendo che verrà applicata, come promesso, la “esenzione religiosa”: significa che le chiese, le cliniche e gli ospedali d’impostazione religiosa non sono obbligati a fornire gratuitamente le prestazioni controverse né a includerle nelle assicurazioni che stipulano per i loro dipendenti. Lo ha spiegato in un articolo su Usa Today: “Abbiamo appositamente ricavato un’eccezione per le organizzazioni religiose che hanno principalmente dipendenti della propria appartenenza religiosa”. L’elettorato cattolico sarà anche fluido, eterogeneo e non allineato, ma non vive su un altro pianeta, dunque il trucco lo vede facilmente. Così come lo vede facilmente il mondo secolarizzato. Di fianco alla difesa di Sebelius, Usa Today ha pubblicato un editoriale di risposta in cui spiega un’ovvietà che l’Amministrazione finge di non sapere: “L’esenzione non copre le organizzazioni cattoliche che curano oppure assumono un ampio numero di pazienti e dipendenti non cattolici: cioè l’esatta situazione in cui si trovano molte università, ospedali e associazioni caritatevoli cattoliche”. Il problema è dunque la libertà religiosa garantita nel primo emendamento alla Costituzione, non la rivendicazione religiosa.Dal capo della Conferenza episcopale americana, Timothy Dolan, in giù, la gerarchia cattolica si è mobilitata contro le linee guida della riforma sanitaria – finora 168 vescovi americani si sono espressi pubblicamente – e dall’universo più attento alla difesa della vita fino ai cattolici progressisti tipo il columnist liberal del Washington Post, E. J. Dionne, o il settimanale America, che il Vaticano ha redarguito più volte in passato, è partito il contrattacco. La minaccia di chiudere tutti gli ospedali cattolici d’America, con conseguenze enormi sul sistema sanitario, non è “off the table”. Non solo i cattolici però sono sul piede di guerra. Megan McArdle, laica analista economica dell’Atlantic, vede l’assurdità della disposizione obamiana attraverso la lente della pura efficienza: “Alcune delle migliori cure sono offerte da istituzioni religiose”. Il punto è che i servizi sono offerti a tutti i cittadini, secondo il principio della libertà religiosa, e non soltanto ai cattolici. Questo dato, ovvio a chiunque si sia mai aggirato per una città americana, sta portando la battaglia oltre i confini dell’ortodossia cattolica.
La reazione massiccia e vociante che si è scatenata nelle ultime settimane potrebbe avere pesati ricadute politiche per Obama, il quale ha utilizzato una tecnica classica nella speranza di sedare le proteste: rimandare il problema al 2013, dopo le elezioni. Soltanto nell’agosto dell’anno prossimo, ha stabilito l’Amministrazione, gli istituti religiosi dovranno aderire al protocollo del dipartimento. Sul Wall Street Journal, Gerald Seib spiega che “l’Amministrazione conta sul sostegno dei cattolici che non sono d’accordo con la dottrina della chiesa sulla contraccezione e vorrebbero la copertura gratuita di questi servizi. Potrebbe anche essere un calcolo corretto, ma è basato su un assunto incerto. Molti cattolici sono abituati a discutere le posizioni dei loro vescovi, ma non è certo che vogliano che lo stato faccia la stessa cosa”. L’intreccio fra la questione religiosa e il laicissimo primo emendamento rischia di far crollare la strategia equilibrista di Obama, che ora teme di perdere il sostegno dei cattolici che si era rivelato fondamentale nella grande vittoria del 2008. George Condon sul National Journal ha spiegato che anche i cattolici progressisti, quelli che ad esempio avevano sostenuto la presenza di Obama all’Università di Notre Dame nel contestatissimo discorso del 2009, stanno fuggendo dal Partito democratico. La tendenza è conformata anche dalle ricerche del Pew Research Center: nel 2008 il 37 per cento degli elettori cattolici iscritti a un partito si dichiarava vicino ai repubblicani, il 53 per cento ai democratici (numeri sostanzialmente confermati alle urne). Ora la forbice si è ristretta e i democratici hanno soltanto cinque punti di vantaggio e un trend negativo da gestire.
Peggy Noonan, columnist del Wall Street Journal, spiega che “la chiesa è divisa su molte cose. Ma i cattolici accetteranno che lo stato imponga alle loro chiese di tradire il loro credo?
Accetteranno che il presidente sfidi la leadership della chiesa e metta a rischio le sue istituzioni? No, non lo accetteranno. Si uniranno per contrastarlo”. Fluido, eterogeneo, non allineato, dunque, ma capace di mettere in secondo piano le differenze e serrare i ranghi in caso di attacco. La presenza cattolica è molto significativa in una dozzina di stati in bilico, quelli che il presidente dovrà aggiudicarsi a novembre per sperare di essere rieletto. In New Jersey il trenta per cento degli elettori è cattolico, in Wisconsin il 30, in Pennsylvania il 28 e in Ohio il 18 per cento. Contrariamente al luogo comune secondo cui i cattolici americani sono principalmente latinos, i dati del Pew Forum dicono che il 65 per cento dei fedeli è bianco appartiene alla parte bassa della middle class, quella fascia che sente più acutamente gli effetti della crisi. In teoria si tratta di un bacino che risponde alle caratteristiche degli elettori indipendenti che saranno importanti a novembre, ma l’attacco monumentale di Obama rischia di far ricompattare il fronte. La Casa Bianca vuole testare l’attaccamento dell’eterogenea popolazione cattolica alle istituzioni che fanno capo alla loro fede, ma sta scoprendo suo malgrado che si tratta di un azzardo che lo potrebbe danneggiare non poco in chiave elettorale. Soprattutto ora che i secolaristi non accecati dall’ideologia marciano a fianco dei vescovi sventolando la Costituzione.
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